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Autore: Friedrike    24/07/2013    0 recensioni
Romano Vargas è un ragazzo come gli altri, alle prese con il liceo.
E' stato bocciato ed ora è costretto a rifare il quarto anno, ma ancora non ha voglia di sottostare alle regole. E' un ribelle: non nel senso che si droga ed ubriaca. Nel senso che è un rivoluzionario. Non riesce ad accettare che ci siano pregiudizi o razzismi di alcun tipo e se si trova di fronte a qualcosa del genere, non può starsene zitto.
Ed è per questo che torna a casa sporco di sangue, circa una volta al mese.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno della riunione a scuola s'è avvicinato sempre più e finalmente è giunto. 
Quel dì sono tutti un po' nervosi, ma in particolar modo Romano non riesce quasi a stare fermo tanta è l'agitazione. 
Oltre al colloquio coi genitori a scuola, quel giorno Feliciano ha il suo solito appuntamento dallo psicologo. Non sente in modo speciale la necessità di andare da lui ma sa che saltare una seduta potrebbe avere ripercussioni pesanti, lo ha già sperimentato, e quindi non discute. Infondo ha tutto il resto della giornata per stare con il fidanzato e gli amici.
Così si mettono in macchina per le tre e mezzo, i due ragazzi e la loro mamma, che per l'occasione è andata dal parrucchiere a fare la piega per i capelli neri, ordinandoli per bene.  Ci tiene sempre a sistemarsi un po' quando deve incontrare gli altri genitori, Roma sostiene sia un qualcosa di ridicolo. 
Ad ogni modo giungono dinnanzi lo studio dello psicologo Virga, lui, il rivoluzionario, si offre di accompagnare il fratellino al secondo piano, dato che sono un po' in anticipo e ha tutto il tempo di farlo. Giunti in cima alle scale, entrano e prendono posto su uno di quei divanetti in tessuto, violetto scuro, nella sala d'aspetto, il più grande in silenzio in palese disagio, l'altro tutto allegro in un ambiente che ormai conosce a menadito, dopo sette anni di frequentazione.
Quando lo psicologo esce dallo studio congedando una ragazzina di non più i tredici anni, si volta al loro indirizzo e si mostra alquanto sorpreso di vederli entrambi. Romie si è già alzato ed è pronto per andare via.
-Quanta fretta, Romano! Non vuoi parlare un po' con me?- gli dice affabile l'uomo. 
Lui scuote prontamente la testa con decisione. -Sono sette anni che me lo chiede, mi lascerà mai in pace?-
Felì è divertito nel vederli quasi discutere, litigare, ma il diciannovenne no. E' nervoso, perché sente tutti gli occhi addosso, quelli degli altri pazienti seduti e dei loro parenti. Lui sta bene. Non smetterà mai di dirlo. Lui. Sta. Benissimo. 
-Eh, che vuoi farci? E' mio dovere tentare- risponde quello, aprendo le braccia in segno di resa.
Dunque lui sistema il giubbotto di pelle nero sulla felpa bianca e fa un cenno al fratellino.
-Ci vediamo dopo.- Quindi, esce. 
Il quindicenne ed il medico sospirano. -Ho paura...-
-Di cosa, Feliciano?-
-Prima o poi esploderà.- 
 
 
Intanto i due sono di nuovo in macchina diretti versi l'Istituto Classico Leon Battista. Appena giunti, il ragazzo indica alla madre un parcheggio e lei -a fatica, perché non è molto brava a guidare- vi posiziona la sua modestissima autovettura. Fatto ciò, scendono entrambi.
Per Romano stare a scuola è meglio di casa, per certi versi. 
Lo salutano e rispettano praticamente tutti. Anche i professori hanno un occhio di riguardo per lui, dopo quello che ha fatto, e la sua posizione di rappresentante d'istituto gioca un ruolo fondamentale all'interno della realtà quotidiana scolastica. 
Così già dal cancello d'ingresso alcuni soggetti lo salutano o fanno un cenno nella sua direazione. Persino i bidelli lo conoscono, anzi, soprattutto i bidelli. Lui ricorda i loro nomi e loro si ricordano sempre di lui. 
Si avvicina dunque ad una donna bassina coi spessi occhiali ed orecchini a cerchio dorati, vestita maluccio, ma sorridente e con un bel colore d'occhi. 
-Signora Rosa- la chiama lui, avvicinandosi. -Sa dove sta la mia classe?-
Lei, rossetto sulle labbra e correttore intorno a quegl'occhi poco valorizzati, gli fa cenno di aspettare un momento. Va a controllare e, tenendo in mano un foglio e scrutandolo, torna da lui.
-Allora, Romà... State al primo piano. Nella IA. Là ci sta il vostro colloquio- gli spiega, con l'accento tipico della sua terra, la Puglia.
Lui la ringrazia in napoletano, scoccandole un'occhiata divertita. La donna saluta la madre del ragazzo, che ha assistito alla scena silenziosa. Lui, per cui, sale le scale svelto. Molte ragazze lo guardano e lo sa, lo sa, però non gli interessa, non più. Rimugina tra sé su cosa fare per il giorno dopo, San Valentino. Elisa gli ha espressamente detto di non voler festeggiare, perché è una cosa patetica e perché stanno insieme da troppo poco tempo, nemmeno un mese. E lui? Deve ubbidire? La pensa allo stesso identico modo, ma la sua segreta vena di romanticismo ultimamente pulsa più forte. 
Le sue labbra s'increspano in una smorfia pensosa, si volta per vedere che fine abbia fatto sua madre. Arrivati -lenti!- al primo piano, lui si guarda attorno per vedere se riconosce un qualche compagno, ma nulla, non li trova. C'è solo... Silvia, seduta più in là su una sedia, maledettamente composta, con atteggiamenti molto finti e studiati al dettaglio. 
Romano le passa accanto senza degnarla di uno sguardo, lei assottiglia il proprio e gli rivolge un'occhiata stizzita. -Vargas- lo chiama.
Il ragazzo le rivolge a stento le spalle. -Che vuoi?- 
-Che maleducazione- commenta la ragazza alzando un sopracciglio. La madre di lui appare mortificata, sgridandolo debolmente.
Ignorando tutti, ignorando in mondo, il diciannovenne si avvicina ad una classe e si mette a turno, con le braccia incrociate al petto e le spalle appoggiate al muro per metà bianco e per metà blu. La classe reca la scritta "IA -Riunione IVE."
Adesso sì che vede alcuni suoi compagni, tra i genitori. Lo salutano tutti più o meno allegri. Si sono affezionati a lui, sebbene lo abbiano in classe solo da pochi mesi. E' il loro rappresentante, dopottutto, eletto democraticamente tra loro stessi.
Comunque, anche qualche compagno vecchio s'avvicina per scambiare con lui una parola, destino vuole che il ricevimento della quinta sia organizzato allo stesso giorno in un'altra classe, invece che messo a turno con la quarta.
Si sente continuamente "Com'è andata? Tutto bene?" e si vedono molte facce contrite e smorfie di dolore sui volti dei ragazzi. Ecco che giunge il turno di Roma.
Il prof di spagnolo, con la sua pessima pronuncia, sostiene che l'alunno sia uno dei migliori, i suoi voti alti -tutti nove ed un otto- lo confermano. Si vede che ama la materia, da come la parla e la racconta e la studia e descrive. E' davvero portato. Tutto merito di Isabel, eh? Infondo grazie a lei il ragazzo ama tanto la Spagna.
L'insegnante di filosofia, è anche lei molto contenta dell'operato del ragazzo,  perché "ha idee brillanti e fa interventi geniali." La pensano in modo simile anche altri professori. Quella di matematica, lo guarda con un'occhiata di rimprovero. Lui è intelligente e s'impegna, ma più di cinque non prende nei compiti scritti e nelle interrogazioni orali. 
Il docente di educazione fisica lo guarda divertito fin da subito. 
-Signora, suo figlio è maledettamente pigro. Ma appena vede un pallone da calcio... scatta in piedi in men che non si dica! Ed è molto bravo, devo dire. Gioca bene.-
Buone parole per tutti gli altri, ma arrivati alla prof di inglese, il ragazzo si fa più serio ed incrocia le braccia al petto.  Lei lo odia e difatti lo descrive malissimo. Disattento, rumoroso, fastidioso, volgare -condizione non troppo lontana dalla realtà, tuttavia- maleducato e ignorante nella sua materia.
Romano non ribatte a nessuna di queste affermazioni, come se lei lo stia provocando, fa finta che non esista e che non sia la sua insegnante. Ma non riesce a trattenere un'occhiataccia alla parola "ignorante." Detesta quando lo definiscono in quella maniera, perché l'ignoranza per lui è il primo dei mali, che porta poi gli altri, ma solo in un secondo momento. Cerca di distrarsi. Si avvicina infin all'ultima docente, quella di italiano, che ha un gran sorriso stampato sul volto.
-Signora Vargas! Ma che devo dirle? Per me può pure andare via direttamente- risponde lei, incrociando le braccia al petto.
-Gesù! Va così male?- domanda sconvolta Rita. -Ah, ma lo sapevo io! Lo metterò  in punizione, non si preoccupi. Riesce a recuperare, vero?-
L'altra però corruga la fronte un po' confusa. -Cosa...? Signora, suo figlio va benissimo. E' il migliore della classe, nella mia materia e non solo. Ha nove in italiano e nove e mezzo in storia. Va perfettamente. E' educato, sveglio e soprattutto intelligente. Non ho di cosa lamentarmi. Però una cosa gliela voglio dire. Roma, ci lasci un momento da soli?- lancia un'occhiata al ragazzo sperando capisca e, ottenuta obbedienza, abbassa la voce avvicinandosi un poco alla madre dell'alunno. -Signora... io sono un po' preoccupata. Romano è attento, costante nello studio, un bravo, bravissimo ragazzo. Però certe volte ha la testa tra le nuvole. E non credo sia l'età. Lo conosco solo da due anni, essendo nuova di questa scuola, però... ho come l'impressione sia un poco depresso. In certi giorni è completamente assente.-
Rita sospira mortificata, con fare seriamente dispiaciuto. 
-Io... mi dispiace, mi dispiace tanto. Lo metto in punizione, così impara a non distrarsi.- 
-No, signora, non ha capito... deve parlare con lui. Quand'è stata l'ultima volta che lo ha fatto?- non ottenendo risposta e percependo un certo disagio, continua con un sospiro. -Ecco, appunto.-
-Lei sa com'è mio figlio...- si difende debolmente la madre. -Non parla, non si esprime; fa sempre di testa sua. Non mi dice mai cosa c'è che non va.-
-Lei glielo chiede?-  Altro breve silenzio. -Lo immaginavo... stia attenta a lui.-
Ma a Rita non piace farsi consigliare su come educare i figli da un'estranea e prende molto alla leggera le sue parole. "Che ne vuole sapere, lei, di come si mettono al mondo i figli? E' troppo giovane per dare consigli" pensa. E, ovviamente, sottovaluta la situazione, andando via un poco pensierosa. Recuperato il figlio, torna alla macchina. 
 
 
Qualche ora dopo il ragazzo se ne sta sul suo letto a meditare. Gli sembra strano che la madre non lo abbia sgridato per i brutti voti in inglese e matematica, tuttavia ne è sollevato. Non vuole sentirla urlare. Lo urta. 
Disteso sul letto, ha il pc tra le gambe. Sta chiedendo ad alcuni amici suoi come sia andata la riunione scolastica. A Karl è andata più o meno come è andata a lui. Ad Elisa, peggio. Lei è... tremendamente pigra, anche se è intelligente e sicuramente sveglia. Alex ha il colloquio domani. A Roberto, l'ex rappresentante d'istituto, è andata così così. Alice, l'attuale rappresentante, è in punizione. Sommariamente, un disastro. 
Leggendo un articolo di cronaca -le fonti indipendenti sono le migliori, per lui- storce il naso. Sente d'un tratto un buon odore ma non vi da troppo peso. Poi bussa qualcuno alla porta. -Avanti- mugugna con gli occhi fissi sullo schermo. Entra suo fratello, con in mano un piattino di plastica sul quale vi è una torta rotonda, tagliata a fette, al cioccolato, una di quelle semplici e soffici. L'appoggia sul comodino e lo guarda con un sorriso sereno. -Assaggia!- lo incoraggia. 
Il maggiore appoggia il computer sul letto ed incrociando le gambe prende un pezzetto di torta, mandandolo subito giù. -Buona- gli concede. -Perché hai fatto una torta?- domanda, deglutendo poi il secondo boccone. 
-Per dirti grazie. Domani la faccio anche a Luddi. Roma... ti devo dire una cosa- mugugna lui, sedendosi sul letto. China un po' il capo fissandosi le mani che giocano distratte con le maniche del maglioncino. Incentivato dall'altro a parlare, continua. -Mamma mi ha detto cos'hai fatto per me... che hai parlato con loro. Che gli hai detto quelle cose.- 
-So che non sono fatti miei- ribatte l'altro, continuando a mangiare. E' ora di cena e ha tanta fame.
-Già. Però... beh, grazie, fratellone- sussurra Felì abbracciandolo. Si prende un po' delle sue coccole, poi lo prende per mano e lo porta in cucina, per consumare il pasto.
Sono tutti seduti silenti al tavolo, mangiano la pasta con il sottofondo di "Un Posto al Sole", soap opera che seguono da più di sette anni, racconta le vicende legate agli abitanti di Palazzo Palladini, in un quartiere elegante di Napoli. Non è nulla di impegnativo, è rilassante e leggero, da guardare. Raffaele ne è innamorato. Ogni sera deve seguirlo e nessuno deve alzare troppo la voce mentre lo guarda, altrimenti è lui ad arrabbiarsi. Ci tiene un sacco. Anche il figlio minore e la moglie, oramai, sono affezionati. Romano no. Lo detesta. L'unica sua consolazione è lo scenario della sua città. 
Tace, mentre si concede un po' di insalata, ed il papà richiama ben presto la sua attenzione. Dato che la moglie con lui non ha segreti né vuole averne, gli ha detto tutto quanto. 
-Romano- lo chiama, serio. 
-Che c'è?- risponde il figlio. Già si immagina il rimprovero, il proprio rotear d'occhio ed il successivo alzare di toni. Trattiene un sospiro.
-So che sei andato abbastanza bene. A parte in matematica e in inglese- dice, spezzando un poco di pane con le mani, per accompagnarlo all'insalata. -Che hai intenzione di fare? Devi recuperare.- 
-Lo so.-
Lui non ha mai aiutato i figli nello studio, semplicemente perché non ha mai studiato. Stessa storia per Rita, che però è un poco più acculturata.  Il quindicenne è sempre stato aiutato dal maggiore nei suoi compiti. Roma da nessuno. Anzi, ogni tanto dal nonno a dire la verità. Si ripromette di chiamarlo. 
 
 
Il piccolino è seduto sulla scrivania, le gambette dondolano un poco dalla sedia. Con fare attento, la fronte lievemente corrugata, ricopia le vocali. Deve ricopiarle tutte quante, in stampatello, e riempire il foglio. Però è così difficile! Ha appena sei anni e va alla prima elementare.  Ricercando l'attenzione del fratello maggiore, prende il quaderno e la sua inseparabile penna cancellabile blu Reply e va a cercarlo in cucina. Lo trova in salotto a giocar con della macchinine in plastica, una blu ed una nera, facendo il verso con la bocca. Bruuum, bruuuuum!
-Fratellone... mi aiuti?- gli chiede Felì dondolandosi un po' sulle gambe, avanti e indietro, nascondendo il tutto dietro la schiena. 
Romano scosta qualche ciuffetto scuro dagli occhi. Si alza, mette le due piccole autovetture sul un mobile ed appoggiando una mano sulla sua spalla gli fa cenno di andare verso il tavolo della cucina. Si siedono lì, vicini. 
-Che devi fare?- chiede. E' già in quarta. Già ripete oralmente, fa di conto con le quattro operazioni, sa fare le equivalenze ed fare dei bei temi. E' bravo. Ha quasi tutti dieci e lode. Ne va molto orgoglioso perché studia da solo. 
-Devo copiare le vocali...- spiega il fratellino con tono molto dolce. Roma di certo non capisce che è solo una scusa per stare un po' con lui, quella richiesta di attenzione, però comunque lo aiuta. Lo segue in ogni vocale, tutte le A, E, I, O, U vengono fatte alla perfezione con lui accanto. E quando sbaglia, lo corregge. Lui non è molto bravo a scrivere, è colpa della Corèa Reumatica, che lo ha influenzato fin troppo nella sua giovane vita. Tuttavia, vuole che il piccolo Fè, lui che può, scriva bene. Per questo lo aiuta ogniqualvolta ha difficoltà. Ritenutosi entrambi soddisfatti dell'opera conclusa, sentono bussare alla prota nel momento in cui chiudono il quaderno.
-Il nonno!- esclama Romano. Si avvicina svelto alla porta e va ad abbracciare il parente che non vede, purtroppo, quasi mai. Il vecchio se lo coccola per bene, poi da le stesse attenzioni all'altro nipote. Si siede dunque sul divano. 
-Ah sì? Il tuo fratellone ti ha aiutato? E tu hai aiutato lui?- chiede Nonno Roma col solito sorriso, tenendo davanti a sé il nipotino, il quale riflette un momento sulla risposta e poi scuote la testa. Così, lui prosegue. -Romano! Allora! Che hai da fare per domani?-
-Ho già studiato, nonno. Ho fatto la geografia.-
-Capitale d'Italia?- chiede sfidandolo con lo sguardo.
-Roma!- esclama lui.
-Capoluogo campano?-
-Napoli!- risponde ancora ridendo un poco. Sì, sa ridere.
-Capoluogo veneto?-
-Venezia!- 
-Ma sei bravissimo! Vieni qua; ti devo dare una cosa.-
Con la mano gli fa cenno di avvicinarsi, il bambino un po' perplesso ubbidisce. Prende poi un pacchetto tra le mani. Lo apre, lento, e spalanca gli occhi notando una macchinina bellissima chiusa in una scatola. Rosso fiammante. Una Ferrari. Bellissima. E' un modellino fantastico in ogni dettaglio. 
Si avvicina al nonno e lo abbraccia forte, ringraziandolo. Accenna un sorriso.
 
 
Non lo spegne, il sorriso, perché quello che sta leggendo gli piace molto. Forse sarà la solita storia di amicizia, ma a lui queste cose piacciono. Lavoro di squadra, intimità di gruppo. "Questo rimane tra noi" ... quante volte ha detto questa frase ai suoi migliori amici? Lui capisce quando non c'è da fidarsi troppo delle persone, ecco perché ai suoi ex migliori amici non ha mai raccontanto molto di sé. La sua storia la conoscono solo Elisa, Carlo, Alessandro. Ma quest'ultimo non sa proprio tutto. 
Manda giù un altro pezzetto di torta, prima di andarla a riporre in cucina in modo che non diventi asciutta durante la notte. Ripensa alla discussione avvenuta poco prima con i suoi genitori. Non si sono arrabbiati poi tanto... e la cosa è sospetta. 
Comunque, con un sospiro, si mette a dormire, è stanchissimo quel giorno. 
Per le dieci e mezza è già nel mondo dei sogni. 




 
La mattina dopo non vuole alzarsi dal letto. Ha ancora troppo sonno e non sente neppure la sveglia. La spegne, la ignora completamente, nascondendosi sotto le coperte. Chissà perché ha così sonno... certe medicine hanno come effetto collaterale la sonnolenza, ma lui ultimamente non ha preso nulla. Forse è solo un po' di stress. Ad ogni modo, irrompe ancora una volta suo fratello in camera, che lo scopre e lo saluta col solito modo affettuoso ed allegro.
-Fratellone! Svegliati, è tardissimo! Sono già le sette e mezza!- 
-Tanto ormai arrivo in ritardo. Entro a seconda ora.- 
Feliciano sospira lievemente. -Roma... sono nervoso. Fa qualcosa- mugugna in tono supplicante. Il ragazzo si passa una mano tra i capelli e suo malgrado si alza, andando subito a vestirsi. -Nervoso?- chiede. -Per cosa?-
L'altro con una smorfia si abbandona sul letto ancora disfatto. -Stasera ceno da Ludwig. Suo padre vuole conoscermi.-
-Oddio, che ansia- borbotta il maggiore. 
Non condivide proprio questo genere di cose. Non approva i "fidanzamenti in casa", dove i ragazzi già sono parte integrante della famiglia, come se stessero insieme da anni. E' una cosa che devono vivere solo loro, per lui. Una cosa privata, ecco. Eppure il fratellino già va a cena dal tedesco. Spera solo vada tutto bene, non si fida troppo. 

 
Serata importante per Ludwig e Feliciano, quindi. 
I loro genitori, alla fine, l'hanno presa bene e loro non possono che esserne felici.
In particolare Malcolm, ha deciso di invitare a cena il fidanzato del figlio, sempre che quest'ultimo sia d'accordo ovviamente, per conoscerlo meglio. Il biondo ha accettato. Vuole fargli vedere che tipo di persona sia il suo ragazzo, quanto sia dolce ed affettuoso, quanto sia bello sia dentro che fuori. 
Così, quella sera, quella prima di San Valentino, apparecchiano per una persona in più. 
Loro non sono molto bravi a cucinare, ma se la cavano e con un po' di pazienza -non senza bruciare qualcosa- hanno organizzato una cena con più portate. Naturalmente, Gilbert non ha fatto nulla. Si è limitato a rubare un  pezzetto di pane o qualche patata e a giudicarli ad alta voce senza però aiutarli. Si è beccato qualche brutta risposta, ma ha continuato a sogghignare indifferente. Comunque le parolacce sono poco ammesse in quella casa, oltretutto il vocabolario tedesco ne sconosce ben poche. Per lo più si utilizzano insulti come löd (stupido), idiot (idiota), depp (cretino), dumm (altro modo di dire stupido), dummkopf (testa stupida.) Molto frequenti in quella casa, soprattutto da parte dell'albino che dell'Italia ama poche cose ed una di queste è la volgarità delle sue parolacce. La prima cosa che ha imparato, forse.
Ad ogni modo, un contributo prezioso, è stato dato da Ahida.
Lei è una ragazza di trent'anni, proveniente dall'Europa dell'Est, precisamente dalla Romania. E' la loro domestica da quando sono arrivati lì, ormai da tre anni, ed ora è praticamente una di famiglia. Si è meritata la loro fiducia: è brava, diligente, e svolge al meglio il suo lavoro. Dato che è una mamma, ha dato loro alcuni consigli, trattenendosi altro l'orario normale di lavoro.
Il biondo adesso sta giusto finendo di apparecchiare la tavola. E' un po' nervoso. 
-Ludwig, hai visto che c'è in salotto?- lo riprende il papà. 
Lui scuote la testa sistemando i bicchieri. -Nein, was?1
Malcolm mette qualcosa in forno, la portata principale, e lava le mani nel lavabo della cucina, asciugandole poi su uno strofinaccio. -Vai a vedere. E pulisci- ordina in tono che non ammette repliche.
Il biondo, trattenendo uno sbuffo, si passa una mano tra i capelli e va a dare un'occhiata. Trova la pipì di Derk vicino al tappeto. "Se la faceva lì sopra, ero morto" si dice tra sé.
Va dunque a prendere dei fogli di scottex in cucina, dove si scontra quasi con Ahida, che sta indossando il giubbotto pronta per tornare a casa. -Ci penso io, non preoccuparti- dice lei dolce con il suo strano accento.
Prima che lui possa dire qualcosa, il padre ribatte: -Nein, il cane è sua responsabilità. Fino al vaccino, fino a quando Derk non potrà uscire, ci penserà lui a pulire.- 
Così il figlio ripara in fretta al danno, infine va a lavare per bene le mani col sapone nella camera da bagno.
Quando sente la ragazza andare via, come gli altri due uomini in casa, la saluta. -Tschüß und danke!2- dice a voce un po' alta per farsi sentire. Asciugate le mani, torna in cucina. 
-Vati3, hai visto Derk?- domanda, con le mani sui fianchi. Non è vestito in modo particolare. Ha dei jeans, una maglietta ed una felpa aperta. Accostamento dei colori pessimo. Ma dopotutto la sua terra produce macchine, birra, molte altre cose, ma non moda. Il fratello sta giocando alla playstation in salotto e sentedo quella domanda urla: -Derk ist hier!4
Infatti il cucciolo è accoccolato dentro la tasca della sua felpa, ne esce fuori soltanto il musino da una parte e la codina dall'altra. Notandolo, il biondo accenna un sorriso divertito. Sta per andare a prenderlo, però sente suonare il citofono. E' Feliciano. Da un'occhiata all'orologio, è in ritardo di cinque minuti, sei per essere precisi ed il tedesco lo è. 
-Ehm... c'è Felì- dice in tono vago, il papà annuisce. Lui ha dei pantaloni blu ed una camicia. E' tornato tardi dal lavoro, ha avuto giusto il tempo di fare una doccia. 
C'è una strana contrapposizione delle due famiglie.
Generalmente, i tedeschi, come popolo, non sono abituati a pensare troppo ai vestiti. Sono capaci di andare ad un matrimonio in jeans e maglietta. Comodità prima di tutto.
E gli italiani, dal canto loro, sono attentissimi alle ultime tendenze. E anche chi non è alla moda, anche chi non la segue, fa una netta distinzione tra il vestito per un matrimonio e quello per una partita di calcetto con gli amici. In Germania questo non accade.
Eppure il papà Beilschmidt è stato abituato ad tenere spesso la camicia, anche con dei jeans sotto come la indossa proprio questa sera, è un uomo elegate, di classe.
Mentre il papà di Felì, muratore, non ha esattamente gli stessi gusti raffinati e raramente indossa giacca e cravatta. Sono un po' l'eccenzione delle loro terre. 
Ad ogni modo, Lud, tremendamente ansioso, apre la porta e lo aspetta appoggiato allo stipite, guardando l'ascensore ancora chiuso. 
Suo fratello lo prende in giro. 
-Il magnifico me crede che tu sia terribilmente nervoso. Vuoi chiuderti in bagno ed allentare un po' la tensione?- mormora con tono canzonatorio, giocando a Call of Duty. Come si faccia ad uccidere i propri connazionali, resta un mistero. Il fratellino ogni tanto gli domanda: -Ma non potresti uccidere, quantomeno, i comunisti? Che almeno sono russi, o comunque dell'est.- Di certo non approva quello che la sua terra ha fatto settant'anni prima, ma lui è così nazionalista che non se la sentirebbe di uccidere i tedeschi ad un videogioco. 
Gilbert se ne frega altamente, così come non ascolta il richiamo del papà.
Adesso ribatte: -Invece di dire cavolate, tieni Derk, che sennò scappa.- 
E' fermo con le braccia incrociate al petto. 
L'ascensore si apre e da lì, naturalmente, esce il ragazzino italiano che subito gli sorride. Gli va incontro ed esclama: -Che dolce, hai gli occhiali!- sottovoce. 
Il biondo si era completamente dimenticato di averli indosso. Se li toglie e gli da un bacio a stampo veloce, poi fa cenno di entrare in casa, con un piccolo sorriso.
Lui è astigmatico, ciò significa che non vede bene da vicino. Tiene gli occhiali blu scuro solo per studiare, leggere, o stare al pc. 
Entrati in casa, richiusa la prta alle loro spalle, il quindicenne si avvicina all'albino e lo saluta col solito tono allegro, lui risponde con gli occhi vermigli fissi sullo schermo della televisione. Per la verità nemmeno lui ci vede troppo bene, ma questa è una delle colpe dell'albinismo. Porta le lentine. 
Malcolm immaginava il ragazzino fosse lo stesso che ha visto in ospedale, ora ne ha avuto la conferma. Gli porge educato la mano, giungendo in salotto, con tono affabile lo saluta.  -Ciao, Feliciano.- 
-Buonasera!- risponde lui, allegro come sempre. E' un bravo ragazzo, solare, socievole e Lud non gli stacca gli occhi di dosso se non per qualche secondo. Ridacchia divertito quando nota Derk scodinzolare debolmente nella felpa di Gilbert. Gli si avvicina e gli fa qualche carezza sul muso. 
Pochi minuti dopo sono seduto tutti quanti a tavola con le mani umide, perché appena lavate, Derk è in cucina a mangiare la sua razione di croccantini, però sentendo l'odore del pollo si avvicina alla sala da pranzo e si accoccola accanto la sedia del padrone, osservandolo con gli occhioni dolci, sperando di ottenere qualcosina; ma nulla. Il biondo non si lascia intenerire. Feliciano sì, però si trattiene perché quella non è casa sua. 
Il papà inizia la conversazione che fila dritta, senza problemi, per tutta la serata, senza interrompersi per un momento. Sta ben attento alle parole dell'italiano, nota tutte le occhiate del figlio e si lascia scappare un piccolo sorriso. Si vede che è preso. Lo guarda con occhi innamorati, dolci. Non lo ha mai visto così tranquillo, da quando Klaudia li ha lasciati. Scambia un'occhiata d'intesa con il figlio maggiore, quando i due ragazzi si mettono a parlare. Gilbert se la ride. 
-Ach, mein Bruder... ti sei innamorato!- dice puntando gli occhi sui suoi. Le guance di Ludwig diventano subito rosse e tra i due inizia una piccola lite. 
Felì ride felice. E' contento vada tutto per il meglio. Ora non gli manca nulla. Ha la famiglia, gli amici, l'amore. Che può volere di più? Adesso si sente finalmente bene.




 
Mentre il fratellino è fuori per la "cena di famiglia" ed i genitori hanno ben pensato di concedersi un momento per loro, per risvegliare la passione... solo pensare a questo fa venire un brivido lungo la schiena del ragazzo. Fa una smorfia e rimane lì seduto sul divano, da solo, col micio vicino.
-Ah, Milù. Quel disgraziato di un tedesco. Giuro che se fa soffrire mio fratello, gli spezzo le gambe. A lui, e all'albino.- 
Sospirando con fare melodrammatico, spalancca poi gli occhi sentendo suonare alla porta. -E chi minchia è, ora?- dice a voce un po' bassa. Ma a lui piace parlare da solo, qualche volta, quando a casa non c'è nessuno. E poi c'è la gatta. Lei lo ascolta, eh!
Abbandonando il pacco di patatine sul tavolo, si tira in piedi e va ad aprire. Spalanca gli occhi nel ritrovarsi Elisa davanti. -E tu che cazzo ci fai qui?- chiede, osservandola.
Lei sbuffa girando gli occhi. -Che accoglienza del cazzo- borbotta. Entra in casa e richiude la porta alle spalle con un gesto netto, così appoggia una mano sulla sua guancia per dargli un bacio. -Andrea doveva uscire. Siccome sapevo che eri da solo, ho pensato di venire a romperti un po' le palle.- 
Legando i capelli in una coda di cavallo, lo guarda. Lui accenna una mezza risata. 
-Non sarebbe garbato mandarvi via, Señorita- dice lui, avvicinandosi alla ragazza, la quale ha ancora le mani tra i capelli, ed appoggiando le proprie sui suoi fianchi, le da un secondo bacio, più passionale, stavolta. 
Sono a casa da soli. Lui ha i profilattici nel secondo cassetto del comodino. Hanno casa libera e la ragazza ha indosso una maglia bianca che le sta benissimo. 
Le prende la mano e le fa fare una giravolta. -Fatti vedere- le dice. E' davvero bellissima quel giorno. O forse è Romano sempre più cotto di lei. Appena è ferma, lui la stringe a sé, accarezzandole un poco la schiena. Lei non sfugge al bacio e appena può gli circonda il collo con le braccia. gli mordicchia piano le labbra. Roma dopo scende fino al suo collo e vi lascia dei baci. La ragazza però lo allontana scuotendo la testa. -Non lo sai?-
-Mh?- 
-Marchiare il proprio partner è sintomo di insicurezza.-
-...Ma va' a cagare, tu e queste riviste del cazzo che ti leggi- borbotta lui. Però Eli ha fatto centro, sebbene il diciannovenne non lo sappia. Scioglie la presa e va a riprendersi le patatine, mangiandone un paio sul divano. 
Lei ridacchia tra sé e si avvicina da dietro, chinandosi in avanti gli prende il volto tra le mani e gli da un bacio. Dalla sua mano ruba una patatina. Poi fa il giro e si siede sul tavolinetto davanti a lui. Accavalla le gambe e lo guarda. Scioglie i capelli e li sistema con la mano, lasciando che qualche ciocca le copra il seno e la spalla. Ha il capo un po' basso e gli occhi su di lui.
-Ci conosciamo da una vita, Romano. Pensavo sapessi fare meglio che...- lo indica con la mano e fa una smorfia. -Stare lì a mangiare patatine mentre sei solo a casa con la tua ragazza.-
-Dolcezza- risponde lui, ironico. -Ti sto solo rispettando. E comunque ho finito di mangiare.-  
Da quel che ha potuto capire, lei non è intenzionata a fare l'amore con lui e lui di certo non vuole creare situazioni spiacevoli o imbarazzanti. 
-Chi ti dice che io voglia essere rispettata?- ribatte lei, alzando un sopracciglio. 
Romie accenna un sogghigno. Le si avvicina, appoggiando svelto le mani accanto ai suoi fianchi e baciandola con passione. Affonda una mano tra i suoi capelli. Lei sorride e si lascia toccare. 
 
 
   


 
-Le voci erano vere- esclama Elisa, distesa sul letto accanto a lui.
Si volta, mettendosi a pancia in giù e tirandosi un po' su coi gomiti. Lo guarda negli occhi. -Me l'ero sempre chiesta.-
Il ragazzo si mette su un fianco, una mano sulla schiena di lei. Gli fa un cenno interrogativo col capo ed aggiunge: -Cosa?- 
-Se fossi davvero così bravo a scopare- ribatte lei, facendo spallucce. -E non fare quella faccia. Non sono venuta a letto con te per scoprirlo.- 
Ci tiene davvero a lui. Notandolo alzarsi un poco, a sua volta si abbassa fino ad incontrare quelle labbra ancora una volta. Non ne è mai sazia. 
Romano si alza, il preservativo usato è già finito dentro al cestino di camera sua tra le cartacce. Infila di nuovo i boxer ed i jeans, lasciandoli però sbottonati. Lei sente freddo, così si nasconde sotto le coperte. Allunga una mano verso i vestiti, le sembrano così lontani! Ci rinuncia ben presto. 
Lui la rimprovera mentre mette la cintura. -Mi hai sporcato il letto di ombretto.-
-Non ti rispondo, potrei essere volgare- ribatte lei, stizzita. Sistema un po' i capelli. "Ah, Romano, che idiota che sei... io avrei voluto che la mia prima volta fosse stata con te... Ho aspettato così tanto, per essere tua... Non tradirmi, non lo sopporterei. Non da te" si ritrova a pensare. Trattiene a stento un sospiro e si riscuote da quei pensieri solo quando lui le chiede se ha fame. Annuisce, s'infila l'intimo, i jeans ed una felpa del ragazzo per stare più comoda stringendosi ad essa. Va in bagno e sistema i capelli in una crocchia disordinato ed un po' il trucco, una volta recuperata la sua borsa. Infine, torna in cucina, sedendosi al tavolo. Fa una carezza a Milù, la quale torna veloce sulla sua copertina, ad accoccolarsi. 
-Che ore sono? Sfamami!- mugugna un po' capricciosa. 
-Sono le dieci. Tra un'oretta tornano i miei- spiega lui. Sta impastando qualcosa. Lei domanda cosa, così le spiega: -Pizza.-
-Ma ci metti una vita a farla!- si ribella. Non ottenendo giustizia, si mette a curiosare in giro. Apre un cassetto scoprendolo pieno di farmaci. Rita ha la strana abitudine di scrivere sopra ogni medicina il nome di chi deve usarla. In molte di esse c'è il nome del figlio maggiore. Elisa se ne stupisce e chiede al fidanzato una spiegazione, corrugando la fronte.
-Per l'operazione- mormora lui, condendo la pizza. Aveva già preparato l'impasto nel tardo pomeriggio, intorno le sette e trenta, perciò la maggior parte del lavoro è già fatta. Mette pomodoro, mozzarella, basilico e prosciutto cotto. Quindi, inforna. 
Lei è un po' perplessa, però gli crede. Ripone tutte le confezioni al loro posto e gli porge il cucchiaio appena richiesto, più tranquilla. 
Però Romano... non vuole mentirle. Sospira lievemente ed esclama: -Ok, bugia.-
Ancora una volta lei non capice. Gli si avvicina chiedendogli di essere più chiaro.
-Non sono solo per l'operazione. Quella è passata. Non ti ho detto... una cosa importante.- Ha sempre odiato parlare di sé, ma stavolta lo trova indispensabile. Si distrae mettendo in ordine la cucina, è una cosa che detesta, pulire, ma è l'unico modo per non guardarla mentre si mette a nudo completamente dinnanzi la ragazza.
-Sai che sono venuto qui quando avevo quattro anni, no? Ero nervosissimo, in più era da poco nato il mio fratellino e tutte le attenzioni erano riversate su di lui.-
-Erano e sono- corregge Eli. 
Lui annuisce con poca attenzione e continua, sia a parlare, sia a lavare le stoviglie. -Ero sempre più stressato e mi sentivo solo, volevo tornare a casa mia. Un giorno mi venne la febbre. Continuava a salire e per giorni fui costretto a letto. Ero debole e non riuscivo ad alzarmi. Inoltre, scoppiavo a piangere all'improvviso e non riuscivo più a vestirmi... mi cadevano i giocattoli di mano. Mi fecero degli esami. Ero malato; avevo contratto la Corèa Reumatica o Corèa Minor, volgarmente denominata Ballo di San Vito. Comporta questo: sblazi d'umore, movimenti a scatti e involontari, peggioramento della grafia -ma io allora ero piccolo e non sapevo scrivere, però coloravo e disegnavo. Non potei imparare a disegnare e scrivere bene per la malattia. Ecco perché tutt'ora ho una pessima grafia e non so disegnare.-
La giovane lo ascolta in silenzio. 
Lo stringe forte avvicinandosi a lui da dietro quando immagina quel bambino di quattro anni che non può più giocare tranquillo. Gli bacia la spalla sulla quale è appoggiata in modo dolce. Gli dispiace davvero. Non è arrabbiata perché non glielo ha detto, semplicemente ci ha rinunciato a saper di lui. Sa che parla solo quando ne ha voglia, quindi non lo costringe a farlo. Ormai lo conosce. 
-Mi dispiace...- sussurra. -Quanto ci hai messo a guarire?- 
-Non si guarisce completamente. O meglio, non tutto lo fanno. Sono stato fortunato, perché ogni tanto capita che questa malattia porti dei problemi al cuore. I pazienti di solito devono stare a letto per settimane o per mesi, ma io potevo tranquillamente uscire di casa. E' che non volevo farlo. Così rimasi per giorni sotto al letto nascosto. A stento mangiavo. 
Possono esserci delle ricadute, ogni tanto. Io ne ebbi una quando Felì...  avevo circa 12-13 anni. Fu la ricaduta più pesante. Le altre sono sciocchezze. Per questo ci sono così tante pillole. Ci sono dei cicli da seguire per evitarle.- 
Il tono è piatto, non ha alcuna incrinazione particolare. Né nervosismo, né angoscia, né amarezza. Non esprime nulla, con gli occhi fissi sulla terrina nella quale ha mischiato farina, acqua, lievito e sale, non aggiunge nient'altro. Non vuole essere compatito, lo è stato per troppotempo, troppi anni. 
Qualche momento dopo i due ragazzi si mettono a tavola a mangiare. E' strano avere casa tutta per loro, fare l'amore e cenare ancora da soli. E' come se convivessero! E' una sensazione un po' strana alla quale non vogliono affezionarsi troppo.
Quando lei deve andare via, lui non può baciarla, perché è già tornata tutta la famiglia. Così la saluta normalmente, ma c'è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa in quegl'occhi verdi, che rende il saluto poco normale. Lo rende diverso, speciale. Vorrebbero baciarsi ma non lo fanno. Lei vorrebbe di sicuro e lo farebbe, però... 
Nel resto della serata, Romano ascolta il fratellino raccontargli com'è andata. 
Tutto liscio. Malcolm gli è sembrano proprio una brava persona. E' entusiasta e si è divertito, ma è ancor stanco, così fila a dormire in poco tempo. 

 
Quattordici Febbraio, San Valentino. 
Elisa e Romano come concordato non vogliono festeggiare, però, quel giorno a scuola, lui le si avvicina. Sono soli in classe. Appoggia i gomiti sul tavolo chino su di esso, lei seduta. 
-Chiudi gli occhi- le dice. Lei ubbidisce. Così appoggia alle sue labbra un Bacio Perugina, che la ragazza gusta con un mezzo sorriso. 
Ripendo la giornata come nulla fosse.
Feliciano e Ludwig sono usciti da soli, la sera. Hanno un po' vergogna di tenersi la mano, ma la superano insieme e le loro dita s'intrecciano. L'italiano, con quello che ha passato, ha ancora un po' paura del contatto fisico; ed il tedesco ha paura della gente, non vuole finire ancora in ospedale. Ma adesso vogliono solo viversi. Si danno qualche casto bacio a stampo. Sono tutt'e due troppo puri ed ingenui per fare alcunché. 
Si fermano a cenare in un posto carino, loro due da soli e per fortuna nessuno da loro fastidio. Neppure quando escono di lì per fare una passeggiata -ha pagato il biondo, per imbarazzo dell'altro- nessuno ha da ridire. Si siedono su una scalinata di una antica piazza, Lud due gradini più un alto, l'altro appoggiato al suo petto. Si china un po' in avanti e lo bacia, tenendoselo stretto. 
Oramai sono cinque settimane che stanno insieme. 
Felì ha sempre creduto nell'amore a prima vista e mentirebbe se dicesse che non lo ama. E' che lo amava già pria di dargli il primo bacio, quando ogni giorno lo vedeva alla fermata dell'autobus senza conoscere il suo nome, quando poi gli mancava se non c'era, e quando si sedevano vicini sul mezzo pubblico, ben attenti a non toccarsi e quando invece lo facevano, una volta diventati amici. Si amavano già da allora. 
Ed il ragazzino italiano è un tipo estremamente romantico. 
Alza lo sguardo sulle stelle. Un leggero alito di vento gli carezza il viso. 
Accoccolandosi al suo petto chiude gli occhi. 
-Veh, Lud...- lo chiama, con tono dolce.
Il biondo abbassa un po' il capo per guardarlo. -Mh?-
-Ti amo...- sussurra puntando gli occhi nocciola sui suoi. Si scosta dal suo petto ed appoggia le mani sulle sue ginocchia, guardandolo. 
Ludwig, stupito di quel gesto e quelle parole, arrossisce appena. Socchiude gli occhi ed avvicina le labbra alle sue, baciandolo dolcemente, in modo diverso dal solito. 
"Perché non mi dice 'anche io'? Non mi ama?" si chiede Feliciano. Ricambia il bacio, ma quando la presa si scioglie abbassa lo sguardo. 
-Hei... che c'è?- domanda il tedesco.
Lui guarda altrove. La mano, pelle chiara, quasi diafana, del tedesco si appoggia sulla sua guancia. Lo costringe a guardare. -Ich auch- sussurra, facendosi più rosso. 
L'italiano accenna un sorriso. Scuote appena la testa. -Me lo dirai quando sarai pronto.- Avvicina le labbra al suo viso e gli bacia la punta del naso. 
 



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Note. -Blu. 
1. Nein, was? = No, cosa?
2. Tschüß und danke! = Arrivederci e grazie! 
3. Vati = Diminutivio di Vater, padre. Quindi, "papà."
4. Derk ist hier! = Derk è qui. 









 
 
 
 
 
 
  
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