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Wow, abbiamo passato le 100 recensioni,
yayyyy!!! Grazie di cuore a tutti. Chiedo scusa se sarò velocissima nei
ringraziamenti di oggi, benché ne meritiate più del solito, ma domani, che
fra le altre cose è il mio compleanno, ho ben 2 esami e sono un attimo in
crisi. Quindi partiamo senza indugio. Grazie mille a gokychan (la prima e
velocissima), Jerada (uh uh no, la piattolona no!!), Lexie89 (parte ora la
raccolta fondi assistenziale per mandare Harry a Lourdes), Aki-chan (a
Sorier puoi fare quello che vuoi, te le regalo come anti-stress), Summer84
(Sev si sveglierà, promesso!), Tigre94 (in effetti continuo a dirmi
stupita di me stessa, di solito sono sempre in ritardo, strano... Sorier
viene nominato spesso nel capitolo 6 e nel 7, è uno studente Slytherin del
quinto anno), pikkola prongs (grazie cara!), sparta (sono felice che la
storia ti abbia coinvolta, mi sa che Sorier rischia davvero grosso con
tutte voi uh uh), sam89 (no, causa no, poi in galera non mi fanno scrivere
e Sev non aprirà mai gli occhi...nuuuuu), iaco (ecco il prox chap pieno di
novità), ila ( grazie mille), Elysion (grazie di cuore, mi sento molto
incoraggiata, in questo chap Sev avrà modo di riscattarsi, dai) ^______^
Oh, come mi piace scrivere di Sev quando fa il figo... Ancora grazie
a ellinor (uh uh Sev un po’ fesso lo è a questo punto), Lizard (grazie
mille per il commento), bufyna (scusa l’attesa, oggi come di consueto è il
prima possibile per me), Kary91 (in effetti anch’io sono curiosa di sapere
come va avanti, eh eh eh, diciamo che scrivo volta volta e non so bene,
ogni tanto mi chiedo come finirà questa storia...), LadySnape (no, la fine
è ancora lontana te lo assicuro, anch’io adoro il nomignolo uomo-Sevreus
^_^), hocuspocus ( wow, grazie per l’accurato commento, spero davvero di
mantenere le tue aspettative, forse qualcosina di inatteso accadrà, anche
se non ho ancora deciso, il ‛serpentello postulatore’ mi piace molto come
termine uh uh), dario (grazie di cuore anche a te per il tuo commento),
rotavirus (in effetti sono un po’ cattivella con il piccolo Potty, ma
saprò farmi perdonare, forse...) e lake (hai anticipato due cose
importantissime di questo capitolo quindi non posso dirti molto, per
quanto riguarda il carattere di James, credo che Snape intenda la frase
più come ‛ci vuole ben altro oltre un’idiotissima propensione agli scherzi
per fare un uomo’, anche se in effetti la tua indignazione è più che
giustificata. Riguardo ad Harry, Snape non lo sa che cosa ha patito fin’ora...
scusa per la conclusione ad effetto del capitolo precedente, ma adesso
eccoci al ‛Sev alla riscossa’). Un ringraziamento particolare a bombottosa,
che oltre ad aver fatto vincere la mia squadra al laser game mi ha aiutato
con alcuni problemi tecnici di questa storia, riempiendo le mie molte
lacune mentali. Grazie, tesora! Oh, ho corretto un paio di errori nel chap
precedente, giusto per avvertire. Dunque, capitolo 8! Questi capitoli mi
diventano sempre più lunghi, bah! Ed ho sviluppato un masochistico gusto
nel finirli tutti così, poi... ATTENZIONE: piccolo spoiler del settimo
libro sui sentimenti di Snape. Finalmente le scene che tutti aspettavamo
(sì, me compresa, yayyyy!!!). Buona lettura!
Mel Kaine
The Heart of Everything
Capitolo 8 - / Deceived
right from the start /
La vista gli si annebbiò per pochi, tremendi istanti, mentre il suo corpo
atterrava dolorosamente accanto ad un tronco muschiato.
Poco dopo Severus Snape, maestro di Pozioni ad Hogwarts, spia agli ordini
di Albus Dumbledore e potente mago, era di nuovo in piedi.
Ci voleva ben più di un semplice ‘Stupefy’ lanciato da un ragazzino del
quinto anno per privarlo dei sensi…
Ma la bacchetta era persa fra le foglie che tappezzavano i margini della
Foresta Proibita.
Poco lontano rumori di passi su quelle stesse foglie.
Severus si lasciò sfuggire un ringhio quasi disperato.
L’uomo incappucciato stava rapidamente sparendo fra le frasche.
Il piccolo Potter ancora nella sua morsa.
Senza sprecare istanti preziosi il giovane professore si lanciò contro il
suo studente.
Il ragazzo, colto di sorpresa, non ebbe tempo per castare un altro
maleficio e venne disarmato.
“Chi è quell’uomo? Dove sta portando il bambino? Signor Sorier, farà bene
a parlare, ADESSO!” gli gridò.
Il ragazzo, schiacciato a terra, in tutta risposta gli sputò in viso.
“Il mio nome non è Sorier, io sono Rosier, Jerome Rosier, fratello
dell’uomo che tu hai ucciso tradendo la causa del nostro Signore!”
Gli occhi di Snape si socchiusero, due lame di incomprensione e furia.
Non aveva tempo per il ragazzo e sapeva che non avrebbe ricavato altro da
lui.
A gran voce prese a chiamare il nome del guardacaccia.
Hagrid corse fuori dalla sua capanna, le mani ancora impastate di farina.
“Professore, cosa diamine sta succedendo?”
“Hagrid, presto, prendi in custodia il ragazzo, portalo da Dumbledore, è
un seguace del Signore Oscuro!”
Subito le enormi, bianche mani del mezzogigante afferrarono saldamente le
spalle del giovane Slytherin.
“Io devo andare! Avverti il Preside che il bambino è stato rapito. Fa’ in
fretta!”
Hagrid si lasciò scappare una robusta imprecazione e subito sollevò il
ragazzo, affrettandosi verso l’entrata del castello.
La bacchetta del signor Sorier, o chiunque altro fosse, in mano, il cuore
in gola, una scarica potente di adrenalina lungo la colonna vertebrale.
Severus scomparve nella Foresta Proibita sulle tracce del rapitore di
Harry Potter.
Harry sentiva gli occhi sempre più umidi.
L’uomo tutto vestito lo stringeva troppo forte.
Faceva male!
Aveva ancora la bocca coperta da una delle sue mani e non riusciva a
respirare bene.
Perché lo stavano portando via, lontano dall’uomo-Sevreus?
Lui non voleva andarsene.
Provò miseramente a divincolarsi.
L’uomo strinse la presa e sibilò: “Sta’ fermo, moccioso. O ti sgozzo come
un maiale!”
Harry ubbidì in preda al panico.
Qualunque cosa significasse non credeva che essere ‘sgozzati’ fosse una
cosa piacevole e felice…
Al diavolo gli aristocratici manierismi inglesi!
Severus corse come se avesse avuto la Morte stessa alle calcagna.
Nella fitta penombra e nell’umido gelo delle fronde.
Sapeva perfettamente qual era la meta del rapitore.
I confini nord della Foresta Proibita erano anche i confini che segnavano
la fine della barriera magica anti-apparizione che Albus aveva eretto
attorno alla scuola. Lasciare che li passasse con Potter voleva dire
perderlo per sempre.
Affastellati nella sua mente migliaia di dubbi e di domande e di
supposizioni riempirono il silenzio affaticato della sua lunga, estenuante
corsa.
Chi era quell’uomo?
Cosa voleva?
Sapeva di Potter?
Come aveva fatto ad entrare ad Hogwarts?
Cosa aveva a che fare con questo il signor Sorier?
Era quello il motivo per il quale lo aveva seguito per giorni?
Rapire il bambino?
Ucciderli?
Domande su domande.
Nessuna risposta.
E nemmeno ce n’era il tempo.
Ad ogni costo lo avrebbe riportato indietro.
Parola sua.
Un guizzo nero e le forze che stava rapidamente perdendo, assieme al
fiato, gli tornarono.
Erano vicini.
Ma il nero sul nero si confondeva nelle ombre.
Più di una volta credé di aver sbagliato direzione, di averli persi e la
vista pareva ingannarlo.
Scavalcò un tronco abbattuto e si gettò nella radura di fronte.
Un attimo e sentì l’aria saturarsi di elettricità, come prima dei
temporali.
Ma sapeva perfettamente che non era la pioggia imminente.
Magia.
Castò un ‘Protego’ puramente per istinto, un momento prima che un potente
maleficio si ponesse irrimediabilmente fra lui ed il continuo della sua
esistenza. Si nascose dietro un albero, il cuore batteva inferocito contro
le coste del suo petto, la gola pulsava, così come le sue tempie.
In silenzio maledisse Albus Dumbledore più e più volte.
Un altro guizzo.
L’uomo stava fuggendo di nuovo.
Un altro scatto, un ramo basso, un altro ‘Protego’.
Non poteva contrattaccare e correre il rischio di colpire anche il
bambino.
I confini della Foresta erano vicini, troppo e la distanza fra lui e
Potter troppo grande.
Alla fine di quella distesa di impressionantemente identiche querce c’era
l’ultima radura.
Era imperativo raggiungerli prima, assolutamente.
Il sudore gli scorse freddo sulla pelle umida ed un’idea folle si fece
strada nei meandri in panico della sua mente.
Dannazione, a conti fatti non era nemmeno un piano inutile.
Un paio delle sue ossa valevano sicuramente la vita del Bambino
Sopravissuto…
Non che lui fosse di quell’esatto parere, ma aveva scelta al momento?
Si volse, gli ultimi alberi davanti a sé, lasciò fluire le parole dalla
sua bocca con una sicurezza che non avrebbe dovuto provare.
Il suo corpo si alzò come una foglia secca nel primo vento di ottobre,
spostato dalla potente onda d’urto della magia ‘Ascendio’ che aveva
castato su se stesso.
Pregando di non incontrare molesti ed ipoteticamente mortali ostacoli si
lasciò gettare in aria verso la radura, ad una velocità impressionante.
L’uomo incappucciato non aveva messo che un piede sull’erba e già stava
cercando nelle tasche quella che probabilmente era una Passaporta di
pessima qualità.
Severus atterrò vicino all’uomo, rotolando nell’erba con un gemito
soffocato, la mano stesa, le dita che si serrarono in un lampo attorno ad
un lembo di quel mantello scuro.
Giusto il tempo di sentire il consueto strappo dietro l’ombelico…
…ed un pensiero.
‘Ah, le gioie di essere Severus Snape…’
Quando il nauseabondo effetto della Passaporta si fu esaurito Snape ebbe
la spiacevole sensazione di non essere solo con il rapitore di Potter.
Un calcio ben assestato nello stomaco ed uno nella schiena,
contemporaneamente, furono un’ottima prova scientifica per la sua teoria.
Tossendo e riparandosi il viso con le braccia Severus prese fiato, tentò
in un secondo momento di spostarsi da quello che riteneva fosse il centro
dell’azione, ma quattro mani robuste provvidero a tirarlo su, mentre un
altro uomo incappucciato lo perquisiva e sequestrava la bacchetta che lui
aveva, per l’appunto, sequestrato al signor Sorier. Con suo sommo
disinteresse lo vide spezzarla e gettarla via.
Il silenzio era pesante come la pietra.
Immediatamente Severus si volse, cercando con gli occhi la piccola figura
del figlio dei Potter.
Il bambino lo fissava intensamente da dietro la mano dell’uomo, un braccio
saldamente premuto sul torace, i piedi ad almeno mezzo metro da terra.
Severus ebbe il tempo di sorprendersi. Quegli occhi verdi non erano
nemmeno bagnati di lacrime…
Rudemente uno degli uomini gli afferrò il mento, stringendo
fastidiosamente e lo scrutò con attenzione.
“Sì, è Severus Snape”.
Il giovane professore sbuffò in pieno scherno.
“Cos’è successo, Wilkes?”
Oh, perfetto!
Possibile che ad avere a che fare con un Potter ci si doveva trovare, poi,
indiscriminatamente circondati da un branco di asini imbecilli?
A che scopo il cappuccio se andavano tranquillamente in giro chiamandosi
per nome?
“Si è attaccato al mio mantello mentre attivavo la Passaporta…”
“Perfetto! – Superfluo menzionare quanto Severus non fosse dello stesso
parere, ovviamente… – Due al prezzo di uno, preparate la cella!”
“Ed il bambino?” chiese l’uomo con il piccolo Harry in braccio.
“Era solo un’esca che, a quanto pare, ha funzionato molto prima del
previsto. Imprigionateli insieme, non ci serve”.
Le quattro mani che lo sostenevano presero a spingerlo verso un oscuro
corridoio. La stanza in cui si trovavano sembrava il sotterraneo di un
vecchio edificio, probabilmente una villa. Uno sguardo furtivo lo
rassicurò del fatto che anche Potter stava venendo portato via con lui.
Per il momento ritenne opportuno rimanere in silenzio. Aveva bisogno di
riavere il bambino fra le mani prima di tentare qualsiasi tipo di fuga.
“Entra, bastardo!” gli venne gridato alle spalle ed in un attimo lui e
Potter furono a terra, in una stanza semibuia e sporca come l’aula di
Pozioni dopo due ore di irrimediabilmente maldestri Hufflepuff.
Severus si rialzò, imprecando.
Immediatamente si lasciò scivolare contro un muro.
La sua caviglia lanciò un’acuta fitta di protesta.
Snape analizzò freddamente la situazione.
Si trovavano nella prigione di una villa probabilmente sperduta all’altro
capo del mondo, con Harry Potter da proteggere e la cui cicatrice sarebbe
riapparsa in un tempo variabile fra le venti e le ventuno ore e la sua
caviglia non era affatto contenta di appartenergli.
Il suo ‘volo’ nella radura gli era costato qualche legamento ed una sicura
distorsione, se non peggio. Aveva perso la propria bacchetta e
successivamente anche quella del suo studente ed anche se Dumbledore
poteva trovarli non sarebbe comunque riuscito a raggiungerli in tempo
prima che la cicatrice riapparisse sulla fronte di quello che, a detta di
molti, era l’unica speranza del Mondo Magico. Inutile puntualizzare che
per lui non fosse altro che un’enorme seccatura in formato ridotto…
Sospirò pesantemente.
Il piccolo Harry si rialzò con cautela, poggiando tutto il suo misero peso
sul braccio destro e rimettendosi in piedi. Sentì l’uomo-Sevreus dire
qualcuna delle cattive parole che Dudley imparava a scuola e gli
cantilenava quando Zia Petunia non li sentiva e poi lo vide scivolare a
terra, contro il muro e sospirare.
Non capiva perché era stato portato via dall’uomo tutto coperto attraverso
una foresta e nemmeno sapeva cos’era stata quella bruttissima sensazione
dentro la pancia quando tutti gli alberi erano spariti e si erano trovati
in mezzo a tutti quei signori spaventosi. Aveva ancora male al viso, tanto
l’uomo aveva pigiato forte sulla sua bocca. Ma almeno adesso era assieme
all’uomo-Sevreus e forse le cose non sarebbero andate così male. In
silenzio si avvicinò piano e sedette a terra, ad un braccio di distanza
dal mago vestito di nero. Appoggiò il mento sulle ginocchia piegate al
petto e sospirò anche lui.
Severus si sforzò di ricordare.
Il tradimento del suo studente lo aveva destabilizzato leggermente.
Il ragazzo aveva negli occhi un odio che non gli era sconosciuto.
L’odio del dolore e della perdita, la pena che ti consuma dentro nella
ricerca della vendetta e della liberazione dal male, la pungente agonia
dell’ineluttabilità di quello che è stato e che mai più potrà cambiare.
Oh sì, Severus Snape conosceva a fondo quei sentimenti.
Li aveva visti per anni nel fondo dei propri occhi, ogni terribile mattina
davanti allo specchio nei suoi quartieri vuoti e silenziosi come tombe
consumate dal tempo e dimenticate. La sua anima implosa e stracciata ne
era stata il vessillo e da anni giaceva immobile, esangue, come morta
nella ragnatela di ‘ma’ e ‘se’.
Ma tutto questo non rispondeva ai suoi interrogativi.
Il ragazzo aveva detto di chiamarsi Rosier.
Un’anagramma dunque.
Un tempo Severus conosceva un certo Rosier, Evan Rosier, uno dei seguaci
più fedeli del Signore Oscuro, morto nella Prima Guerra.
Benché il collegamento effettivo gli sfuggisse Severus sapeva che il
ragazzo lo riteneva responsabile della morte del fratello e probabilmente
anche gli uomini che li avevano gettati lì dentro erano coinvolti in una
sorta di personale crociata contro gli infedeli traditori. Anche Wilkes
era un cognome familiare…
Severus non dimenticava mai un nome, un volto o una voce.
Non aveva sentito parlare tutti i loro nemici, ma per quanto riguardava
l’uomo che aveva rapito Potter e l’altro, quello in comando, poteva
affermare con certezza di non averli avuti come compagni nel circolo
privato di Lord Voldemort. Non riusciva ad afferrare il senso pratico di
tutta la vicenda e questo lo teneva in allarme. Dovevano fuggire prima che
la cicatrice ricomparisse, prima che la vita del bambino corresse seri
pericoli. Aveva come l’impressione che presto i veri DeathEater sarebbero
arrivati e nessun fedele servo dell’Oscuro Signore avrebbe mostrato
clemenza verso il diretto responsabile della scomparsa del loro venerato
Lord.
Potter doveva essere portato fuori di lì entro venti ore al massimo.
Snape provò a muovere il piede. Ricompensato generosamente da un tremendo
dolore che s’irradiò verso la gamba, decise saggiamente di evitare
ulteriori sperimentazioni. In quelle condizioni non sarebbe andato
lontano. Chiuse gli occhi e cercò di espandere la sua innata magia. Con i
bordi della sua aura magica tastò il luogo alla ricerca di barriere
anti-apparizione. Ovviamente ne trovò. Non potenti come quelle di Hogwarts,
ma comunque d’impedimento.
Improvvisamente le sue accurate riflessioni vennero interrotte da un
cigolio sinistro. La porta ruotò sui suoi robusti, poco oliati cardini ed
un uomo incappucciato entrò, sorreggendo un vassoio. Senza una parola posò
a terra ciò che aveva in mano e si richiuse la porta alle spalle.
Snape pensò fosse ora di cena.
Si volse verso il bambino-Potter.
“Vai a prenderlo, ma non mangiarne” ordinò.
Subito il bambino scattò in piedi e dopo un paio di inefficaci tentativi
riuscì a sollevare il vassoio di ferro e portarlo all’uomo.
Il piccolo Harry non si era affatto stupito per quelle parole. Sapeva che
i signori coperti che li tenevano lì probabilmente erano cattivi, forse
anche più cattivi di Dudley, ma certamente non più cattivi di Zio Vernon,
e che li avrebbero tenuti lì dentro per diverso tempo. Era ovvio che
l’uomo non volesse dividere il cibo, Harry non lo meritava e non gli era
permesso toglierlo ai grandi.
Snape annusò cautamente il cibo. Il suo naso di esperto pozionista poteva
fare la differenza. Il pane non sembrava adulterato ed i due piatti di
brodosa minestra non sembravano avvelenati. Ancor più cautamente Snape ne
mangiò un cucchiaio. Lentamente ne assaporò la consistenza ed il
retrogusto.
Finalmente soddisfatto la classificò semplicemente come una zuppa di
pessima qualità.
Si volse alla sua sinistra.
Il bambino si era seduto di nuovo a terra, a debita distanza e non aveva
nemmeno chiesto se poteva avere del cibo, eppure avrebbe dovuto avere fame
dopo tutte le attività, più o meno consone, del pomeriggio.
Snape sollevò un sopracciglio. Con attenzione travasò metà del suo piatto
di minestra in quello accanto e spostò di lato i due piccoli panini. Prese
soltanto il piatto mezzo vuoto e spostò il vassoio verso il bambino.
“Adesso mangia”.
Due occhi verdi lo scrutarono un istante, prima che una mano tremante
tirasse più vicino il piatto.
Il piccolo Harry pensò che quella zuppa fosse cattiva visto che l’uomo-Sevreus
gliene aveva data metà in più. Nessuno dava mai niente di buono al piccolo
Harry, perché il piccolo Harry non meritava niente e questa cosa non
sarebbe mai cambiata. Lentamente ne assaggiò un cucchiaio. Non sapeva di
cenere o di detersivo e nemmeno di polvere. Era tiepida, ma più buona
delle ossa o delle briciole che Harry era abituato a mangiare. Il bimbo la
inghiottì lentamente, chiedendosi perché gli fosse stata data, visto che
era buona.
Nella stanza faceva freddo. L’umidità aveva coperto i muri di una sottile
patina di condensa. Il respiro pareva, a tratti, doversi trasformare in
candide nuvole ad ogni istante. Severus posò lontano da sé il piatto ormai
vuoto. Il bambino-Potter stava ancora mangiando la sua minestra. Appariva
così piccolo e minuto contro il grigio della pietra, nei suoi abiti nuovi
già sporchi di terra e foglie e polvere.
Sentiva che qualcosa non era… al suo posto.
E la fastidiosa sensazione non era affatto recente. Non fece in tempo a
ricordare altri, anormali particolari che vide il bambino alzarsi e
correre sgraziatamente verso il lato opposto della loro prigione. Un
attimo dopo la zuppa, che così lentamente Potter aveva ingoiato, giaceva
sul pavimento in una piccola pozza informe. Snape sospirò un’altra volta.
“Posso capire che la cucina di questo posto non sia nemmeno lontanamente
paragonabile a quella di Hogwarts, ma non mi sembrava necessaria questa
dimostrazione melodrammatica…”
Il bambino si volse di scatto, sussultando.
“Mi dispiace, signore. Mi scusi, signore”.
Oh, era stato di nuovo cattivo. Nonostante l’uomo-Sevreus lo avesse
lasciato persino mangiare, Harry non era riuscito a trattenersi. Aveva
cercato di ingoiare ancora ed ancora, di non respirare, di portarsi una
mano alla bocca, ma semplicemente qualsiasi cosa si rifiutava di restargli
troppo a lungo nello stomaco. E adesso aveva di nuovo male alla pancia.
Non sapeva proprio che altro fare, tranne scusarsi.
Sentì l’uomo sospirare una terza volta.
“Vieni qui. Mangia questo adesso” disse Snape, porgendogli uno dei due
panini.
Con circospezione il bambino-Potter lo prese e lo sbocconcellò con la
stessa lentezza della minestra.
Pochi minuti dopo anche i resti del povero panino si unirono a quelli
della zuppa sul pavimento.
Snape corrugò la fronte.
Un’altra di quelle stranezze.
Ora come non mai non si sentì più in grado di ignorarle.
Aprì le labbra per domandare spiegazioni, molte spiegazioni, ma il rumore
dei cardini lo interruppe nuovamente.
Pareva lo stesso uomo che aveva portato il vassoio. Seguito da un altro
che portò via i resti della loro misera cena.
‘Dannazione! – pensò Severus. – Il bambino in fin dei conti non è riuscito
a mangiare niente…’
I due uomini presero a parlare a bassa voce fra di loro, Snape cercò di
ascoltare. Distinse soltanto le parole ‘guardia’, ‘legarli’ e ‘notte’.
Quando li vide avvicinarsi seppe con precisione cosa intendevano fare.
Con la coda dell’occhio poteva vedere il sinistro brillare della luce
delle fiaccole sui ceppi di ferro che pendevano dalle pareti di fianco.
L’uomo più vicino si spostò alla loro sinistra e senza preavviso afferrò
il bambino-Potter.
Con un paio di rudi spinte lo trascinò in piedi e poi contro il muro. I
ceppi erano qualche spanna sopra i suoi occhi verdi e spaventati.
Bruscamente l’uomo incappucciato gli sollevò le braccia.
Non appena il sinistro raggiunse l’altezza del petto Harry non riuscì a
soffocare un urlo di dolore.
L’uomo, che intanto lo teneva saldamente per il braccio destro, imprecò,
tentando di forzare l’altro a sollevarsi verso i ceppi.
Il bimbo prese a divincolarsi con le sue misere forze ed il suo piccolo
corpicino, gridando in pura agonia.
Il viso completamente rigato di lacrime e gli occhi pieni di selvaggio
terrore si soffermarono sull’uomo-Sevreus.
Senza sapere come aveva fatto a trovare la forza di contrastare il proprio
dolore alla caviglia, Snape era scattato in piedi e si era avventato
sull’uomo per strappare il giovane Potter dalle sue mani.
La lotta fu breve. Il bambino scivolò a terra mentre l’uomo riceveva un
pugno.
Un istante dopo anche l’altro uomo era intervenuto e Severus si ritrovò
contro il muro, appena graziato da un calcio allo stomaco e due pugni alla
mandibola. Si portò una mano alla caviglia, stringendo forte i denti.
Il rapido attimo di silenzio, pieno dei loro respiri affannati, si
dissolse alle parole di un terzo uomo, entrato nella stanza allarmato dal
rumore.
“Lasciate stare, l’uomo sembra ferito ed il bambino non può fare niente da
solo, tornate ai vostri posti”.
Dopo un altro, violento colpo allo stomaco Snape venne abbandonato e la
porta si chiuse con il consueto, stridente suono.
Scuotendo la testa, Severus parve recuperare lucidità. Subito cercò con
gli occhi il bambino-Potter, mentre tentava di tirarsi a sedere senza
impazzire di dolore.
Il bimbo era ancora a terra, là dove era stato lasciato, una manina sulla
spalla in questione e gli occhi verdi dilatati, liquidi, rossi e gonfi.
Severus lo vide iniziare a tremare e rifugiarsi strisciando nell’angolo
più vicino, le ginocchia raccolte contro il petto, il corpicino fragile
spezzato da singulti talmente silenziosi da sembrare respiri lasciati a
metà, la testa nascosta dietro il gomito destro.
Snape avvertì una fitta dentro di sé che non era la sua caviglia, né il
suo stomaco né la sua mandibola.
Il pensiero di un Potter in trappola in un angolo non lo rendeva felice
tanto quanto pensava di essere in diritto di sentirsi…
Lentamente si avvicinò.
“Ragazzo, guardami, stai bene?”
Non poteva rischiare e chiamarlo Potter.
Niente.
“Guardami, alza la testa”.
Niente.
“Dannazione, ragazzo, ubbidisci!”
Il bambino venne scosso da un altro, feroce brivido e finalmente alzò gli
occhi.
Così verdi, così disperati.
Anche se non li aveva visti lo sapeva, lo sentiva.
Maledizione, così simili agli occhi di Lily Potter la notte che era stata
uccisa…
“M-mi dispiace, signore. Mi d-d-dispi-iace…”
“Vieni qui, avvicinati”.
Il bambino scosse la testa, ma sembrò ripensarci e smise.
“Per f-favore, non mi picchiare, signore. Non lo farò più, per favore, per
favore…”
Gli occhi neri del maestro di Pozioni si sgranarono un istante, prima di
incupirsi.
“Non ho nessuna intenzione di picchiarti, bambino – preferì chiamarlo
così, sembrava che la parola ‘ragazzo’ lo innervosisse. – Voglio solo
esaminare la tua spalla, senti dolore?”
“Sì, signore. Cioè no, signore… oh, mi dispiace, signore”.
Una strana sorta di agitazione lo afferrò al cuore. Snape si avvicinò un
altro po’.
Si fissarono negli occhi.
“Posso toccare la tua spalla?”
Tutto in quelle polle d’erba bagnata diceva di no, ma il bambino-Potter
annuì, quasi stoicamente.
Con estrema delicatezza Severus passò una mano lungo il bordo laterale
dell’osso, dal gomito alla sommità della spalla. La sua fronte si
aggrottò. Aveva visto per giorni il bambino usare preferibilmente il
braccio destro, anche mentre lavava i calderoni. Pensava fosse una delle
tante fissazioni infantili che prima o poi tutti i bambini manifestavano,
come il darsi un altro nome o immaginare di essere Merlino. Ma adesso,
sotto le dita, sentiva la prova di tutta un’altra evidenza. L’osso pareva
spostato, innaturalmente basso rispetto all’altro, come fuori asse, duro
al tatto, ma non gonfio. Le punte delle sue dita si insinuarono in una
specie di fosso che non ci sarebbe dovuto essere.
Snape provò delicatamente a sollevarlo, il bambino avrebbe voluto
ritrarsi, ma con uno sguardo l’uomo lo dissuase.
Riprese a muoverlo e dopo due spanne e mezzo neanche lo sentì bloccarsi.
Riprovò, senza usare forza. Il contatto era rigido, come due superfici
saldate.
Snape aveva abbastanza conoscenze generali da sapere di trovarsi, ad
occhio e croce, davanti ad una spalla totalmente lussata, calcificata in
una posizione anomala.
Il lavoro di uno di quegli incompetenti medici Muggle?
Casi simili non erano rari negli studenti cresciuti lontano dal Mondo
Magico…
“Il tuo braccio è sempre stato così?” chiese, benché sapesse la risposta.
“No, signore”.
“Cosa ti è successo?”
“Sono caduto, signore”.
Snape non lo metteva in dubbio, ma quello che gli premeva era sapere
perché era ridotto in quelle condizioni adesso, evidentemente a distanza
di tempo dal trauma d’origine.
Lo osservò attentamente.
Pareva stremato e sicuramente lo era.
Severus non poteva ignorare il fatto che non avesse nemmeno mangiato.
Un’ulteriore evidenza.
Magari la minestra, ma il pane da solo non sarebbe stato capace di
provocare un rigetto. Era semplice pane. Il bambino era malato, dunque?
Troppe domande.
“Riposati” disse semplicemente.
Severus stabilì che fosse il momento opportuno per prepararsi a fuggire.
Sarebbe occorso del tempo e la notte, che stava inesorabilmente scendendo,
era l’occasione adatta.
Uno di quegli uomini era stato così acuto da notare la sua ferita, ma i
loro rapitori rimanevano comunque degli ignoranti asini tronfi e patetici,
del tutto ignari che un vero mago non era inerme o anche solo meno
pericoloso semplicemente perché senza bacchetta.
Esisteva una pratica magica, complessa e difficile, dispendiosa e
complessa, ma assolutamente utile.
Magia senza bacchetta.
Un semplice gesto della mano.
Soltanto i maghi potenti come Dumbledore e Grindelwald prima di lui ne
avevano appreso quasi tutti i segreti. Chi si era impegnato ed aveva
provato e studiato, come Snape, poteva dominare soltanto gli incantesimi
più semplici ed alcuni altri per cui era particolarmente portato.
In realtà avrebbe potuto aprire la porta della loro prigione ore fa, ma
non sarebbe servito a niente. Aveva prima bisogno di curarsi come poteva.
Era certo che fuori di lì si sarebbe nuovamente trovato a correre per la
loro vita.
Quindi, inspirando a fondo, accomodò la schiena contro il muro freddo.
Si concentrò un breve, intenso istante e a mezza voce pronunciò qualche
parola.
La sua magia senza bacchetta non era così potente come quella di Albus.
Richiedeva tempo per funzionare, ma era efficace.
Adesso doveva solo aspettare.
I minuti scivolavano via come quando il piccolo Harry si era trovato in
quella stanza piena di orologi in attesa di qualcosa di incerto. Aveva
chiuso gli occhi, per riposare come l’uomo-Sevreus gli aveva detto, ma non
riusciva a dormire. La spalla sinistra gli faceva male tanto quanto la
pancia, aveva paura che l’uomo tutto coperto tornasse e che provasse di
nuovo a tirargli il braccio. Oh, quanto aveva sentito male. Era stato come
tornare indietro, al giorni in cui era caduto e Zio Vernon lo aveva
trascinato fuori. Lo stesso dolore insopportabile. Ma l’uomo-Sevreus non
sembrava essersi arrabbiato, l’uomo-Sevreus lo aveva toccato piano e non
gli aveva fatto male. Perché il suo uomo-Sevreus in fondo sembrava proprio
un pinguino buono.
Lo aveva fatto mangiare e quando l’uomo tutto coperto era arrivato e gli
aveva fatto del male l’uomo-Sevreus si era alzato e lo aveva aiutato.
Nessuno aveva mai aiutato Harry prima. Non Zio Vernon, non Zia Petunia,
non Dudley, non i suoi compagni a scuola, non le maestre e nemmeno la
signora dei gatti. Neanche il nonnino e l’omone enorme.
Solo e soltanto il suo uomo-Sevreus.
E chiuse gli occhi e provò ad immaginare. Ed improvvisamente diventava
alto e grande, grande. Grande come ‘Agrid’, più alto di tutti e tutto,
alto come le montagne e fino ad avere il sole appoggiato sulla testa. Ed
era così alto che nessuno poteva fargli male…
Piano piano si addormentò, ma ancora tremava ed anche se era alto e grande
nel suo sogno aveva sempre paure mentre suo zio, tutto incappucciato, lo
inseguiva fino alla sua stanza e gli voleva strappare il braccio e faceva
così freddo nella stanza buia in cui era… così freddo…
Severus interruppe la sua concentrazione al suono di un sussulto. Con la
coda dell’occhio vide il bambino svegliarsi e rabbrividire, un movimento
scoordinato ed un lieve, ma presente, accenno a rifugiarsi nell’angolo. Si
volse.
Erano passate alcune mezz’ore, non sapeva dire quante.
L’incantesimo per guarire stava lentamente funzionando, inutile dire che
se fossero riusciti a tornare ad Hogwarts una visita da Madam Pomfrey era
d’obbligo a questo punto.
E non solo per sé.
La notte avanzava, cavalcando il freddo pungente e le nubi. L’umidità era
quasi insopportabile.
Il silenzio era confortante e al tempo stesso deleterio.
Nei suoi quartieri Severus sapeva sempre come NON trovare il tempo per
riflettere.
Una buona bottiglia di scotch, un buon libro, orrendi compiti di
Hufflepuff, una meravigliosa e complessa nuova pozione… tutto funzionava
perfettamente.
Ma adesso, nel silenzio, nel vuoto, nella penombra, nel freddo la sua
mente era attiva e la coscienza sembrava guadagnare terreno sull’orgoglio,
riaffermarsi e riprendersi prepotentemente il suo posto alla guida della
ragione e dell’obiettività.
D’un tratto si sentì in dovere di dirlo:
“Mi dispiace molto che tu sia stato coinvolto in tutto questo…”
Il bambino lo guardò, come lo avrebbe guardato qualcuno che non sapeva
assolutamente che le persone si potessero dispiacere per le altre persone.
Era un pensiero strano, ma fastidioso e persistente.
Severus distolse lo sguardo da quegli occhi verdi.
“Ah, questo maledetto gelo…” mormorò più a se stesso.
Si sorprese enormemente quando una piccola, tremolante voce gli rispose.
“Se… se ha freddo, signore, può mettersi le mani così, vicino al sotto
delle braccia…” disse il piccolo Potter.
Ed era qualcosa che il più delle volte funzionava e che il bimbo aveva
imparato nelle lunghe, fredde notti fuori dalla porta della cucina dei
Dursley.
Velocemente fece vedere all’uomo-Sevreus cosa intendeva e si portò le
piccole manine sotto le ascelle, le ginocchia ancora contro il petto.
Perfettamente raggomitolato su di sé.
Snape sospirò l’ennesima volta.
Non riuscì ad impedirsi di chiedere a se stesso dove un bambino così
piccolo aveva imparato un simile trucco.
Decise.
E ringraziò che almeno non ci fossero testimoni, una volta accusato
avrebbe sempre potuto negare…
“Non c’è ragione di sentire entrambi freddo…” e si volse, scrutando
attentamente il bambino.
Harry quasi sussultò.
Oh, in realtà lo immaginava. Faceva davvero freddo e Harry doveva
sacrificarsi, come faceva sempre con Dudley al parco quando era inverno.
Sicuramente pure l’uomo adesso voleva i suoi vestiti, anche se il piccolo
non riusciva ad immaginare come potesse infilarseli visto quanto era alto
e grande rispetto a lui. Lentamente afferrò il bordo della propria
maglietta, prima che un fruscio vicino lo distogliesse dal suo compito.
L’uomo-Sevreus si stava togliendo il mantello nero che aveva sempre avuto
addosso da quando Harry lo aveva conosciuto.
Snape lo chiamò vicino a sé.
Lo guardò accostarsi piano e con cautela.
Gli chiese di rimanere esattamente fermo, lì, al suo fianco, in piedi.
Con un movimento veloce dei polsi e delle mani Severus avvolse due volte
il suo mantello di lana attorno al piccolo corpicino del bimbo, con cura,
anche sopra la testa, fino a lasciare esposto al gelo e all’umido soltanto
il suo viso.
Quegli occhi così verdi lo fissavano.
Ed erano talmente belli, sapevano così tanto di passato, di qualcosa di
così dolce che si era bruciato fino a lasciare soltanto un ricordo ed un
sapore acre nella sua anima che, senza pensare, le sue braccia
circondarono quel minuto fagottino ed un attimo dopo Severus aveva sulle
ginocchia e fra le mani il piccolo figlio di Lily. Il piccolo Harry.
E fu solo un pensiero fugace, presto rimosso, indesiderato fino in fondo,
ma vero e violento, aspro.
Poteva essere suo figlio.
Poteva stringere fra le braccia suo figlio se tutto quello che era
accaduto non lo fosse e se tutto quello che non lo era lo fosse.
Ma il passato era come l’acqua dei fiumi. Una volta scorsa mai più poteva
tornare indietro.
Il calore esplose attorno al piccolo. Oh, le lacrime volevano uscire, ma
Harry non capiva perché. Non aveva male più del solito, non stava per
essere picchiato (almeno sperava), non stava facendo niente, eppure il suo
uomo-Sevreus era così vicino e c’era così tanto caldo attorno a lui ed era
così bello, così meraviglioso e fantastico. Oh, sentiva un sacco di
brividi là dove la mano dell’uomo premeva sulla sua schiena, piano, senza
fare male ed era sempre più bello… Oh, quanto adorava il suo uomo-Sevreus…
Il bambino era così leggero sulle sue gambe, un braccio attorno a quel
corpicino, lente, per sostenerlo, l’altro a terra, al freddo.
Severus in un gesto quasi incosciente si ritrovò a passare una mano su
quella piccola schiena tutta avvolta nel suo mantello e sollevò un
sopracciglio. Lo sentiva tremare. Perché, si chiese? E poi vide anche un
bagliore, un lucore, dove la poca luce si tuffava e veniva riflessa. Una
singola lacrima. Perché, si chiese di nuovo?
Lo guardò.
Non poteva tacere oltre.
“Perché piangi, perché tremi? Hai freddo?”
“No, signore”.
Quiete.
La lacrima morì solitaria vicino alla piccola bocca rosea.
“Signore… signore Sevreus… ”
I suoi occhi neri come il carbone quasi si stupirono. Signore Sevreus??
“Sì?”
“Io… oh… non so… è sempre così… bello, signore Sevreus?”
Doveva sapere, pensò Harry.
“Che cosa è bello?”
“Questo così… vicini, sulle gambe del signore Sevreus…”
“Non ritenevo fosse niente di speciale – stupido, lieve imbarazzo. –
Sicuramente non è la prima volta, no? I tuoi zii…”
Il piccolo inclinò la sua testolina tutta coperta.
“Oh, non mi era permesso, signore, mai”.
Snape non gli credeva affatto.
“Perché non era permesso?”
Il visino del bimbo si illuminò un poco, come se stesse per dare la
risposta giusta ad una domanda importantissima, quasi sorrideva mentre
recitava perfettamente a memoria:
“Perché Harry è inutile e cattivo e no normale e toccarlo fa schifo e non
merita nulla se non le botte quando Zio Vernon torna a casa”.
Il silenzio tetro della notte cadde su quelle parole, come un sipario
sulla scena dell’efferato delitto.
Severus inspirò bruscamente.
Non trovò le parole, non ne trovò nessuna.
Il bambino inclinò la testa, di nuovo.
“Ma adesso, signore Sevreus, è permesso, vero?”
Le labbra pallide, esangui dell’uomo si aprirono. Nessun suono né la
prima, né la seconda volta. Sperò che la terza fosse quella buona…
“Chi… ti ha detto quelle… cose di prima?”
“Zia Petunia”.
Le mani dell’uomo tremarono mentre si posavano leggere a stringere piano
le spalle del bambino.
Un sussurro nella tremenda, soffocante quiete. Oltre il rumore dei pezzi
che si incastravano perfettamente nella sua testa.
“Mi stai dicendo la verità?”
L’orrore crebbe mentre il bambino annuiva. I suoi occhi erano lo specchio
della sincerità.
Oh, Dio. Possibile?
Ingannato proprio fin dall’inizio?
Caduto nella trappola di tutti i suoi radicati pregiudizi.
Preda del laccio delle sue inaccurate deduzioni.
Ingannato, pateticamente ostinato, frodato. Possibile?
Oh, Dio, possibile?
Le sue mani lo strinsero più forte.
“Harry… Harry ascoltami attentamente, adesso farò qualcosa che non ti farà
male, ma che non è giusto e quando capirai, un giorno, ti spiegherò perché
l’ho fatto. Va bene?”
Harry annuì, la bocca socchiusa.
“Guardami, guardami tutto il tempo”.
E lo guardò e venne guardato in cambio.
E si guardarono.
E poi Severus sussurrò nel silenzio:
“Legilimens”.
Continua…
Nota grammaticale: per
mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni
altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini
inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati,
ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’.
Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di
ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
Note capitolo: Protego è un incanto che permette di difendersi e deviare
gli incantesimi che vengono lanciati contro chi lo usa. Ascendio è un
incanto che permette di ascendere rapidamente, per l’appunto. Grindelwald
era il potente mago oscuro sconfitto da Dumbledore nel 1945.
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