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Autore: Cheche    14/07/2013    2 recensioni
Nella città in cui ha inizio la nostra storia abitano i membri di una band famosa sulla scena internazionale. Il nome del complesso è Some Dirty Secrets, un nome capace di attirare l'attenzione. Ma i 'segreti sporchi' non riguardano solo i tre affascinanti componenti del gruppo, ma anche quelle vite che si intrecciano inevitabilmente con le loro.
Comicità, dramma e vita di tutti i giorni coesistono in questa storia; come nella realtà. O forse no?
[Personaggi e Shipping a sorpresa] [Massiccia presenza di AU e OOC!]
Genere: Comico, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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Capitolo 2 – Inizio e fine di una favola: perché le sfighe non vengono mai da sole

 
 
 
 
Domenica. Red si rigirava la parola nella mente, trovando che avesse uno splendido suono. Domenica, il giorno del concerto. Poteva forse esistere un dì più bello? Avrebbe persino potuto vedere se i Some Dirty Secrets avevano i peli sotto le ascelle – oh, beh, in fin dei conti quel dettaglio non gli interessava, certo.
Peccato che l’unica nota stonata di quella faccenda fosse la presenza dei due strambi. Stava proprio aspettando che uno di loro si presentasse in aula per iniziare la sua noiosissima lezione di Storia dell’Arte Antica, quando vide entrare qualcuno di più interessante. Un gruppo ben nutrito di ragazze strepitanti e vocianti si ammucchiavano intorno ad un ragazzo che si trovava in mezzo a loro; le loro presenze celavano la sua sagoma. Udiva elevarsi dalla piccola folla frasi del tipo ‘quanto sei bello!’ oppure ‘facciamoci una foto!’.
Chi diamine può essere tanto figo da avere un gruppo di fangirl che gli si accalcano attorno?, pensava Red, tentando invano di scorgere in mezzo alla folla il fulcro di tanta attenzione da parte del gentil sesso. Neppure io ho mai avuto delle fan così accanite! Come al solito la bassa autostima non era un problema per il ragazzo, che evidentemente non riusciva a capire perché non fosse così tanto amato.
Non dovette attendere troppi minuti perché vedesse la folla diradarsi: il professore era in prossimità dell’aula, evidentemente. Ciò che vide lo lasciò un po’ deluso. Senza dubbio si trattava di un ragazzo piuttosto – d’accordo, molto – carino, con luminosi occhi verdi incastonati su un viso privo di imperfezioni e capelli castano chiaro dall’acconciatura assolutamente cool – gli ricordava qualcuno, forse qualche musicista. Però non vedeva per quale motivo un giovanotto del genere – e d’accordo che sembrava un modello e pareva brillare di luce propria come un vip del mondo dello spettacolo – dovesse essere così tormentato da gruppi di fangirl. Era un ragazzo come gli altri, no?
Naturalmente il belloccio si sedette vicino a lui, trovando il posto accanto a Red ancora vuoto. Lo guardò in viso e assunse un’espressione sollevata. E’ perché non sono una ragazza urlante, pensò il diciannovenne, scrutandolo e meravigliandosi di quanto fosse intrigante e profondo quel suo sguardo un po’ smarrito.
Fu in quel momento che lo riconobbe. Dovette darsi dello stupido mentalmente dieci volte, mentre il suo cuore emozionato perdeva diversi battiti.
Green Oak?” Riuscì ad esalare, con un filo di voce. Davanti a lui c’era il bassista dei Some Dirty Secrets. L’unico ed originale, non un suo imitatore. Ed era un suo compagno di corso. Perché un ragazzo ricco come lui frequentava l’Università in mezzo a tanti giovani di media estrazione sociale?
“Ah, mi hai riconosciuto anche tu…” Disse il ragazzo con aria stanca, confermando i pensieri di Red. “Dici che dovrei travestirmi?” Sorrise debolmente.
“Perché? Non ti fa piacere avere l’attenzione di tutti?” Rispose Red incredulo, col cuore che gli sobbalzava in gola. Stava parlando col suo bassista preferito e questo gli aveva addirittura sorriso. Aveva sempre ritenuto che i vip fossero inavvicinabili, ma Green si stava dimostrando cordiale, comportandosi come avrebbe fatto al suo posto qualunque altro coetaneo dotato di buon carattere.
“All’inizio naturalmente sì, ma dopo un po’ diventa stancante non potersi muovere. Quando la gente ti riconosce è un incubo.” Affermò. “Si risolve sempre con una fuga a gambe levate. Sembra di stare in un film.”
Red ridacchiò, immaginando Green in tutto il suo splendore intento a correre come un treno, ansimando e sudando con un’umanità che non gli aveva mai attribuito prima di allora.
Sentendo il riso divertito del ragazzo, anche il bassista ne fu contagiato, mostrando al compagno due file di denti bianchissimi. L’altro non poté impedirsi di pensare con invidia a quanto quel sorriso sembrasse irreale, tanto pareva uscito dalle pubblicità di qualche dentifricio. Per quanto Red avesse sempre tenuto alla propria igiene orale, non aveva mai avuto una risata così abbagliante.
Anche se il professor Sootopolis si era ormai sistemato alla cattedra e stava accendendo il microfono per farsi udire da tutti gli studenti presenti, il diciannovenne non ci aveva fatto caso. Pensava, in un momento di improvvisa ed insolita sfiducia in se stesso, a che rapporto potesse avere un ragazzo tanto bello con Blue, la donna dei suoi sogni proibiti. Era scontato che si conoscessero bene, dal momento che lavoravano insieme, ma lui sembrava molto più adatto a quella giovane artista tanto divina di quanto lo fosse Red.
Per un istante fu quasi sul punto di chiedere a Green cosa pensasse della cantante, quando la voce stentorea del professore interruppe i suoi pensieri e lo costrinse a guardare in sua direzione. Era solo in seconda fila, doveva almeno far finta di prestargli attenzione.
“Dunque… ora chiamerò in ordine alfabetico gli studenti che devono ancora effettuare l’iscrizione all’esonero.” Dichiarò Sootopolis, squadrando il foglio che teneva tra le mani ingioiellate.
Cominciò a declamare i vari nomi, mentre Red si accorgeva dell’irrigidimento improvviso di Green accanto a lui: diventava sempre più pallido col trascorrere dei secondi.
Dopo aver fatto firmare il foglio ad un certo numero di studenti presenti, il docente si bloccò, improvvisamente teso. Il bassista alzò gli occhi al cielo, percependo cosa sarebbe successo. “Oak… Green?” Mormorò Sootopolis con voce meno tonante, a corto di fiato. Eppure, complice il microfono, tutti i presenti udirono quell’appello sommesso. Numerosi borbottii si elevarono dalla folla degli studenti, mentre Green si alzava in piedi suscitando diversi gridolini di eccitazione. A testa bassa ma con dignità si avviò verso la cattedra, alla quale era seduto un Sootopolis intento ad osservarlo con tanto di bocca aperta ed occhi spiritati, da pesce lesso.
“Una firma… qui…” Balbettò il docente, indicando un punto casuale del modulo che aveva sottomano. Non riusciva proprio a focalizzarsi sulla ricerca della casella in cui Green avrebbe dovuto apporre la propria sottoscrizione, tanto era intento a scrutargli il viso con sguardo ebete.
Il giovane, al colmo della rassegnazione, rintracciò il riquadro da sé e si stava già apprestando a tornare al proprio posto dopo aver firmato, quando Sootopolis soggiunse qualcosa. “E aggiunga una firma anche… qui.” Disse, estraendo dalla propria borsa un blocco note già pronto nella propria pagina bianca.
Il ragazzo sospirò, prima di rilasciare il prezioso autografo al professore che lo rimandò al posto con un sorriso trionfante, seguendolo qualche secondo con lo sguardo mentre tornava a sedersi attirando inevitabilmente l’attenzione di tutti i presenti.
“E’ stata una follia quella di iscrivermi all’Università.” Soffiò Green esasperato, rivolgendosi a Red.
Quest’ultimo cominciava a comprendere gli svantaggi della troppa popolarità. Proprio in quel momento ne stava ricevendo un velenoso assaggio anche lui, percependo diverse occhiate perforatrici trafiggerlo da ogni angolo dell’aula. Gli studenti erano mortalmente invidiosi del fatto che Green gli stesse rivolgendo la parola come se niente fosse. Il diciannovenne si sentiva davvero l’individuo più fortunato del mondo.
“Però tutte queste persone sono contente di averti incontrato.” Lo rassicurò Red. Le sue parole sortirono un effetto benefico su Green, che recuperò gran parte del proprio colorito – forse troppo, tanto che allo studente parve più roseo di prima.
“Come ti chiami?” Chiese compostamente il bassista, spinto da qualche impulso improvviso.
“Red.” Rispose il ragazzo, contento di cogliere almeno un riflesso del proprio interesse negli occhi verdi del musicista. “Sono un vostro grande fan.”
“Ne sono contento.” Disse Green sincero, ma senza scomporsi più di tanto.
“Ma voi non suonate per la gloria e per il denaro?” Chiese sfacciatamente Red, non riuscendo a trattenere quella domanda. “Da ragazzino non hai imparato a suonare pensando di voler diventare famoso ed avere così tante donne ai tuoi piedi?”
Il bassista soffocò una risata e il coetaneo, accorgendosene, rimase in silenzio sentendosi quasi preso in giro. “Se avessi voluto queste cose, avrei fatto il modello.”
Il diciannovenne dovette convenire che tale ragionamento aveva un senso. Sicuramente, col fisico che Madre Natura gli aveva donato, non avrebbe affatto sfigurato sulla copertina di qualche rivista o su una passerella allestita per qualche evento d’alta moda.
“So che molti musicisti suonano per motivi frivoli.” Disse Red, che aveva visto sciogliersi molti gruppi che amava dopo il raggiungimento della notorietà internazionale.
“Sono musicisti che non compiono ricerche musicali, che si uniformano intenzionalmente al mercato sicuri di avere un successo facile. Io non li chiamerei ‘musicisti’ con tanta leggerezza.” Affermò Green. Nella sua voce morbida Red udì una nota di forte disprezzo. “Noi tre siamo buoni amici e abbiamo iniziato a suonare per divertirci e per far divertire la gente. Allo stesso tempo cerchiamo di essere più originali possibile. Ascoltiamo musica di genere diverso, abbiamo stili diversi e uniamo diverse influenze senza imitare nessun artista. Abbiamo fatto molti sforzi per arrivare dove siamo ora ed il successo è arrivato da solo, senza cercarlo. Però noi amiamo la musica, ci sarebbe anche bastato rimanere una band di nicchia, pur di continuare a suonare come abbiamo sempre fatto.”
Red rimase ammaliato da quelle parole tanto sincere. Se le avesse lette su un giornale come risposta a qualche intervista, le avrebbe considerate ipocrite e vuote. Invece a dirle era stato Green in persona, che gli aveva parlato con compostezza e decoro sebbene un leggero tremore della sua voce avesse tradito un’emozione autentica.
“Scusa per aver dubitato della tua passione per la musica.” Mormorò il diciannovenne.
“Figurati. Posso capire benissimo il tuo punto di vista.” Rispose Green, rimanendo un attimo in silenzio per sentire ciò che stava dicendo Sootopolis sui templi della Grecia Classica. “Non ho il libro. E’ la prima volta che vengo a lezione e non so quale testo bisogna prendere. Posso guardare dal tuo?”
“Certo!” Esclamò Red, contento di fargli un favore. Green non era una specie di dio come aveva sempre immaginato dovessero essere gli artisti, eppure era eccezionale nella sua semplicità. La bellezza e il carisma emanati dalla sua persona non lo rendevano altezzoso ed inavvicinabile.
“Grazie.” Disse Green, avvicinandosi al coetaneo e permettendogli di inalare un po’ del suo profumo acre, da uomo.
“Sta spiegando questo, penso.” Disse Red, indicando la fotografia di un tempio a pianta circolare. “Credo. Non ci capisco nulla. Non ho mai sopportato la Storia dell’Arte.”
Green alzò lo sguardo verso il ragazzo e soffocò un’altra risata stupita. “Sul serio? Neppure io.” Disse.
Red sorrise e notò che Sootopolis si stava impegnando più del solito per rendere interessante la lezione. Il suo tono era pomposo a dei livelli estremi – ciò lo rendeva ancora più insopportabile – e si sprecava a lodare le antiche opere d’arte come se gli studenti avessero dovuto obbligatoriamente concordare col suo parere. Era evidente che volesse far credere a Green – Green Oak in persona seguiva la sua lezione, incredibile! – di essere un professore molto capace e coinvolgente.
I due ragazzi passarono il resto della lezione a far finta di ascoltare e a scambiarsi frasi fugaci e commenti ironici sulle movenze e sui discorsi del docente.
Alla fine delle due ore – meno faticose del solito, a conti fatti – Red e Green si alzarono insieme, quasi in sincrono.
“Purtroppo devo tornare a casa di corsa, l’autobus parte tra pochi minuti.” Disse lo studente, maledicendosi per non aver chiesto un autografo e intristendosi perché il poco tempo passato col bassista dei SDS stava per volgere al termine. Però era sicuro che lo avrebbe rincontrato, sapendo che Green era matricola dello stesso corso di studi.
“Aspetta.” Esalò il musicista, spiazzando un poco Red. “Domenica diamo un concerto allo stadio. Vieni?”
“Eccome!”  Esclamò il diciannovenne entusiasta. “Ho già il biglietto. Per la prima fila per di più!”
Green sorrise quietamente, socchiudendo gli occhi dalle ciglia chiare. “Stavo per dartene uno io… Mi dispiace che tu l’abbia dovuto pagare.”
Red non disse nulla, vergognandosi non poco per la storia del Fanclub di Blue e di far parte dell’assurda schiera dei nerd fanatici che aveva ricevuto i biglietti gratuiti.
“Però almeno mi risparmio la sfuriata di Blue. Tiene un sacco ai soldi guadagnati con i biglietti e si arrabbia sempre se ne diamo qualcuno gratuitamente. Parla lei che proprio qualche giorno fa ha regalato un blocco intero di biglietti al suo Fanclub ufficiale!” Green ridacchiò, contagiando Red.
Quest’ultimo aveva avvertito un brivido nel sentire nominare la sua amata Blue e, allo stesso tempo, gli aveva fatto piacere scoprire che il suo idolo avesse dei difetti come tutti.
“Ti ringrazio! Ci vediamo presto.” Disse, facendo cenno di toccare col proprio pugno chiuso quello di Green, gesto che venne accolto con una certa prontezza dal suo nuovo e specialissimo amico.
Dopo averlo salutato, Red era sicuro che i fan dei SDS non avrebbero perso tempo ad accerchiare il povero Green. Per questo camminò senza voltarsi neanche un secondo verso il bassista.
Se lo avesse fatto, avrebbe notato che questi era rimasto immobile a seguirlo con lo sguardo, finché la sagoma del diciannovenne non era scomparsa lasciandosi la porta alle spalle.
 
La domenica era arrivata tra palpitazioni, canzoni urlate durante eccessi di euforia, conti alla rovescia delle ore, dei minuti, addirittura dei secondi. Red non era affatto consapevole di assomigliare ad una ragazzina che si prepara ad andare al concerto della sua boy band preferita, altrimenti avrebbe sicuramente smesso di comportarsi in quel modo. Si sentiva tanto orgogliosamente virile, lui; non avrebbe tollerato l’idea di avere qualcosa in comune con una sciocca fangirl.
L’ora x si stava avvicinando inesorabilmente e Red, ritrovatosi a tavola per cena, si affrettava a ingurgitare in fretta il piatto di ottimi ravioli che la mamma gli aveva preparato con tutto il suo amore. Quest’ultima non poté impedire a se stessa di sentirsi preoccupata, osservando l’adorato figliolo mentre inghiottiva senza quasi masticare massicci quantitativi di pasta ancora fumante.
“Tesoro caro, ma… non ti scotti la lingua, così?” Domandò apprensiva. “E rischi anche di strozzarti…”
“Nof fi preoccufare, hamma.” Borbottò allegramente Red, con la bocca strabordante di cibo.
“Ma dovresti mangiare piano… il concerto è tra un’ora e mezza…” Commentò ragionevolmente la donna. “Oltretutto non avrai difficoltà a scegliere cosa metterti. Ti ho già stirato quell’adorabile camicetta viola coi pinguini…”
Hamma!” Sbottò contrariato Red, per nulla intenzionato ad indossare un indumento tanto inappropriato per recarsi ad un concerto di crudo rock.
“Io non vorrei lasciarti andare. So che bevono tanti alcolici e che circolano droghe di ogni genere…” Mormorò la madre in tono mesto, esprimendo preoccupazioni lecite.
“Cara, dovresti lasciare che Red viva un po’ di più la sua vita.” Si intromise il marito, distogliendo momentaneamente lo sguardo dal televisore – evento rarissimo, tanto che sia la moglie sia il figlio si ritrovarono a chiedersi se il mondo stesse per giungere alla sua fine. “Ormai ha quasi vent’anni e dovresti sapere che è un ragazzo molto responsabile e misurato. Senza contare che è anche molto più maturo dei suoi coetanei.” Chiunque avrebbe potuto dissentire da tali commenti del tutto errati sulla personalità del giovane in questione, ma quest’ultimo ci credette senz’altro e si sentì gonfiare il cuore d’orgoglio nell’udirsi lodare tanto dal padre.
“Ma…” La madre provò a ribattere e a nulla servì quel suo disperato tentativo.
“Niente ‘ma’. Ora, Red, vai a prepararti e indossa quello che vuoi. Non preoccuparti e goditi la serata, ragazzo mio.”
“Grazie, papà!” Esclamò in risposta Red dopo aver ingoiato l’ultimo ammasso di cibo, sorridendogli radioso e fiondandosi su per le scale senza neppure degnarsi di riportare piatto e bicchiere in cucina.
Ritrovatosi tra le mura tappezzate di poster della propria stanza, Red diede inizio alla propria vestizione tramite gesti sognanti e distratti. I suoi occhi castani, dalla sfumatura cremisi che tanto lo inorgogliva, erano vacui e nuovamente persi in quei mondi alternativi nei quali si isolava spesso con la propria galoppante immaginazione.
Si accorse quasi per miracolo di aver infilato la maglietta al contrario e di aver confuso lo scialle per una cintura da annodarsi all’altezza della vita. Sistemò il tutto decidendo infine di guardarsi prestando maggiore attenzione alla propria figura.
“Niente male.” Commentò, rivolgendosi al riflesso del proprio viso allo specchio. “Forse Blue mi noterà, dato che sarò anche in prima fila.” E magari avrebbe potuto anche ignorare la sua assurda pettinatura: quella zazzera di capelli corvini sembrava essere stata sconvolta dall’esplosione di una bomba.
Red non si preoccupava troppo della sua chioma. Era anzi convinto che, pettinando poco le ciocche ribelli, la sua espressione sarebbe risultata più selvaggia e maschia, da stallone.
Commise inconsapevolmente un errore grossolano inondando il proprio collo di un profumo muschiato. Se si considerava uno stallone, avrebbe dovuto lasciar prevalere il salato effluvio del sudore, lasciando così che il testosterone manifestasse la sua presenza.
Ma Red, tanto per cambiare, si considerava assolutamente impeccabile. Si percepiva ancora tale mentre varcava il portone del condominio, tanto che per qualche istante credette che la gente radunata per i Some Dirty Secrets fosse lì per lui. Ovviamente nessuno lo stava degnando di uno sguardo; la concentrazione di tutti era focalizzata sul palcoscenico ancora vuoto.
Red, ristabilendo i contatti con la realtà, si fece strada in mezzo alla folla, agitando vanamente il proprio biglietto verso l’alto come se tutti fossero interessati a leggere il numero del suo posto. Gli odori dei corpi che sfregavano contro il suo durante la traversata intaccarono inevitabilmente il profumo che lo impregnava.
Giunto finalmente in prossimità del palco, i primi occhi che incontrò furono quelli di Pino, celati dietro ad occhiali dalla montatura ancora più sgargiante ed esagerata del solito – in quella parziale oscurità era difficile confermarlo, ma il diciannovenne avrebbe detto che fossero gialli leopardati di viola, mentre sulle stecche campeggiava un arancione fluorescente costellato di piccole spirali bluette. Osservando distrattamente il resto del vestiario del più anziano, la domanda che sorgeva nella mente di Red era, dopotutto, assai lecita. Ma quella robaccia che indossa è fatta su misura per Pino? Perché in nessun negozio di abbigliamento ho mai visto nulla di così pacchiano e orrendo. Uno stupro per i poveri occhi di chiunque lo guardi.
Adriano Sootopolis si accorse della presenza dello studente, ma non lo degnò di un saluto. Continuò imperterrito a fissare il palco con aria fintamente concentrata, aspirando fumo da uno dei suoi insopportabili sigari vanigliati. Sicuramente la folla alle sue spalle avrebbe avuto da ridire su quel tanfo dolciastro e appiccicoso, pensò Red. In realtà era abbastanza intontita dall’alcol da non accorgersene o da pensare semplicemente che quello potesse essere l’odore di spinelli e affini.
“Mahogany.” Iniziò Red, non riuscendo quasi a capacitarsi di star rivolgendo la parola a Pino. “Perché indossi quegli occhiali?” Nella sua voce si udiva una nota di serio turbamento.
“Me li sono fatti fare su misura, secondo le mie richieste.” Dichiarò orgogliosamente l’altro, mettendo da parte la sua nota misantropia, ben contento di rispondere ad una domanda che giudicava tanto interessante. “Li ho pensati appositamente per omaggiare il lato più pop delle canzoni dei Some Dirty Secrets!”
Fu questa la conferma dei sospetti di Red: quel tipo si faceva fare la sua robaccia su misura. Forse si considerava un alternativo, un genialoide, un individuo al di fuori della massa. E sì, lo era; peccato che assomigliasse ad un pagliaccio. Ma insomma, i suoi genitori non dicevano niente ad un figlio che usciva abbigliato in quella maniera? O magari dissimulavano con gli altri i loro legami di parentela, fingendo di non conoscere il ragazzo che avevano cresciuto – secondo Red – in maniera alquanto discutibile?
Era davvero un’offesa alle canzoni pop del gruppo, visto che erano decisamente più suggestive di quell’orribile aggeggio che il ventiduenne si era messo sul naso. Red era pronto a dar voce ai propri pensieri con la sua naturale schiettezza, quando d’un tratto le luci si fecero più soffuse e la musica di riempimento abbassò il proprio volume fino a scemare completamente.
La folla vociante si placò e gli occhi di Sootopolis, che mai si erano staccati dal palco, presero improvvisamente a brillare di una malcelata commozione. Red e Pino smisero di guardarsi, voltandosi lentamente verso il palco che, sebbene fosse ancora vuoto, attirò la loro attenzione come un grande ed irresistibile magnete.
Per poco tempo, tutto fu inghiottito dall’oscurità. Nessuno però ne fu spaventato, dato che la concentrazione del pubblico era focalizzata nell’attesa. Essa si rivelò breve: la batteria cominciò a far udire i suoni della percussione, fin da subito rapidi. Ruppero il silenzio, crudi, veri, non registrati. C’era davvero qualcuno a produrre quei battiti e il pubblico trattenne il fiato, consapevole dell’identità di chi stesse impugnando le bacchette in quel momento.
A Red parve che seguisse lo stesso ritmo martellante del suo cuore, mentre un riflettore inondava di delicata luce il batterista, il cui volto era celato da un velo di lunghi capelli rossi.
“Silver!”
Dalla folla emersero delle grida di incoraggiamento per il giovanissimo percussionista, appena sedicenne e già tanto apprezzato per il ritmo e l’energia che infondeva nei suoi assoli.
“Silver!”
Red non era in grado di unirsi alle voci altrui, né si accorse dei fischi di apprezzamento di Pino. Era troppo ammutolito dall’innocente e pura emozione che lo teneva ancorato al punto in cui si trovava, in quei primi e densissimi secondi del concerto.
Con l’assolo di batteria si fuse il basso di Green. Sempre perfetto, impeccabile, preciso come un coltello che affonda tra due costole ed altrettanto incisivo. Il musicista era splendido sotto la luce dorata dei riflettori. Visto da sotto il palco, sembrava una creatura celeste, sebbene Red fosse consapevole della sua umanità. Si sentiva un privilegiato nel conoscere quel lato di uno dei suoi idoli.
Gli occhi cominciarono, già da quel momento, ad inumidirsi di commozione. Avrebbe voluto riservare quelle lacrime sincere per l’apparizione della sua adorata Blue, ma non era riuscito a trattenerle. Stava già piangendo.
E Blue, infine, apparve in un’esplosione di colore. Pare inutile spiegare quanto fosse meravigliosa, quanto fosse infinitamente più bella di come Red avesse immaginato guardandola sui poster e sulle copertine delle riviste, quanto fossero attraenti quelle lunghe dita, bianche e affusolate, che pizzicavano grintosamente le corde della chitarra. I suoi capelli castani riflettevano le luci variopinte, i suoi occhi erano talmente azzurri che il loro colore poteva essere distinto da lunga distanza.
La sua musica tradiva sensualità, il modo in cui si muoveva sul palco lasciava scoprire agli spettatori il suo mondo. Si poteva intuire il travaglio vissuto nell’infanzia, i fantasmi che ancora la perseguitavano in quel leggero tremito della sua voce emozionale e, al contempo, versatile e ricca di sfumature.
“Angelo dalle ali bianche e rosse
Chi ti ha inflitto quelle ferite?
Angelo dalle piume spezzate
Protendi una mano e rassicura
Che dal Paradiso non si può cadere”
Era una canzone che Red conosceva a memoria. Nei momenti in cui si soffermava a riflettere sulle sue parole, provava l’illusione di sentirsi più adulto, rivivendo il suo percorso come il nastro di un film. Quella musica ne era la colonna sonora.
“Nascondendo il tuo sangue
Nascondendo le tue lacrime
Compirai il tuo ultimo sacrificio
Allora mostra il tuo sorriso
Anche se falso, noi crederemo”
La voce di Blue oscillava leggermente nelle note più basse. Non era tecnicamente perfetta: si percepiva che la ragazza non aveva mai preso lezioni di canto. Eppure, mentre il suo tono su disco era corretto e fermo, dal vivo provocava a Red centinaia di brividi in più, con tutte quelle oscillazioni emozionate, quelle regole sconosciute che venivano infrante dal suo modo di vocalizzare, lasciandola libera di esprimersi senza il timore di sbagliare ad incatenarla.
Le canzoni si susseguivano, le parole sfioravano i temi più svariati, permeate di una malinconia a volte più contenuta e altre incontenibile. Nessuno si soffermava più, però, a rifletterci. Il pubblico si muoveva e cantava insieme a Blue, come sotto l’effetto di un’ipnosi che lasciava intatte solo le emozioni da tutti loro condivise.
Red si dimenticò delle sgradevoli compagnie – Mahogany e Sootopolis – che ora dovevano trovarsi in uno stato di commozione simile al suo. Sentì la folla premere e avvicinarsi al palco, sollevando le braccia verso i tre divi. Il diciannovenne, ancora sotto l’incantesimo della musica del vivo, si lasciò sospingere dalla corrente umana.
Vide Green dischiudere gli occhi. L’assolo finale della canzone che stava eseguendo spettava alla chitarra e alla batteria. Mentre il suono del suo basso andava spegnendosi, gli occhi smeraldo incontrarono quelli cremisi dell’altro, in quel momento arrossati anche dal felice pianto che avevano versato. Un sorriso affiorò sui loro volti e Red non si imbarazzò di farsi vedere in lacrime. Non le asciugò; le esibì e Green seppe che valevano immensamente di più di un lungo applauso.
L’ultima canzone partì, incalzante. Era il loro brano più allegro, quello che Red ascoltava ogni mattina prima di recarsi all’Università per darsi la forza e l’energia necessarie per affrontare la lunga giornata che lo attendeva.
“Siamo pronti, aspettiamo un segnale
Che sia fumo, che sia fuoco, che sia acqua
Gelida o geyser, tutto sarà perfetto
Per danzare in cima al mondo”
I corpi delle persone lì radunate iniziarono inavvertitamente a sfregarsi, inconsapevoli. Tutti stavano attendendo quel brano per poter liberare le ultime energie rimaste nei loro corpi. Per l’occasione qualcuno aveva anche approntato un tributo al tema della canzone, il cui testo si soffermava spesso sull’acqua: enormi gavettoni tremolanti come budini, contenenti abbastanza liquido da riempire un secchio. Le bombe idriche erano pronte per essere scagliate sulla folla, con l’intento movimentarla maggiormente.
“Diamo inizio a questa festa dove
Spumeggeremo come bolle impazzite
Sono forse troppo fuori
Sono forse troppo fuori di testa
Voglio toccare il cielo lasciandomi sospingere
Se poi cadendo mi ferirò non mi interessa:
Perché vedrò cosa c’è sopra le nuvole”
Red parve risvegliarsi d’un tratto, trovandosi zuppo di acqua gelida che grondava dai suoi vestiti e che sembrava volerlo penetrare fino a raggiungergli le ossa. Sgranò gli occhi allarmato, accorgendosi della sua posizione, delle mani appesantite dalla bigiotteria variopinta di Pino e di quelle ingioiellate d’oro e d’argento di Sootopolis che, insieme, lo afferravano innalzandolo al di sopra della folla.
Tremante, si vide esposto alle correnti d’aria, ma osservò con sollievo che non era l’unico ad essere stato issato al di sopra del pubblico.
Eppure quelle braccia forti e prepotenti lo stavano pericolosamente avvicinando al palco e Blue era sempre più vicina. Infine lei, senza smettere di cantare, lo guardò. Red pensò di morire di gioia e credette che il suo cuore si fosse fermato. Quello sguardo azzurro, in quegli istanti, sarebbe stato solamente per lui: doveva goderne, viverlo.
La vide improvvisamente abbassare gli occhi, mentre le gote della ragazza si velavano di rosso.
Ho fatto colpo! Red, issato di peso, continuò a fissarla con un’espressione paragonabile a quella di un baccalà fritto. Io… HO FATTO COLPO!
La sua mente urlava di gioia e dichiarava, euforica, che quello era un giorno fottutamente bello. Il più fottutamente bello dei suoi diciannove anni di vita.
Ma gli abiti di Red, pregni d’acqua, erano scivolosi. La presa dei compagni sui suoi pantaloni non perdurò, portandolo a capitombolare pesantemente sul palco. Per attutire la caduta, la mani del giovane si aggrapparono all’aria, accontentandosi di ciò che trovarono, ovvero un lembo di stoffa asciutta.
Blue fu rapida a smettere di cantare per impedire che Red le abbassasse la gonna di fronte a quella platea di occhi curiosi. Sforzando l’autocontrollo, riuscì a reprimere lo strillo prossimo ad affiorare sulle labbra coperte da diversi strati di lucido.
Tuttavia fu costretta a sospendere la canzone, smettendo di suonare. Neppure Silver e Green riuscirono ad evitare di troncare l’esecuzione del pezzo, ora deconcentrati e attratti dalla strana scena che si stava svolgendo sotto i loro sguardi. Quello del bassista rimase fisso allo stadio iniziale di meraviglia e sconcerto, mentre le iridi argentate del batterista iniziarono ben presto a lampeggiare metallicamente di furore.
Dopo qualche mormorio dispiaciuto per l’interruzione forzata della canzone e numerose proteste verso le misure di sicurezza adottate da coloro che avevano allestito l’evento, finalmente il pubblico concesse attenzione a Red.
“Un maniaco ha aggredito Blue!”Lo additarono. Al diciannovenne sembrò che quelle voci provenissero direttamente da una bolgia dell’Inferno dantesco.
“Un maniaco! Non indossa neppure le mutande!”Strillarono alcuni, costringendo Red ad accorgersi di un dettaglio al quale non aveva fatto caso, o forse del quale non aveva voluto accorgersi: i pantaloni fradici aderivano alle gambe e all’inguine, lasciando intuire chiaramente i contorni dei suoi gioielli di famiglia.
Vuoi vedere che… vuoi vedere che è per questo che Blue è arrossita, poco fa?
Red avvampò come il suo idolo aveva fatto poco prima e pareva rimpicciolirsi ogni volta che un commento umiliante da parte del pubblico raggiungeva i suoi timpani frastornati. Come aveva potuto pensare che quello fosse il giorno più bello della sua vita, quando in realtà era il più terribile?
Mentre il concerto sfumava, i riflettori estinguevano lentamente le loro luci e il pubblico fischiava contrariato, persino Pino e Adriano provarono un acuto senso di dispiacere nei confronti di Red, addirittura più penetrante del rammarico per aver assistito al primo immeritato fiasco del loro gruppo preferito.
Pensarono dunque, poco coraggiosamente, di abbandonare il luogo prima che l’involontario uccisore della serata li trovasse.
Mentre Adriano saliva sulla propria Porsche ignorando Pino che implorava affinché gli fosse concesso un passaggio – la sua automobile era misteriosamente esplosa nel parcheggio davanti casa sua qualche giorno prima -, pensò che forse un bel trenta regalato nella sua materia avrebbe potuto placare la prevedibile ira di Red.
 
Non ricordava come fosse finito sotto il palco con un grande telo da spiaggia ad avvolgere la sua figura zuppa dalla testa ai piedi. I colori del grande panno lo rendevano simile ad un paralume, ma in quel momento le sue apparenze non gli interessavano affatto. Qualunque azione avrebbe deciso di compiere, non sarebbe potuto cadere più in basso di quanto non avesse già fatto.
I riflettori erano spenti e, ad illuminare pallidamente l’ambiente, erano state poste alcune sinistre luci al neon. Tuttavia Red si sentiva troppo esausto per interessarsi alla loro provenienza. Percepiva il freddo perforare il telo e i vestiti bagnati che portava indosso e avrebbe voluto tornare a casa, ma un uomo dalla divisa professionale, probabilmente il manager della band, gli aveva intimato di rimanere lì.
In quell’attesa, ricordò il modo in cui l’espressione sconvolta di Green si era venata di una cocente delusione, mentre le luci colorate del concerto scemavano intorno a loro.
Blue, invece, aveva mostrato un viso orribilmente digrignato nello sforzo di trattenere le lacrime. Inutile dire che in quel momento non si potesse definire la personificazione della bellezza, come Red l’aveva sempre considerata.
Ma la reazione più preoccupante era stata quella di Silver. Red, avendo udito un ringhio sommesso provenire dalla direzione del batterista, aveva rivolto verso di lui il viso imporporato di vergogna, scoprendo che la faccia del musicista sedicenne era ancora più rossa e i suoi occhi saettavano d’ira funesta.
In quel momento Red, intento ad attendere chissà cosa, non si sarebbe mai azzardato a pensare che le intenzioni della giovane celebrità, che ora incedeva verso di lui, fossero quelle di stringergli la mano e di regalargli un autografo sorridendo.
L’espressione che troneggiava ora sul viso di Silver non era in alcun modo diversa da quella che gli aveva indirizzato poco prima sul palco. Era anzi maggiormente soddisfatta, avendo sotto tiro quello sfortunato impiastro sul quale sfogare comodamente le proprie ire.
Red aveva sperato, in passato, di incontrare l’ammirato percussionista in qualche frangente più gradevole, magari facendo conoscenza comodamente seduti sugli sgabelli di un bar, sorseggiando bibite e ciarlando in tono amabile circa argomenti musicali.
Leggendo interviste e seguendo la cronaca mondana, il diciannovenne aveva sempre saputo che Silver non era un personaggio da inimicarsi, essendo noto per il proprio carattere bellicoso, diretto e privo di scrupoli, che non si faceva intimorire da uomini decisamente più alti e poderosi di lui, se questi dimostravano di meritare le sue percosse.
Tornando a quel momento, Silver si era fermato davanti a Red, il volto adombrato sfacciatamente fermo a pochi centimetri da quello del più anziano. La loro altezza era simile e il ragazzo più giovane non sembrava molto vigoroso, ma il diciannovenne sospettava che l’aspetto dell’altro fosse un lampante esempio di ingannevolezza.
Il musicista tacque per ascoltare compiaciuto la deglutizione spaventata del pallido Red, che per un attimo ebbe la sensazione di veder sorgere sul viso contrito del suo antagonista un ghignetto di scherno.
“Scommetto che non hai ancora compreso la gravità del danno!” Tuonò improvvisamente  con una voce che Red, fino a quel momento, aveva udito solamente durante le interviste. Silver era il classico giovanotto tenebroso che non emetteva fiato se non ne avvertiva l’impellente necessità. Se ora gli stava rivolgendo la parola, significava evidentemente che aveva qualcosa di fondamentale da comunicargli.
Il diciannovenne aveva la sensazione di sapere quali motivazioni spingessero il batterista ad apostrofarlo in maniera minacciosa. Doveva trattarsi sicuramente del fallimento del concerto – che secondo Red poteva comunque essere continuato, ma così non era stato. Tuttavia, le parole successive di Silver distrussero impietosamente le sue convinzioni, portandolo a dischiudere debolmente la bocca come manifestazione di forte stupore.
“Hai aggredito Blue, coglione. Nessuno si può permettere di toccarla, non finché ci sarò io!” Ruggì in faccia a Red, che si sentì raggelare tempie e guance.
L’interesse di Silver nei confronti della riuscita del concerto era relativo. Ciò che per lui era più impellente era la frontgirl Blue, la loro bellissima diva. Perché teneva così tanto a lei?
“Solo io posso permettermi di sfiorarla, tienilo bene a mente!” La voce del batterista risuonò come un sibilo crescente che si insinuò nei timpani della vittima e mostrò il suo significato nella sua terribile chiarezza.
Silver aveva una relazione con Blue e l’aveva protetta dall’assalto dei media, ma ora la stava riferendo a lui. Red non pensava affatto che l’avrebbe raccontato a qualcuno e, del resto, aveva anche rinunciato ad interessare alla bella cantante e all’amicizia di Green. Anche perché quella mano nemica che si sollevava minacciosa davanti al suo viso era inequivocabile.
In quel dato momento della serata irrimediabilmente rovinata, Red riuscì solo a serrare gli occhi, in attesa di quel colpo che si sarebbe abbattuto su di lui.



Note: Il capitolo è lunghissimo, mi sento un po' in colpa verso Red perché l'ho davvero maltrattato (ma sono sicura che si riprenderà, lui è Red, mica uno qualunque u.u) e spero proprio che vi sia piaciuto perché è un po' denso di avvenimenti e ho paura di aver fatto un pastrocchio. XD Le canzoni sono state accennate a random da me medesima e mi piaceva che avessero una qualche coerenza con gli avvenimenti. Il loro significato è piuttosto facile, non voglio che i loro testi siano troppo criptici. In fondo sono ragazzi giovani, loro. Il plot stavolta era "Red si è dimenticato di mettersi l'intimo e purtroppo riceverà una secchiata d'acqua e si vedrà che non ce l'ha indosso". Bella roba, eh? La secchiata è stata rimpiazzata dal gavettone, chiedo umilmente perdono. Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia, chi l'ha inserita tra le proprie liste e chi l'ha recensita, naturalmente. Spero di essere all'altezza delle vostre aspettative, anche se questa fic non sarà sempre esclusivamente comica come appariva all'inizio. Ma non sarà mai neppure angst, quindi i lettori che non amano questo genere si tranquillizzino. E ora è giunto il momento dell'anticipazione. Ci leggiamo in giro! <3


Anticipazioni capitolo 3:
Green ascoltò il prolisso discorso in silenzio senza però capire nulla. Alla fine scosse lievemente la testa in segno di assenso, blaterando un ‘capisco’, più incuriosito dal contenuto del bicchiere che il fanciullo teneva in mano.
“Coca-cola invece della solita acqua liscia? Cosa ti è preso? Hai sconfitto il tuo terrore per le bollicine e l’acne?” Ghignò.
Ruby rivolse uno sguardo indecifrabile al recipiente ricolmo della bevanda gassata, strabuzzando gli occhi cremisi. “Oh!” Sbottò, piccato. “Non mi nominare quelle cose! Pensavo solo che una volta tanto potrei concedermela. E’ così buona…” Ammise, sognante.
“E poi oggi è un giorno di festa!” Si riprese rapidamente, innalzando il bicchiere e preparandosi ad un brindisi di cui Green faticava a spiegarsi la motivazione.
“Un… giorno di festa?” Il diciannovenne sbatté le folte ciglia chiare. “In che senso?”
“Come? Non avete visto tutte quelle recensioni positive sul concerto di ieri? Nonostante l’apparente fallimento, la critica ha apprezzato e ha giustificato attribuendo la colpa all’inesperienza!”
Green sorrise lievemente, senza scomporsi come al suo solito. “Sono contento che il concerto non sia stato così catastrofico per l’opinione pubblica, ma… per qualche motivo non riesco a trovare quelle recensioni così confortanti.”

  
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