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Autore: Demoiselle An_ne    11/07/2013    7 recensioni
Questa è una storia di tenebre, luci, amori e dolori.
Cosa sarebbe successo se Oscar si fosse vista portar via il suo André? Si sarebbe accorta prima di sentimenti da sempre assopiti?
E se André avesse incontrato qualcuno così vicino alla figura di Oscar, eppure così lontano? Come sarebbero andate le cose?
Questa storia non intende cambiare lo splendido affresco tracciato dalla Ikeda, è un modo per vedere le cose sotto una luce un po' differente.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Matrimonio. Suo padre parlava di matrimonio, Oscar lo scrutò come se colui che le stava davanti non fosse suo padre, come se si trovasse in un luogo estraneo e come se tutta la scena la stesse vivendo da fuori . Non le apparteneva nulla in quel momento, era lì eppure ovunque. Non era in nessun luogo in realtà, forse stava impazzendo – “Non qui, non ora”- pensò. Cercava di scuotersi da quella situazione, di uscire da quel limbo mentale, ma per quanto vi si sforzasse, vie di uscite non ne vedeva e tutto le appariva mostruosamente reale.
“Padre, voi non potete dire sul serio. Non potete costringermi, perché dovreste farlo ora se non lo avete fatto a suo tempo con Girodelle?” – il generale fu spiazzato da quella logica, si maledì per non averla costretta a suo tempo con il giovane Girodelle. Almeno quel giovane aveva sangue nobile nelle vene, aveva un titolo, era indiscutibilmente bello, di buon animo e di valore. Soprattutto, amava la donna celata dal soldato. Quella che nessun altro aveva mai visto in lei. Eppure non lo aveva fatto, forse perché in cuor suo sapeva di non voler e poter forzare ulteriormente Oscar, aveva già forzatamente plasmato la figlia a suo tempo. Chiuse gli occhi e inspirò tanto profondamente da far sbiancare le narici, doveva restare calmo, non doveva prendersela con Oscar. Non stavolta, ma lei avrebbe fatto meglio ad obbedire senza lottare. Le cose erano cambiate, ne andava della reputazione del casato de Jarjayes e quindi lei doveva piegarsi da brava figlia o l’avrebbe piegata lui. A qualunque costo. Tracannò avidamente il liquido ambrato del suo bicchiere e invitò Oscar a fare lo stesso, bere li avrebbe rilassati entrambi.
“Oscar, non c’è scelta, devi farlo e basta. E’ per il futuro dei de Jarjsyes, come soldato sei stato impeccabile ma, è giunto il momento di essere una donna e una moglie di valore. Dopotutto sei donna, una bella donna, non ancora maritata e le malignità di corte strisciano come infidi serpenti tra noi già da un po’. Non puoi deludermi, non farmi ricredere su di te. Avrei forse dovuto fare quel passo che feci con te, con tua sorella Camille? Forse, se mi fossi deciso prima, lei mi avrebbe dato maggior orgoglio. Sei stata un bravo figliolo, ora desidero che tu sia una brava figliola. Non vorrai farmi credere che avrei dovuto farti maritare a quindici anni come tutte le altre tue sorelle? Non  lasciare che la famiglia Jarjayes termini con te e con me, Oscar”.
Suo padre era sempre stato un maestro nell’arte di farla sentire in difetto e inadatta, per anni le aveva rinfacciato in ogni carezza repressa, in ogni minimo rimprovero e in ogni minimo sguardo quanto si vergognasse di lei in quanto nata donna. Si dice che tutti portino un fardello, una croce, sulle spalle: quello di Oscar era quello di esser nata inequivocabilmente donna. Quella vergogna l’aveva tormentata senza tregua e ogni giorno della sua vita per lunghissimo tempo, l’aveva avvertita viscida e dolorosa ogni volta che lavandosi era costretta a guardare il suo corpo, ogni volta che aveva dovuto indossare le fasce. A volte le aveva messe tanto strette,quasi come per punire quella parte del suo corpo così femminile, così debole e sgradita, da farsi male fin quasi a privarsi del respiro. Come se stringere tanto potesse permettere a quella parte del suo corpo di sparire. Per non parlare di quando le fu chiaro che era nata donna e che mai avrebbe potuto cambiare le cose, quel giorno il generale le aveva addirittura bruciato gli indumenti che recavano quella traccia nitida e scarlatta, le aveva detto di non parlarne con nessuno. L’aveva quasi fatta affogare con la testa nella vasca colma d’acqua recante il suo sangue. Quei ricordi le facevano male, troppo forse. Si sentiva presa in giro, una vita passata a negare la sua natura, a vivere l’attrazione per Fersen con vergogna, e ora la voleva donna. Era stato anche tanto spregevole da mettere in dubbio la scelta fatta tra lei e sua sorella Camille, di un anno più grande, tanto da farla sentire un essere senza un’identità.
Stavolta non si sarebbe lasciata ingannare, era stanca di fare il suo gioco di sottomissione e al contempo desiderava vedere il volto di suo padre accendersi d’orgoglio, non glielo avrebbe mai detto ma era così.
“Padre, perché ora? Perché non prima? Perché io? Voi mi nascondete qualcosa, non c’è altra spiegazione…”
Il pugno che la colpì in pieno volto, lo sguardo furente e allarmato di suo padre avevano fugato il benché minimo dubbio. Aveva ragione. Lei non si sarebbe sposata, non senza aver scoperto prima la verità. Così, mentre il generale continuava a sbraitare lei corse via. Nella sua camera, aveva bisogno della calma ovattata del suo porto sicuro per riflettere. Avrebbe voluto parlarne con André. La violenza con la quale quel pensiero le si stagliò nella mente le lasciò il fiato corto, l’idea di sposarsi con quel Moore mai visto ora le procurava un sentore di soffocamento. Le parole pronunciate da André poche ore prima le rimbombarono nelle orecchie “Stavolta l’uniforme non ti servirà come scusa, con me non è mai servita” André che l’aveva sempre vista non come un uomo, come donna sì, ma soprattutto come Oscar e basta. Lui aveva visto davvero tutto di lei e pur vedendo quanto fosse complicata, alle volte violenta nelle reazioni, altre lunatica o rude e scostante, le era rimasto accanto. E allora perché ora si prendeva gioco di lei con quella storia della gelosia? E perché andava a sollazzarsi tra bordelli e bottiglie con Alain? La cosa che non capiva più di tutte, però, era il suo volersi interessare così tanto all’amico di sempre, che Alain avesse ragione? Che si sentisse privata delle attenzioni esclusive che André le aveva sempre riservato? O c’era di più? Come faceva saperlo? Per ora l’unica certezza risiedeva nel fatto che André non avrebbe dovuto sapere di quel matrimonio, anche se il desiderio di parlarne con lui era forte. Un confronto era quello che le ci voleva, solo lui poteva offrirglielo. Con le membra spossate da quella giornata degna dell’ “Odissea”, l’inquietudine ad agitarsi nello stomaco e l’elettricità provocatale nello strato sottostante la pelle, si rigirò ancora un po’ in quel letto improvvisamente inospitale e si addormentò.
                                                                                §§§
In una distinta locanda, quella stessa sera, poco lontano da palazzo de Jarjayes.
“Rebecca, come fai a essere così tranquilla? Non ti capisco, pensavo tu più di me bramassi la rovina di quell’uomo! Invece gli hai lasciato dettare le condizioni…”
Rebecca Moore si avvicinò a suo fratello e premendogli un dito sulle labbra disse “Oh, voi uomini non avete proprio pazienza. Se ho fatto ciò, non ti viene in mente che abbia un piano? Dimmi che ore sono, caro”.
Michael la scrutò profondamente scettico, gettò un’occhiata all’orologio alla sua destra e disse “Mezzanotte, perché?”
“Non dovrebbe mancare molto, è un uomo puntuale, a quanto dicono, non dovrebbe tardare. Per una volta la fama di nostro padre, in quanto uomo favorevole all’uguaglianza e il suo continuo impegno ci saranno utili. Tu non guardi troppo lontano dal tuo naso”- gli diede un colpetto sul naso e ridendo di fronte all’espressione spaesata dipinta sul volto del fratello, proseguì dicendo – “ho intrattenuto una corrispondenza molto utile, la persona che incontreremo a breve, ci porterà all’uomo che può aiutarci a portare a termine il nostro piano. Sono molto famosi, sai?”.
Rebecca Moore aveva appena pronunciato tali parole quando si sentì bussare delicatamente contro il legno della porta, sobbalzarono entrambi – “Che ti avevo detto?”- strizzò l’occhio al fratello ed andò ad aprire la porta, l’uomo che le stava davanti, non c’erano dubbi, era l’avvocato dei poveri : Maximilien de Robespierre. Indirizzarlo verso i loro scopi non sarebbe stato facile, l’uomo era contrario a spargimenti di sangue inutili, ma ci sarebbero riusciti.
“Rebecca Moore, è corretto, madame?”- Rebecca studiò con fare civettuolo il nuovo venuto e disse – “Sì, signore, piacere di conoscervi”- tese una affussolata manina in direzione dell’uomo, il quale si protrasse in un elegante baciamano, troppo facile, si disse Rebecca. Agli uomini bastava un ammasso di belle membra per capitolare, escluso suo fratello, detestava l’intero genere maschile –“Il piacere è mio, con tutto quello che vostro padre ha fatto per i più deboli e per la Francia nel corso degli anni, incontrarvi era il minimo che potessi fare”- detto questo, Robespierre tese educatamente la mano ad un Michael sempre più esterrefatto e velatamente geloso degli sguardi che intercorrevano tra i due. I tre si accomodarono su tre poltroncine di un verde infeltrito, attorno a un tavolo di legno su cui troneggiava una bottiglia di buon vino.
“Non che non sia felice di avervi incontrato, non scambiate la mia per maleducazione, è per semplice curiosità che ve lo chiedo: a cosa devo l’onore di questo incontro?”- Rebecca versò da bere ai due uomini e con tono vezzoso disse- “Ci servirebbe l’aiuto di un vostro caro amico il problema è che, a quanto sembra, non è un uomo molto avvicinabile e non nutre certo fiducia nelle donne. Anzi, per quanto ne sappiamo noi, le disprezza…”- Robespierre iniziò a sudare freddo, aveva capito quei due dove volevano andare a parare, si diede dello sciocco per non averci pensato prima. Interrompendo la giovane, disse con tono cupo –  “Saint-Just. A che vi serve? Per quanto possa conoscerlo e stimarlo, non condivido i suoi metodi... Se volete che interceda con lui, è un affare che richiede sangue. Non posso promettere nulla, prima ho il dovere morale di sapere chi deve scovare e perché. Credo capirete…” – Michael capì, finalmente il mistero si stava dipanando ai suoi occhi. Le tinte che la situazione stava assumendo erano sempre più fosche, certo il fine giustifica i mezzi, non potevano permettersi di sporcare le proprie mani con sangue tanto prezioso quanto corrotto e vile. La nobiltà era pur sempre la nobiltà, anche se la persona provvista di titolo era gretta, crudele e meschina. Oltre che viscida. Tutta la battaglia si sarebbe svolta su un campo minato, in equilibrio precario e con strategie non proprio cristalline. Fu lui a prendere la parola stavolta – “Si tratta di un forte oppositore alla giusta causa popolare. Conoscete il Duca Laurent – Maurice de Germain? Fratello dell’altrettanto rivoltante Henri – Sebastien de Germain…”- Robespierre si irrigidì. Era una pazzia, sapeva che Saint-Just non si sarebbe fatto problemi morali di alcun tipo, quei due erano sulla sua lista nera da tanto ormai. Anche se gli avessero chiesto uno solo dei due Duchi, lui di certo li avrebbe di buon grado uccisi entrambi. D’altro canto, immaginare la testa di una di quelle bestie su un piatto d’argento, procurò anche a lui un moto di piacere. Quasi fisico, poteva affermare. Con la voce arrochita dal desiderio di vedere quelle sanguinarie fantasie realizzarsi disse, contro ogni fibra del suo corpo e del suo animo di giustiziere – “Ragionate, non si può fare una cosa del genere! La monarchia sta decadendo, d’accordo, ma così facendo si verrebbe a creare uno scandalo di proporzioni maestose. Non nego che anche a me farebbe piacere vedere non uno ma tutti e due i duchi, esalare l’ultimo respiro… Oh, basta così. Non si può, è protetto nella sua torre d’avorio… Avete idea di quanto sarebbe difficile e rischioso?”.
Rebecca puntò i propri occhi in quelli di Robespierre e col tono più candido che riuscì a trovare replicò “Ma non vogliamo ucciderlo, ci serve un rapimento. Dobbiamo sapere delle cose da lui, cose che nessuno sa e che certo egli non confiderebbe in maniera spontanea. Vi proponiamo un accordo: voi ce lo portate e ce lo fate interrogare, successivamente potrete tenerlo con voi in cambio di un consistente riscatto. La rivoluzione è alle porte, per combattere e difendersi c’è bisogno di armi e solo così potrete ottenerle. Il Duca, suo fratello, di certo non si farà scrupolo a piegarsi se la posta in gioco è così alta. Vi do la mia parola, lo giuro sulla memoria del nostro venerato e rispettabile padre. Michael è d’accordo con me, voi che ne dite?”.
Nessuno di loro poteva prevedere le conseguenze che quel patto avrebbe implicato, Robespierre aveva un brutto presentimento che lo tormentava, alla fine, spinto dalla necessità, cedette.
                                                              §§§
Palazzo Jarjayes, giorno successivo, stanza di André Grandier.
Il generale lo fissava con aria apprensiva, gli aveva appena chiesto di seguirlo in giardino per parlare tranquillamente, aveva urgenza di interloquire con lui. André non ne conosceva il motivo, ma era certo non fosse nulla di buono. Il pensiero corse ad Oscar.
 



Spazio dell'autrice.
Questo capitolo è forse un po' noiosetto, me ne rendo conto. Pazientate! Il mistero si infittisce e la situazione si complica ulteriormente.
N.B. Il fratello del duca de Germain è chiaramente fittizio e già uno è troppo, figurarsi due! Ma la storia necessita di lui, vedrete.
Io vi ringrazio per il sostegno mostratomi a distanza di quasi un anno, bentrovate alle pazientissime lettrici di vecchia data e un caloroso benvenuto alle nuove!
Un grazie anche alle venti persone che mi seguono e alle due che mi hanno inserito nei preferiti, è bello sapere tanto apprezzamento.
Alla prossima, care madamigelle! ;)
  
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