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Autore: chi_lamed    18/07/2013    1 recensioni
Micizia è...
... una nuova vita per Severus Piton. Ed un sorriso tutto per lui.
Un vero e proprio Smile.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni'
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Titolo: Micizia - Con occhi diversi-prima parte
Data: luglio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo, fluff, slice of life
Personaggi: Severus Piton, sorpresa
Pairing: nessuno
Epoca: post 7 anno
Avvertimenti: what if
Riassunto: Hai desiderato per tutta la vita di essere guardato con occhi diversi, Severus.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. 
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 
Nota: Questa storia fa parte della serie “Micizia”, la quale vuole essere il seguito ideale della ff “Smile”. Ogni storia può essere letta come storia a sé stante, tuttavia è mia intenzione mantenere un filo cronologico che leghi gli eventi. Per questo motivo indicherò man mano in un indice l’esatta cronologia in cui leggere le varie fanfiction.
 
Cronologia storie:
1. Smile
2. Micizia – Quando tutto ebbe inizio (in fase di stesura)
3. Micizia – Insieme
4. Micizia - Routine
5. Micizia - Ombre
6. Micizia - Con occhi diversi-prima parte





Con occhi diversi – prima parte

 


Buio e dolore.
Oscurità e risate.
Notte di luna nuova, notte in cui l’astro notturno assiste alla malvagità umana senza essere visto. Chissà, forse vorrebbe addirittura non vedere, non gli si può dare torto.
Ti manca ogni cosa.
Fiato per respirare, voce per gridare, forze per muoverti.
Puoi solo strisciare.
Sotto la mano sinistra che artiglia la terra, l’erba è umida e fredda.
Il braccio destro è stretto in una morsa letale. Fa male. Fa troppo male da sopportare perfino per te, che da sempre sei stato abituato a resistere fin oltre ogni limite.
E l’Oscuro ride.
Ride di te, della tua debolezza, del tuo strazio.
Ride del tuo essere così chinato, quasi prostrato, suddito a tutti gli effetti che non ha dignità propria, che non possiede più nemmeno se stesso.
Ride e ti fissa con quegli orridi occhi dai bagliori rossastri su un volto serpentino ancora più orrido. In te vede solo una misera pedina e nulla più, un trastullo da gettare via senza rimpianti quando non ci sarà più bisogno, un numero tra i suoi seguaci da considerare sempre e solo inferiori.
Ombre oscure ed immobili stanno all’intorno ma nessuna di esse fiata, il cerchio dei Mangiamorte è al completo e tu per questa notte sei lo spettacolo principale.
Non può essere vero tutto questo, lo senti con ogni fibra del tuo essere. Questa realtà te la sei lasciata alle spalle da un pezzo, Voldemort – oh, sì, vedi che riesci anche a pensare al suo nome senza chiamarlo “Oscuro Signore”? – è morto e sepolto, sconfitto per sempre.
L’amore lo ha vinto, anche il tuo.
Non è vero tutto questo, non è vero, non può essere vero.
Svegliati, Severus, svegliati dannazione!
Il braccio destro continua a dolere e lacrime di frustrazione scendono incontrollate dagli occhi, mischiandosi alla rugiada del terreno.
Se tutto questo non è vero, perché allora fa così tanto male?
Quanto manca per il biglietto di sola andata per la pazzia?
La risata dell’Oscuro Signore si alza di tono, diventando ancora più stridula ed insopportabile.
Con un ultimo barlume di lucidità ti aggrappi ad una speranza sempre più flebile, la mano sinistra affonda nella terra, le unghie scavano alla ricerca di un fondo da cui risalire.
Con un sussulto di forza che non sai da dove provenga, non ti rimane altro che aprire gli occhi di scatto e scalciare con foga il terreno sotto di te.
 
 
La sensazione di vuoto ha il potere straordinario di svegliarti del tutto.
In un instante realizzi dove ti trovi.
E comprendi perché i comodini si chiamano proprio così: perché sono comodissimi come appiglio improvvisato. Specie quando si è così tanto in bilico sulla sponda del letto che è impossibile non cadere giù.
Tonfo evitato per un pelo.
Gran bel risveglio, Severus, non c’è che dire.
Un ricciolo di polvere si mostra placido sul pavimento nello spazio tra il piccolo mobile ed il giaciglio.
Sbatti le palpebre, aggrottando la fronte come per studiarlo meglio.
E quello da dove salta fuori?
Ma soprattutto, perché diamine te ne stai ancora così?
Alzati da questa posizione assurda in cui ti sei ritrovato, su!
Ahi!
Il perché è presto detto, così come il gemito incontrollato che ti sfugge tra i denti.
Non puoi fare leva sul braccio destro, non riesci nemmeno a muoverlo, è il sinistro che deve fare tutto ed usare il comodino come punto d’appoggio.
Com’era quel proverbio Babbano?
Chi ben comincia, eh?
Riacquisti una posizione seduta che arrivi almeno alla decenza solo dopo parecchi sforzi e con più di qualche sbuffo di sottile impazienza mista ad indignazione. L’arto informicolato intanto poco alla volta riprende la sensibilità perduta e lo fa con una sgradevole sensazione di mille aghi conficcati al suo interno e che si spostano continuamente senza darti pace, come minuscoli insetti.
Massaggiare dalla spalla in giù, aprire e chiudere la mano più volte per tornare a far circolare il sangue, sono gesti che compi ancora ed ancora.
La vista è un po’ annebbiata per le lacrime piante durante il sonno.
Ti tocchi il viso e non ti stupisci di trovarne le guance bagnate.
Con un sospiro amaro cancelli ogni traccia di quel pianto che ti fa solo rabbia e stringere i denti.
La stanza è ben illuminata – troppo – e fuori il sole è già sorto da un pezzo. Le otto del mattino devono già essere abbondantemente passate.
Non è da te svegliarti a quest’ora. Tu sei amico dell’alba, che sia inverno, estate o qualsiasi altra stagione o giorno della settimana. Hai sempre amato i raggi del primo sole, tenui e quasi timidi, ma così caparbi nel cacciare le tenebre. Ti hanno sempre dato la speranza che la più forte oscurità fosse vincibile anche grazie solo ad un piccolo spicchio di luce impalpabile, che non sarebbe comunque mai stata per te, ma almeno per le persone che negli anni avevi giurato di proteggere.
Un ultimo movimento del braccio finalmente tornato se stesso.
Lui è a posto, ora tocca a te.
No, decisamente non ti piace dormire fino a tardi, ti dà la sensazione di esserti perso qualcosa di importante.
Così come non è da te avere ancora incubi. Quanto tempo è passato dall’ultimo? Giorni… no, settimane, sicuramente più di un mese.
A suo modo anche questa è una vittoria.
Non puoi cancellare il passato con un semplice colpo di spugna, ti devi accontentare di subirlo a piccole dosi.
Indubbiamente è pur sempre meglio di prima.
Però quell’incubo era così vivido, reale e doloroso che nella mano sinistra ti sembra ancora di sentire la consistenza dell’erba.
Inorridisci al solo ricordo.
Ed in bocca il sapore salato delle lacrime che non sei riuscito a nascondere ha un retrogusto amaro, amarissimo, perché no, nel sogno tu quel passato non lo volevi più rivivere.
Così come non lo vuoi adesso.
La pietra tombale del “mai più” è ancora lontana dall’essere posta, l’inconscio trova sempre modi incredibili per aggirare anche la volontà più ferrea.
Anche se questa volta non devi incolpare lui, ma le incredibili associazioni che può fare il cervello umano perfino in stato di sonno.
E, guarda guarda, puoi incolpare anche qualcun altro…
Oh sì, puoi, ora che hai ripreso finalmente il totale controllo di te: respiro normale, battiti del cuore più calmi ed in arrivo una solenne arrabbiatura degna dei tempi che furono.
Lo dimostri con un sopracciglio alzato – anzi no, due – perché è per colpa sua se sei ancora confinato nella parte più estrema del letto, in bilico meglio di un equilibrista.
E che Merlino ti assista se questa volta non ti scappa un rimprovero da manuale.
Smile dorme beatamente al centro del tuo letto.
Completamente disteso, in barba alla proverbiale dote dei gatti di raggomitolarsi fino all’inverosimile.
Al centro.
Disteso.
E di traverso.
Ed il suo stupido padrone nel sonno si è spostato fino al limitare dello spazio ed oltre.
La decisione di non farlo più entrare nella tua stanza è presa in un baleno. La punta di afflizione che senti nascere nel petto la cataloghi velocemente come smanceria inutile a cui ti rifiuti di sottostare, la imbavagli senza pietà e la spedisci lontano senza troppe cerimonie.
Ci sono limiti da non oltrepassare.
Per giunta non l’hai nemmeno sentito salire sul letto… dove sono finiti i tuoi riflessi da ex-spia che dormiva con un occhio solo, perennemente vigile in qualsiasi momento? Ah già, i traditori si sono concentrati per farti spostare senza svegliarti e per farti venire gli incubi.
Altro che spia arrugginita, ti sei proprio mummificato ben bene, Severus!
E per giunta ti stai mettendo a parlare a te stesso come un perfetto idiota.
Perfetto.
Chiudi gli occhi, ti imponi di riordinare le idee e torni ad arrabbiarti con il tuo inquilino.
Certo che…
Inclini la testa, come per studiarlo meglio.
I gatti dormono proprio in posizioni assurde.
Pancia all’aria e zampe posteriori ben stese. Quelle davanti, poi, non sono da meno. Coda dritta e leggermente arricciata sulla punta, simile ad un morbido punto di domanda.
La posizione della resa, pensi subito. La posizione della fiducia, di chi sa che non gli accadrà nulla di male e che si espone così, senza indugio.
Sa che con te può fidarsi.
Sa che di te può fidarsi.
La voglia di fargli una carezza adesso c’è, è una vocina che sussurra impertinente… ammettilo.
Nemmeno per sogno, rispondi in modo rude a te e a lei. Non ora che sei completamente di malumore, colpito e affondato nella tua autorità di padrone di casa.
Ti alzi di scatto e spalanchi la finestra per arieggiare la stanza. Poco t’importa dell’aria fresca che costringe il tuo felino a raggomitolarsi in tutta fretta.
Ti ci vuole infine ogni briciola di autocontrollo che possiedi per non uscire a grandi passi sbattendo la porta.
Quando poco dopo ritorni – hai dimenticato il foulard sullo schienale della poltrona, colpa sua anche questa – tutti i tuoi propositi di rivendicare i tuoi diritti da umano si squagliano come un misero cubetto di ghiaccio in pieno deserto. Sul letto è comparso uno strano bozzolo verde ricamato a motivi geometrici stilizzati. Spalancare gli occhi per l’incredulità, chinarti, osservare tra le pieghe della tua coperta un musetto nero ed un paio di occhi gialli che ti fissano tranquilli è la cosa più naturale del mondo.
«Sono ancora solennemente arrabbiato con te.» borbotti guardandolo bieco, ma il tono di voce che ti esce è più dolce di come vorresti.
Così intabarrato – ma come diamine ha fatto? – Smile scuote energicamente il capo e tira fuori del tutto il muso da quel riparo improvvisato.
Sembra un vermicolo con la nera testolina di un gatto.
Se lo vedesse Hagrid…
Non batte ciglio.
Riesce ad alzarsi e mettersi seduto, come ancora non lo sai, e si allunga verso di te fino a quasi sfiorarti il naso con le vibrisse.
È il suo modo di scusarsi, lo conosci.
Ti osserva, ricambiato e non miagola nulla.
Attende.
Attende la tua mano che scende lenta a posarsi su di lui e che sorprende anche te.
Solamente te.
Lui no, socchiude gli occhi ed inizia a fare le fusa.
L’arrabbiatura va a farsi benedire con tanto di saluti ed arrivederci alla prossima occasione.
Merlino, Severus, come ti sei ridotto…
 
*
 
Odi andare a Diagon Alley.
Con tutto te stesso.
Ma il tuo lavoro da pozionista ogni tanto richiede questo doveroso sacrificio, l’idea di perderti poi per delle ore tra distillati e vapori dei più svariati colori val bene la pena.
Odi camminare tra la gente e sentire ogni sguardo sondarti l’anima al tuo passaggio, come se il tuo privato non fosse già stato reso abbastanza pubblico grazie alla lingua lunga di Potter e ai fiumi d’inchiostro sprecato sulla Gazzetta del Profeta.
Odi le occhiate incredule e le bocche spalancate dei bambini, le cui mamme non hanno nemmeno la buona creanza di insegnare loro che non si indicano le persone e che non si parla di esse a voce alta.
Il tuo mantello svolazzante, fido alleato per incutere rispetto, serve a ben poco.
C’è stato un tempo lontano – un’altra vita – in cui hai desiderato con tutto il tuo essere possedere l’incedere elegante che hai ora per attirare sguardi ammirati e colmi di deferenza. Lo hai desiderato così tanto che hai accettato di cadere nel fango fino a rimanerci invischiato, tossico mortale che ha avvelenato la tua vita ed ucciso quella delle persone che amavi.
Ora di questi sguardi non sai più che fartene.
Non li vuoi.
Non li meriti.
Non hai ancora fatto abbastanza progressi da pensare addirittura di meritare più della vita che possiedi adesso – ed è già tanto – figurarsi l’ammirazione che vedi scintillare negli occhi dei piccoli. Non hai alcun diritto di riceverla.
Gli eroi sono ben altri.
Ti è sufficiente vivere ed andare avanti, vivere e respirare la serenità che ti attende una volta varcata la soglia di casa.
Avresti mai creduto che un giorno avresti pensato con sincerità ad una frase del genere?
No, in tutte le lingue del mondo.
Merlino solo sa quante notti insonni hai fantasticato nella tua fiducia di bimbo ancora intatta, coltivando una speranza che ora è realtà.
Però intanto desideri vivere senza essere sempre osservato con occhi lucidi di commozione o brillanti di maliziosa curiosità.
Hai solamente voglia di essere guardato per quello che sei veramente e nient’altro.
Ma sai che è impossibile.
La maschera che ti nasconde a tutti a volte la indossi anche davanti a te stesso.

*

Qualcosa non va.
Lo comprendi subito, appena entri.
È un sesto senso che raramente ha fallito in passato.
Anzi, mai.
La porta si chiude con uno scatto secco dietro di te, la chiudi a chiave con un veloce incantesimo non verbale.
La stranezza è lì, davanti a te, vicina.
In agguato.
Sorridi.
Anche se non dovresti, vero?
Osi pure darle le spalle per toglierti con tutta tranquillità il mantello. Lo riponi sull’appendiabiti, la mano destra corre alla tasca esterna a prendere la scatolina di ingredienti debitamente rimpicciolita per essere meno ingombrante.
Quando ti volti hai tra le mani un involto di considerevoli dimensioni tornato al suo aspetto normale, ma intanto con la coda dell’occhio non hai smesso di tenere la situazione sotto controllo.
È ancora lì.
Si decide o no?
Non è la prima volta che capita, non sarà di certo l’ultima.
Fai finta di nulla, ma intanto il sorriso non se ne vuole andare. Della scatola poggiata sulla tavola ora t’importa poco, non la apri nemmeno come il tuo solito, proprio tu, perennemente impaziente di osservare con maggior cura gli ingredienti che porti a casa, peggio di un bambino che non vede l’ora di scartare il suo pacco di caramelle preferite.
Con lentezza studiata torni ad assumere la tua espressione truce dei tempi migliori.
Non è lui lo specialista della finzione.
Ti volti, adagio e maestoso.
A braccia conserte ti appoggi allo stipite della cucina, occhieggiando arcignamente un punto imprecisato in basso, poco lontano dai tuoi piedi.
L’essere considerevolmente più alto gioca tutto a tuo favore.
Due occhietti gialli ti fissano curiosi da sotto in su, forse chiedendosi come hai fatto ad accorgerti di loro. Erano così ben nascosti sotto il tappeto del corridoio!
L’agguato non serve più, inutile starsene ancora lì, vero?
Smile smette di stare acquattato. Si siede composto continuando a guardarti con la testa un po’ inclinata, ma sotto quel tappeto a mo’ di cappuccio sembra ancora più piccolo e indifeso.
E buffo, di’ la verità.
 
Dai, umano… sorridimi un po’. Facciamo la pace?
 
Il miagolio è basso e lamentoso.
Di quelli che usa quando vuole farsi perdonare qualcosa.
E lui da questa mattina ne ha di cose da farsi perdonare.
Il letto occupato, la caduta mancata per un soffio, la ciotola del latte rovesciata nel bel mezzo della cucina e… cosa ancora? Ah sì, come dimenticarlo? Il gufo del Ministro rincorso per mezzo salotto, con gran spargimento di piume e… beh, ci siamo capiti.
Per non parlare del baccano infernale che ne è venuto fuori.
Hai dovuto rispondere a Kingsley dall’ufficio postale di Diagon Alley, assicurandogli che gli avresti rispedito il suo animale solo dopo esserti accertato delle condizioni più che ottime del suo pennuto.
Però gli hai taciuto che è stato il tuo gatto.
Ovvio, per il quieto vivere non è sempre necessario raccontare tutto.
Avresti ancora parecchi motivi per essere arrabbiato con questo batuffolo di pelo… ma a che scopo, poi?
Non servirebbe a nulla.
Lui tornerà a fare quel che gli pare e tu finirai per diventare ancora una volta più morbido di un budino.
È una legge non scritta che ti è stata imposta non appena hai accettato la sua presenza in questa casa.
Le braccia incrociate sono ancora al loro posto.
Le labbra no, non riescono più a rimanere serrate in un cipiglio di rimprovero sotto quello sguardo supplichevole che persevera.
Smile esce dal suo nascondiglio e ti zampetta vicino, miagolando altre scuse.
Di sicuro non conduci una vita monotona, da quando è arrivato qui, questo è poco ma sicuro.
Ti struscia la testa sui pantaloni, fa il girotondo attorno alle gambe attorcigliandovi la coda. Non smette di guardare in su, verso di te.
Non puoi più rimanere arrabbiato con lui, ora comprendi.
E d’improvviso vorresti piangere di sollievo.
 
I suoi occhi non vedono il bambino che aveva tanta fame di affetto.
Non vedono il ragazzo deriso da tutti e deluso da una vita ingiusta.
Non vedono nemmeno l’uomo che ha ucciso e che si è straziato di lacrime mai mostrate al mondo, la perfetta pedina da far scendere in campo, per il male od il bene che fosse.
 
Vedono solo l’umano, quello che tra un rimprovero borbottato e l’altro si china a fargli una carezza sulla testa, che alla sera si siede sul divano e si lascia cullare dal suono delle fusa, da un buon libro e dal caminetto acceso, ogni tanto anche da un buon calice di vino elfico. Vedono l’umano che nel sonno si sposta per fargli spazio sul letto, anche se poi rischia di cadere giù.
Vedono il suo umano.
 
Lui è l’unico che ti guarda come vorresti, anche quando miagola con insistenza e ti fa certe furbe espressioni da gatto disperato degne di un vero attore consumato.
 
Sorridi, e niente più braccia incrociate.
Sorridi e t’inchini.
Sospiri.
Quasi t’inginocchi.
Ma questa volta, ora, la tua dignità è più in piedi che mai.
 
Tra i tetti delle case, dall’altra parte della strada, il sole s’avvia verso il tramonto.
Raggi pallidi, dai riverberi freddi come l’inverno che è quasi alle porte, entrano dalla finestra della cucina, illuminano il tavolo e l’asola di corda con cui è chiusa una scatola completamente ignorata a favore di un gatto.
 
Hai desiderato per tutta la vita di essere guardato con occhi diversi, Severus.
 
Smile s’alza sulle zampe e s’appoggia alle tue ginocchia, come per osservarti più da vicino.
Le unghie graffiano un po’ per aggrapparsi meglio, ma non le senti nemmeno.
 
Gli unici che hanno saputo accontentarti sono due simpatici occhi gialli felini.




***

Angolino autrice: la storia non è finita, siamo al tramonto ma la giornata non è ancora del tutto terminata per Severus. Avrei voluto fare un capitolo unico, ma mi sono accorta che con questo arrivo già a tremila parole e mi basta. La seconda parte sarà comunque un'altra storia a sè che verrà aggiunta alla raccolta.

Non ho gatti, purtroppo, mi devo accontentare dei video e delle foto che trovo sul web. Se aveste consigli e se soprattutto notate incongruenze nei comportamenti felini descritti, ve ne sarei grata se me lo diceste, così mi correggo.
Per critiche costruttive riguardo trama e metodo narrativo - o anche solo per recensire - sapete come fare, no? ;-)
Chiara
  
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