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Autore: Lacus Clyne    08/07/2013    4 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok, e dopo la follia della storia sui Black Hawks, si torna al serio! u___u Conclusione del capitolo, ad alto tasso di dramma... qualcuno mi odierà per quello che accadrà, ma abbiate fiducia in me!! >__< Ne approfitto per uppare tre disegni, in attesa degli altri: 

http://imageshack.us/a/img839/3600/5pxl.jpg  (Rose)

http://imageshack.us/a/img191/5968/ozn7.jpg  (Livia)

http://imageshack.us/a/img801/4722/vn93.jpg  (Blaez) 

Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate!! Uuuuuuuuuuuuuuuuuun grande abbraccio alla mia Taiga-chan, dopo i fazzoletti Jempo usati per *tamponare il naso* la commozione u_ù, ora serviranno per le lacrime, mi sa!! E se qualcuno volesse commentare, faccia pure!! >_< Buona lettura!!

 

 

 

 

- Andiamo.

Disse, io acconsentii. Mi prese per mano, poi prese il mio cellulare, ordinandomi di fare attenzione e uscimmo dalla stanza, raggiungendo cautamente il salone. Dalle finestre al pianterreno, vidi lo sbattere di ali e sentii i versi dei grifoni. Qualunque cosa fosse successa, con tutta probabilità all’esterno stava continuando. Ero davvero spaventata, tanto più che camminare nel buio era qualcosa che non mi piaceva. Ma non potevo fare altrimenti e poi, Damien era con me. Strinsi più forte la sua mano, ma quando entrammo nel salone, la scena che ci si presentò davanti agli occhi, mi costrinse a lasciare la presa e a coprirmi lo sguardo. Avrei urlato, se non mi avesse sibilato di fare silenzio tappandomi la bocca, ma quella scena era troppo, anche per lui. Damien stava tremando tanto quanto me, nel vedere la moltitudine di cadaveri sgozzati riversi sul pavimento. Lungo i muri perimetrali, c’erano dei solchi che avevamo imparato a conoscere bene. Mi mancava l’aria, e una sensazione di disgusto risaliva nel mio stomaco, torcendomi le budella. Damien riconobbe distrattamente il cadavere della donna che aveva accompagnato, ma il suo sguardo cercava altro. Tuttavia, nessuna traccia di Jamie.

- Dove sarà?!

Domandai.

- Jamie!!

Urlò Damien, ormai infischiandosene di essere sentito. Da qualche parte, in quel silenzio spettrale, anche la servitù era stata tolta di mezzo.

- Jamie, dove sei?!

Urlai io.

Poi, proveniente dal corridoio, sentimmo una risatina tetra e crudele. Ci guardammo, perplessi. Chi poteva ridere in quel modo? Tornammo indietro, ritrovandoci davanti alle scale che davano ai piani superiori.

- Chi c’è?! Chi sei?!

Gridò Damien, facendo luce col cellulare. Per poco non gli venne un colpo. Jamie sorrideva, in cima alla scala.

- Jamie!!

Esclamai. Non poteva aver riso lui. No, non poteva essere lui. Mi rifiutavo anche soltanto di credere che Jamie Warren, quel bellissimo ragazzino un po’ cagionevole, che mi aveva baciata su una guancia, sorrideva in quel modo.

- Vuoi giocare con me, Aurore Kensington? O forse dovrei dire… Lady dell’ametista?

Boccheggiai, mentre il mio ciondolo prese a risplendere del colore viola. Damien esitò, improvvisamente confuso, nel sentire quella voce che di maschile non aveva nulla. Conosceva bene la voce del suo fratellino, e quella non era certamente la sua. Al contrario, era squillante, divertita e femminile. La voce di una ragazzina.

- Livia?

Domandai. Damien si voltò a guardarmi incredulo.

- Livia? Livia Devereaux?

- In persona. A quanto pare siete caduti in trappola. Che peccato aver dovuto sacrificare tutta quella gente… ci vorrà un bel po’ per pulire.

Sorrise, togliendo la maschera nera. Sfilò la parrucca riccia che aveva in testa scuotendo i capelli, biondo chiarissimo, che ricaddero appena sulle spalle. Strinsi il gilet di Damien, che si voltò nuovamente verso la ragazzina, il cui sorriso si aprì ancor di più. Aveva qualcosa di terrificante.

- Dov’è mio fratello?! Che vuol dire che siamo caduti in trappola?!

Domandò con rabbia, ma anche confuso più che mai.

- Quello che ho detto. Credevate davvero di poter aggirarvi indisturbati nell’Underworld? Per rispondere alla tua prima domanda, Jamie sarà a palazzo, a quest’ora.

Jamie… quanta confidenza. Avrei giurato che lo conoscesse.

- Livia, ascolta…

Esordii, ma mi bloccò, scoccandomi un’occhiataccia gelida.

- Non provare nemmeno a rivolgerti a me con quel tono.

Impallidii, non me l’aspettavo.

- Anche se possiedi l’ametista, non sei una di noi.

Mi ricordò, freddamente.

- Dunque, sarà bene che impari a stare al tuo posto.

- E quale sarebbe il mio posto?

Domandai, muovendo qualche passo in avanti e affiancando Damien. Livia tramutò il viso in una maschera inespressiva.

- Non lo capisci da te? Tu che sei soltanto un’intrusa senza speranza non saresti mai dovuta giungere nell’Underworld.

Ma se non fossi mai giunta nell’Underworld, non avrei mai potuto scoprire la sorte della mia famiglia, né avere la possibilità di saperne di più su di essa. Tuttavia, Livia mi aveva appena definita intrusa. Nonostante tutto, continuai a guardarla. Sapevo anch’io di esserlo, ma se ero arrivata fino a lì, c’era una ragione.

- Mi dispiace.

- Il tuo dispiacere è inutile.

- Aurore.

La voce di Damien. Passai oltre.

- Non ti ho ancora detto il motivo per cui mi dispiace.

Un angolo della bocca di Livia si sollevò, arcigno. Per essere così giovane, era totalmente disillusa.

- Quale sarebbe?

Sorrisi, pensando a mia madre, a Evan e al piccolo Jamie.

- Io… io non ho nessuna intenzione di tornare a casa senza prima aver riportato la luce in questo mondo d’oscurità.

Livia aggrottò le sopracciglia, poi affilò lo sguardo.

- Riportare la luce in questo mondo… davvero patetico. Più patetico del tentativo di Amber Trenchard di coprirti. Mi chiedo proprio per quanto ancora Angus riuscirà a impedire che quella traditrice venga giustiziata.

Deglutii, poi Damien incalzò.

- Come puoi parlare così? Non si tratta forse di una tua pari?

- Per quanto mi riguarda, lei non è nessuno.

- Smettila, Livia!

Sbottai. Livia mi fulminò, poi scoppiò a ridere.

- Ti ho chiesto se volevi giocare con me. La tua risposta?

Le rivolsi uno sguardo interrogativo. Per qualche ragione, quella parola mi riportò alla mente il “gioco” nella palestra di palazzo Trenchard. Vidi giusto, perché prima ancora di rendermene conto, la mia ametista e il suo lapislazzuli presero a brillare, gettandoci in un luogo brullo e oscuro, un posto che avevo già visto. Solo che stavolta, assieme a noi, c’era anche Damien. Il suo sguardo sconvolto era probabilmente lo stesso che dovevo avere io la prima volta che ci ero giunta.

- D-Dove diavolo… siamo?

Domandò, nello scrutare la distesa infinita di terra oscura. In cielo, la luna continuava a brillare, lontanissima, opaca, del tutto incapace di rischiarare.

- E’ una sorta di interspazio, credo…

Provai a spiegare.

- I confini dell’Underworld. Ciò che c’è al di là della terra. Il luogo del non ritorno.

Mi corresse Livia, camminando spedita verso di noi.

- Suppongo che non sappiate che qui venivano esiliati i criminali, né che morivano, per la follia. Questo posto rende matti. Eppure, non ne comprendo ancora il motivo, dato che non è poi così differente dal resto.

In realtà, era ovvio che fosse differente. Ma Livia era nata dopo la ribellione, e non poteva conoscere la differenza tra un mondo di luce, meraviglioso, e un mondo tetro, dove l’oscurità dell’esterno finiva col divorare anche le anime più luminose, dunque, figurarsi quelle di chi aveva già una macchia. Prima che potessi dire che in realtà c’era modo di tornare, almeno per noi, e dunque di esporre Amber, dal momento che era con lei che ci ero stata per la prima volta, mi ritrovai Livia davanti. Era piccola, più bassa di me di almeno quindici centimetri, ma il suo atteggiamento la faceva sembrare molto più matura, per certi versi.

- Tu sai rispondermi?

Feci cenno di no, ma senza fingere nel mostrarle che mi metteva a disagio quella vicinanza.

- Risposta sbagliata.

Non appena ebbe finito di dirlo, voltò la testa verso Damien, che si ritrovò improvvisamente attirato alle spalle e bloccato da qualcosa che sulle prime non seppi riconoscere.

- Ma cos-- 

- Damien!!

Esclamai, quando i miei occhi si abituarono alla fioca luce, rendendomi conto che si trattava di rovi. Trasalii nel ricordare il mio incubo. Rovi neri che laceravano la carne. Quando Damien urlò, urlai a mia volta.

- Livia, che diavolo stai facendo?!

Rimase impassibile, e al contrario, continuò col suo “gioco”. Avevo capito. La posta in gioco era Damien, e Livia Devereaux sembrava ben determinata a divertirsi davvero.

- Per quale motivo l’ametista è in mano tua?

Domandò. I rovi che stringevano Damien disegnavano spirali sempre più fitte intorno al suo corpo, tagliandolo, man mano che Livia formulava le domande. Era fatto in modo che provassi disagio, se non terrore. Una sorta di tortura, ma nei confronti di una persona a me cara.

- Lascialo stare, lui non c’entra!! Prendi me al suo posto!!

La pregai.

- Ti ho fatto una domanda.

Mi ricordò e, per rimarcare il concetto, una spina si conficcò nel deltoide destro di Damien, che lanciò un’imprecazione strozzata.

- Non risponderle!

Mi ordinò.

- Taci.

Ordinò a sua volta Livia.

- Se non vuoi che ti faccia ingoiare la lingua, naturalmente. Sarebbe un peccato, hai una bella voce.

Aggiunse, con ipocrita gentilezza.

- Allora?

Riprese.

Guardai Damien, la sua espressione, il sangue che gli colava dal braccio. Poco prima, in quella stanza al pianterreno, eravamo così vicini. Gli sorrisi. Fidati di me.

- Non so perché l’ametista sia in mano mia. E’ stata mia madre a regalarmi questo ciondolo, qualche giorno prima del mio compleanno.

Damien rispose con un gesto di stizza col volto, mentre Livia sollevò il sopracciglio.

- Le pietre vengono trasmesse di generazione in generazione.

- Forse mia madre era il precedente possessore…

- Impossibile.

- Perché?

- Faccio io le domande qui.

Per tutta risposta, un’altra spina finì col conficcarsi nel braccio sinistro di Damien, all’altezza del polso, straziandolo. Mi sentii il mondo cadere addosso mentre urlava per il dolore, mentre avevo ancora l’odiosa e bruttissima sensazione che quelle scene mi riportavano alla mente. Istintivamente, mi strinsi le braccia.

- Lascialo stare, Livia, per favore!! Non farò domande, ma ti scongiuro di lasciarlo stare!!

- Perché? E’ così divertente.

Si mise a ridere, sadicamente eccitata.

- Non c’è niente di divertente nel fare del male a chi non può difendersi!! Sono sicura che Jamie soffrirebbe moltissimo nel sapere quello che stai facendo a suo fratello!!

Le urlai. Interruppe la risata, poi sollevò a mezz’aria il braccio e mi tirò il ciondolo con forza, costringendomi a bloccarla. Nel toccare la sua mano, le nostre pietre emisero un bagliore e Livia urlò, mollando la presa e proteggendosi gli occhi.

- Che mi hai fatto?!

Gridò. I rovi intorno al corpo di Damien si allentarono e io corsi a sostenerlo. Sentii addosso tutto il suo peso, ma durò poco, perché si mantenne in piedi. Ciononostante, le ferite sulle braccia dovevano di certo fargli male.

- Non ti ho fatto niente, Livia. Sono state le nostre gemme. Sono più che certa che non desiderano che un’anima come la tua si macchi di altri crimini.

- Cosa credi che me ne importi, eh?!

Domandò, con un tono insolitamente lamentoso, nonostante immagino, volesse sembrare sdegnosa. Quando poté togliere le mani dagli occhi, vidi una ragazzina cresciuta presto, ma in fin dei conti, sempre una ragazzina.

- Livia… non lasciare che l’oscurità ti divori. Aiutami, aiutami a riportare la luce in questo mondo.

Livia scosse la testa.

- Non c’è nessuna luce che possa essere riportata. Questo mondo è e sarà sempre il regno in cui la luce non splende.

- Se sconfiggiamo la Croix du Lac

- Lei non può essere sconfitta!

- Non è c-- 

Non potei finire, perché d’improvviso ci ritrovammo nell’Underworld, nello stesso posto dov’eravamo poco prima.

- Siamo… siamo tornati.

Osservò Damien.

- Già…

Confermai. Livia, in cima alle scale, ci guardò truce, poi corse via.

- Livia!!

Urlai, mollando la presa. Damien gemette. Mi voltai a guardarlo, mentre portava la mano insanguinata al braccio. Aveva altri tagli profondi e graffi sul corpo, nei punti in cui i rovi l’avevano stretto maggiormente, ma quelle ferite sembravano molto più dolorose.

- Damien…

Sussurrai. Lui mi guardò.

- Rimani qui, ok?

- No.

- Devi farlo.

- Non se ne parla, Aurore. Andiamo.

Disse, superandomi. Lo bloccai, poi gli accarezzai il braccio.

- Che stai facendo?

Quando strinsi la presa, imprecò, voltandosi di scatto verso di me. La sua espressione era a dir poco sofferente. Il braccio gli faceva male.

- Aurore?!

 - Lo vedi? Come pensi di poter fare qualcosa in queste condizioni?

- Tu non preocc-- 

Non potevo non farlo. Gli posai un dito sulle labbra. Erano morbide e calde. Avrei potuto utilizzare mille modi per tentare di convincerlo, ma finii col dirgli la sola cosa di cui avrei potuto pentirmi.

- Mi dispiace, Damien… ma non sei forte abbastanza, adesso. Saresti d’ostacolo.

Fremette, rivolgendomi un’occhiata incredula. Io stessa mi stupii di quello che avevo detto. Eppure, avevo capito che l’unico modo per impedire a Damien di fare qualcosa era colpirlo nell’orgoglio. Imprecò, scostandosi con un mugugno. Mi morsi le labbra, poi salii di corsa le scale, lasciandolo alle mie spalle. Scusa, scusa. Mi ripetei, sperando che non mi seguisse, ma soprattutto, che avesse compreso la motivazione dietro alle mie parole. Raggiunsi il secondo piano, attirata dal vento che soffiava lungo le scale. In fondo al corridoio, la porta con vetrata era spalancata. Mi feci forza, poi raggiunsi la terrazza che si estendeva al di là della porta. Eravamo in alto, ma si sentiva lo scorrere del fiume sotto di noi, e poco lontano si intravedevano le luci della capitale. Livia era di fronte a me, pericolosamente in piedi sul cornicione dirimpetto.

- Livia!!

Urlai.

- Che ti sei messa in testa?!

- Sai cosa pensavo? Se adesso cadessi, sicuramente morirei. Nonostante sia nata a Boer, io non so nuotare.

Disse, passeggiando con disinvoltura sul cornicione.

- Non dire assurdità!!

Gridai, cercando di avvicinarmi.

- E sai quale sarebbe la cosa più divertente? Se accadesse, sia tu che il tuo cavaliere sareste accusati della mia morte… e di quella dei partecipanti alla festa.

- Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?!

- Come? Immagino che i vostri abiti a quest’ora siano già nelle mani di Liger.

Mi irrigidii. Nella fretta, non ci eravamo cambiati. Mi tornarono alla mente le parole di Shemar, quando ferito, mi aveva detto che preferiva presentarsi al cospetto di Amber con gli abiti sporchi, come prova di quanto accaduto. Evidentemente, una prova del genere era più che sufficiente per incastrare qualcuno nell’Underworld. E così facendo, se fossi stata accusata ufficialmente, il mio legame con Amber sarebbe uscito ugualmente, anche se Livia fosse morta.

- Sacrificheresti la tua vita pur di distruggere la mia? Cosa ne ricaveresti, Livia?! La mia vita non è così importante!

Le dissi, quando la raggiunsi. Saltellò all’indietro, mentre salivo anch’io sul muretto. Evitai di guardare in basso, ma avrei giurato che fossimo ad altezza considerevole. Per fortuna il mio senso dell’equilibrio era buono.

- La tua vita è importante per lei!

Esclamò Livia.

- Per lei? Lei chi?!

Domandai, perplessa.

- Numi, sei davvero ottusa.

Quel commento acre mi punse.

- E tu sei testarda!

Affilò lo sguardo e storse la bocca.

- Ti ho già detto di non rivolgerti a me con quel tono.

- Lo farò ancora, fino a che non la smetterai di gridare aiuto nel modo sbagliato.

Mi guardò con aria interrogativa, soprattutto quando tesi la mano verso di lei.

- Ho visto il quadro che raffigura la tua famiglia. Eri ancora piccola, ma avevi un sorriso dolce e radioso. Non so cosa sia accaduto, ma dietro quell’espressione, sono certa che c’è ancora quella bambina… permettimi di aiutarti a farla uscire, Livia Devereaux.

Scansò la mia mano con un gesto di stizza, ma una forte folata di vento le sollevò il mantello, sbilanciandola. Oscillò pericolosamente, e in quel frangente, la sua espressione era terrorizzata. Terrore puro. Livia non voleva affatto morire. Ne fui rincuorata e la raggiunsi, spingendola in direzione opposta, verso l’interno, facendola cadere sul pavimento in pietra del terrazzo. Il mantello la coprì del tutto. Ringraziai il cielo per lo scampato pericolo, ma quando sollevai lo sguardo e vidi sulla porta Liger, con una spada sguainata che gocciolava sangue in mano, il fiato mi abbandonò. Se avesse trovato Damien… se lui avesse… e io l’avevo lasciato da solo, senza nemmeno pensare alle conseguenze. Dio, perché? Non volevo perdere anche lui. “Piangi coloro che hai perso, piangerai la vita di coloro che daranno la vita per te.”, mi aveva detto il professor Warren. E suo figlio, ora poteva… no, non Damien. Il vento soffiava forte, agitando il mantello bianco di Liger, mentre camminava verso di noi a larghe falcate. Vidi il braccio libero, quello con la Croce di diamante, ergersi verso di me come nel ricordo del mio incubo e mi ritrassi stringendo il mio ciondolo, in preda al terrore di quella mano che forse, due piani più sotto, aveva ucciso Damien. In pochi istanti l’orizzonte vorticò sopra i miei occhi e la terra mi mancò sotto i piedi. Liger era lontano e ancora più lontano, fino a che non fu cancellato dall’acqua fredda. Scomparve dalla mia vista mentre la corrente infernale mi trascinava chissà dove. L’ultimo, glaciale ricordo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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