Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    16/07/2013    2 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 20:
Alla fine c’è sempre l’alba. (DI MIRI)

OK, CAPITOLO STRAMEGA IMPORTANTE. FORSE E' QUELLO PER CUI HO PIANTO DI PIU', QUINDI VABBE' >_< IO PIANGO SEMPRE PER TUTTO!
SPERO VI PIACCIA! :p
AVVISO: COLPO DI SCENAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA <3 


Hariel
Corsi verso lo specchio, le mani che stringevano i bordi dorati di quest’ultimo, e presi a scuoterlo gridando il suo nome con forza. Ma Hesediel non comparve, la sua presenza era del tutto scomparsa. Continuai a scuoterlo, ringhiando con forza, mentre le lacrime mi rigavano il viso sempre con più rapidità. E poi la porta si aprì, rompendo le mie grida e portando con sé il silenzio.
- Tu devi essere Hariel. 
Era una ragazza sulla ventina, i capelli neri raccolti in una crocchia e vestita di nero, forse era la divisa da cameriera. I suoi occhi erano di un rosso scuro, come il sangue rinsecchito, tendente al marrone. 
- Dov’è Azazel? 
La guardai sorridermi, esponendo un’affilata fila di denti bianchissimi.
Mi strizzò l’occhio, poi mise una mano sul fianco, senza smettere di sorridere.
- Non sono tenuta a rivelarti la sua posizione in questo momento.
Scattai in avanti, precipitosamente, tanto da rimanerne sbalordita. La ragazza mi guardò, stupefatta, poi si sfilò dalla crocchia una penna, lasciando che i capelli cadessero rapidamente sulla schiena, poi si avvicinò alla scrivania di legno chiaro. Afferrò uno dei tanti fogli bianchi messi in fila uno sopra l’altro fino a formare un rettangolo piuttosto grande. 
Prese a scrivere, dicendo ad alta voce i suoi appunti. 
- La Prescelta sviluppa una velocità ulteriore a quella umana, molto più sviluppata e silenziosa. 
La guardai, stringendo i denti con forza. Perché lo stava facendo? Cosa voleva da me? Dov’era Azazel? Sentii il mio respiro diventare affannoso mentre mi cancellavo le lacrime dal viso, come se fosse un gesto troppo pesante da sopportare.
- Sei tu…
Gemetti, mettendomi una mano sulla fronte sudata. La stanza vorticava intorno a me. 
Non la guardavo in viso, ma sapevo che stava sorridendo. Ero stanca, soffocata dal dolore e dalle ombre che si stavano iniettando intorno a noi, sulle cime degli alberi nel bosco, nella grande torre in cui ero rinchiusa, in quella stanza. 
- È colpa tua se mi sento così.
Strinsi lo stomaco, attorcigliato, con la mano e i denti fin quando non li sentii stridere tra loro, rumorosamente. 
- Instabile. 
Commentò lei, scrivendo ancora sul foglio. Ringhiai e tentai di fare un passo avanti, invano. 
Caddi a terra e la guardai. Respirai piano e mi concentrai. 
Dovevo farcela, potevo attaccarla e vincere. 
- Rabbiosa, infuriata senza un motivo. 
Strinsi i pugni contro il parquet gelido. 
- Smettila. 
Il Demone mi lanciò un’occhiata, quasi annoiata, e poi mi sorrise. 
I suoi occhi si illuminarono di una luce scarlatta, mentre mostrava i suoi denti bianchissimi e affilati come coltelli. Era un animale affamato, una bestia inferocita.
Ed io la preda. 
- La Prescelta mostra chiari segni di pazzia… 
E poi scattai in avanti, prendendola per il colletto della divisa e alzandola in aria. 
- HO DETTO SMETTILA! 
La lanciai contro la parete che reggeva lo specchio e ringhiai con forza, per poi scoppiare in lacrime quando il vetro si distrusse in mille pezzi, e con lui la possibilità di rivedere Hesediel. 
Respirai con talmente forza che i miei respiri parvero lame nei miei polmoni. 
Mi guardai le mani, sconvolta. Ma cosa avevo fatto? E come?
Il Demone però, al contrario di ogni mia aspettativa, respirava ancora e non ci mise molto a rialzarsi da terra per fulminarmi con i suoi occhi color sangue.
D’un tratto scomparve dalla mia visuale per poi ritrovarmela davanti al viso, con un sorriso sghembo che le distorceva le labbra. La ragazza si avvicinò di un altro passo, tanto da farci dividere solo dal suo respiro, afferrandomi per il collo e stringendo in pugno l’altra mano. 
- Addio, bellezza! 
E mi spinse lontano. Sentii il mio peso distruggere la vetrata trasparente della finestra, e poi il mio intero corpo andare in collisione contro il vento, mentre un forte gemito pieno di terrore e morte mi riempiva le orecchie, e non capii se fosse il mio o no.
Il tempo sembrò fermarsi durante la caduta. E per la prima volta capii cosa provavano gli Angeli nella mia stessa situazione, solo che io non avevo il peso delle ali soccombere su di me. 
Allungai un braccio al cielo e respirai piano. Dalla densa rete di nuvole nere, qualcosa brillò nell’oscurità. 
- Hesediel… 
Sussurrai piano e una lacrima volò lontana dal mio volto, come la pioggia che ritornava indietro nella tempesta. 
- Sto venendo da te. 
Quelle parole mi uscirono sforzate dalle labbra, come se potessi davvero pensare che lui fosse andato via senza di me, senza nemmeno salutarmi. 
Chiusi gli occhi e lasciai che un flebile raggio di luna mi circondasse. 
- Sto morendo…
Lia
"Sto morendo." 
Sussultai violentemente e strinsi con forza gli occhi e i denti, bloccando del tutto il mio cammino. Di conseguenza Mikael e Gabriel si voltarono, ma solo negli occhi dorati di quest'ultimo trovai una grande preoccupazione; Mikael mi lanciò un'occhiataccia, scocciato dalla nostra momentanea pausa. Mise le mani sui fianchi e questo gesto mi ricordò mio padre la notte in cui ci abbandonò dopo aver furiosamente litigato con mia madre.
- Che cosa c'è ancora?
Gli lanciai un'occhiata, pronta a raccontare, a gridare tutto ciò che mi passava per la testa, eppure non trovai nessuna parola in grado di esprimere tutta le mie sensazioni.
Aprii la bocca, ma da lì uscì solo un lieve respiro, nient’altro. Mi sentii avvampare per la vergogna; ero così inutile e debole. Spostai lo sguardo su Gabriel, convinta che, in quel momento, lui mi stesse guardando nello stesso modo in cui avevo colto Mikael a guardarmi. Ma mi sbagliai; Gabriel mi sorrise, gli occhi pieni di una gratitudine fin troppo lontana dalla mia comprensione.
Mi prese per le mani e le strinse forte. 
La rabbia che avevo visto nei suoi occhi poco prima si trasformò in una strana luce, piena di felicità, eppure io non capivo. Gabriel si voltò verso Mikael, ancora confuso sul perché del suo comportamento. 
- L'ha trovata.
Mikael sgranò gli occhi e girò la testa nella mia direzione. Tremavo, e sapevo benissimo il perché.
La voce della ragazza mi tuonava nella mente, con forza eppure fragile come un fiocco di neve misto alla pioggia d’inverno. 
- Su, allora, dov’è?
L’Angelo mi sorrise, senza smettere nemmeno un minuto. Mi costrinsi ad abbassare lo sguardo, e fu allora che sentii i suoi stessi occhi riempirsi di una tristezza infinita.
Non volevo guardarli, non potevo. 
- Gabriel… 
La voce di Mikael ruppe l’imbarazzante silenzio che si era creato tra noi.
Divise le nostre mani, delicatamente, poi la mia testa prese a girare. 
- C’è qualcosa che non va con Hariel. 
Gabriel scattò in avanti, ma Mikael lo frenò, mettendo un braccio tra noi due. La mia testa venne afflitta da un improvviso e strano dolore, eppure non riuscivo a farlo mio, a far sì di mascherarlo. 
Non ci riuscivo. 
- Lia, ascoltami.
Mikael si mise tra me e Gabriel, che strinse le mani in pugno, senza parlare. 
L’Angelo biondo mise le mani sulle mie spalle e mi guardò, respirando piano. Sapeva di buono, di fresco, di vero e di altamente distruttivo. Non c’era niente come i suoi occhi che mi ispirasse emozioni tanto contrastanti, come se la mia mente mi chiedesse di correre ma mi ordinasse, al tempo stesso, di restare. Ma poi i suoi occhi mi abbandonarono, scivolando sul mio polso, lì dove la catenella argentata reggeva strettamente la piccola croce.
- Va tutto bene. Questa non sei tu. È Hariel. 
Mi afferrò con delicatezza il braccio e mi sfilò il braccialetto, facendolo cadere a terra. 
- Ma sei impazzito? E’ l’unico modo per trovarla, e tu lo sai!
Mikael si voltò di scatto verso Gabriel, che aveva finalmente dato voce ai suoi pensieri. Mi guardai il polso nudo, finalmente libero da ogni oppressione o dolore. 
- Sta zitto! Non vedi che le stava facendo del male?
L’Angelo biondo si rivoltò verso di me, e mi sorrise, stranamente cordiale, ma cosa gli prendeva ora? Non riuscivo a comprenderlo. I suoi cambiamenti di umore nei miei confronti riuscivano a procurarmi ogni volta violente crisi nervose, ma non quella volta.
- Va tutto bene? 
Lo guardai attentamente, ogni muscolo del suo corpo era teso, le sue mani mi stringevano le spalle, le sue labbra erano schiuse, i suoi occhi seri e dolci. 
Annuii piano, silenziosamente, poi il mio sguardo sorvolò fino a Gabriel che, dietro Mikael, serrava i pugni e guardava me con aria distrutta, come se avesse appena perso di nuovo qualcuno. 
Quella visione mi fece così male che tornai immediatamente nello sguardo di Mikael che, anche se poco tempo prima mi avrebbe fatta sentire un’emerita idiota, era in quel momento l’unico sguardo in grado di farmi respirare liberamente, senza alcun peso. 
Ma poi arrivò la dura domanda:
- Adesso dimmi: dov’è Hariel? Dove l’hai trovata?
Alzai lo sguardo e lo allontanai da loro, per spostarlo su qualsiasi cosa avessi mai visto prima.
Oltrepassai Mikael, e Gabriel, e poi persino gli alberi. 
- No, non sono stata io a trovarla. È lei. 
Il mio sguardo era fisso sull’immensa torre che era appena comparsa dal nulla, come se fosse solo una finzione prodotta dalla mia mente. 
Mikael si voltò verso la direzione che anch’io stavo guardando. 
Allora non era una finzione, la vedevo davvero.
E se era vero, anche la piccolissima figura, simile ad un pallino in lontananza che cadeva dalla parte più alta della stanza era reale.
- Lei ci ha trovati.
Mikael
Avevo il cuore a mille. Lo sentivo esplodere, bombardare ogni centimetro di pelle alla sua altezza, come se fosse intento a squarciare e a cadere fuori dal mio petto. 
Correvo, rapido, contrastando il vento, contrastando il mondo, e il Destino. 
Il suo. 
Saltai su uno degli alti rami di un albero che non riuscivo a riconoscere, poi su un altro, e un altro ancora, fin quando non mi trovai nei pressi della grande Torre Bianca. 
E mi lanciai. Le mie dita strusciarono a contatto con il materiale freddo e innaturale della torre, e iniziai a scivolare sempre di più lungo di essa. 
- HARIEL!
La ragazza era a qualche metro più in alto di me, ma continuava a precipitare, più lentamente rispetto a quanto avessi mai immaginato. Come se qualcosa non avesse abbastanza forza per fermarla, ma abbastanza per rallentare la sua fine. 
Ma non si voltò a guardarmi, la forza del vento che la attraeva a terra era più forte della mia voce.
Sentivo le dita consumate, il sangue che usciva da esse e che colorava verticalmente lungo un angolo della Torre. E fu allora che la vidi: una fessura, poco più giù di lì, in direzione di Hariel. 
Quando fu a meno di qualche centimetro da me, saltai, mentre il suo corpo andava a scontrarsi con il mio, prendendo, improvvisamente, velocità. Mentre cadeva, le afferrai la mano e gliela strinsi con forza, mentre con l’altra mi reggevo alla fessura sabbiosa. Feci forza sul mio braccio e la tirai su, incitandola a stringermi le braccia contro il collo, per reggersi con maggiore stabilità. 
Hariel eseguì tutto silenziosamente, senza aggiungere nulla se non una tirata di naso. 
E poi una strana sabbia bianca mi sfiorò le dita, che presero a bruciare con forza. Strinsi i denti e lasciai che i brividi di dolore scendessero fino ai piedi, mossi solamente dal forte vento. 
- Lasciamoci cadere. 
La voce di Hariel mi arrivò stranamente secca, decisa. Mi voltai a guardarla, ma lei aveva lo sguardo vuoto, distante. 
- Che cosa? Non ci pensare neanche! Non sai neanche cos’ho dovuto inventarmi per non farti sbriciolare al suolo come una bambola di porcellana!
Gridai, involontariamente, verso di lei. Anzi, l’intenzione c’era tutta, in realtà. Come poteva darmi un ordine del genere dopo che quasi perdevo le dita per salvarle la pelle? 
- Io dovrei salvarti, non permetterti di farti ammazzare!
Hariel mi lanciò un’occhiataccia e mostrò, muovendo le labbra rosee, i denti bianchissimi.
Nei suoi occhi azzurri vidi la tragedia che provava dentro, come se tutto ciò che stesse dicendo, lo dicesse per farmi un piacere, non per sé stessa. Come se fossi io a non capire.
- È l’unico modo!
Gridò guardandomi seria. E se fosse stato davvero così? Se fosse stato davvero l’unico modo?
- Ne sei sicura?
Hariel si limitò ad annuire. Respirai piano e la guardai. La sua espressione non mutò: sembrava una bambina fin troppo cresciuta, eppure spaventata del suo futuro o del suo presente che ben presto, notando la notevole distanza che ci divideva da terra, sarebbe diventato un passato comune.
- Al mio tre; uno… due… 
Hariel affondò la testa contro il mio petto e riuscii a sentirla respirare contro il tessuto della mia maglietta. Dovevo trovare il coraggio, dovevo trovare la forza, la volontà…
Dovevo trovarla per lei, per onorare la mia promessa.
- TRE! 
La Torre Bianca era così tremendamente alta che sembrava ci volesse un'eternità prima di raggiungere il terreno erboso del bosco che lo circondava. Questo mi ricordò la Caduta; gli Angeli venivano scagliati con furia fuori dalle porte del Paradiso e poi lanciati ancora più dolorosamente sulla Terra. Una Terra mortale, terra di peccatori e di condanne. Una terra dal quale nessun Angelo rimaneva indenne. Nemmeno quando chi, nel peccato, trovava la Salvezza in uno sguardo, in una confidenza come un bacio, in un figlio come in una migliore amica. 
Alissa mi dispiace, pensai mentre una lacrima mi rigava il viso per poi sorvolare nell'Immenso, come il bacio più leggero lasciato su una guancia della propria amata.
Non avevo potuto salvare lei quel giorno, ma avrei salvato Hariel in questa vita e in altre mille se ne avessi avuto l'opportunità. 
Le somigliava così tanto che guardarla così, in lacrime contro il mio petto, faceva male come perderla per una seconda volta. 
Ma io non l'avrei permesso. 
Non ancora.
Mai più.
Era questa la mia nuova promessa.
Gabriel
- Hariel!
Sentii la gola bruciare più che mai in quel grido straziato. 
Spiegai le ali ma, appena feci un passo avanti, queste si richiusero violentemente, affondando nella carne e sfiorando le ossa. 
Mi stavo consumando, come una candela accesa da ore, ogni secondo, ogni minuto che passava senza sapere che mia sorella, nonostante l’adozione, nonostante le bugie, e nonostante tutto, stesse bene, al sicuro tra le mie braccia. 
- Oh, mio Dio, Gabriel!
Lia alzò un dito in alto, verso la grande Torre comparsa dal nulla e trattenne un grido. 
Il piccolo puntino che era riuscita a intercettare, pian piano divenne la figura lontana dei corpi di Mikael e di Hariel che si schiantava, sempre più rapidamente a terra, senza che io potessi far niente per evitarlo. Tentai nuovamente di spiegare le ali, ma queste continuarono a strappare la pelle senza però farmi alzare nemmeno di un centimetro dalla terra ferma. 
FA QUALCOSA!
Mi voltai verso Lia che, a sua volta, mi guardava con gli occhi pieni di terrore. Ma io non potevo far niente, il terrore mi paralizzava, ma non era per questo che non riuscivo a muovermi. 
C’era qualcos’altro che mi bloccava, come se la Torre Bianca non mi volesse far avvicinare, come se qualcuno non volesse che io fossi lì per salvarla. 
E poi l’oscurità, accompagnata dal forte rumore di ali che sbattevano, oscurò ogni passo avanti a noi, e noi non potemmo far altro che alzare lo sguardo, confusi.
Le enormi ali nere, le più grandi che io avessi mai visto, sfrecciarono veloci nel cielo, come frecce lanciate dal miglior arciere, e poi altre, in fila, uno dopo l’altra, fino ad oscurare l’intero cielo. 
- Che cosa sono quelli?
Allarmato, misi un braccio davanti a Lia, spingendola indietro fino a gli alberi che riportavano nel bosco. La feci fermare lungo un grande tronco di un albero e le tappai la bocca, mimando tra le labbra la parola “Demoni”. I suoi occhi si spalancarono rapidamente, poi spostò lo sguardo da me fino alla Torre, non troppo lontana dalla nostra posizione. Vidi uno dei Demoni sfrecciare avanti, verso le figure di Hariel e Mikael, che precipitavano sempre più rapidamente dalla Torre. E poi uno dei due si staccò dall’altro, ma eravamo troppo lontani per poter vedere chi dei due avesse preso l’iniziativa. 
- NO! 
Scattai in avanti, fino a uscire allo scoperto, e poi sentii un grido, lontano, forse di Hariel che, a pochi metri da terra fu afferrata da due paia di mani pallide, illuminate da una strana luce che spezzava l’oscurità del cielo. Il mio cuore smise di battere per qualche secondo mentre la ragazza veniva condotta fino a terra con delicatezza infinita. 
- Hariel!
La ragazza si guardava intorno, confusa e comprensibilmente sconvolta. I suoi occhi erano carichi di lacrime che le arrossivano gli occhi ogni secondo in più che passava.
- Dov’è Mikael? Dov’è? 
Nessuno però le diede una risposta. Nella notte il suo respiro spaventato era tutto ciò che riuscivo a sentire. Corsi verso di lei e lei si voltò a guardarmi, gli occhi spalancati, le labbra schiuse e tremolanti. Gli ultimi passi furono lenti, pesanti, pieni di rabbia repressa e paura terribile di averla persa. Avrei voluto gridarle contro, arrabbiarmi con lei, divenire furioso come non mi aveva mai visto ma, invece di fare tutto ciò, respirai profondamente, fermandomi giusto davanti a lei, senza parlare.
- Gabriel! 
Sembrava volesse aggiungere dell’altro, ma non glielo permisi. 
La avvolsi nel mio abbraccio e le premetti la fronte contro la sua, respirando piano. Sentii qualche lacrima rigarmi il volto, rapidamente, bruciando come fuoco liquido. Hariel tremò solo un attimo, avvertendo le mie lacrime sulla pelle e, in silenzio, così come si era avvicinata, si allontanò. Fece un passo indietro, e poi un altro. 
- Che cosa c’è? Stai bene?
Domandai, con un filo di voce. Lei scosse il capo, e scoppiò a piangere, come non la vedevo fare da tempo ormai. 
- Non sei felice? Siamo riuscirti a portarti indietro, ora sei salva!
Ma poi mi guardò, con gli occhi di quella che non poteva più essere vista come una bambina. Respirò piano: una, due volte, poi si cancellò le lacrime dal viso serio. 
- Non sono più la ragazzina che deve essere salvata, Gabe. 
La guardai, confuso, e feci un passo avanti per ottenere un ulteriore allontanamento da parte sua. Mi fermai per continuare a guardarla, e Hariel non si mosse. 
- Non sarei mai dovuta esserlo, e non lo sarò mai più. 
Ma cosa voleva dire? Cosa voleva fare? Non riuscivo a capire, e questo mi distruggeva più di qualsiasi altra cosa al mondo. 
- Per… Tutta la vita ho pensato di essere diversa, più fragile e degna di essere salvata. Ma non è vero. C’è qualcosa di sbagliato in me, c’è qualcosa che deve essere distrutto. Non è così? Non è per questo motivo che gli Angeli mi stanno cercando? 
Sentii l’aria venir meno; ogni respiro che facevo era più corto del precedente, come se stessero per finire di colpo. Avrei voluto sussurrare il suo nome, ma tutto ciò che ne uscì fuori fu un altro respiro smorzato. 
- Oh, che bellezza! Ci sono degli ospiti! 
Una figura apparve dal portone principale che non avevo nemmeno notato fino a pochi attimi prima: l’uomo camminò, un passo alla volta, naturale e slanciato, una persona all’apparenza normalissima se non fosse stato per i magnetici occhi gialli che spezzavano l’oscurità. 
Azazel, pensai. D’istinto scattai in avanti, trascinando indietro Hariel e nascondendola dietro di me. 
- Avreste dovuto avvisare della bella notizia! Non aspettavamo che voi per annunciare il lieto evento! 
Poi alzò il mento verso di me, a mo’ di saluto, anche se i suoi occhi erano rivolti verso Hariel che, dietro di me, respirava normalmente, senza paura. 
- Vieni qui, cara!
Hariel annuì meccanicamente e fece un passo avanti, fiera di qualcosa che ai miei occhi sfuggiva, ma che il mio cuore avvertiva come qualcosa di sciocco e assolutamente pericoloso. 
Un rumore ci costrinse tutti a voltarci verso alcuni alberi, le cui chiome, mosse dal vento, creavano un'inquietante melodia che vibrava tutt'intorno, nutrendosi dell'oscurità della notte. Un Demone, con le possenti ali nere che spezzavano il vento mentre scendeva a terra, e l'espressione di chi aveva viaggiato cento giorni, lasciò cadere a terra Mikael che, a sua volta, appariva molto più stanco del dovuto. 
- Mikael!
Un grido giunse dal nulla, portando poi la figura di Lia, che correva rapida, verso l'Angelo biondo che gemette piegando le braccia verso di sé. 
Lì le fasciature che gli stringevano le mani si erano già ritinte di sangue fresco. 
- -Oh che meraviglia, la famiglia al completo! 
La voce di Azazel ci costrinse a voltarci nuovamente verso di lui che, come se niente fosse, cingeva le spalle di Hariel. Sentii Lia trasalire, per poi chiedere a Mikael se stesse bene. L'Angelo rispose alzandosi da terra e lanciando un'occhiata furiosa alla schiera di Demoni che ci stava circondando.
- -Pensavo che come minimo avresti perso le dita, Mikael, ma sei più forte di quanto immaginassimo. I miei complimenti. 
L’Angelo biondo guardò, mostrando i denti bianchi in un ringhio furibondo. Sembrava stressato, confuso, in battaglia contro i Demoni, e contro le proprie oscurità. 
- E perché avrei dovuto? Un graffio di un oggetto mortale non può che lasciarmi un leggero prurito il giorno dopo. 
Mikael sembrava irato. Dalla sua espressione schizzava veleno come i suoi occhi le fiamme. 
- La tua risposta risulterebbe esatta se, come hai detto, fosse stato un oggetto mortale a laceranti i polpastrelli. 
Azazel si voltò verso Hariel, invitandola con uno sguardo ad avvicinarsi. La ragazza si mosse, rapida, per poi fermarsi a meno di un respiro da lui. Il Demone alzò la mano, coperta da un guanto di pelle nera. Con estrema lentezza lo sfilò mostrando la pelle bianchissima della sua mano destra.
- Ed ora vorrei che tu graffiassi il palmo della mia mano.
Sembrava quasi un mago intento a dare gli ultimi dettagli alla sua assistente. Hariel annuì, senza fiatare. Quello strano circo di ombre e sorprese inattese sembrava stringersi sempre di più intorno a noi, soffocandoci; Azazel era il burattinaio, che muoveva i fili della volontà di Hariel, che faceva tutto ciò che lui le chiedeva, come una marionetta tra le sue mani. Con un colpo secco, Hariel lacerò il palmo del Demone con le sottili unghie affilate. Il taglio prese a fumare con intensità, mentre il Demone si liberava in un ringhio spaventoso, simile a quello di una bestia rabbiosa. Ma riuscì comunque a contenersi quando, con calma, fece scorrere il polpastrello della stessa mano contro la superficie ruvida della Torre Bianca. Anche quest'ultimo lo fece gemere, mentre la pelle si squarciava lasciando cadere a terra qualche goccia di sangue scuro, quasi nero. 
- La Torre Bianca è fatta dello stesso materiale che costituisce le ossa e le unghie di Hariel.
Azazel fece una pausa per riprendere un lungo ed inutile respiro. 
- Una sostanza né umana né divina. Né quantomeno demoniaca. 
Il Demone scattò in avanti e afferrò la mano di Hariel, ferendole il polso con le unghie. Dapprima lei gridò, facendomi allarmare, poi lasciò cadere un semplice gemito mentre il suo sangue rosso acceso cadeva sulle zone ferite di Azazel. 
- Hariel è molto molto di più. 
In meno di una manciata di secondi le ferite di entrambi si rimarginarono senza lasciare alcun segno del loro passaggio.
- Hariel ha l'essenza stessa della Luce dentro di sé.
Hariel
Mi ritrovai a indietreggiare bruscamente, lasciando che la mia mano, che pochi secondi prima era tra quelle di Azazel, ricadesse rumorosamente lungo il mio fianco. Il Demone si voltò verso di me, ma non si avvicinò, non fece niente per darmi consolazione. 
- Perché pensiate che la stiano cercando, eh? 
Azazel spostò lo sguardo verso Gabriel, poi verso le figure di Lia e Mikael, e infine su tutti i suoi Demoni. 
- La guerra è cominciata, come negarlo? I palazzi cadono, gli alberi vengono sradicati, e la gente viene uccisa senza un motivo.
Il suo sguardo si posizionò su una figura in lontananza, un’immagine che i miei occhi non riuscivano a distinguere nel buio della notte.
- E poi ci siete voi: una Resistenza. Un gruppo di sopravvissuti, di Angeli e di Uomini. Ma quanto pensate di durare, senza un’arma segreta? 
E poi il viso di Azazel si illuminò in un sorriso quando, voltandosi di scatto verso di me, ritrovò ancora la mia immagine fissa nel guardarlo. 
- Oh, ma aspetta! Voi l’avete! E’ lei… Il motivo per cui l’avete presa è questa, o sbaglio? 
Mi tese la mano, ma io non la strinsi. 
- Chi non vorrebbe un’arma come lei, capace di ferire e allo stesso tempo salvare sia gli Angeli che i Demoni? Che potrebbe uccidervi quanto assicurarvi la vittoria?
Azazel continuò a guardarmi mentre altre grida si alzavano, dopo la sua, richieste e affermazioni sul mio essere miracolosa, che sembrava un’ipotesi azzardata persino per me. Questo mi ricordò la Resistenza, la paura e le preoccupazioni che la gente, la mia gente, aveva a riguardo di questa guerra, e del nostro gruppo. In quel momento avevo solo pensato che fosse un brutto sogno, che tutto ciò fosse stato solo un’immaginazione all’interno della mia mente. E poi un gemito, straziato. Uno dei Demoni cadde a terra, perforato dalla luce dorata di una spada angelica. Sussultai e guardai Azazel, tirandomi indietro. La persona che aveva attaccato, e poi ucciso il Demone, scomparve tanto velocemente come era arrivata. Di soppiatto. Nel più assoluto silenzio. Un paio di ali si innalzarono in volo, condotte dai Demoni più giovani, che partivano, più o meno, dai dodici ai diciotto anni, gli altri invece accerchiarono il bosco, alcuni si divisero tra Lia e Mikael, mentre Gabriel correva verso di me, seguito da altre ombre scure.
- Hariel, vieni con me!
Azazel mi afferrò per mano ed io mi bloccai a guardarlo. In un attimo tutte le sicurezze che avevo avuto nei suoi confronti, scomparvero magicamente, senza lasciarne traccia. 
- No… 
Dissi con un filo di voce mentre lui, in un leggero ringhio, mi trascinava con sé verso una strada vuota vicino al retro della Torre, lì sicuramente non ci sarebbero stati altri Demoni. 
Ma ci sarebbe stato il loro capogruppo, però… Azazel. 
- Ho detto di no!
Mi tirai indietro, affinché lui lasciasse la mia mano. Caddi pesantemente a terra, battendo la testa contro il muro più vicino della Torre. 
- HARIEL!
Le voci mi arrivavano confuse, doppie, triple, quadruple, lontane e gridate da vicino, come in un incubo in cui non avevo nemmeno la possibilità di scappare. Una figura sbucò dalle ombre del bosco e attaccò Azazel che, pochi attimi dopo, era davanti a me, talmente vicino che i suoi occhi mi abbagliavano, e le labbra sporche di sangue nero e denso. 
- Hariel…
Il suo era un gemito, un lamento, mentre la mia vista era un misto di profonda confusione e nebbia. 
E poi il suo viso cambiò, si tramutò fino a diventarne un altro: occhi azzurri e spaventati, labbra chiare e morbide, pelle più pallida del solito e i capelli biondi spettinati e secchi di sangue. 
- Hesediel…
Mi sfuggì solo un latrato, come un cane ferito che voleva solo scappare. Mi misi in piedi mentre la sua figura prendeva a sputare sangue, continuando a sussurrare il mio nome. 
Sentii le mani di Gabriel aiutarmi a rimettermi in piedi mentre il mio corpo prendeva a pesare come un macigno pronto a farmi ricadere a terra. 
- È morto.
Il peso del mio cuore aumentava, aumentava, aumentava, fino a diventare insopportabile. 
Scoppiai in lacrime mentre Gabriel continuava a farmi indietreggiare con lui. 
- No, no, no! 
Lo frenai, staccandomi dalla sua presa per correre poi verso il suo corpo. Gli presi il viso tra le mani e gli infilai le dita tra i capelli mentre le lacrime mi scorrevano sul viso, senza tregua. Strinsi gli occhi e tentai di sfuggire al dolore, ma niente mi pesò più del sussurro del mio nome; e poi un lamento, seguito dal calore della sua mano contro le mie. 
- È amore, è compassione, Hariel. Questa è la tua salvezza, questo è il tuo dono.
Quella frase, quella voce… 
Aprii istintivamente gli occhi mentre le mani di Azazel stringevano tra le mie un sacchetto color argento. E poi chiuse gli occhi. 
Gabriel si voltò per guardarmi, spaventato, mentre i miei occhi, per la prima volta, si aprivano alla verità. Non era semplicemente un Angelo ad aver scatenato la rissa tra i Demoni, Azazel non era morto per un semplice Angelo come tanti altri… 
Era, era… 
- Hesediel!
Era pieno di sangue.
Il nero e il rosso erano sparsi ovunque, come chiazze scure ben distinte in una tela bianca ancora da dipingere e da definire. E c’erano corpi, fermi sul terreno freddo, pronti all’ultimo e fatidico Giudizio. 
- Hesediel!
Mi guardavo intorno, fingendo che tra i volti dei Demoni morenti non potesse esserci alcuna minima possibilità di ritrovare anche il suo. Sentivo voci, grida, lamenti, gente che chiamava il mio nome, e gente che intimava di uccidermi. Ma non mi interessava. Correndo nell’Inferno, nel sangue e nelle fiamme che mi corrodevano l’anima, tutto ciò che scorreva nella mia mente era il suo nome, gridato nella mia voce come una condanna. 
- HESEDIEL!
E poi una figura nell’oscurità. Una fredda luce gli sfiorava le membra, lì, sotto la grande quercia dai lunghi rami che sfioravano l’immensità. Sembrava che il cielo si fosse aperto, mostrando la sua Luce, solo per lui. Mi lanciai verso il ragazzo e lo afferrai per le spalle, scuotendolo. I suoi occhi, però, rimasero chiusi. 
- No, NO!
Gridai stringendolo a me. Sentivo le lacrime corrodermi l’anima, non le guance. Non c’era più tempo per piangere, né per disperarsi. Solo per sperare. Sperare e basta, più che potevo, più che dovevo. E poi lo percepii, come un profondo bruciore vicino alla gamba, lì, dove il dono di Azazel, giaceva immobile. Aprii con forza il sacchetto argenteo e ne sfilai fuori il piccolo oggetto circolare e d’argento, per poi infilarglielo al dito. Sembrava calzargli a pennello, era perfetto. La piccola croce di cristallo, dapprima trasparente e quasi invisibile, prese a colorarsi, pian piano, di un rosso acceso, intenso. Lo stesso colore del suo sangue, che gli riempiva la maggior parte del viso scarno, delle labbra pallide, e del fianco destro. 
- Funzionerà, funzionerà. Deve funzionare. 
E pregai, stringendogli le mani con le mie. La sua pelle era gelida, come se del giacchio si fosse insinuato all’interno del suo corpo. 
- Funziona… FUNZIONA! 
Ringhiai contro il suo corpo, che non dava alcun segno di vita. 
- Ti prego, ti prego svegliati!
Piansi, non potevo far nient’altro. Gli lasciai le mani e strinsi gli occhi, ma riuscivo ad avvertirlo: un battito di ali leggero, un respiro sussurrato appena, la sua vita che tornava nel corpo. Il suo cuore. E poi un torpore. Aprii gli occhi, lentamente per paura di star sognando. La mano di Hesediel sfiorò la mia guancia, cancellando le lacrime calde che mi rigavano il viso. 
- Oh mio Dio, Hesediel…
Dalle sue labbra uscì un leggero verso, il segno di tacere, però con dolcezza infinita, mentre i suoi occhi azzurri cercavano i miei, e il suo corpo si alzava verso il mio. 
E poi mi baciò, con leggerezza, posando le sue labbra sulle mie con delicatezza infinita, come una farfalla che volava su un fiore appena sbocciato. 
Come il nostro amore. 
- Sei vivo… Pensavo che tu…
Hesediel mi zittì con un altro bacio infilando una delle mani tra i miei capelli, e l’altra reggendomi il mento bagnato. 
- Ti avevo promesso che ti avrei salvata, ma alla fine sei stata tu a salvare me. Mi sento in colpa… Perché, forse, se ti fossi stato lontano anche dal primo istante, tu non saresti tanto vicina alla morte come lo sei stata negli ultimi giorni. 
Disse staccandosi dalle mie labbra con la stessa delicatezza con la quale le aveva avvicinate. 
Lo guardai, confusa. In colpa? Si sentiva in colpa?
Io non potevo crederci. Dopo tutto ciò che aveva fatto per me, dopo ogni sguardo, ogni sorriso, ogni carezza, ogni bacio perduto, lui si sentiva in colpa? 
- Sta zitto.
Lasciai che lui si sedesse sull’erba e che mi fissasse, mentre la mia espressione, sicuramente furiosa, si tramutava in un’espressione di dannata angoscia. 
- Tu sei vivo, ok? È questo quello che conta! A me non importa di ciò che mi accade, non senza di te. 
Hesediel mi guardò mentre mi alzavo dall’erba sporca del suo sangue. Allungai le mani davanti al viso dove i segni delle sue ferite sembravano aprirsi nelle mie. Il suo sangue nel mio sangue, la sua vita nella mia. Gli diedi le spalle e continuai a piangere, non riuscivo a guardarlo nemmeno in viso. A fatica riuscì ad alzarsi e a raggiungermi ma quando lo fece, tutto ciò che riuscii ad avvertire furono le sue braccia intorno al mio corpo, le sue labbra sulla mia fronte.
- Però non mi hai fatto finire!
Quasi rise. 
- Stavo dicendo: ma io ti amo. E non posso, non ci riesco, a lasciarti andare. 
Lo guardai e, senza cancellarmi i segni delle mie lacrime, lo baciai, con forza.
E se la prima volta, un bacio, aveva segnalato la fine di un qualcosa, quel giorno segnalò l’inizio di tutto…
 
   
 
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