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Autore: Josie5    15/07/2013    21 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Ma la domanda fu corta e breve, perchè un nuovo rumore risuonò nello stanzino.

Ed era la porta, la porta che si apriva.

Perchè fuori c'era un mondo e c'erano altre cose. Altre cose che forse avrebbero dovuto farmi più paura di quel niente.





27. Sbloccati?

 

Ebbi una specie di déjà vu al suono della porta che si apriva.

Mi sembrò per un attimo di essere tornata alla festa a casa di Kutcher: le due situazioni avevano infatti molti punti in comune.

In entrambi i casi Max ed io ci eravamo trovati in una stanza, al chiuso, insieme, in un luogo dove non avremmo dovuto essere; in entrambi i casi la situazione era stata più che ambigua; in entrambi i casi avevo avuto la maglietta sollevata, fin sopra il reggiseno, alzata dallo stesso Parker; in entrambi i casi eravamo stati sorpresi ed interrotti.

Le differenze stavano nell'intensità delle azioni, nel modo in cui a casa di Kutcher ci eravamo limitati a sfiorarci, in punta di dita, e solo una strana tensione aveva dominata l'atmosfera; mentre in quel momento sentivamo solo il bisogno di tornare come la notte prima, su un letto, senza vestiti, a baciarci. Cambiava anche l'aria: non c'era più solo tensione, c'era desiderio, chiaro ed esplicito, e, da parte mia, amore; e paura.

Ma la differenza essenziale fu in chi aveva spalancato la porta, con fretta e in modo secco.

Max ed io sobbalzammo. Lui immediatamente mi abbassò la maglietta, ancor prima di riuscire ad allontanarsi del tutto dal mio viso; io arretrai di colpo, andando a sbattere contro la scala alle mie spalle, scivolando su uno straccio per terra ed aggrappandomi alla maglia di Parker per non precipitare rovinosamente sul pavimento; Max mi afferrò per le braccia, sostenendomi, rischiando anche lui di scivolare sullo stesso straccio che all'improvviso era tra i piedi per tutti e due. E in quel momento, entrambi in precario equilibrio, in una posizione scomposta, affannati e rossi in viso, ci voltammo lentamente.

E vedere la preside della nostra scuola fu probabilmente la cosa peggiore del mondo.

Mi sentii il sangue gelare, mentre mi staccavo da Max, allontanandomi e cercando di leggerle negli occhi cosa aveva pensato, cosa stava credendo fosse successo.

E la Generalessa, che credevo incapace di dimostrare apertamente sentimenti ed emozioni, sgranò gli occhi, evidentemente sconvolta.

Mi mancò il respiro: perchè non c'era bisogno di cercare in profondità, per capire cosa avesse visto ed interpretato: era semplicemente tutto, senza ambiguità, per quel che era.

Non trovai la forza di guardare Parker, di cui sentivo ancora il tocco sui fianchi, sulle labbra, sul collo. Avrei tanto voluto ritrovare il verde dei suoi occhi ed illudermi che in realtà nessuno fosse entrato nello sgabuzzino; ma non si poteva negare la realtà, né, ormai, le conseguenze.

Seguì un breve silenzio, nessuno in grado di fiatare, nemmeno Max; finché Joe, il bidello, con la scopa in mano, non entrò nello stanzino, guardando perplesso la preside e poi, con sorpresa, noi.

- Cosa ci fate qua, mocciosi? - Si lamentò, col solito tono burbero, inconsapevole di quello che in realtà era appena accaduto. - Sapete benissimo che non è permesso agli alunni di entrare nel mio sgabuzzino!

Sembrò voler continuare con la polemica, ma la preside si riprese, per nostra disgrazia, e lo interruppe, alzando la mano: - Gray, Parker, nel mio ufficio! – Ordinò e suonò a condanna a morte.

E in effetti lo era.

Deglutii, spostandomi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio e passando di fianco a Max, continuando a non riuscire a guardarlo, anche mentre mi chinavo velocemente per raccogliere la sciarpa.

- Preside, noi … - Iniziò Parker, mentre entrambi uscivamo dalla stanzino, ritornando nel grande corridoio.

- Nel mio ufficio.

O forse non era una condanna a morte, era quella all'inferno.

Poco dopo, in silenzio, dopo che un borbottante Joe se ne tornò ai suoi “compiti”, ci ritrovammo nell'ufficio della preside. Sia io che Max prendemmo posto senza fiatare, alle due poltroncine bordeaux.

Lanciai, per la prima volta, un'occhiata a Max e si girò anche lui. I suoi occhi erano sinceramente dispiaciuti, ma solo quello, non preoccupati, e in qualche modo cercai di consolarmene: ero convinta che baciare Max Parker non desse crediti formativi per l'università, ma di sicuro non era niente di così terribilmente grave, non da strapparmi via la borsa di studio, almeno.

A quel pensiero mi si formò un groppo in gola e mi girai verso il Dittatore che, con due cartelle in mano, entrambe molto piene, alzava la cornetta, a labbra strette. - Sto chiamando i vostri genitori.

Il nodo in gola diventò doloroso e fui indecisa se parlare, sia per farmi passare il dolore, sia per difendermi: non era esagerato chiamare addirittura i parenti?!

Pensai a zia Lizzy, alla faccia che avrebbe potuto fare, sapendo che avevo perso i primi minuti di lezione per sbaciucchiare allegramente un ragazzo. L'avrei delusa, sapevo che l'avrei delusa.

- Mia madre, chiami mia madre però. – Disse Max e, riguardandolo, notai un suo leggero nervosismo; il tono ironico che gli avevo già visto fare, in precedenza, col dirigente scolastico, sembrava lontano anni luce. Ma pensai a James e capii anche il perchè.

L'occhiata azzurrina, che gli rivolse, mi fece per un attimo dubitare che avrebbe davvero seguito quella specie di preghiera, ma non aggiunse altro e fece due brevi chiamate, senza specificare molto al telefono.

Sprofondai ancora di più sul posto e, nel silenzio che si venne a creare, mi misi in attesa, col cuore in gola, per sapere cosa avrebbe fatto la preside e, soprattutto, con che occhi mi avrebbe guardato mia zia.

Non passò molto prima che un piccolo battito sulla porta anticipasse l'arrivo di qualcuno.

La preside non fece quasi in tempo a rispondere “avanti”, che Elizabeth già era entrata.

La vidi, preoccupata e in ansia, con una strana espressione, poco prima di inquadrarmi nel mio posto. Aprì la bocca, per dire qualcosa, poi i suoi occhi scivolarono su Max.

E, a quel punto, Lizzy scoppiò all'improvviso a ridere.

Avevo davvero temuto che avrei scorto delusione nei suoi occhi?

Seguirono minuti di risatine soffocate, di “Aspettiamo che arrivi la signora Parker”, di movimenti nervosi di Max sulla sedia, per mettersi comodo, e la mia voglia di piangere che probabilmente risuonava chiara come un rumore.

In quei minuti mi convinsi del fatto che avrei preferito trovare rimprovero nello sguardo di mia zia, perchè quel sorriso e quelle risate, di una che aveva già capito ciò che era successo, erano peggio. Molto peggio.

Stavo guardando sconsolata l'albero fuori dalla finestra da una decina di minuti, iniziando a pregare perchè quel supplizio avesse fine il prima possibile. Quando finalmente il desiderio fu esaudito.

La porta si aprì di colpo, senza che nessuno bussasse, e Claire entrò velocemente nell'ufficio. Aveva addosso un tailleur scuro, molto elegante, e alti tacchi nello stile del resto dell'abbigliamento.

Lei posò lo sguardo subito sulla preside, con un'espressione dispiaciuta, simile a quella con cui Max mi aveva guardato poco prima; poi gli occhi chiarissimi si posarono su zia Lizzy, con curiosità, su Max, con rassegnazione, e alla fine su me, con evidente sorpresa.

- Eccoci finalmente tutti qua. – Proclamò la preside, quasi dando il via a un processo, appena Claire prese posto.

- Sì, scusi, lavoro fuori città e ho perso un bel po' di tempo per quello. – Si giustificò la bionda, sorridendo leggera, nonostante suo figlio fosse stato richiamato in presidenza.

- Anch'io lavoro fuori! A New York. Quindi è andata bene che sia capitato in un giorno che non lavoravo! – Informò Elizabeth, sorridendo anche lei, ma con più vivacità, e alternando lo sguardo dalla madre di Max alla preside. E anche lei sorrideva tranquillamente nonostante la sua, praticamente, figlia fosse in presidenza.

Qualcuno stava prendendo sul serio la situazione come me?!

- Beh, l'importante è comunque trovarci qui. – Proseguì la preside, senza espressione come sempre. Tranne poco prima, quando aveva scovato me e Max in atteggiamenti poco ortodossi, mi ricordai da sola.

- Perchè siamo state chiamate? - Chiese velocemente Claire, a quel punto, e dall'espressione e dalla leggera occhiata che rivolse a Max, capii che probabilmente aveva fretta.

Guardai Parker, scordandomi per un attimo del resto, ma lui non sembrò accorgersene, intento a muovere, in uno strano tick, la gamba destra.

- Tenterò di essere chiara e concisa: per chiarire con loro e spiegare a voi. – Iniziò allora.

Distolsi lo sguardo da Max, pronta alla morte imminente.

Sapevo che non avrei resistito. Cominciai a guardare la finestra alle spalle della preside - da dietro la mano con cui cercavo di coprirmi il viso, - chiedendomi se fosse una fattibile via di fuga.

Le due donne si guardarono un attimo, forse pensando la stessa cosa, poi annuirono, una indecisa se essere ancora divertita dalla situazione o se cominciare a preoccuparsi, l'altra apparentemente pronta, o forse abituata.

- Erano dentro lo sgabuzzino del bidello. – Disse, come prima frase.

- Uh. – Fu il commento di Elizabeth che provò a lanciarmi un'occhiata di sottecchi: la evitai prontamente, col dorso della mano davanti agli occhi.

- Evelyne era senza maglietta.

Sprofondai ancora di più sul posto, sperando di esserne inghiottita.

- Non era senza maglietta! - Mi difese Max, parlando per la prima volta dopo tutto quel tempo, con un impeto che, dopo le sue espressioni, non mi sarei aspettata; e lo guardai, volendo dirgli che tanto era inutile e non sarebbe riuscito a discolparci. - Era solo un po' sollevata!

Volli ucciderlo.

- E per quale motivo era sollevata?! - Chiese la preside, accigliata e anche questa volta l'espressione le si dipinse davvero in volto. Max toccava seriamente i suoi nervi.

- La stavo aiutando a … - Ci fu una cortissima esitazione che forse percepii solo io, troppo abituata a sentirlo parlare; o almeno sperai di averla sentita solo io. - Ad allacciarsi il reggiseno! - Ma a cosa volevo sperare, se tanto ci stava distruggendo più lui parlando che se fosse rimasto in silenzio!

- In uno sgabuzzino?!

- Certo ... - Continuò, cercando evidentemente di mantenere una certa nonchalance. - Non sono cose che si fanno così, pubblicamente, in corridoio!

La preside scosse la testa e lo guardò con esplicito fastidio. Fui d'accordo coi suoi sentimenti. - Ignoriamo Max, che vuole fare il simpatico. Come sempre. Noi infatti sappiamo chiaramente cosa stava succedendo.

Elizabeth era rossa in faccia, per lo sforzo di non ridere di nuovo e la guardai con esasperazione, nonostante la vergogna iniziale di incrociare il suo sguardo.

- Sì, lo sappiamo. - Sospirò Claire, lanciando una breve occhiata al figlio. - Ma ... - Iniziò.

- Quindi. – La interruppe la preside. - Dato che non è, purtroppo, la prima volta che succede ...

- Non è mai successo prima, con Evelyne! - Intervenne di nuovo, Max.

Lo fulminai, pregandolo di stare zitto e buono, ma nemmeno mi guardò.

La preside sollevò leggermente un angolo della bocca, in una strana smorfia. - Non con la Gray, ma è già successa una cosa identica, l'anno scorso, Parker.

- Non era identica: non era Evelyne! – Insistette. E in qualche modo la mia occhiataccia svanì e mi ritrovai ad arrossire, a quelle parole.

Ci furono due brevi secondi di silenzio, prima che la preside riprendesse il controllo e ritornasse al suo discorso: - Dicevo, dato che non è la prima volta. - E sottolineò il punto, come a dire che aveva ragione e che quindi Max doveva tacere. - Proporrei due settimane di detenzione per Parker; e sono buona. - Gli fece notare.

- Uno zucchero.

Finse di non averlo sentito.

- Sono d'accordo. - Annuì Claire, guardando vagamente l'orologio al polso.

- Per Evelyne sempre due settimane. – Proclamò ancora la preside.

Mi sentii male. Io che non ero mai stata in detenzione, in punizione al pomeriggio! Io?! Due settimane?! - Ma ... - Tentai d'oppormi.

- E due, anche se è la prima volta che ti metti nei guai, perchè così ti rimarrà impresso questo episodio, Gray; e due perchè con tutti questi giorni, mi dimenticherò dell'episodio, al momento della borsa di studio.

E tutto quello mi fece zittire.

- Direi che è un accordo più che buono ... - Confermò anche zia Lizzy, all'improvviso seria.

- In giorni separati, poi, le vostre detenzioni. Almeno per la prima settimana, per la seconda vedrò.

- Come in giorni separati? - Chiese Max, dal tono, quasi incredulo.

- Oggi Parker inizierà, Evelyne partirà da domani e così via: vi alternerete le giornate. Non vi voglio insieme in detenzione.

Max sbuffò rumorosamente e Claire gli lanciò un'occhiata ammonitrice.

- Adesso si esagera! Non è che ...

- Puoi anche andare, Parker! – Lo congedò, con un rapido gesto della mano. - Tua madre ha fretta e hai perso un'ora di lezione, non voglio farti ulteriori regali.

Claire si alzò, salutando cortesemente; Max mosse la sedia con il broncio, borbottò qualcosa alla preside, abbozzò un sorriso a zia Elizabeth e poi mi indirizzò un'occhiata che mi ricordò tanto quelle nello sgabuzzino. E uscirono, mentre nella stanza risuonava un "Hitler" lanciato a mezza voce.

- Noi? - Domandò Lizzy, appena la porta si richiuse.

- Con voi dovevo un attimo parlare, a proposito della borsa di studio ... - Spiegò la Generalessa, mentre prendeva un piccolo raccoglitore.

- Spero davvero che non ... - Borbottai, ma interrompendomi.

- Sei fortunata ad essere fin troppo brava, Gray. – Disse, squadrandomi con gli occhi azzurri e freddi. - Con Parker. Sono delusa. - Sospirò.

E, com'era successo all'ospedale, sentendo le offese gratuite di Cecilia a Max, mi sentii di nuovo in dovere di difenderlo, o forse non in dovere, ma lo feci: - A me dispiace solo che sia successo a scuola.

Sia la preside che zia Lizzy mi osservarono, capendo la frase, ed entrambe sorprese; ma solo nell'ultima l'espressione si notò per bene, il Dittatore infatti dissimulò presto e continuò: - La borsa di studio è sempre tua, a meno che tu non faccia uno scivolone improvviso, a così pochi mesi. - Non seppi se parlando di scivolone stesse ancora facendo riferimento a Parker, ma non volli indagare.

- Volevo solo dirti. - Ed estrasse un foglio, appoggiandolo sulla cattedra. - Che quando avrai la borsa di studio, l'università di Yale* si è dimostrata interessata a te. Ti vogliono, Gray.

 

La porta si richiuse alle spalle mie e di zia Lizzy.

- Eve! Yale! - Elizabeth smise di trattenersi in quell'esatto momento, sfogando tutto il suo entusiasmo. - E' una delle più grandi università degli Stati Uniti! Oddio! Andrai a Yale!

Mi ronzava ancora la testa, dopo tutte quelle notizie e sensazioni che si erano contrastate a quelle precedenti, durante il colloquio al quale erano stati presenti anche Max e sua madre.

 - Ma ... E' lontana! - Blaterai. Perchè avevo deciso, l'avevo detto anche a Parker, di andare all'università a New York, per stare vicina a mia zia e ...

- Sciocchezze! Anche con traffico, credo non si sfiorino le tre ore, per arrivare alla Grande Mela!

- Ma ... - Cercai di oppormi di nuovo.

- So che avevi detto di volermi stare vicina, Eve.. – Disse, smettendo di agitarsi e sorridendomi; con fare più materno mi toccò anche i capelli. - Ma questa è la tua vita e non deve essere ancorata per forza alla mia. Sei stata indipendente in tutti questi anni di liceo e non devi smettere proprio all'università. Con la borsa di studio, dovrai pensare solo a quello che è meglio per te.

Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire.

- Ne parleremo più avanti? - Proposi, mentre mi lasciava una seconda carezza sui capelli. Pensai a quando era finita all'ospedale, a quanta paura avevo avuto di perderla.

Mi morsi le labbra.

Dopo il diploma avrei perso Max, quando le nostre vite si sarebbero divise, ognuna per la propria strada: saremmo stati solo due ragazzi che, nell'ultimo anno di liceo, si erano ritrovati a vivere una situazione strana, a piacersi, in qualche modo, e a baciarsi, ma senza arrivare mai ad altro; perchè non c'era. Avrei perso Max e anche Francy, in università diverse, e la lontananza non rischiava di far accadere la stessa cosa con mia zia?

Sarei rimasta sola come avevo così tanto temuto in ospedale?

La voce di Lizzy interruppe i miei pensieri: - Ne parleremo quante volte vorrai. Ma tu ricordati quello che ho detto. - Me lo sarei ricordato, impresso, in quelle restanti settimane di scuola.

Cominciammo a camminare, in silenzio, verso l'atrio della scuola. Io avevo lezione, ma a quel punto, con quel ritardo, potevo ormai saltare tutta l'ora.

- Ah, Eve ... – Iniziò ancora Elizabeth. La guardai curiosa. - Cosa stavi facendo con Max? - Chiese e sorrise maliziosa, in un modo che le era proprio e che aveva cercato di trattenere, in ufficio, con la preside.

Avvampai.

- Io ... Niente! Dai, Lizzy! - La pregai e, vedendo la porta dell'atrio che conduceva all'esterno, feci dietrofront. - Oh, sei arrivata! Ci vediamo più tardi! Ciao! - E, letteralmente, scappai.

- Tanto vivi a casa mia! Ti ribecco quando voglio! - Mi urlò dietro, in un modo fin troppo minaccioso.

E in effetti mi fece davvero paura.

 

 

Avevo atteso con ansia, quel giorno, l'arrivo dell'ora di Trigonometria, tamburellando, sempre ansiosa, le dita sul banco e cercando di ignorare le occhiatine che ricevevo da tutto il giorno.

Volevo vedere Francy, soprattutto dopo aver assistito al suo bacio con Alex – mi sembrava passato così tanto tempo, da quella scena, con tutte le cose che erano successe, - e anche parlare con Parker.

E no, non volevo parlarci in modo serio, né chiarire niente.

Avevo solo bisogno di parlarci - non l'avevo ancora davvero fatto, dopo essere uscita dalla sgabuzzino, - di sapere che era tutto a posto, che non era niente di grave essere stati beccati in quel modo dalla preside, che ... Semplicemente, anche, non c'erano motivi: volevo parlarci e punto. Risentire la sua voce dopo la conversazione con la preside e tutto quel silenzio che aveva dominato la scena.

- Ehy! - Salutò Francy, interrompendo i miei pensieri e sedendosi di fianco al mio banco, come sempre. Sorrideva e non mi sembrò come quella mattina: ansiosa di saltarmi addosso per sapere di Parker; anzi, qualcosa in quegli occhi grigi la faceva sembrare persa in ben altri pensieri, lontana. Quel cambiamento mi risollevò e le sorrisi, ricambiando il saluto.

Mi chiesi, mentre tirava fuori il libro e quaderno, solo in quel momento, se avrei dovuto raccontarle dello sgabuzzino e della successiva camminata fino all'ufficio della preside. L'ansia risalì in fretta.

- Come procede la giornata? - Domandò, distratta, non sapendo di aver colto proprio il punto giusto in cui mirare.

- Un po' particolare ... - Risposi, deglutendo a fatica. - A te? Alex? - Buttai giù, prima che potesse iniziare a parlare di Parker. Non avevo intenzione di rivelare tutto quello che era successo: non lì, in un'aula.

Francy arrossì e i suoi occhi sembrarono di nuovo con me. - Eh ... Ecco ... Diciamo che ... Sai il bacio di ieri sera? - Mi ricordò, tossicchiando. Annuii, spronandola a dirmi quello che sapevo già. - Beh, c'è stato un bis! - Spiegò, gettandosi con lo sguardo di nuovo sul banco.

- Dovevi proprio dirlo come se stessimo parlando di cibo? - Chiesi, ridendo.

- Colpa di mia madre e dei suoi dolci. – Si giustificò, con fare drammatico.

Non potei che essere d'accordo e sorrisi, rincuorata di poter finalmente parlare in modo normale con lei, quel giorno.

In quel momento sentii un mormorio e mi voltai, riconoscendo, probabilmente senza accorgermene, la voce: dalla porta stavano entrando Billy e Max, parlando insieme nel loro solito modo.

Quando, messo piede in aula, gli occhi verdi si posarono sui miei, Francy mi diede una gomitata, facendomi perdere il contatto visivo.

- Ah, aspetta! E Parker?! - Sussurrò, osservandolo circospetta. - Prima siete andati via insieme.

Mi era sembrato strano ...

Sospirai riguardando verso Max, mentre mi passava davanti dando un colpetto al mio banco, ma continuando a sorridere a Billy con cui stava parlando.

- Vieni da me questo pomeriggio? Ho fin troppe cose da spiegarti ...

- E non ti converrebbe iniziare adesso?! - Mi propose, con entusiasmo, sperando di farmi cedere.

- Siamo giovani, ne abbiamo di tempo ... – Ribattei e le sorrisi, smettendo di pensare al ragazzo che, in quel momento, si era seduto a pochi banchi di distanza dal mio, in ultima fila.

- La Trigonometria fa male, potrebbe essere lei ad accelerare la mia morte, portandomi al punto di collasso esattamente qui, alla tua destra. QUI. Parla, Evelyne!

Ignorai quello sproloquio melodrammatico, guardando Hoppus che entrava in classe, chiudendosi la porta dietro.

Feci così, con nuova attenzione, caso all'assenza di qualcuno di cui normalmente non mi sarebbe mai importato niente. O almeno non mi era sembrato di vederlo passare tra i primi banchi.

Mi voltai velocemente e diedi un'occhiata alle mie spalle, a un banco dell'ultima fila che era evidentemente vuoto.

- Cosa guardi? - Provò ad informarsi Francy, seguendo i miei occhi.

- Niente. – Risposi, tornando al professore che aveva già iniziato a biascicare parole, facendo sbattere il gesso contro la lavagna.

Clark non c'era.

 

- Quindi dopo vengo da te? - Chiese ancora Francy, appena la campanella finì di suonare.

Annuii, cominciando a mettere i libri nella tracolla. - O devi uscire con Alex? Non credo di permettertelo, in quel caso, sono un'amica gelosa! - Scherzai, dando una vaga occhiata a Max che continuava a starsene seduto, in una posa stanca, Billy al suo fianco che blaterava qualcosa.

Avrei voluto aspettare che si alzasse, che mi passasse di fianco, che mi guardasse, almeno.

- E cosa dovrei dire io?! Sono mesi che Parker ti rapisce di continuo! - Si lamentò, fin troppo ad alta voce e spostai violentemente lo sguardo dai due ragazzi.

- Comunque no. Aveva un impegno o qualcosa ...

- Ah! - Esclamai, cercando di dissimulare il disagio appena avuto e sorridendo con più malizia possibile. - Quindi avevate pensato di uscire, eh? Un'uscita intima? Un appuntamento? - La punzecchiai.

Lei s'imbarazzò fin troppo facilmente, facendomi ridere. Era la prima volta che Francy aveva seriamente a che fare con un ragazzo e non sapevo se i suoi continui rossori sarebbero stati presenti con chiunque o se era Alex il caso speciale.

- Sai, di solito! La gente si piace, si bacia e poi esce! Si mette insieme! - Brontolò, sulla difensiva, mettendosi lo zainetto in spalle e marciò velocemente fuori dalla classe.

Con quel suo darmi le spalle, non notò la mia reazione.

Mi bloccai un attimo. Il sorriso ora incerto.

Si baciano e poi escono? E alla fine si mettono insieme?

Certo.

Non diedi più altre occhiate in direzione di Parker e seguii Francy.

- Si mette insieme, hai detto? Ma allora andate sull'ufficiale! - Continuai, sorridendole appena fuori dalla porta, fingendo che quel cambiamento d'umore non ci fosse appena stato.

Lei, fin troppo impegnata a guardare davanti a sé, per schivare gli altri ragazzi, e fin troppo imbarazzata, non si accorse di quel disagio che probabilmente avevo ancora scritto in faccia.

- Lui me l'ha ... Okay, diciamo che me l'ha anche già chiesto, prima, in corridoio, ma ...

- Ti sembrava poco romantica la location? - Scherzai.

Si nascose il labbro inferiore con quello superiore, in una strana smorfia, e scoppiai a ridere, capendo che era proprio così, e lasciai un po' perdere i miei pensieri.

- Cos'è successo alla mia darkettara preferita?! Una volta eri meno sensibile!

Mi mandò a quel paese, con un piccolo gesto della mano e si fece spazio tra la folla con una violenza che non sembrava possibile, data la sua statura.

Arrivammo vicino all'uscita, sistemandoci in una parte del corridoio dove non circolava nessuno, aspettando un attimo lì che la gente cominciasse ad andarsene: il traffico nel parcheggio, a quell'ora, era peggio di quello in qualsiasi altra zona della nostra città.

- E quindi quando uscite? - Chiesi ancora.

- Domani. – Spiegò, guardando la folla davanti a sé, non riuscendo probabilmente a incrociare i miei occhi.

Sorrisi, sinceramente contenta per lei e di tutto quell'imbarazzo sincero.

- Evelyne! Francy!

Entrambe impiegammo un paio di secondi prima di capire chi ci avesse chiamate.

- Oh, Nick! – Salutai, riconoscendo alla fine il morettino con gli occhiali che stava emergendo dalla folla.

- Nicky! - Esclamò come sempre con troppo entusiasmo Francy – probabilmente anche contenta di poter cambiar argomento.

- Come mai non sei ancora corso a casa? Di solito sei tra i primi!

Ci guardò, all'inizio spaesato e poi sospirò, rassegnato. - Non ve lo ricordavate proprio?

- Cosa? - Chiesi io, sgranando un po' gli occhi e provando a fare mente locale di cosa potevo essermi dimenticata. Ma in effetti non riuscivo a visualizzare altro che non fosse Max o Clark o la festa o la preside.

Ero davvero Evelyne Gray?

- Il giornalino ... - Ricordò.

Il giornalino.

Rammentai all'improvviso della settimana prima quando, scegliendo un giorno tra quelli che sarebbero seguiti, che andasse bene a tutti e quattro, avevamo optato per Mercoledì 24 aprile.

E quelle due parole erano sembrate una doccia fredda.

Per l'ennesima volta mi resi conto di quanto Max avesse stravolto la mia vita, cambiando le mie abitudine e priorità: riuscendo addirittura a farmi dimenticare del giornalino.

- E' vero! - Fece mente locale anche Francy, prima che io riuscissi a parlare.

 - Ah beh, niente ... Avviso mia madre e restiamo anche se ce n'eravamo dimenticate, no, Eve? - Chiese, sospirando e tirando fuori il cellulare.

Annuii, facendo lo stesso per mandare un messaggio a Lizzy.

- Luke? - Mi informai, cominciando a camminare per andare coraggiosamente contro corrente, sfidando la massa che continuava ad uscire.

- E' già là, è andato a prendere le chiavi. – Rispose, conciso come sempre.

- Vi fidate così poco di noi, da venire a cercarci?! - Fece Francy, fingendo uno sguardo di delusione ad indirizzo di Nick. Lui impallidì, a disagio.

Risi alla reazione e mi decisi finalmente a infilarmi tra la folla che, fortunatamente, iniziava a diminuire.

- Moriremo! - Esclamò Francy, drammaticamente. Ma mi trovai d'accordo con lei.

Riuscimmo a girare solo il primo corridoio, con molta fatica, quando mi sentii toccare e fermare per un braccio.

Mi girai, sorpresa, ma invece di un paio di occhi verdi ne trovai due marroni.

- Pensavamo fossi scappata via! - Disse Billy, sorridendo, fermo nel bel mezzo del corridoio, come se non ci fossimo trovati nel pieno della corrente, con alti rischi di morte.

- No, devo rimanere qua per il giornalino. – Spiegai, dando un'occhiata veloce a Francy e Nick che mi avevano sorpassato. Si girarono a guardarmi perplessi.

- Ve la rubo un attimo! - Proclamò il biondo, mollandomi il braccio, ma avvicinandosi al muro, dove passava meno gente, e invitandomi a seguirlo.

Francy sollevò le sopracciglia, ma se ne andò comunque, seguita da un esitante Nick.

Feci i pochi passi che mi separavano da Billy, parandomi di fronte a lui. - Non sono merce che può essere rubata.

- Ah, lo so bene! - Ironizzò su qualcosa che non fui sicura di capire. - Era un modo di dire, non prenderla male.

Scossi la testa, con un abbozzo di sorriso. - Devi dirmi qualcosa?

- Sì! - Esclamò, sempre sorridendo. - Cos'hai intenzione di fare?

La domanda diretta mi lasciò un attimo impreparata.

 - Per cosa? - Chiesi per guadagnare tempo.

Alzò gli occhi al cielo, nel suo solito modo scherzoso. - Max. Tu e lui.

Evitai il suo sguardo, mantenendo il silenzio che sarebbe stato assoluto, se non fosse stato per i ritardatari che velocemente uscivano, sfilandoci davanti.

- Evelyne? - Mi richiamò, ridendo.

- Niente. – Confessai.

- Niente, non stavi evitando di rispondere o niente, non farai niente? - Precisò, ma mi sembrò inutile.

Scossi la testa. - Non farò niente.

Billy mi osservò per un po' e di nuovo cercai di evitare il suo sguardo.

 - Come mai?

- E' quello che farà anche lui e mi adeguo. - Feci spallucce e mi staccai dal muro.

- E a te va bene? - Chiese e trattenni un attimo il fiato.

Tardai un po' a rispondere, ma alla fine lo feci, un po' come tutto:

- E' meglio così.

Non disse altro e mi arrivò uno strano sguardo; gli sorrisi e mi girai per andarmene. Ma ci ripensai, presto, voltandomi di nuovo e trovandolo ancora appoggiato al muro, intento ad osservarmi. - Billy, lui cosa ti ha detto?

Billy sorrise, facendosi sfuggire una risata. - Assolutamente niente, infatti cercavo di capirlo da te. - E subito dopo quella frase si staccò dalla parete, andandosene verso casa.

Lo guardai allontanarsi con una specie di sensazione strana, simile a un misto di incredulità e leggero risentimento: aveva cercato di fregarmi e di farmi sfuggire gli accaduti di bocca, senza dirmi assolutamente niente; ma soprattutto lui e Max non ne avevano parlato.

Alla fine la sensazione strana nello stomaco si stabilizzò, a quell'ultimo pensiero, e la riscoprii essere, stranamente, felicità: perchè quella notte era diventata un segreto.

 

 

Nell'aula 108 c'era una strana atmosfera, quel giorno.

Francy apriva e chiudeva cartelle del suo computer, in uno strano modo assorto, fingendo male di eseguire il compito che le avevo dato; Nick scriveva, fermandosi ogni tre parole e piegando le gambe sotto la sedie in uno strano tick che aveva sempre, quando cercava ispirazione; Luke invece schiacciava con forza i tasti del computer, dalla sua postazione alla mia destra, lanciandomi ogni tanto occhiatacce; io fingevo che tutto fosse come al solito e stavo revisionando tutti gli articoli già pronti, sistemando intanto la grafica delle pagine e inserendo foto.

Dalla "profezia di Luke", quella che diceva che "Parker mi avrebbe fatto stare male, davvero male", i rapporti tra me e il rosso si erano un po' freddati. All'inizio mi ero sentita solo inutilmente assillata dalle sue preoccupazioni. Neanche fossi stata una debole, capace di cadere con una delle possibili cattiverie macchinabili da Max. In seguito, al principio inconsciamente, poi sapendolo, avevo capito che in realtà la profezia era stata vera e con Luke mi ero sentita solo a disagio.

Anche in quel momento cercavo di evitare il suo sguardo: sapevo che avrebbe voluto commentare qualcosa, a riguardo di tutte le voci – ormai vere, - che circolavano su me e Parker, ma si tratteneva.

Così mi arrivavano solo occhiatacce.

Sì, Luke, avevi ragione. Avrei voluto tanto dirgli. Se non mi fossi arrischiata troppo, con quelle poche parole, se non fossi stata orgogliosa, se non fossi stata la Gray.

- Luke, smettila, dai fastidio a me! - Si lamentò Francy, sorridendo scetticamente e mollando il mouse.

- Visto che non parlo, voglio comunque farle capire! – Proclamò, con uno sbuffo, il rosso.

- Preferivo le parole. – Mormorai tristemente.

Luke mi sentì chiaramente e colse la palla al balzo.

- Vuoi davvero metterti nei guai?! - Esclamò, non trattenendosi più.

Lanciai uno sguardo che scongiurava aiuto a Francy – lei lo ignorò con un ghigno, - poi mi girai verso l'altro.

- Dai, Luke, per favore! Lo sai anche tu di esagerare!

- Non esagero! Un pugno a Clark! - L'ultima frase era sinceramente scandalizzata.

- Non gliel'ho dato io! – Mi ritrovai stupidamente a difendermi.

- Sanno tutti che è stato Parker, ma tutta la scuola ha visto, oggi a mensa, che ce l'ha a morte anche con te! Soprattutto con te, visto che sei stata la prima da cui è andato.

Mi ricordai con particolare evidenza il perchè cercassi di evitare le conversazioni con lui, in quel periodo: Luke metteva ansia. Sempre.

Scossi la testa, più che per negare la sua frase, per cercare di convincermi che non era vero. Con scarsi successi. - Non è stupido. E' arrabbiato, ma non è così stupido da mettersi nei guai per una vendetta.

- Nelle vendette, quando lo sono davvero, ci si assicura di uscirne vincitori e di fare del male all'altro, in ogni modo.

Ebbi una specie di brivido. Ripensai a come aveva in parte indovinato cosa sarebbe successo con Parker; che stesse per succedere lo stesso?

- Dai, Luke, vuoi portare sfiga?! - Mi lamentai. Diedi un'occhiata a Francy, che ascoltava con una smorfia; Nick mi lanciava sguardi nervosi, evidentemente d'accordo con l'amico.

- Non è questione di sfortuna, è questione che sei nei guai. Soprattutto perchè non saprei nemmeno come potresti uscirne. Gli hai chiesto scusa?

- Gli ho detto una cosa che suonava più a un "siamo pari", in realtà ... - Borbottai.

Lo bloccai, prima che riaprisse bocca: - Ma smettila, davvero. Ormai è andata. Io confido nel fatto che non sia un idiota: le vendette di solito tornano sempre indietro a chi le fa; e si sa questo – spiegai per poi bloccarmi subito dopo. A Max la sua vendetta gli si era ritorta contro?

Pensai a Max che mi ricattava, che mi prendeva in giro, che mi sfruttava, che mi punzecchiava, che mi sfiorava, che mi baciava, che mi spogliava. Non trovavo niente di negativo, in tutto quello. Non per lui. O forse c'era e non riuscivo a vederlo, non dal mio punto di vista?

- Spero per te. – Disse alla fine, anche lui, in uno sbuffo. Ma era così irritato per non venir ascoltato, che non credetti ci stesse sperando poi molto.

- E' tardi! – Fece notare Nick, dopo un breve silenzio.

Guardai l'orologio, notando che in una mezz'oretta sarebbe finito il tempo che la scuola dava a disposizione per le attività extrascolastiche.

 - Andiamo allora.– Concessi, alzandomi in piedi e gli altri tre mi imitarono subito.

Furono sistemati gli ultimi fogli, spenti i computer e poi, davanti alla porta dell'aula, chiudendo a fatica, salutammo i due ragazzi. Io abbozzai un breve sorriso a Luke, dispiaciuta per come mi comportavo, ma non potendo evitare di farlo.

Francy rimase lì, con me, e mi accompagnò a rimettere le chiavi al suo posto.

Arrivate davanti alla scrivania del bidello Joe, in uno dei corridoi, mi bloccai un attimo, ripensando a quella mattinata. Sistemai le chiavi nella cassettina alla parete, guardando però Francy.

- Ieri Max è venuto da me, abbiamo litigato e alla fine, continuando ad urlargli contro, ha detto di essere andato con Dawn perchè pensava sempre troppo a me. L'ho baciato. – Confessai, sputando tutte le parole di seguito, per paura di ripensarci a metà.

A dirle, tutte quelle fasi sembrarono stupide, incoerenti, quanto sul momento erano sembrate spontanee e giuste. Soprattutto nella parte finale.

Francy mi guardò un attimo sorpresa, forse non aspettandosi che avrei iniziato a confessare così, nel corridoio, davanti alla scrivania del bidello Joe.

Continuai, vedendo che non diceva niente: - E lui ha baciato me e ... Non so, forse per quello che avevo bevuto, forse perchè ... No. - Incespicai nei miei stessi pensieri. - Perchè sono innamorata ed era quello che volevo sentirmi dire, l'unica cosa per cui avrei potuto perdonarlo – feci, ancora di getto e non riuscendo più a guardarla. - E quindi ... - Non riuscivo a dirlo o ad andare oltre. L'immagine di Billy si presentava davanti ai miei occhi, mentre diceva che a lui Max non aveva detto niente.

- Eve, scusami – sussurrò Francy.

Mi bloccai definitivamente, tornando a guardarla negli occhi.

Era davvero dispiaciuta, per qualcosa, addirittura triste.

- Mi dispiace per stamattina, per esserti stata così addosso e per aver voluto sapere tutto quello che era successo. Non dirmelo e non perchè non lo voglia sapere, ma perchè è giusto così.

Non seppi cosa rispondere, ma alla fine semplicemente mi sfuggì un sorriso. - Va bene. Grazie.

E quella notte era mia, i particolari solo miei. Miei e di Parker. E lo sarebbero sempre stati, anche dimenticandocene, col tempo, all'università; anche con vite separate. Nostri.

Ma le conseguenze Francy le doveva sapere. Le poteva sapere, perchè lei ad aiutarmi a sistemare il disastro doveva esserci.

- In ogni caso, mia zia ci ha scoperti. Dopo pranzo poi ci siamo infilati nello sgabuzzino di Joe, per parlare, ma siamo finiti a baciarci e Joe e la preside ci hanno beccati – informai, con un disagio diverso questa volta.

Francy dopo quell'attimo di tristezza, mista ad affetto, stava tenendo la bocca spalancata, incredula. La labbra si chiusero e scoppiò a ridere. - Non ci credo! - Urlò, non riuscendo a trattenersi. - E cosa vi ha detto?!

- Detenzione per entrambi, due settimane. – Dissi piattamente, con rassegnazione.

- E voi cosa vi siete detti? Avete parlato sul serio prima o siete passati direttamente alla lingua? - Chiese e quella domanda me la fece sentire come la solita Francy, lontana dall'imbarazzo appena passato.

Risi, nonostante tutto. - Abbiamo provato a parlare ... - Vidi il suo sguardo. - E no, non nel senso che siamo passati subito alla "lingua"! Ci abbiamo provato, ma poi mi sono esposta io e ci siamo bloccati lì. Sai, prima hai detto che la gente di solito si piace, si bacia e poi esce e si mette insieme, no?

Il sorriso di Francy si spense e quasi impallidì. - Sì, però ... Io non ...

La tranquillizzai con un cenno. Mi ritrovai ad avere più controllo della situazione di quanto mi sarei immaginata. O forse fingere davanti a qualcuno è più facile che farlo da sole.

- No, tranquilla. Volevo solo dire che Max ed io siamo bloccati al "si bacia" e rimarremo lì. – Dissi e sembrò una sentenza. Ammetterlo ebbe un retrogusto cattivo.

Francy mi osservò. - E perchè?

- Perchè abbiamo paura. – Spiegai e mi ritrovai a sorridere, un po' amaramente.

- Non si può avere paura a 18 anni. – Ribatté Francy. - Se non ci si butta a questa età, quando non si ha ancora troppo da perdere, quando lo si fa?

Esitai un attimo. - Abbiamo paura entrambi, ma forse non è la stessa paura. Se mi butto e perdo tutto?

- Forse è comunque meglio che non farlo. - E sorrise. Mi stava chiaramente spingendo a quello che mi immaginavo, ma sapevo bene che non l'avrei fatto.

Sembrò capirlo e sospirò, alzando gli occhi al cielo. Mi afferrò una mano e facendola dondolare, come se fossimo state bambine, cambiò discorso, lontano da ragazzi, e mi trascinò verso l'atrio, verso casa.

Ridevo e sorridevo e in quel tragitto fu facile non pensare più alle parole appena dette e sentite.

- Ti giuro che non è così facile cucinare la carne!

- Ma, Francy, solo tu ci riesci! Come farai da grande, fuori da casa di tua madre? - La sgridai, un po' scherzando e un po' no, mentre mi informava sui suoi peggioramenti nell'arte culinaria. Un po' mi ricordava Elizabeth.

- Sarò ricca, mi riuscirò a permettere un cuoco personale.

- E se non lo diventassi? - Insistetti.

Alzò gli occhi al cielo, teatralmente. - Allora cucinerà mio marito! Sarà bello, sexy e un ottimo cuoco. E lo sfrutterò, ma non se ne accorgerà, accecato come sarà dall'amore.

Risi ancora ed eravamo nell'atrio, vicino alla porta che portava fuori.

In quel momento ci passarono di fianco un piccolo gruppo di ragazzi, tutti con la stessa espressione scocciata e irritata.

Li guardammo un attimo, ma in realtà poco interessate.

- Detenzione? - Azzardò lei, più per parlare che per altro.

Quella semplice parola mi fece scattare. Francy sembrò notarlo, ma cercò di non darlo a vedere.

- Vabbè, vado, Eve, a domani. – Mi salutò sorridendo e lanciandomi un'occhiata che voleva intendere qualcosa, ma non capivo.

O forse non volevo capire.

Pensai alle sue parole di prima.

E avevo davvero 18 anni, se non mi buttavo adesso quando l'avrei fatto?

Presi un respiro più profondo e girai sui tacchi, cominciando a dirigermi verso l'aula dove sapevo ci fossero le ore di detenzione.

Camminavo, alternando passi svelti a passi lenti, indecisa su cosa fare o semplicemente se raggiungerlo sul serio. Dopo tutto forse era già uscito e non l'avevo incrociato e stavo facendo quei corridoi inutilmente!

Il coraggio iniziale, che mi avrebbe fatto arrivare in quella stanza e parlargli chiaramente, confessando tutto, si era già affievolito. Come un palloncino e il rumore con cui tutta la carica era uscita sembrava molto simile ad aria: sapeva di delusione, ma soprattutto fiasco.

Vidi la porta spalancata da lontano e, mettendo molto del mio ormai poco coraggio in quei passi, arrabbiata forse un po' con me stessa, arrivai alla soglia della porta.

E quello che vidi mi lasciò di stucco.

- Capito tutto?

- Sì, va bene, sì! - Sbottò, scuro in volto, Max e, vedendomi casualmente ferma sulla porta, la sua espressione cambiò in una che non riuscii a capire.

Il ragazzo che gli stava davanti, Clark, si girò e, notandomi, sorrise. Che mi stesse sorridendo mi sembrò già terribilmente sospetto.

- Oh, Gray! - Mi chiamò, allontanandosi da Max ed accennando ad andarsene.

- Ci vediamo in giro. Divertitevi. – Augurò, per poi passarmi di fianco e uscire dalla porta.

Guardai la schiena del moro che si allontanava, poi tornai a Max che, ancora più cupo in viso, guardava per terra, pensando chissà a cosa.

- Cosa vi siete detti? - Chiesi. Mi sentii di nuovo coraggiosa, con quella domanda e feci passi all'interno della classe, avvicinandomi a lui.

Alzò lo sguardo e c'era davvero qualcosa di strano.

 - Lascia perdere. – Borbottò, passandosi una mano davanti agli occhi.

Sembrò stanco, come l'avevo già visto una volta, pur non ricordando quando. Mi avvicinai ancora, arrivando a pochi centimetri da lui.

- Va bene. – Mi arresi, sperando comunque che cambiasse idea e mi dicesse.

Tolse la mano e i suoi occhi, ora vicini, sembrarono spenti, inchiodati nei miei.

- Mi sembrano secoli che non ci vediamo ... – Dissi e subito dopo averla pronunciata mi pentii della frase. La mia era stupidità o il coraggio adolescenziale di cui aveva parlato Francy, che ogni tanto riaffiorava?

Abbozzò un sorriso e allungò una mano, sfiorandomi un fianco, il braccio. Mi avvicinò e finii contro di lui, piano, con delicatezza.

- Anche a me. – Rispose e soffiò la risposta sui miei capelli, facendomi salire i brividi.

Ma la risposta non mi fece felice quanto avrebbe dovuto, perchè lo guardai ancora, notando che quell'alone grigio sul suo viso non se ne andava, ed era preoccupato per qualcosa, con altri pensieri in testa. Mi chiesi cosa fossero, continuando a guardarlo.

- Cosa c'è, Max? - Chiesi alla fine.

Scosse la testa, chiudendo gli occhi e abbassandosi verso di me, così tanto da arrivare ad appoggiare la fronte alla mia; il suo braccio mi circondò i fianchi; una mano mi sfiorò i capelli. Quando aprì gli occhi e rividi il verde, mi sembrò di star venendo toccata in ogni modo, fisicamente e dentro, nell'anima, quasi avesse voluto memorizzarmi.

Quella sensazione mi fece salire l'ansia, più delle parole di Luke. - Max? - Pregai, sperando che parlasse finalmente.

Mi strinse ancora più forte; il suo naso sfiorò il mio, le sue labbra cercarono le mie, in una carezza e poi con più forza, appoggiandosi, baciandomi, assaggiandomi, facendomi schiudere la bocca.

E anche il baciò sembrò strano.

Ma solo all'inizio. Poi le sue mani mi strinsero più leggermente, con delicatezza, nel suo solito modo; mi tirò i capelli, nel suo tipico dispetto; mi morse un labbro e alla fine abbozzò un sorriso, contro la mia bocca.

Si allontanò, di pochi centimetri, per permettermi di nuovo di guardarlo negli occhi e anche quelli sembrarono più vicini a come erano di solito. Ma quell'ombra sembrò esserci comunque, solo attenuata.

- Quindi ti sono mancato? - Mi prese in giro e mi sorrise contro una guancia: sembrò il solito nella battuta, ma mi teneva troppo stretta per essere normale e continuava a farlo.

- Per niente. – Negai, incoerente, ma sperando di strappargli un altro sbuffo divertito.

E lo fece, sbuffando sul mio viso, facendomi sentire il suo odore alla frutta.

- Bugiarda, Evy. – Mi canzonò e le sue mani mi lasciarono.

Traballai un attimo, dopo tutto quel contatto e già abituatami ad appoggiarmi a lui. - No. – Ribattei.

Lui sorrise, passandosi una mano tra i capelli; mi sorpassò, facendo per uscire e, appena lo raggiunsi, si girò, a guardarmi.

- Evy? – Chiamò.

Lo guardai un attimo, spaesata da quell'aria strana che continuava ad avere, ma che ora cercava chiaramente di camuffare. O forse me lo immaginavo. Era per l'episodio della preside tutto quello? O per Clark? O per altro? - Uh?

- Ti va se stasera usciamo?

Sgranai gli occhi, la bocca mi si spalancò, probabilmente mi uscì qualche strano verso imbarazzante dalla bocca e nelle orecchie mi risuonò la frase di Francy.

E c'era evidentemente qualcosa di strano.

Solo che non capivo se era qualcosa che andava bene oppure no.

- Sì.

A me andava bene.

E per un secondo mi illusi che magari c'eravamo appena sbloccati.

Quello dopo rividi il grigio.




*Angolo autrice:

EHEHEHEH .
Okay, sì, c'è un piiiccoolo ritardinooo.
No, scherzi a parte, scusate, ma lo stage mi ha tenuta occupata seriamente per tre settimane (sono stata pagata con due buoni da 5 euro da utilizzare da Pimkie, alla fine .), e quando ero a casa cercavo di uscire o comunque non avevo voglia di mettermi a scrivere; subito dopo lo stage invece ho avuto una sorta di "problema personale", e non ero davvero dell'umore per scrivere. Insomma, tutto questo e il capitolo è arrivato solo ora.
La mia idea iniziale era più lunga, il capitolo che avete appena letto è infatti la metà di uno più grande, ma alla fine ho deciso di tagliare, per arrivare più lentamente alla fine del prossimo ...
E' un capitolo di passaggio: la scena dalla preside, la punizione, l'accenno al futuro di Evelyne, l'università, il giornalino, Luke e le sue teorie, Evy e Francy parlano, Clark e Parker e alla fine, dopo un intero capitolo, Evy e Max. 
Ci sono molte cose qui che ritorneranno, pur essendo di passaggio.
Cosa credete che succederà? L'uscita è un appuntamento? I due si sono sbloccati dal punto dove credevano di essere o c'è qualcosa di strano?

Spero che vi sia comunque piaciuto, come sempre.
Grazie per continuare a leggere, nonostante i ritardi e nonostante la stia tirando ancora avanti, dopo tutto questo tempo!
Alla prossima, carissime.


*Yale: una delle università più prestigiose dell'America, si trova a nord di New York a circa due ore e mezza (GOOGLE MAPS). La mia scelta è stata dettata da esperienza in film e telefilm, credo sia possibile con una bella borsa di studio riuscire ad andarci per capacità, anche se con scarse risorse economiche ... Nel caso non fosse così, chiedo venia!


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