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Autore: MyLandOfDreams    16/07/2013    4 recensioni
Sono passati 4 anni dall’ultima volta che l’ha visto. Quattro anni da quando le ha dichiarato il suo amore. Quattro anni senza ricevere sue notizie.
Fino ai 12 anni Mike occupava una parte importante nella vita e nel cuore di Lucia, e, ora che lui è lontano, lei non fa altro che aspettare il suo ritorno. Ormai ha compreso quali sono i sentimenti che prova per il suo amico, ma quest’ultimo non ha mai provato a mettersi in contatto con lei.
Lei non ha più amici. Ha solo la sua famiglia.
Fin quando, il primo giorno del terzo anno di liceo, non incontra lui.
Claudio che, in punta di piedi, entrerà nella sua vita aiutandola a rifarsi una vita.
Ma il passato non si può cancellare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Prima di passare al capitolo volevo dirvi che non ho avuto tempo per farlo revisionare, per cui, se doveste notare degli errori fatemeli notare e provvederò.
 

Capitolo 3
 
  «Sei una stupida! Davvero credevi che la mia “dichiarazione d’amore” fosse vera? Ma cresci un po’! Sei solo una bambina che crede ancora nelle favole e nel principe azzurro!» Un sorriso quasi sadico gli comparve sul volto.
  Avevo le lacrime agli occhi. Non poteva rivolgermi parole simili.
  Non lui.
  Non il mio Mike.
  Ma d'altronde il mio Mike era il ragazzino di dodici anni sempre dolce con tutti, con il sorriso sempre stampato sul volto, sorriso che si espandeva agli occhi.
Il mio Mike non era quello che mi stava di fronte. Arrogante, dal sorriso sadico, lo sguardo freddo.
  «Non sei altro che un’illusa! Davvero continui a sperare che io torni da te e inizi a mantenere quell’insulsa promessa? Ma fammi il piacere. Non ne vale la pena. E, parlando per assurdo, perché dovrei mantenerla se tu stessa non l’hai mantenuta?».
Non riuscivo più a distinguere il suo viso a causa degli occhi che straripavano di lacrime.
  Nonostante ciò lo vidi voltarsi per andare via. Lontano da me.
  Questa volta per sempre.
  «Mike. Non lasciarmi» avrei voluto urlarlo, ma mi era uscito nient’altro che un sussurro.
  Non intravedevo più la sua sagoma, segno che ormai fosse troppo lontano e, consapevole del fatto che non l’avrei più rivisto, corsi verso il punto in cui era scomparso esplodendo in un urlo a pieni polmoni.

 
  Ansante e con ancora le lacrime che mi inondavano il viso, mi ritrovai seduta sul mio letto sommersa dalle lenzuola e dai cuscini umidi del mio sudore e delle mie lacrime.
  Rimasi ferma a cercare di riprendere fiato per pochi secondi, il tempo necessario per sentire la porta spalancarsi improvvisamente, mostrando le facce segnate dalla preoccupazione di Margaret e Marco.
  Le mie urla li avevano svegliati.
  La piccola Margaret fu la prima a correre da me arrampicandosi sul letto per poi aggrapparsi al mio collo.
  Non potei far altro che affondare il mio viso tra i suoi capelli. Dopo un incubo un suo abbraccio era sempre stato il rimedio perfetto.
   «Hai avuto un incubo vero Ucy?» Nonostante fosse notte fonda quel piccolo angioletto si preoccupava per me che ero la sorella maggiore.
  «Si piccola». Non riuscii neanche a guardarla in faccia.
  Più volte mia aveva detto di voler diventare come me da grande. Ero il suo modello da imitare.
  Non volevo che mi vedesse in quello stato, con le lacrime ad inondarmi il viso.
  «Ora ci sono io. Non ti devi preoccupare». Una lieve risata unita ad un singhiozzo uscì dalle mie labbra. Sembrava quasi che fosse lei l'adulta della situazione.
  Poco dopo ci raggiuse Marco che avvolse entrambe tra le sue braccia muscolose. Avevo chiuso gli occhi per godermi appieno quella situazione. Percepii chiaramente le labbra di Marco posarsi sul mio capo.
  «Hai fatto lo stesso incubo vero?». Non aveva bisogno di specificare nulla. Avevo capito perfettamente cosa intendesse.
  Era da un anno che venivo tormentata dallo stesso incubo.
  Mike tornava in Italia. Tornava a casa. E non appena gli correvo incontro mi allontanava bruscamente per poi scoppiare a ridere e iniziare a deridermi per le mie stupide illusioni.
  Ma questa volta l’incubo era diverso. In questo incubo c’era Claudio.
«Non proprio… Per favore, non voglio parlarne per ora» sussurrai. Non avevo le forze necessarie né per parlare a voce normale né tantomeno per spiegargli il mio incubo così simile a quelli precedenti seppur differente.
  Senza dire altro Marco si staccò da me per farmi distendere con ancora la piccola tra le mie braccia, per poi mettersi accanto a noi.
  Controllai l’ora dalla sveglia digitale sul comodino: erano le 4 di notte.
  Mi lasciai cullare dai dolci sussurri di mio fratello e dalle carezze e dai baci di mia sorella senza però riuscire a prendere sonno.
  Sentirsi amati è davvero l’unico modo per riprendersi da un incubo. Ci si sente protetti, al sicuro, in un luogo dove gli incubi non hanno alcun potere.
  Poco dopo sentii chiaramente i respiri dei miei fratelli farsi regolari segno che si erano addormentai e che presto le immagini dell’incubo avrebbe invaso nuovamente la mia mente impedendomi così di prendere sonno.
  Nel mio incubo mi trovavo con Claudio.
  Stavamo ridendo e scherzando quando, a un tratto, si avvicinò un po’ troppo a me, alle mie labbra, per poi coprirle con le sue.
  Io ero immobile, con gli occhi sbarrati, intenta ad osservare atterrita quei due occhi azzurri che tanto amavo.
  Poco dopo Claudio si era allontanato, ma una volta che fu abbastanza lontano da distinguere i tratti del viso, mi prese quasi un infarto.
  Non era più Claudio. Era Mike.
  Il resto dell’incubo era rimasto invariato rispetto alle altre volte, tranne per una frase.
  «Parlando per assurdo, perché dovrei mantenerla se tu stessa non l’hai mantenuta?».
  Si riferiva al bacio con Claudio.
  Come previsto non riuscii più ad addormentarmi.
  Trascorsi quelle poche ore che mancavano al risveglio di tutta la casa a rivivere il mio incubo.
  Non lo facevo intenzionalmente. Mi bastava chiudere gli occhi o fissare il vuoto perché le immagini di quell’incubo tornassero ad invadermi la mente.
  Dovevo assolutamente tenermi occupata. Cosa non facile a quell’ora.
  Era troppo presto per farmi la doccia e avrei finito con lo svegliare tutti per la grazia da elefante che possedevo di prima mattina.
  Non potevo preparare la colazione perché la macchinetta del caffè avrebbe fatto troppo rumore.
  Non potevo alzarmi e sistemare la mia camera perché avrei dovuto necessariamente accendere la luce svegliando nuovamente i miei fratelli.
  Non potevo far altro che starmene a contare le stelle fosforescenti che si erano ormai spente dopo tutto quel tempo, rendendo il mio “passatempo” impraticabile, lasciandomi in balia dei miei pensieri.
  Varie volte da piccola mi era capitato di fare dei sogni premonitori o rivelatori.
  Non volevo però credere che lo fosse anche quello. Se l’avessi creduto non sarei riuscita a trovare la forza per continuare a vivere.
  Era la speranza del suo ritorno a farmi sopportare le fatiche e torture quotidiane. Se questo incubo si fosse avverato dove avrei potuto trovare le forze per andare avanti?
 
  «Buongiorno Lucia»
  Sollevai lo sguardo dalle mani che mi stavo torturando da dieci minuti a quella parte. Claudio, con un sorriso a trentadue denti da un orecchio all'altro, mi sovrastava con il suo metro e ottanta.
  Ci trovavamo difronte al cancello della scuola, insieme a tutti gli altri alunni, in attesa del suono della campanella.
  Quella mattina avrei preferito che Claudio se ne stesse a casa.
  Perché mi si era avvicinato il giorno precedente?
  Perché cercava di essermi amico anche dopo aver compreso che non avevo alcun tipo di rapporto con gli altri compagni di classe?
  Perché mi aveva difeso con Giulia l'oca quando quest'ultima, alla fine, aveva ragione?
  Perché mi ero lasciata coinvolgere dai suoi discorsi?
  Perché, nonostante quegli occhi ipnotici uguali ai suoi, in sua compagnia non mi salivano le lacrime agli occhi al ricordo di Mike?
  Ma le domande principali erano altre.
  Come conosceva Marco? Che rapporto c'era tra i due? Perché sembrava quasi collegato a Mike?
  Le uniche domande che avrei potuto porgli erano le ultime, ma avevo promesso a mio fratello che non avrei indagato. Per il momento.
  Mi dispiaceva per come l'avevo trattato quella mattina.
  Non appena si era svegliato lo avevo spinto molto poco gentilmente facendolo cadere a terra di faccia. Questo perché dovevo entrare in bagno a farmi la doccia.
  Avevo atteso tutta la notte il momento in cui avrei potuto lasciare scorrere l'acqua sul mio corpo illudendomi che potesse portare con sé, via da me, tutti i pensieri che da ore mi tormentavano.
  Non gli avevo neanche chiesto scusa poverino.
  Dopo aver osservato per qualche secondo Claudio ancora tutto sorridente distolsi lo sguardo fissandolo sulle macchine che sfrecciavano lungo la strada.
  Come poteva salutarmi con quel sorriso dopo che il giorno prima era fuggito da me perché gli avevo chiesto come conoscesse mio fratello?
  La paralisi facciale era l’unica spiegazione plausibile.
  Sentii Claudio posarmi una mano sulla spalla per poi girarmi verso di sé. «Ehi, cos’hai stamattina? Ho fatto qualcosa?»
  Mostrai un espressione indifferente, ma dentro di me stavo scoppiando. Avrei voluto dirgli di mettersi un paio di lentine colorate in modo da non mostrarmi quegli occhi, di smettere di sorridere, di smettere di cercare di diventarmi amico.
  Avrei voluto urlargli di non osare mai baciarmi.
  «Niente». Questa fu la mia risposta, ma presto fu coperta dal suono della campanella.
  Senza aspettare oltre corsi all’interno della scuola.
  Ovviamente non ero tanto stupida da andare in classe dove me lo sarei ritrovato inevitabilmente accanto.
  Corsi quindi verso il bagno delle ragazze del piano superiore.
  Lo sentivo seguirmi e, non appena raggiunsi il bagno aprii di scatto la portafinestra da cui partivano le scale antincendio per poi nascondermi nella cabina con la tazza non funzionante.
  Come previsto, una volta entrato nel bagno, aveva notato l’uscita d’emergenza aperta. Percepii i suoi passi farsi più veloci lungo le scale di metallo.
  Una volta sicura che fosse ormai lontano feci per uscire, ma dei gemiti provenienti dalla cabina accanto mi fecero bloccare.
  Non so perché lo feci, ma mi arrampicai silenziosamente sul bordo del water per poter scorgere oltre il muro che separava, non completamente, le cabine.
  Per poco gli occhi non schizzarono fuori dalle orbite.
  Giulia Alessi stava limonando con il migliore amico del suo ragazzo.
  Sapevo che fosse una poco di buono, ma non pensavo che arrivasse a tanto. Di solito si limitava a fare la gatta morta.
  Ma mettersi a limonare con il migliore amico del suo ragazzo!
  Sin dal primo anno di liceo ero stata il suo bersaglio preferito, e la situazione era troppo alettante, tanto che presi dalla tasca posteriore dei jeans il cellulare e, una volta messo il silenzioso scattai un paio di foto a quella scena che mi si parava davanti.
  Ero così soddisfatta di quella scoperta da non chiedermi come facessero ad essere lì in quanto non avevo sentito nessun altro dopo che Claudio se n’era andato.
  Facendo il più silenzio possibile, uscii in corridoio per poi dirigermi velocemente in classe.
  Quelle foto mi sarebbero state utili, ne ero sicura. Per due interi anni aveva fatto di tutto pur di rendermi la vita impossibile, più di quanto già non fosse, ed era tempo di renderle pan per focaccia.
  Entrai in classe con un sorriso appagato sulle labbra. La professoressa di matematica era già in classe permettendomi quindi di evitare altre discussioni con Claudio. Anche se, effettivamente, non le si potevano definire tali in quanto era lui che parlava, mentre io accennavo a poche parole (che spesso venivano coperte da altri suoni).
  Dopo aver salutato la professoressa ed essermi scusata per il ritardo, andai a sedermi al mio posto.
  «Bene ragazzi, direi che possiamo cominciare» la professoressa si alzò tenendo in mano una pila alquanto minacciosa di fogli.
  «Come già vi avevo accennato ieri, da oggi cominceranno i test d’ingresso di tutte le materie» Intanto, nel parlare, stava distribuendo a ognuno i vari fogli.
  Una volta finito di distribuire le fotocopie a tutti, ci augurò buon lavoro raccomandando di fare tutto da soli in quanto i risultati non avrebbero influito sui nostri futuri voti, ma avrebbero aiutato i professori a valutare il livello di preparazione.
  Feci per iniziare, ma fui interrotta dal cigolio della porta che si apriva, e chi poteva essere se non Giulia Alessi?
  Non osai immaginare cos’altro avesse combinato in bagno per tutto quel tempo. Aveva tutti i capelli fuori posto, gli occhiali da vista storti, il rossetto sbavato, alcuni lembi della maglietta dentro i pantaloni e, per finire, la cerniera di quest’ultimi aperta.
  Questi dettagli non passarono di certo inosservati da tutti i presenti, ma nessuno osava fare commenti. Non davanti alla professoressa che in quel momento era alquanto scossa dalla vista della sua diligentissima e coscienziosissima alunna in quello stato.
  Nessuno tranne, ovviamente, il nuovo arrivato.
  «Cos’hai fatto? Vieni direttamente dal letto dove ti sei preparata? O sei stata forse investita da una mandria di animali?» Fece finta di rifletterci un secondo su portando la mano destra sul mento e alzando gli occhi al cielo.
  «Direi la seconda, ma al posto della mandria direi che l’animale fosse uno solo» Quelle parole mi erano sfuggite. Era stato istintivo. Ma non me ne pentii.
  Non dopo aver visto la faccia dell’oca.
  Aveva gli occhi e la bocca spalancata avendo capito che sapevo cosa avesse fatto, dove e con chi.
  Quell’espressione la rendeva ancora più ridicola di quanto non fosse prima, facendo così scoppiare tutta la classe in una fragorosa risata, compresa la professoressa.
  Dopo alcuni istanti però quest’ultima riportò la tranquillità intimandoci di continuare con i test.
  Pochi minuti dopo la classe era in un silenzio quasi pauroso. Tutti erano intenti a rispondere al meglio ai quesiti.
  Tutti tranne colui che si era alzato per consegnare i fogli alla professoressa.
  Erano passati si e no 5 minuti. Claudio non poteva aver finito.
  «Cosa vorrebbe dire questo?» La professoressa aveva osservato i fogli con un sopracciglio alzato.
  «Mi dispiace professoressa, ma so rispondere solo a quelle domande.» Possibile che sorridesse anche in una situazione come quella? Ok, non era il solito sorriso tranquillo e felice, ma era un sorriso dispiaciuto.
  Ma era comunque un sorriso!
  Come può una persona stare sempre, perennemente, col sorriso sulle labbra?
  «D’accordo, questo vuol dire che dovrai farti aiutare da qualcuno. Vediamo un po’ chi potrebbe aiutarti»
La professoressa ,intanto, aveva tirato fuori l’agenda personale dell’anno precedente per stabilire il fortunato.
  Ormai nessuno prestava attenzione alle fotocopie davanti a sé. Osservavano tutti la scena che si stava svolgendo alla cattedra. 
  Da una parte c’erano i ragazzi curiosi. Dall’altra c’erano le ragazze speranzose di essere scelte. E poi c’ero io che pregavo di non essere così tanto sfortunata.
  «Direi che Lucia Valenti sia perfetta per tale compito». Quell’arpia concluse il tutto guardandomi con un sorriso dolce.
  «Ma professoressa, quest’anno iniziamo anche la filosofia. Non so se sarò capace» Tentai di giustificarmi.
  «Non preoccuparti parlerò io con il professore dicendogli che potrebbe dare a voi due un po’ di tempo in più per farvi preparare» Cercò di tranquillizzarmi, ma non capiva che, l’unico modo per farmi mettere l’anima in pace, era affidare quel compito a qualcun altro.
  Utilizzai l’ultima carta a mia disposizione «Beh, magari potrebbe affidare questo compito a Giulia, dopotutto lei è la prima della classe». Cercai di sorridere, sperando che quell’incurvamento all’insù di labbra potesse convincerla.
  Ovviamente, però, le mie parole non servirono a molto. «Secondo me tu sei perfetta. Inoltre siete compagni di banco. E questa discussione finisce qui».
  Rassegnata abbassai lo sguardo sul mio test.
 
  «Direi che possiamo cominciare oggi no?» Sollevai lo sguardo verso Claudio. Aveva quel solito sorriso dipinto sulle labbra.
  Tornai a fissare il pino che si vedeva dalla finestra. «D’accordo. Alle 3 a casa tua. Scrivimi sul diario l’indirizzo»
  Non volevo che mettesse piede nella casa dove io e Mike eravamo cresciuti insieme. Non lui che, con quei suoi sorrisi sempre presenti, mi ricordava sempre più Mike.
  Ma non sapevo che una volta entrata in casa sua tutto sarebbe cambiato.


Mio angolino personale:
Per chi è arrivato fin qui senza volermi tirare addosso dei pomodori marci volevo dire grazie. Grazie per aver letto questi capitoli a tratti orribili che mi sono venuti fuori.
Volevo inotre ringraziare chi recensisce, preferisce, segue e ricorda la storia. Grazie davvero e cosa importante RECENSITE

 

  
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