Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: M e g a m i    09/07/2013    1 recensioni
Esiste una leggenda, vecchia come il mondo,
Tramandata nei secoli tra le creature del Paradiso e quelle dell’Immondo.
Essa stabilisce che se un Servo dell’Inferno
Riuscisse a rubare il cuore di un Figlio del Padreterno,
Gli sarebbe data la possibilità di reincarnarsi
E verso un’altra vita incamminarsi.
Analogamente accadrebbe a uno Spirito Celeste che riuscisse nell’intento
Di donare a un Demonio Maligno un animo nobile e attento.
Ma tale leggenda è rimasta leggenda
Perché chiunque ha tentato è andato incontro a una fine orrenda.
Morte e rovina la speranza di un nuovo principio ha portato
Senza che nessuno della leggenda capisse il vero significato.
Angeli e Demoni continuarono così il loro diverso cammino
Finché dei due Eletti non si compì il destino.
Questa è la storia di una leggenda che leggenda smise di essere
A causa o per merito dell’amore che cominciò a crescere.
A voi la scelta, a voi il giudizio,
Questo della storia è l’inizio...
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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NDA: Niente da dire riguardo questo capitolo, a parte che spero vi piaccia! Il titolo l’ho scelto perché l’incontro tra i due protagonisti avviene in un modo che per noi “umani” potrebbe sembrare piuttosto scontato, ma per loro non lo è affatto. :°D
Un avviso importante per la clientela (?): con questa storia voglio cercare di fare i capitoli il più corti possibile, al massimo di cinque pagine (questo ad esempio è di tre pagine scarse). Non so se riuscirò in questo intento, visto che a me piace dilungarmi, ma penso che per chi legge sia meglio. Non voglio correre il rischio di stancare.
Or dunque, buona lettura!
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1
Un banale cliché
 
 
 
 
 
 
   Al termine della sessione di orientamento, i corridoi deserti si tramutarono nella frazione di un secondo in un fiume in piena.
   L’Angelo non si era mai trovata in mezzo a così tante persone nella sua breve e nuova vita. Disorientata e affascinata al tempo stesso, rimase a fissare con occhi sgranati l’eccentrica cresta di uno studente che svettava tra la folla per la sua altezza allampanata. Poi la sua attenzione venne catturata dai lunghi capelli viola di un’alunna vestita di pizzi e merletti, dal dragone cinese tatuato sul braccio di un giovane di cui non riuscì a determinare il sesso, e ancora da ogni cosa nuova che vedeva, tanto che per poco un urto non le fece cadere di mano il quaderno sul quale aveva redatto diligentemente gli appunti riguardanti la lezione.
   Si riscosse.
   L’intenso vociare degli studenti la stordiva. In mezzo alla stravaganza che sembrava incarnarsi in ogni singolo allievo di quella scuola, si sentiva persa. E il fatto che nessuno potesse notare la sua presenza non aiutava.
   Con una punta di esitazione, estrasse dal quaderno un tovagliolo contrassegnato a penna che aveva trovato poggiato di fronte a lei sul tavolino di un caffè italiano. Avrebbe potuto giurare su Dio che, prima di distogliere lo sguardo per un attimo solo, non c’era.
 
Accademia Artistica Gordon, Tessalia, Principato di Verne
 
   Non sapeva cosa l’avesse spinta a recarsi in quel posto, ma dentro di sé aveva sentito come una sorta di richiamo che l’aveva attratta fin lì. Ritrovando fiducia in quel piccolo pezzo di carta, ripose il tovagliolo nel blocco e riprese a guardarsi intorno, cercando di non lasciarsi soggiogare nuovamente dall’atmosfera estremamente... artistica.
   L’Accademia era situata in un vecchio edificio dalla struttura gotica, riammodernato in modo da poter ospitare le aule e i laboratori dei corsi di belle arti, di musica e di recitazione. Ogni parete libera era stata ridipinta con illustrazioni, murales, e ogni sorta di forma di pittura, o presentava nicchie nelle quali erano posti busti e sculture. Volantini colorati affissi alle bacheche o abbandonati per terra svolazzavano per i corridoi, nei quali riecheggiavano debolmente, sommersi dal chiacchiericcio, il canto e la melodia degli strumenti suonati nelle aule del Conservatorio. Gli studenti dei corsi più avanzati avevano già iniziato da un paio di ore le loro lezioni, mentre le matricole erano state appena accolte da un’assemblea, nella quale era avvenuto lo smistamento nei diversi corsi e l’assegnazione alle classi. Eppure, anche solo trovandosi in mezzo a quello che non doveva essere che un terzo dell’intero corpo studentesco, L’Angelo faticava a vedere oltre il mare di gente che la circondava, tanto che era costretta ad alzarsi in punta di piedi per poter ammirare ciò che le stava intorno. Impressionata, si chiese quanti allievi fosse in grado di ospitare quella scuola.
   Un altro urto la colse di sprovvista. La ragazza che l’aveva appena superata senza dimostrare il benché minimo segno di essersene accorta, aveva una tasca dello zaino aperta. Il più delicatamente possibile, l’Angelo le si accostò e richiuse la cerniera. Dentro di sé ancora non riusciva ad abituarsi al fatto che gli esseri umani avessero una percezione così alterata di lei, tanto da non rendersi conto della sua presenza se non quando era suo volere manifestarla, e quindi ritrovava sé stessa ad intervenire con accortezza anche quando non ce n’era bisogno. Una lieve risata imbarazzata che nessuno notò le sfuggì dalle labbra.
   Si alzò nuovamente sulle punte dei piedi, tendendo il collo. Non fece che qualche passo, sovrappensiero mentre cercava di decidere in quale classe infilarsi, che finì per scontrarsi con l’ennesimo studente, il quale stava camminando risoluto contro corrente.
   Il quaderno che poco prima era riuscita a trattenere per miracolo le scappò di mano, cospargendo sul pavimento di pietra tutte le fotocopie e i volantini che aveva ricevuto durante l’orientamento. Le impronte di numerose paia di scarpe si stamparono immediatamente sulla carta bianca e colorata che nessuno si fermò per aiutarla a raccogliere. Anche il tovagliolo era finito a terra. Con uno scatto, si chinò ad afferrarlo prima che potesse essere calpestato insieme a tutto il resto. Ma le sue dita non entrarono in contatto con la carta velina, perché sotto la sua mano se ne era posata un’altra, molto più veloce nel prendere il tovagliolo e coprire la scritta a penna come se si trattasse di un segreto da nascondere.
   L’Angelo alzò gli occhi, atterrita.
   Lo studente che l’aveva letteralmente investita ricambiò il suo sguardo, mentre si rialzava, sovrastandola con la sua altezza.
   Il sangue le si raggelò nelle vene.
   Anfibi neri alti fino a metà polpaccio, jeans scuri, sbiaditi sulle cosce e strappati sulle ginocchia, forse accidentalmente, forse per una questione di stile: l’Angelo ne sapeva talmente poco di moda da non avere pregiudizi di alcun genere riguardo il modo di vestire delle persone. Un teschio le sorrideva minacciosamente, risaltando sullo sfondo grigio della maglietta. Il nome di una band parzialmente coperto dal giubbotto di pelle catturò la sua attenzione: aveva qualcosa a che fare con pistole e rose.
   Poi un gesto della mano di lui la distrasse. Solo in quel momento, seguendo il suo movimento, notò le sue corte unghie laccate di nero, ed entrambi i polsi fasciati da due polsini altrettanto neri. Lo osservò scostarsi dei ciuffi scuri dai riflessi ramati che gli ricadevano sul viso, e tirarseli dietro un orecchio, su cui intravide l’anellino di un piercing. I capelli lunghi e spettinati gli ricadevano appena sopra le spalle, ed erano intrappolati nel bavero alzato della sua giacca. Mentre si rialzava a sua volta, l’Angelo provò l’innocente impulso di allungare una mano e sistemarglieli.
   Ma fu solo un attimo. Perché non appena tornò a posare lo sguardo nel suo, lo vide ancora. E questa volta non ebbe più nessun dubbio.
   Nei suoi occhi sfregiati da una lunga cicatrice brillava una sfumatura di rosso vivo. Di rosso fuoco. Di rosso sangue.
 
   Qualcosa dentro il Diavolo fremette. In una frazione di secondo, si era trovato a fissare, divorare ogni curva del suo corpo snello, celato da un leggero vestito bianco, troppo lungo per risultare volgare, troppo corto per non alimentare l’immaginazione. Ogni cosa in lei sembrava immacolata: dalle basse ballerine senza un accenno di tacco, alle lunghe calze che le fasciavano le gambe fino alle cosce, alla sottile cintura che le cingeva la vita, al golfino che le copriva le spalle. Tutto in lei pareva perfetto, anche le sue unghie curate, il suo viso privo di trucco e i biondi capelli lisci raccolti per mezzo di due fermagli della stessa sfumatura di azzurro dei suoi occhi.
   Già, i suoi occhi. Quanto di più chiaro e limpido avesse mai visto. Era come se mai un’ombra di malvagità li avesse offuscati. Avrebbe potuto precipitare, dentro quell’azzurro cielo. Fino a perdere sé stesso.
   Seppe con certezza che quello era il suo nome ancora prima di pronunciarlo con il suo tono suadente e profondo, mentre le porgeva il tovagliolo con aria provocatoria.
   « Luce. »
   « Buio... », mormorò l’Angelo in risposta, stando attenta a non sfiorare la sua mano mentre lo riprendeva. La sua voce cristallina riecheggiò nelle orecchie del Diavolo.
   Poi il mondo riprese a girare. Così come il brusio creato dagli studenti a frastornarli, e la pressione della folla a sospingerli verso le classi. La Custode e il Tentatore si scambiarono un ultimo sguardo, prima di superarsi l’un l’altro e continuare a camminare ognuno per la propria strada, il proprio dovere da compiere, il proprio destino. Nessuno dei due però poteva immaginare che presto, troppo presto, i loro destini si sarebbero intrecciati a formarne uno solo, unico e indissolubile.
   Una cosa però la sapevano. Quella sicuramente non sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero incontrati.
 
   Le labbra di Reien si distorsero in un sorriso amaro.
   Hikari si strinse nelle spalle. Rabbrividì.
  
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