Chapitre
35
Monsieur,
I bid you welcome
Did
you think that I would harm her?
Entrare
di nascosto nel palazzo Garnier si era rivelato decisamente
più facile
dell’ultima volta, rifletté Jean-Louis dopo
essersi lasciato alle spalle il
passaggio segreto celato dallo specchio. Forse era merito del
passe-partout che
gli aveva procurato sua madre, o forse più semplicemente era
lui che sapeva
cosa avrebbe trovato dall’altra
parte
e non era più spaventato dai fruscii delle tende e dagli
spifferi che
soffiavano nei corridoi, e dai quali si era lasciato suggestionare in
passato.
Era
trascorsa esattamente una settimana da quando Giulia era ritornata in
quell’altra epoca, e come da promessa Jean-Louis si trovava
per l’ennesima
volta nelle gallerie labirintiche del teatro, stavolta armato tuttavia
di una
piantina dell’edificio che gli permetteva così di
girare laggiù senza il timore
di perdersi. In realtà temeva che la ragazza potesse non
trovarsi nei
sotterranei; ad essere sincero, anzi, lo sperava, dato che
l’idea di saperla
insieme a quell’uomo spaventoso che era stato la causa
principale di tutti i
loro problemi o, perlomeno, della maggior parte di essi, non era
esattamente
confortante – ma in quel caso non avrebbe saputo neppure dove
andare a
cercarla.
Man
mano che avanzava procedendo sempre più in
profondità, iniziò a riconoscere gli
angoli, le ampie arcate, le crepe dei muri, i ganci di ferro privi di
torce di
cui gli aveva parlato la sorella, e fu così che comprese di
essere vicino ai
livelli più bassi del teatro, presso il lago sotterraneo,
laddove si trovava,
secondo le storie e le leggende, il dominio incontrastato del Fantasma. Non sapeva esattamente se
essere confortato o spaventato da tale scoperta – dato che,
se pure Giulia lo
avesse accolto a braccia aperte, stessa cosa non si poteva dire del suo
ammiratore – ma malgrado
ciò Jean-Louis
proseguì, senza neppure pensare di tornare indietro, e al
contrario accelerando
il passo per scacciare dalle ossa il gelo che permeava le gallerie.
Preso
com’era dalla foga di raggiungere la sua destinazione, aveva
cessato di controllare
le mappe e di osservare con attenzione dove metteva i piedi; fu
così che, dopo
aver frettolosamente svoltato un angolo, inciampò in un
rilievo del pavimento
che attivò senza che lui se ne rendesse conto un qualche
congegno situato pochi
metri più avanti. Se ne accorse soltanto quando vi si
trovò sopra, e a quel
punto era troppo tardi. Una botola si aprì con uno scatto,
facendo scomparire
all’improvviso il terreno sotto ai suoi piedi, e Jean-Louis
vi precipitò con un
urlo strozzato, finendo in trappola come un topo di fogna.
In
quel momento, un allarme acuto e sgradevole come unghie sul vetro
iniziò a
suonare in lontananza.
*
Erik
non si trovava precisamente nella predisposizione d’animo
adatta ad occuparsi
dell’intruso. In passato non si era fatto mai troppi scrupoli
nel proteggere il
suo segreto e la sua casa dai curiosi che dalla superficie si
arrogavano il
diritto di andare a ficcanasare in territori al di là della
loro portata,
finendo poi con l’affogare misteriosamente nel lago
sotterraneo e guadagnandosi
come unico lamento funebre il Requiem che il loro stesso assassino si
degnava
di eseguire; aveva sempre messo la propria sopravvivenza davanti alle
vite di
quegli inetti, ma dall’ultima volta in cui si era macchiato
di quei crimini
erano trascorsi più di quattro anni, e la sua ultima vittima
non era stato
altri che l’allora conte Philippe de Chagny, come aveva senza
troppa tristezza scoperto
in seguito. Stranamente, tuttavia, la consapevolezza di aver ucciso il
fratello
dell’uomo che lo aveva privato della donna che amava non era
servito un granché
come balsamo per curare le sue ferite. Al contrario… non
aveva fatto che farlo
sentire ancora più miserabile.
Per
cui, come già detto, Erik non era per niente eccitato
all’idea di doversi
macchiare le mani ancora una volta. Credeva che dopo tutto quello che
era
accaduto recentemente – i tragici eventi del ballo in
maschera di capodanno
ancora lo tormentavano ogniqualvolta chiudeva gli occhi, e il rimorso
lo faceva
dormire a malapena – gli abitanti del mondo di sopra avessero
finalmente
imparato a occuparsi dei propri affari e a non curiosare in zone che
erano loro
interdette, ma a quanto pareva la fiducia che aveva
nell’istinto di
sopravvivenza dei suoi simili era ancora una volta stata riposta nel
momento sbagliato!
Una
volta che l’allarme ebbe cessato di suonare, grazie a una
sorta di interruttore
che il suo inventore si era premurato di premere, Erik poté
udire l’eco
soffocato di urla provenienti da qualche parte nei dintorni,
probabilmente
dietro, o sotto, qualche muro. Stringendo le dita intorno al manico
della
pistola e al laccio del Punjab, si diresse a passo sicuro verso il
punto dal
quale proveniva la voce, deciso a mettere a tacere una volta per tutte
lo
stolto che aveva avuto il fegato di mettere naso nel suo regno. In
realtà non
aveva davvero intenzione di ucciderlo – con quale coraggio
sarebbe tornato da
Giulia, poi, e avrebbe osato guardarla negli occhi? – ma
almeno di spaventarlo
in modo che la prossima volta ci avrebbe pensato più
attentamente prima di
infilarsi nei suoi domini, e stordirlo, quello sì, in attesa
di riportarlo poi
in superficie e abbandonarlo privo di sensi da qualche parte in Rue
Scribe,
dove confidava che qualche passante caritatevole se prendesse carico e
lo
rimettesse in sesto. Aveva già funzionato altre volte, in
passato, e non vedeva
perché non avrebbe dovuto funzionare anche ora; a Giulia
poteva sempre dire di
essersi sbagliato, o che si era trattato di topi disattenti che avevano
fatto
scattare l’allarme dopo essere finiti in qualche vecchia
trappola. E poi
sarebbero potuti tornare serenamente al loro piccolo paradiso privato.
Fu
con questo confortante pensiero che si diresse a passo sicuro verso la
trappola
che era certo di trovare piena.
Jean-Louis
iniziava a non avere più sensibilità alle corde
vocali. Aveva gridato così
forte e così a lungo che ormai la voce gli si era ridotta a
un sibilo rauco e
doloroso, e come se ciò non fosse abbastanza stava per
morire di sete. Stavolta
non aveva portato con sé un borsone con acqua o attrezzi
vari come l’ultima
volta, e stava iniziando a credere che sarebbe potuto morirci in quei
dannati
sotterranei, prima che qualcuno si accorgesse di lui e venisse a
salvarlo.
Arrampicarsi
e cercare di uscire per conto suo, d’altra parte, si era
rivelato
impraticabile. Quella specie di pozzo era molto profondo, le pareti
erano prive
di appigli e iniziavano a restringersi sulla sommità, verso
l’alto, come una
cupola, e come se non bastasse erano viscide e ricoperte di muffa, cosa
che
rendeva impossibile qualsiasi tentativo di fuga. A rendere
più macabra e
sconfortante la sua permanenza laggiù, poi, contribuiva la
presenza di vecchie
ossa di dubbia natura – Jean sperava davvero che non si
trattasse di ossa
umane, benché ne dubitasse, ma grazie
all’oscurità poteva contare sul beneficio
del dubbio – sparse sul freddo pavimento della celletta,
nonché lo squittio
lontano di ratti ignari.
Perlomeno non
soffriva di claustrofobia.
Per
evitare di lasciarsi prendere dallo sconforto, e per avere
l’illusione di fare qualcosa,
il ragazzo ricominciò a
urlare, chiamando aiuto; il tetro rimbombo della sua voce sulle pareti
della
cella sarebbe bastato a far impazzire gente ben più furba di
lui, ma Jean cercò
di non lasciarsi prendere dal panico. Se
Giulia era riuscita a sopravvivere in quel tempo e in quel luogo,
ragionò
febbrilmente, non vedeva perché
non
avrebbe dovuto riuscirci lui.
Grazie
a Dio, non dovette attendere molto tempo prima di udire un rumore di
passi
cadenzati spezzare il silenzio dei corridoi, facendosi sempre
più vicino a dove
si trovava.
«Ecco
che cosa succede a chi disturba la quiete di Erik», fece una
voce terribile, un
sussurro sibilante, proveniente da sopra la sua testa – da
fuori la botola, sì,
un’ombra di salvezza!, «a chi cerca di scoprire il
suo segreto! Cerco forse,
io, di entrare in casa d’altri? Cerco di intrufolarmi in
territori che non mi
appartengono? No! E dovrei anche sentirmi in colpa per lo sventurato
che invece
ha voluto turbare la pace della mia casa?»
Jean-Louis
non poteva vederlo – non c’era molta luce nella
galleria, e di sicuro là sotto
non gliene arrivava neppure uno spiraglio – ma Erik era, in
quel momento,
accovacciato presso l’apertura della botola, e cercava di
scrutare il buio per
capire chi diavolo potesse essere il topo in trappola.
Senza
far caso all’inquietante borbottio dell’uomo
là fuori, il giovane si tirò su a
fatica, mettendosi in piedi, come se in tal modo potesse avvicinarsi di
più
all’uscita. «Per favore, fatemi uscire!»
Esclamò appena più confortato,
sforzandosi di utilizzare tutti i residui della sua voce.
«Signore! C’è
qualcuno, lassù? Fatemi uscire, aiutatemi!»
Ora,
essendo Erik un genio dalle infinite sfaccettature, un profondo
conoscitore
della musica e di tutte le arti in generale, non c’era molto
che egli non
sapesse fare; un’altra delle sue interessanti caratteristiche
consisteva
nell’incredibile capacità di riconoscere tra mille
una voce anche se l’aveva
udita solo una volta e tanto tempo prima. Dunque, la voce del giovane
finito
nella trappola aveva un che di familiare, anche se in un primo momento
non
avrebbe saputo dire cosa; sapeva
che,
se aveva quella sensazione, il motivo era assai semplice –
conosceva il
proprietario di tale voce, ma la domanda più rilevante che
si sarebbe dovuto
porre era se egli conosceva Erik.
Maledizione. Per evitare ulteriori
grattacapi e futuri pericoli sarebbe bastato puntare la pistola verso
l’oscurità della cella e porre fine alle
sofferenze di chiunque fosse finito
laggiù, e invece… E invece, per amore e per
rispetto della donna che lo
aspettava nella Dimora sul lago, che aveva ciecamente riposto la sua
fiducia in
lui, il fantasma dell’Opera prese un’altra
decisione.
Una
corda grossa e piuttosto resistente venne calata all’interno
della botola, e
allungando le mani alla cieca Jean-Louis riuscì ad
afferrarla; toccò un cappio,
abbastanza largo da far sì che lo potesse infilare e
stringere sotto le
braccia, a mo’ di imbracatura. Doveva solo sperare che la
corda fosse tanto
robusta quanto sembrava, e che il suo sconosciuto soccorritore avesse
la forza
necessaria per issarlo su.
«Date
uno strattone alla corda quando siete pronto a risalire», lo
istruì la voce,
che aveva la strana facoltà di essere chiara e scandita come
se lo sconosciuto
si trovasse accanto a lui, dietro di lui,
invece che sopra e lontano. Che razza di
trucco era mai, quello, si ritrovò a pensare Jean
perplesso, stringendo le
mani sulla corda e dando un brusco strappo come gli era stato detto di
fare.
Diversi
metri più in alto, Erik sentì lo strattone e con
un profondo respiro iniziò a
tirare, stringendo i denti e puntando bene i piedi sul pavimento onde
evitare
di scivolare e mandare al diavolo il salvataggio. I suoi sforzi
sarebbero stati
vani se chiunque si trovasse nella trappola fosse caduto a
metà salita – poteva
non essere morto la prima volta, ma una seconda non sarebbe stato
così fortunato.
Quando
le mani dell’intruso apparvero sul bordo della botola, Erik
legò con un ultimo
sforzo la corda intorno ad un gancio di ferro che sporgeva dalla
parete; poi si
avvicinò al ragazzo, chinandosi e afferrandolo per entrambe
le braccia per aiutarlo
a issarsi oltre il pavimento.
Gli
occorse qualche minuto per comprendere che in effetti il volto del
piccolo
ficcanaso aveva dei tratti familiari, e quando infine lo riconobbe
– come
avrebbe potuto dimenticare il viso di colui che solo pochi mesi prima
gli aveva
portato via Giulia – lasciò la presa come se si
fosse scottato e indietreggiò
di un passo.
«Voi!»
Esclamò Erik a mezza voce, prima che la sorpresa cedesse il
posto
all’irritazione. Per un istante passò nella sua
mente l’infida immagine di sé
stesso che spingeva il giovane di nuovo giù nella botola.
«Che cosa fate ancora
qui? Vostra sorella ha deciso di tornare di sua spontanea
volontà, sarà meglio
che vi mettiate l’animo in pace e torniate da dove siete
venuto!»
Riprendendo
fiato a fatica, Jean-Louis riuscì a sollevare lo sguardo sul
suo salvatore, che
a quel punto aveva cessato di essergli sconosciuto, e a lanciargli
un’occhiata
rabbiosa. «È stata Giulia a farmi promettere di
venire dopo una settimana»,
ribatté con un filo di voce, ancora tremante.
«Evidentemente non era molto
sicura della sua decisione, non credete?»
Se
Erik non avesse trascorso gli ultimi sette giorni insieme a lei,
imparando a
conoscerla in modi che nessun altro uomo avrebbe mai sperimentato,
amandola e
facendosi amare, probabilmente avrebbe anche potuto cedere al dubbio
che in
un’altra occasione lo avrebbe avvelenato dopo le parole di
quel ragazzo. Ma,
vista la realtà dei fatti, qualunque cosa avesse detto lei a
suo fratello prima
di separarsi da lui ormai non aveva più alcuna importanza.
Era palese che
avesse scelto Erik: in confronto a questo, tutto il resto perdeva
importanza.
«Se
preferite che sia lei a dirvi di andarvene, ragazzo, così
sia», sibilò per
tutta risposta, infilando la rivoltella in una tasca interna della
propria
giacca; la corda venne invece avvolta intorno all’avanbraccio
e resa innocua,
privata così del cappio che la rendeva un’arma
mortale. «Seguitemi adesso, se
non vi dispiace. Gradirei che lasciaste il prima possibile i miei
domini.»
I suoi domini? Per quanto stanco e
provato
dalla recente esperienza, Jean-Louis non poté fare a meno di
indagare, curioso,
sul genere di vita che conduceva l’uomo per il quale sua
sorella aveva
testardamente deciso di abbandonare la sua famiglia. «State
dicendo che abitate
sottoterra? In queste gallerie?»
«Sto
dicendo che non vi ho dato il permesso di angustiarmi con le vostre
domande. E
adesso tacete, per l’amor di Dio, o vi assicuro che
troverò un modo per farvi chiudere
la bocca!»
Detto
questo, il tragitto proseguì in un incredibilmente teso
silenzio.
**
La
dimora sul Lago aveva la straordinaria capacità di lasciare
a bocca aperta
chiunque vi posasse gli occhi per la prima volta. Erano rimasti
sbalorditi
coloro che avevano raggiunto quelle sponde la tragica notte
dell’incendio per
inseguire il fantasma, era rimasta sbalordita Christine Daaé
ed era rimasto
sbalordito il suo fidanzato, e stessa cosa si poteva dire delle altre
poche
anime che avevano avuto il privilegio di osservare da vicino, come
madame Giry,
sua figlia, Bamdad e ovviamente Giulia.
C’era un che di
soddisfacente nel vedere quegli sguardi nei volti dei suoi
più o meno
desiderati ospiti,
riconobbe Erik, notando il modo in cui quel ragazzino faceva vagare i
suoi
occhi curiosi e disorientati avanti e indietro nella sua dimora. Era un
tacito
riconoscimento del suo genio, della sua arte, dei prodigi di cui la sua
mente
era capace, e come tutti gli artisti Erik non era immune al fascino
delle lodi,
fossero esse espresse ad alta voce o sottintese.
«Rimanete
qui», gli intimò con tono severo, scoccandogli
un’occhiata ammonitrice. «E non
toccate niente.» Non gli diede neppure il tempo di replicare,
dirigendosi
invece verso la propria camera da letto, dove trovò Giulia
intenta a
rivestirsi.
Non
appena vide Erik sulla soglia, la ragazza sobbalzò presa
alla sprovvista, per
poi sospirare di sollievo. «Dio, mi hai spaventata.
È tutto a posto?» Chiese
legandosi in vita il cinto della vestaglia e avvicinandosi a lui.
«Sei stato
via per un bel po’ di tempo…»
«Sì,
mon cœur, non ti
preoccupare. Va
tutto bene», la tranquillizzò subito,
circondandole il viso tra le mani e
chinandosi per baciarla. Indugiò un momento in quella
posizione, respirando il
suo profumo, ma poi prese un profondo respiro e si ritrasse,
controvoglia. «No,
in realtà non va tutto bene», aggiunse sottovoce,
sfiorandole delicatamente le
labbra con i polpastrelli. «Abbiamo ospiti.»
Nell’udire
una simile affermazione, Giulia aggrottò la fronte,
perplessa. «Ospiti? Chi
diavolo potrebbe scendere in questi… Oh.»
All’improvviso si interruppe, sgranando appena gli occhi con
l’aria di chi
aveva già compreso senza aver bisogno di sentire altre
spiegazioni. «Lui è qui?
Mio fratello?»
Temendo
che i suoi timori potessero rivelarsi fondati, Erik si
staccò da lei e
indietreggiò, forzando le proprie braccia lungo i fianchi
per impedirsi di
toccarla. «Quindi è vero, sapevi che sarebbe
tornato. Lo stavi aspettando»,
disse piano. «È venuto per portarti via? Di
nuovo?»
«Cosa?
Erik, no… No, non è così»,
si affrettò a correggerlo lei, avvicinandosi
nuovamente. «Non è così. Sono stata io
a chiederglielo… Prima di tornare da te
gli ho fatto promettere di venire dopo sette giorni, per controllare la
situazione.
Dopo tutto quel tempo non sapevo se tu mi stessi ancora aspettando, non
sapevo
se mi volevi ancora, e avevo paura, in quel caso… Non lo so,
avevo paura di
rimanere qui da sola. Jean mi avrebbe riportato indietro, ma solo se le
cose
fossero andate diversamente. Erik, puoi stare tranquillo, te lo
assicuro –
nessuno mi porterà via, e io di certo non ti
lascerò un’altra volta.»
L’espressione
dell’uomo si distese leggermente, ma c’era in lui
una rigidità che faticava a
scomparire. Giulia sollevò le mani e gli circondò
il volto con esse,
sorridendogli gentilmente nel cercare di rassicurarlo. «Come
puoi avere ancora
dei dubbi, dopo quello che abbiamo condiviso?»
Mormorò, sfiorando con le dita
l’accenno di barba che gli scuriva la guancia scoperta.
Erik
sospirò, chiudendo gli occhi e voltando appena il capo per
poggiare le labbra
sul palmo della mano della ragazza. «Vai da tuo fratello,
adesso. Io e te
parleremo con calma più tardi», concesse a mezza
voce, cercando di non far
trapelare il timore di perderla dai suoi gesti.
Quando
Jean vide che sua sorella era tutta intera e in perfetta salute
– chissà perché
ne dubitava, poi? Giulia era sempre stata in grado di prendersi cura di
se’
stessa – non poté fare a meno di sospirare di
sollievo, sorridendole e
andandole incontro per stringerla in un lungo abbraccio sotto lo
sguardo torvo
di Erik. A parte gli abiti diversi e l’espressione radiosa
– non si ricordava
quando era stata, l’ultima volta che l’aveva vista
così – la ragazza era
esattamente come la ricordava: quella settimana era stata angosciante
per lui,
nonché per i suoi genitori, dato che ancora dovevano venire
a patti con l’idea
di averla lasciata libera di andare – inoltre, il fatto di
essere all’oscuro di
quello che le sarebbe potuto succedere dall’altra
parte non era qualcosa che li facesse dormire bene la notte.
«Sapere
che tutto questo si trova sotto il teatro che frequento sin da bambino
ha un
che di inquietante», fu uno dei primi commenti di Jean-Louis
una volta che
prese posto su una poltrona, mettendosi comodo.
«Non
più inquietante di tutta la faccenda del viaggio nel
tempo», ribatté Giulia con
un sorrisetto.
Jean-Louis
si chiese come diavolo facesse a scherzare su un argomento del genere,
ma tale
pensiero se lo tenne per sé. «Già, hai
ragione», mormorò. Poi spostarono la
chiacchierata su un territorio più allegro.
Tuttavia,
con gli occhi di Erik puntati addosso dallo stipite della stanza
–
evidentemente, benché avesse concesso loro il beneficio di
un momento d’intimità,
preferiva pur sempre tenerli d’occhio, più per
paura che il giovane ospite
tentasse di dissuaderla dal
rimanere lì che per vera e propria gelosia –
Giulia iniziava a sentirsi un po’ a
disagio. Per carità, riavere il fratello accanto e farsi
raccontare notizie da
casa era bello, però… Adesso, a distanza di una
settimana, non aveva nulla da
dirgli che non fosse la semplice decisione di restare. E affrontare
quell’argomento
con Erik che la guardava la metteva, scioccamente, in imbarazzo.
Ad
un tratto le venne un’idea. «Perché non
ti fermi qui per qualche giorno?»
Sia
lui che Erik risposero ad una voce. «Che
cosa?»
Senza
nemmeno voltarsi verso Erik, Giulia riprese a parlare con il fratello,
sorridendo. «Voglio farti ripartire con l’animo in
pace, Jean, e l’unico modo
per farlo è che tu veda come io vivo qui, come mi trovo
bene, come appartengo a questo
luogo. Avrai già
capito che non ho intenzione di tornare indietro, e… beh,
non voglio rendere
del tutto inutile il tuo viaggio, chiamiamolo così. Una
volta rientrato potrai dire
alla mamma e al papà che non hanno nulla di cui
preoccuparsi, che sto bene e
che sono al sicuro, che voglio loro un bene dell’anima e che
non dimenticherò
mai tutto quello che hanno fatto per me… ma che ormai non
posso più vivere con
loro. Con voi. È qui che ho tutta la mia vita, adesso
– è qui che ho il amore»,
aggiunse, abbassando la voce e arrossendo leggermente.
A
quel punto, Jean-Louis non sapeva che cosa rispondere – i
suoi tentativi di
convincere la sorella a rinunciare a quella follia erano stati
distrutti ancora
prima di vedere la luce – e probabilmente anche Erik era
rimasto colpito dal
suo breve discorso.
«Io…
beh… Non so che dire…»
Borbottò il ragazzo, stringendosi nelle spalle.
«Sono
felice che tu abbia trovato il tuo posto, Jules, certo,
però… Non puoi
pretendere davvero che la cosa mi vada bene. Insomma, sei mia sorella!
L’idea
di perderti per sempre non mi piace.»
A
quello Giulia non poteva proprio ribattere. Le sarebbe piaciuto
potergli dire
che no, non l’avrebbe mai persa, che lei sarebbe stata sua
sorella, che gli
sarebbe stato accanto… ma così non era. Una volta
presa la decisione di
rimanere insieme ad Erik non sarebbe più potuta tornare
indietro, né avrebbe voluto:
la sua famiglia le sarebbe mancata sempre e comunque, questo non si
metteva in
discussione, però non avrebbe mai potuto avere entrambe le
cose. Purtroppo, nel
suo caso, scegliere uno significava sacrificare l’altro, e
Giulia aveva già
commesso una volta l’errore di abbandonare Erik: non
l’avrebbe rifatto,
soprattutto visto il dolore che ne era venuto dopo.
Erik,
benché si stesse sforzando di rimanere in disparte e di non
interferire con i
loro discorsi, non poté non notare che Giulia adesso si
trovasse decisamente in
difficoltà. Così, prima di cambiare idea, diede
voce alla sua proposta.
«Se
il tuo ospite si deve trattenere è meglio chiedere a madame
Giry», suggerì,
lasciando il suo posto accanto alla porta e avanzando verso i due
fratelli. Rimase
in piedi accanto alla ragazza, una mano posata sullo schienale della
sua
poltrona, gli occhi dolcemente posati su di lei. «Volevi
andare da lei in ogni
caso, mi sbaglio? Per salutarla e dirle che sei tornata. Ebbene,
potresti anche
approfittarne per vedere se è disposta ad offrire a tuo
fratello un luogo dove
stare prima che torni a casa sua.»
Giulia
sollevò lo sguardo su di lui, per poi annuire con aria
pensierosa. «Non è
un’idea malvagia», decretò alla fine,
voltandosi nuovamente verso Jean-Louis. «Bisognerebbe
procurarti anche dei vestiti adatti, dato che non puoi andare in giro
conciato
così – con jeans e tutto il resto. Ma madame
è stata molto generosa con me, si
è comportata come una madre… penso di poterle
chiedere questo ennesimo favore.
Ti ricordi di lei, vero? L’hai conosciuta la sera della festa
in maschera.»
Il
fratello annuì, ma non sembrava molto convinto.
«Sì, credo di sì… Ma
perché
dovrebbe ospitarmi in casa sua? Non mi conosce nemmeno.»
«Si
tratterebbe solo di pochi giorni, benché la sua
curiosità potrebbe spingerla ad
ospitarti molto più a lungo. In caso non voglia, comunque,
sono sicura che
anche Erik sarebbe un perfetto padrone di casa», sorrise lei,
sfiorando con la
propria la mano che l’uomo aveva ora posato sulla sua spalla.
A
quelle parole, per quanto scherzose, Erik emise quello che poteva
sembrare uno
sbuffo sarcastico; Jean, da parte sua, si ritrovò ad
impallidire leggermente. Evidentemente
il sentimento di antipatia tra i due uomini doveva essere reciproco.
***
Qualche
ora dopo, due ombre scure uscirono dal teatro di nascosto, passando per
le
scuderie, prima che l’alba spazzasse via le tenebre e
rendesse impossibile
sgattaiolare via dall’edificio senza esser visti. Aveva
appena smesso di
piovere e nell’aria aleggiava ancora il gelo lasciato dalle
gocce d’acqua, che
creava una leggera nebbia che si librava sul selciato sporco agli
angoli delle
strade di neve infangata; le luci a gas dei lampioni illuminavano
ancora gli
ultimi momenti di oscurità, mentre il cielo andava via via
rischiarandosi in
lontananza, sopra i tetti dei palazzi.
Giulia
e suo fratello, stretti l’uno all’altro in cerca di
calore, affrettarono il
passo e il ticchettio delle loro scarpe sul marciapiede era per adesso
l’unico
rumore che rimbombava per le vie. Percorsero un breve tratto di Rue
Auber e poi
svoltarono a sinistra verso Rue Scribe, giacché madame Giry
abitava alla fine
dell’isolato, laddove la strada si immetteva in Boulevard des
Capucines.
Entrambi avevano percorso un’infinità di volte
quel tratto, ma era la prima
volta che Jean-Louis vi passava in quell’epoca, e
benché fosse consapevole di
conoscere la strada non poté fare a meno di guardarsi
intorno sorpreso ed
estasiato, malgrado la luce scarsa non rendesse completamente giustizia
alla
bellezza dei palazzi signorili e della pacata quiete causata
dall’assenza del
traffico dell’età moderna dalla quale proveniva.
All’improvviso,
dall’ombra di un vicolo scarsamente illuminato, venne fuori
uno sconosciuto
avvolto dalla testa ai piedi da un mantello che ne rendeva impossibile
il
riconoscimento, e che sbarrò loro il passo. Perplessi, il
primo istinto dei due
fratelli fu quello di fermarsi; poi Giulia fece per spostarsi di lato e
aggirarlo, ma l’uomo imitò il suo movimento e si
frappose nuovamente tra lei e
la strada libera, aprendo il mantello il tanto sufficiente a mostrarle
la
pistola che egli teneva puntata nella loro direzione. Jean-Louis non
trattenne
un’imprecazione, afferrando il braccio della sorella per
attirarla verso di sé
mentre lanciava un’occhiata alle proprie spalle per
controllare la situazione:
dietro di lui erano apparsi altri due uomini, a loro volta armati, che
non
sembravano per nulla avere buone intenzioni.
«Signori,
siete sfortunati: non abbiamo denaro», li avvertì
piano Jean, come se parlare a
voce bassa fosse servito a distoglierli dalla tentazione di utilizzare
le loro
armi.
L’uomo
di fronte a loro scrollò brevemente le spalle.
«Benissimo, non è il denaro che
vogliamo. Siamo qui per la signorina», replicò con
noncuranza, la voce
leggermente attutita dal bavero della giacca, indicando Giulia con un
gesto
della mano che reggeva la rivoltella. «Venite con noi,
mademoiselle, e nessuno
si farà del male.»
«Jean»,
sussurrò Giulia accanto a lui, con un’evidente
nota di panico nella voce. Le
sue mani si aggrapparono al mantello del fratello – prestito
di Erik – come se
fosse bastato quello per impedire ai tre di aggredire entrambi; si
guardò
intorno per individuare eventuali vie di fuga, e in effetti dietro di
loro il
vicolo era libero. Indietreggiò di qualche passo, attirando
anche il fratello verso
di se’, ma la voce gelida di uno degli uomini incappucciati
la pietrificò.
«Non
provateci nemmeno, mademoiselle. Non vorrete che il vostro compagno si
faccia
del male?» Disse con un tono discorsivo, aggiustando la mira
della rivoltella
in direzione di Jean-Louis.
«Chi
siete, voi?» Sibilò quest’ultimo,
cercando di mantenere una posizione tale da
continuare a frapporsi tra l’uomo armato e sua sorella.
«Dovete aver sbagliato
persona, signori, perché noi siamo arrivati in
città solo ieri e non abbiamo
ancora avuto il tempo di farci dei nemici.»
«E
per quale motivo, allora, quest’aria furtiva?
Perché gironzolare a quest’ora,
con le strade ancora deserte?» Replicò beffardo;
pareva si stesse divertendo.
Una
voce cupa, proveniente da uno degli uomini alle loro spalle, li
interruppe. «Basta
perdere tempo, Gilles. Prendiamo la ragazza e andiamocene.»
Giulia gli
riconobbe un accento del sud, forse di Marsiglia, ma dubitava che la
cosa
potesse esserle di una qualche utilità.
L’altro
fece un brusco cenno affermativo col capo. «Sì.
Alain, tieni fermo il nostro
eroe.»
Jean
parve confuso. Si guardò intorno, ma non ebbe il tempo di
prendere la mano
della sorella che uno degli uomini lo afferrò brutalmente,
bloccandogli con
forza le braccia dietro la schiena e tenendolo fermo con sorprendente
facilità.
«Lasciami, brutto figlio di-» Ringhiò
furioso, ma un colpo ben assestato allo
stomaco da parte del terzo uomo lo mise a tacere, impedendogli di
terminare la
frase. Jean gemette, piegandosi in due, ma prima che potesse
riprendersi un
altro colpo e poi altri ancora seguirono il primo, con terribile
dedizione, facendolo
crollare a carponi sull’umido selciato.
Giulia
gridò, adesso veramente terrorizzata. «No,
smettetela! Che bisogno c’è di
picchiarlo!» Cercò di correre per assistere il
fratello, ma venne a sua volta
trattenuta da uno degli uomini – quello che avevano chiamato
Gilles. Ormai
inferocita, iniziò senza pensare a dare gomitate e a
dimenarsi come un’ossessa,
spaventata all’idea di quello che i tre sconosciuti potevano
volere da lei, e
al contempo preoccupata per Jean-Louis che non pareva neppure
respirare, là
disteso sulla strada bagnata.
«Lasciami,
lasciami!»
Ringhiò furiosa,
voltandosi il tanto sufficiente per graffiare l’uomo sul
viso, da parte a
parte. Quest’ultimo imprecò e istintivamente la
lasciò andare, ma Giulia non
riuscì a fare che pochi passi prima di venire riacciuffata
da quello che aveva
picchiato Jean-Louis.
«Adesso
farete la brava, piccola strega, se non volete che diamo il colpo di
grazia al
vostro amico», le sibilò all’orecchio il
Marsigliese, stringendole il braccio
con tanta forza da farla lacrimare.
Si
ritrovò a piangere sommessamente, odiandosi per non essere
capace di fare
qualcosa, di reagire, bloccata com’era dalla paura. Venne
trascinata lontano
dal fratello, che continuava a non muoversi, fino alla fine del vicolo,
dove c’era
una carrozza completamente nera, priva di insegne, ad attenderli. La
obbligarono
a salire senza troppe cerimonie, e quando lei provò a
sgusciare dall’altra
parte, aprendo il secondo sportello, Gilles
l’afferrò con furia e la tenne
ferma fin quando il Marsigliese non le ebbe legato le mani con della
corda dura
e resistente. Poi le misero una benda sugli occhi, e a quel punto,
tremante,
Giulia si arrese.
In
strada, l’uomo chiamato Alain tirò fuori da una
tasca della propria giacca una
lettera sigillata con della ceralacca rossastra, chinandosi su
Jean-Louis per infilargliela
sotto il mantello, al riparo dalla pioggerellina leggera che aveva
iniziato a
scendere. Dopodiché seguì gli altri due compari e
sparì all’interno dell’elegante
coupé, bussando poi sul tettuccio per invitare il cocchiere
ad muoversi.
In
quel momento le campane della Madeleine rintoccarono le otto del
mattino.
****
Quando
la benda le venne finalmente tolta dagli occhi, Giulia
sbatté più volte le
palpebre e si guardò intorno, agitata, cercando di capire
dove si trovasse e
soprattutto in che razza di situazione fosse finita. Il viaggio in
carrozza era
stato orrendo, benché una volta che aveva smesso di agitarsi
nessuno l’aveva
più toccata, e poi una volta scesi da lì era
stata trascinata e sballottolata
alla cieca dentro chissà quale casa, su per delle scale, e
poi fatta sedere su
una normale sedia. Dopodiché era seguito un lunghissimo
silenzio, fin quando
qualche anima pia – una donna, chissà chi
– non le aveva sciolto le mani per
legarla in un altro modo su di una sedia, immobilizzandola. Di certo
una cosa
del genere non le sarebbe capitata così facilmente nel
ventunesimo secolo – ma
dopotutto mai dire mai; inoltre, qualcosa le diceva che la sua
relazione con
Erik giocasse un ruolo importante in quella sorta di sequestro di
persona.
Dopo
un tempo che le parve infinito, sentì qualcuno maneggiare il
nodo della sua
benda, sciogliendolo e permettendole di vedere di nuovo.
Sbatté le palpebre,
per un momento acciecata dalla luce improvvisa, poi ne
approfittò per studiare
l’ambiente circostante e provare a farsi un quadro della
situazione. La stanza
nella quale si trovava era arredata con gusto ed eleganza, un mobilio
molto
diverso da quello che si era immaginata, dato che aveva creduto di
essere stata
trascinata in qualche cella o Dio solo sapeva dove. E invece ecco una
finestra,
oltre il cui vetro si vedeva Parigi – bene, allora era ancora
in città – una scrivania,
dei quadri, tappeti persiani e numerose preziose
suppellettili… Restava solo da
scoprire chi diavolo ci fosse dietro il suo rapimento, e soprattutto
quale diavolo
di motivo potesse avere.
Finalmente,
colui che le aveva restituito il dono della vista cessò di
rimanere alle sue
spalle e si portò davanti a lei, giacché nel modo
in cui era stata legata alla
poltroncina non le era possibile muoversi né voltarsi.
Eppure, quando riconobbe
l’identità dell’uomo che
l’aveva fatta rapire, non riuscì a comprendere che
cosa potessero avere lei, o Erik, in comune con un vecchio duca che di
tanto in
tanto frequentava il teatro dell’Opèra.
«Mi ricordo di voi», mormorò perplessa,
aggrottando la fronte. «Siete… Il duca De
Blanchard, vero? Avete voluto
conoscermi, qualche mese fa.»
In
un’altra occasione avrebbe fatto dell’ironia
– davvero, non credevo di essere
già così famosa da costringervi a
prendere simili provvedimenti per avere un colloquio privato con me
– ma
qualcosa le diceva che era meglio procedere con cautela. Perlomeno fino
a
quando non si fosse fatta un’idea più precisa di
ciò che il nobile potesse
volere da lei.
«Sono
lieto che vi ricordiate di me, mademoiselle. Ciò significa
che possiamo saltare
comodamente i convenevoli, e passare al motivo della vostra presenza
qui.
Suppongo che Erik non vi abbia mai parlato di me…»
Sentire
il nome di Erik pronunciato con così tanta nonchalance dalle
labbra di quello
che a tutti gli effetti lei continuava a giudicare un estraneo la fece
sussultare e rabbrividire nello stesso tempo. Ecco,
pensò spaventata. Lo
sapevo che lui c’entrava qualcosa. Di sicuro il fantasma
dell’Opera si sarà
fatto un discreto numero di nemici nel corso della sua
“carriera”…
«Non
capisco di cosa stiate parlando», ribatté,
cercando di celare la rabbia e di sembrare
perplessa. «Non conosco nessuno che si chiami in quel
modo… Erik, avete detto? Dev’esserci
un malinteso.»
Negli
occhi dell’anziano duca passò un lampo feroce che
non le piacque per niente. «Via,
mademoiselle Sanders, non insultate la mia intelligenza», la
riprese con falsa
gentilezza, versandosi un bicchiere di vino. «Gradite
qualcosa da bere? No? Non
è gentile rifiutare del vino così pregiato, ma se
insistete…»
Giulia
iniziava ad essere davvero preoccupata. Che cosa avrebbe dovuto fare?
Fingere fino
alla nausea di non conoscere Erik, o arrendersi all’evidenza
che quell’uomo,
per chissà quale motivo, era a conoscenza del loro legame, e
assecondarlo
dunque in quella follia?
Forse
sarebbe stata la cosa più saggia; magari, se
l’avesse fatto parlare, se l’avesse
distratto con le chiacchiere, avrebbe potuto farsi dire per quale
motivo si
trovava lì, in casa sua, e soprattutto che cosa volesse da
Erik; inoltre,
nutriva pur sempre la flebile speranza che suo fratello, pregando che
stesse
bene, si fosse ripreso e fosse andato ad avvisarlo, e che dunque
l’uomo si
stesse organizzando per andare a salvarla. Odiava l’idea di
essere una specie
di damigella in difficoltà e di essere in procinto di
rivelare il segreto più
grande dell’uomo che amava – ovverosia quello
riguardante la sua esistenza – ma
era stata minacciata con una pistola, che cosa avrebbe potuto fare?
«Sto
ancora aspettando una risposta, mademoiselle.»
La
ragazza si riscosse dai suoi pensieri, e sospirò piano.
«Per quale motivo
avrebbe dovuto parlarmi di voi?» Capitolò alla
fine a mezza voce, come se
sussurrando rendesse meno terribile la sua resa.
Sul
volto del duca apparve un sorriso trionfante, che venne subito
sostituito da un’affettata
espressione di stupore e sconforto. «Ma, mademoiselle, per un
motivo assai
semplice… Si da il caso che io sia suo padre.» Poi
sorrise un’altra volta, ma
non vi era nulla di gioioso in quel sorriso. «Vedo che non ne
eravate davvero a
conoscenza. Erik dev’essere un maestro nel mantenere i
segreti, non è vero?
Chissà tutto quello che vi nasconde… Come potete
fidarvi di lui?»
Giulia
ignorò quelle parole, che non ebbero alcun effetto su di
lei: conosceva
abbastanza i segreti di Erik per sapere che se l’uomo le
aveva taciuto qualcosa
era soltanto perché non era ancora del tutto pronto per
parlargliene, e non
certo per tenerla all’oscuro. «Non comprendo il
vostro gioco, monsieur, né
comprendo ancora perché mi avete rapita», disse
quindi, riportando l’attenzione
sul soggetto principale del discorso.
«Oh,
via, mademoiselle, non siate così drammatica! Io non
parlerei di rapimento,
direi piuttosto che siete stata… persuasa
ad accettare il mio invito. Non era mia intenzione spaventarvi,
credetemi, ma
converrete con me sul fatto che Erik non vi avrebbe mai permesso di
venire qui
se ve lo avessi domandato in una maniera più
civile.»
«Non
so che idea vi siate fatto di me o di Erik, monsieur, ma sono
perfettamente in
grado di prendere le mie decisioni anche senza la sua
intercessione», sibilò la
giovane, infastidita. «E vi assicuro che non avrei accettato
il vostro invito
in ogni caso, dato che non è mia abitudine frequentare le
case di estranei.»
«E
questo, mia cara, temo ci riporti
all’inevitabilità delle mie misure drastiche,
non credete?» Replicò il duca con
l’ennesimo sorriso, per nulla colpito dal
tono gelido della ragazza. «Ad ogni modo, non ho intenzione
di farvi del male:
consideratevi mia ospite. Ho bisogno della vostra presenza solo per
convincere
mio figlio a prestarmi ascolto una volta per tutte, e mi dispiace che a
causa
della sua testardaggine voi siate stata trascinata in una situazione
così
delicata.»
«Sono
una merce di scambio, è questo che volete dire?»
«Se
vi piace vederla sotto questi termini, fate pure»,
sospirò de Blanchard,
chinando appena il capo in un gesto d’assenso. «Ma
ripeto, vi pregherei di
considerarvi mia ospite, perlomeno fintantoché non farete
nulla di sciocco come
cercare di scappare o aggredire nuovamente i signori che lavorano per
me.»
«Mi
hanno messo le mani addosso», ringhiò, indignata.
«E
vi assicuro che sono già stati ripresi per questo; ma adesso
vi prego, comportatevi
bene», la riprese con benevola condiscendenza. Poi
suonò un campanello, e pochi
attimi dopo un domestico in elegante livrea si affacciò
sulla porta dello
studio.
«Procurate
degli abiti più adeguati per mademoiselle
Sanders», ordinò il duca, istruendo
con affettata nonchalance il suo maggiordomo o chiunque fosse il nuovo
arrivato. «Potrebbe doversi trattenere a lungo, e noi
vogliamo che la nostra
ospite si senta il più possibile a suo agio.»
*****
Jean-Louis
si diresse trafelato verso gli uffici del direttore artistico,
ignorando le
lamentele delle donne che spazzavano e lucidavano il pavimento e
scansando i
membri della sorveglianza, che nell’ultimo periodo
– ossia dopo l’ennesimo coup
de théâtre della notte di Capodanno
– frequentavano l’Opèra a tempo pieno e
in ogni circostanza. Si sentiva
indolenzito in punti che non credeva neppure potessero dolergli, eppure
era
tornato indietro il prima possibile, correndo quando ci riusciva, una
volta che
aveva ripreso conoscenza in quel lurido vicolo.
Quando
varcò la soglia dello studio di monsieur Destler, al quale
arrivò solo grazie
alla caritatevole indicazione di una delle ragazze che si occupavano di
lavare
i costumi di scena, egli sollevò di scatto gli occhi da
alcuni documenti che
giacevano sulla sua scrivania e aggrottò le sopracciglia
– o, perlomeno, quella
non celata dalla maschera – nel trovarsi davanti il giovane
che si supponeva
essere in compagnia della sorella a diversi isolati di distanza. Gli
occorsero
a malapena pochi secondi per rendersi conto che qualcosa non andava,
visti gli
indumenti sgualciti e scomposti e l’aspetto pallido e
angosciato del ragazzo.
«Voi?
Cosa diavolo è successo? Dov’è
Giulia?» Scattò immediatamente, alzandosi in
piedi e aggirando il tavolo in modo da non mettere nessun ostacolo tra
lui e
l’altro.
«Questo
speravo poteste dirmelo voi», ribatté Jean ancora
ansimante, porgendogli la
lettera che aveva trovato accanto a sé quando aveva ripreso
conoscenza e che
portava, sul retro, il nome dell’uomo che gli stava di fronte.
Erik
quasi gli strappò dalle mani la missiva, notando che il
sigillo di ceralacca
era già stato spezzato – evidentemente il ragazzo
non aveva trattenuto la
curiosità ed era già a conoscenza di
ciò che vi era scritto – e ne dispiegò
dunque la carta; i suoi occhi si posarono su un’elegante e
sconosciuta
calligrafia espressa in inchiostro nero, e senza attendere oltre
iniziò a
scorrere le parole una dopo l’altra, divorandole velocemente
e sentendo l’ira
crescere dentro di sé man mano che andava avanti.
Mio caro Erik,
non dovete temere
per mademoiselle Sanders: ella è sotto la mia ala.
Poiché non avete seguito le
mie istruzioni, discusse precedentemente riguardo al vostro obbligo
morale e al
rispetto che mi dovete in quanto mio figlio primogenito, ho ritenuto
opportuno
intervenire per altre vie, lo ammetto, più discutibili. Se
la vostra decisione
è sempre la medesima, ossia se continuerete a voler
rifiutare di accettare il
nome e le ricchezze che vi spettano, insieme alle
responsabilità che ne
deriveranno, allora vi consiglio di dimenticarvi della vostra amante,
giacché
non la rivedrete finché avrò vita.
Tuttavia voglio
essere generoso con voi, che siete sangue del mio sangue, e vi
darò ancora
un’ultima possibilità. Venite nella mia casa, che
poi è anche la vostra, e
accettate di discutere con me da gentiluomo civile e bendisposto come
sospetto
che siate: sono sicuro che riusciremo a raggiungere un accordo.
I miei omaggi,
Henri
J. Lescroart,
Duca
de Blanchard, ecc.
Erik
strinse la lettera nel pugno fin quasi a stracciarla, soffiando come un
animale
feroce e riportando la sua attenzione su Jean-Louis. «Avete
lasciato che
prendessero vostra sorella?» Ringhiò, avanzando di
un passo. «Che razza di uomo
siete?»
Punto
sul vivo, Jean si sentì in dovere di difendersi.
«Ci hanno aggredito in un
vicolo, erano in tre contro uno! Che cosa avrei dovuto fare? Non sono
abituato
a situazioni del genere come potete esserlo voi!»
Ribatté, arrabbiandosi a sua
volta: la rabbia era un sentimento che gli piaceva decisamente di
più del senso
di vergogna che lo aveva accompagnato da quando si era risvegliato in
quella
viuzza sporca e buia. E in ogni caso, che senso aveva prendersela con
lui?
Sapeva di avere la sua parte di colpa, ma litigare tra loro non avrebbe
giovato
in quel frangente.
«Andate
da madame Giry, lei baderà a voi, e attendete mie
notizie», ordinò freddamente,
infilandosi la giacca. Senza degnare il giovane di uno sguardo,
raggiunse il
proprio tavolo da lavoro e aprì il primo cassetto, dalla
quale tirò fuori la
rivoltella che vi teneva per ogni evenienza – un tempo aveva
creduto che
sarebbe stato il bacio di quell’arma l’ultima
carezza che avrebbe avuto la sua
tempia prima di abbandonare il mondo dei vivi, ma adesso era il caso
che le
trovasse uno scopo più utile. «Bamdad, il mio
segretario, verrà con me in modo
da potervi avvisare in caso di un cambiamento della
situazione.»
Jean
era palesemente contrariato all’idea di venir tagliato fuori
in quel modo. «E
io dovrei rimanere zitto e fermo senza fare nulla per salvare mia
sorella?»
Erik
lo fissò come se solo il legame fraterno che lo legava a
Giulia lo trattenesse
dallo strangolarlo lì e subito. Avete
avuto
la vostra occasione e non ne avete fatto buon uso, razza di idiota!,
avrebbe voluto dirgli, e magari anche scrollarlo con forza; ma si
trattenne. «Come
avete detto voi stesso, non sapreste come comportarvi in queste
circostanze»,
replicò con un sibilo, sforzandosi di essere ragionevole.
«Per cui vi
suggerisco di dare retta a chi ne sa più di voi e di fare
ciò che vi ho detto!»
Attraversò
a grandi passi il suo studio e afferrò il mantello
dall’appendiabiti,
gettandoselo sulle spalle e sparendo nel corridoio senza neanche
attendere il
ragazzo. Se era la guerra che il duca voleva, ebbene, la guerra avrebbe
avuto…
Ma avrebbe maledetto il giorno in cui aveva osato sfidare il Fantasma
dell’Opera.
Angolo Autrice.
Scherzi a parte, uao, che capitolo pieno! Mai scritto uno più lungo, dico davvero D: Ma mi sembra il minimo visto tutto il tempo che è trascorso dall'ultimo aggiornamento... vi direi anche di godervelo perché chissà quando arriverà il prossimo, ma... non so, mi sento ispirata, quindi forse aggiornerò in tempi decenti. Si accettano volontari che incrocino le dita :D //ps: perdonate eventuali errori di distrazione. L'ho riletto una decina di volte ma mi sfuggirà sempre qualcosa, inoltre non vedevo l'ora di aggiornare, quindi... forgive me :) //
Finalmente un po' d'azione, eh? Basta con le cose smielate e i pucci-pucci, promesso ù_ù E chissà cosa succederà adesso... muahahaha!
Passiamo a cose serie.
Innanzitutto grazie mille a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, vale a dire Sylphs, Homicidal Maniac (benvenuta in questa odissea, cara <3), loveis4ever, StarFighter e Helmwige, nonché tutte coloro che continuano a leggere silenziosamente! Siete tutte adorabili *---*
E adesso vi lascio, corro a preparare la cena :D Baci e abbracci, e grazie di nuovo per essere arrivate sin qui! ♥
Sempre io, la vostra
Niglia.