“Ciao!
Tu
devi essere Elliot, giusto?”
Si era persa
nei suoi pensieri così tanto che non si era accorta della
donna che le si era
avvicinata; era ancora stupita dalla rivelazione del luogo in cui
avrebbe
soggiornato per i cinque mesi seguenti: un’elegante e ben
tenuto edificio color
giallo tenue, circondato da un immenso giardino fiorito. Di certo la
sua idea
iniziale –un complesso grigio, sporco e triste- era stata del
tutto spazzata
via.
Una volta
riscossa dal suo rimuginare alzò lo sguardo verso la sua
interlocutrice, una
donnona di mezz’età in evidente sovrappeso e con
un sorriso bonario stampato in
viso. Si vedeva lontano un miglio che apparteneva alla tipologia di
infermiere
‘mamma chioccia’. Annuì alla sua
domanda, mentre con la coda dell’occhio vide
scomparire dietro l’angolo, in uno svolazzo morbido, i
capelli freschi di
parrucchiera di sua zia. Non l’aveva nemmeno
salutata… ma
del resto non lo
voleva nemmeno il suo addio.
Incredibilmente provò un improvviso senso di
libertà; non le importava di dover
passare praticamente metà anno chiusa in quella casa: si era
finalmente
liberata di quella megera e niente valeva quella sensazione di
leggerezza.
Intanto
l’infermiera, che con voce dolce e una parlantina incredibile
si era presentata
come Mary Jane Brown, le
aveva intimato
–in un ordine tramutato in consiglio-
di
seguirla. Si accinse a fare quello che le era stato detto senza
rimostranze. La
signora Brown la condusse lungo un corridoio largo e armonioso, su cui
si
affacciavano svariate porte, la maggior parte delle quali chiuse -anche
se
riuscì comunque a vedere una stanza disseminata di sedie di
plastica colorate,
e in quella accanto una sala musica con vari strumenti musicali. Quel
posto la
stupiva sempre di più. Imboccò le scale e
salì al secondo piano; li le porte
erano tutte chiuse e presentavano accanto allo stipite una targhetta
con dei
nomi. L’infermiera le spiegò che il secondo e il
terzo piano erano adibiti a
stanze per i pazienti; finalmente arrivarono alla penultima porta a
destra, in
fondo al corridoio. Attese,
mezza
nascosta dietro l’infermiera, che intanto aveva bussato alla
porta;
dall’interno si sentì
un’avanti’ e subito la donna aprì la
porta. La prima cosa
che Ellie vide fu il pavimento disseminato di scarpe: tacchi di ogni
genere,
colore e altezza erano sparpagliati in disordine e sembrava ci fosse
stata
un’esplosione. Si arrischiò ad alzare lo sguardo e
vide quella che sarebbe diventata
la sua compagna di stanza; era seduta sulla sedia di fronte alla
scrivania e
aveva allungato le gambe –lunghe, magrissime e coperte da un
paio di reggicalze
a rete- sul piano di lavoro, indossava una maglietta di una qualche
rock band e
aveva il viso coperto da lunghi capelli biondi. Fece un paio di passi
dentro la
stanza, seguendo l’infermiera che si districava abilmente
nella giungla di
calzature. “Dakota! Non ti avevo forse chiesto di dare una
riordinata che oggi
doveva arrivare la tua nuova compagna di stanza?” le chiese
Mary Jane. La
ragazza, che aveva tenuto la testa china fino a quel momento,
alzò lo sguardo
nella loro direzione e Ellie rimase sorpresa dalla bellezza della
ragazza.
Quest’ultima la guardò sorpresa, sgranando gli
occhi azzurro cielo e alzandosi
dalla sedia e avvicinandosi scavalcando con estrema grazia il disordine
nonostante il tacco dodici che portava: raggiungeva tranquillamente il
metro e
novanta.
Subito
l’infermiera iniziò le presentazioni e Elliot
scoprì così che la bionda si
chiamava Dakota Smith, aveva appena compiuto sedici anni e non era
incline a
parlare, e a lei non poteva che andare bene. Dopo la breve introduzione
la
signora Brown sparì di nuovo nel corridoio lasciando le due
sole. Dakota aveva
preso un po’ a calci le sue scarpe in modo da creare un varco
tra la porta e
l’armadio e poi si era lasciata cadere sul letto, le braccia
incrociate dietro
la schiena e gli occhi chiusi, senza proferire parole. Ellie decise
allora di
sistemare le sue cose e iniziò a disfare la valigia dai
vestiti; era da
circa dieci minuti che lavorava nel
silenzio quando questo fu interrotta dalla voce della bionda.
“Non fare
mai la modella.”
“Come
scusa?” le chiese, stupita.
“Hai davvero
un bel viso.” Le rispose l’altra, senza senso
logico.
“Hem..
grazie?!”
“Non fare
mai la modella.” Ripeté ancora la bionda,
sistemandosi meglio sulla tastiera
del letto.
“Sei una
modella?” le chiese allora Ellie, incuriosita.
“Una volta.
Quando ero ancora bella.”
La mora
rimase interdetta: Dakota era davvero una delle ragazze più
stupende mai viste
in vita sua. Come poteva non ritenersi per lo meno bella?
“Ma sei
bellissima.” Le uscì di getto.
“Sai, una
volta si raccontava che a Pinocchio si allungasse il naso ogni volta
che diceva
bugie. Per fortuna tu non sei pinocchio, altrimenti il tuo bel viso
sarebbe
rovinato.”
Decise di
sorvolare, ancora una volta. Parlare con quella ragazzina tutta pelle e
ossa si
era rivelato più difficile di quello che credeva; ma del
resto era in una casa
di cura e centro di riabilitazione, no? Era normale che ci trovasse
gente
sciroccata. Ma del resto ora anche lei era una pazza, quindi tanto
valeva
interagire.
“Senti, non
è che dopo pranzo mi fai fare un giro della struttura?
Giusto per ambientarmi?”
“Certo,
fammi solo cambiare tacchi.”
Una
volta
che Dakota ebbe cambiato tacchi e dopo aver mangiato il pranzo
–o meglio, dopo
che Ellie ebbe finito di mangiare; la bionda si era limitata a
piluccare il
piatto ogni volta che le infermiere guardavano nella sua direzione-
iniziarono
il loro tour dell’edificio. La casa era grande e Dakota le
mostrò la palestra,
la piscina riabilitativa, la sala relax e tutte le altre stanze
dedicate alla
cura e al tempo libero,ma la cosa che davvero smosse Ellie fu la
biblioteca:
era una stanza piuttosto piccola, stipata di libri di ogni genere,
forma e anno,
disseminata di sedie e tavolini e con un
bancone dietro cui stava una signora anziana dai capelli grigi e gli
occhiali
dalla montatura fine. In realtà non era questo
granché, non sembra troppo
fornita e nemmeno troppo frequentata, ma la verità era che
ad Ellie bastava
vedere un libro per esserne attratta e così aveva costretto
la povera Dakota a
rimanere li per quasi mezz’ora. Finalmente riuscì
a staccarsi dagli scaffali
–non prima di aver capito come funzionava il servizio di
prestiti- e a seguire
la bionda nell’ultima stanza del pianoterra dove fu il turno
di Ellie di
aspettare pazientemente l’altra ragazza. Entrarono in quella
che era stata
soprannominata “sala della musica”; come la
libreria non era di dimensione
esagerate ma aveva un vasto assortimento di strumenti musicali,
amplificatori e
microfoni. Fu subito chiaro alla mora che Dakota provava una passione
viscerale
per la musica: bastava osservare il modo in cui guardava e toccava il
microfono
e gli strumenti, mentre canticchiava a bassa voce una canzone mai
sentita.
“Suoni?” le
domandò allora la mora, giusto per fare conversazione e
spezzare il silenzio
che regnava sovrano. L’altra scosse la testa senza alzare lo
sguardo dal foglio
posto sul leggio.
“Canti?”
“Si.” Dakota
si spostò il ciuffo biondo lontano
dagli occhi e si degnò di rivolgerle un’occhiata.
“Scrivo e compongo.
Cantautrice.”
“Davvero?
Brava!”
“Ma come fai
a dirlo? Non mi hai ancora sentito.” Le chiese, stiracchiando
un mezzo sorriso
“Comunque avrai l’onore di ascoltarmi questa
sera.”
La mora la
guardò dubbiosa.
“Le
infermiere mi lasciano tenere dei piccoli
‘concerti’ in giardino, ogni tanto. I
dottori dicono che mi fa bene!”
Ellie
sorrise: era chiaro che Dakota adorava
quei concerti. Lo si vedeva dagli occhi azzurri accesi di luce, per la
prima
volta in quel giorno.
“Allora non
vedo l’ora di sentirti!”
**************
Aveva
finito
la cena, era salita in camera a cambiarsi con qualcosa di
più pesante e ora era
in giardino, seduta su una semplice sedia di ferro battuto vicino a
quello che
doveva essere il palco adibito per l’esibizione: un leggero
palchetto rialzato
di circa cinquanta centimetri fatto con assi di legno; non era
granché ma
infondo non si trovavano mica alla Royal Albert Hall. Alla fine, dopo
dieci
minuti che era li, Dakota fece la sua comparsa sul palco, in ritardo
come le
dive; la ragazza non aveva voluto che Ellie la vedesse prima
dell’esibizione
poiché sosteneva ‘portasse male’
così l’aveva scacciata senza tanti
complimenti. La bionda, tacchi borchiati ai piedi e stile grunge, si
era
avvicinata al microfono e aveva tossicchiato per attirare
l’attenzione, così
Ellie si avvicinò al palco. Non c’era molta gente
poiché i pazienti non erano
tanti ma si trovo comunque vicino ad un ragazzo spilungone e a proprio
agio.
“Hei, ciao a
tutti!” esordì Dakota, sistemandosi meglio la
chitarra intorno al collo “Per
questa settimana ho preparato due canzoni, spero vi piacciano
… e se non vi
piacciono, bè, non capite un cazzo di musica!”
E senza
aspettare oltre iniziò il primo pezzo; la musica era bella,
ben suonata anche
se il batterista non era niente di eccezionale. Ma poi Dakota iniziò a
cantare…
Lay my head, under the water
Lay my head, under the sea
Excuse me sir, am I your daughter?
Won't you take me back, take me back and see?
There's not a time, for being younger
And all my friends, are enemies
And if I cried unto my mother
No she wasn't there, she wasn't there for me
Aveva una voce spettacolare, di quelle che
rimangono impresse per
sempre. Roca, profonda, strana e bellissima. Si costrinse ad ascoltare
il testo
e, a giudicare dal sentimento con cui la bionda cantava, era totalmente
autobiografico.
Don't let the
water drag you down
Don't let the water drag you down
Don't let me drown, don't let me drown in the waves, oh
I could be found, I could be what you had saved
Era
un canto
di tristezza e speranza, ed era sconvolgente. Aveva a malapena sentito
una
canzone e già si era resa conto che sarebbe stata una sua
grandissima fan.
Dakota, nel
frattempo, si era accesa una sigaretta e aveva iniziato
un’altra canzone, molto
più movimentata della precedente e notò che gli
altri pazienti avevano iniziato
a muoversi a tempo, e in particolare il ragazzo alla sua sinistra
sembrava
molto preso dalla musica.
You hurt where you sleep
And
you sleep where you lie
Now
you're in deep and
now
you're gonna cry
You
got a woman to the left
and
a boy to the right
Start
to sweat so hold me tight
Somebody
mixed my medicine
I
don't know what I'm on
Somebody
mixed my medicine
But
baby it's all gone
Somebody
mixed my medicine
Somebody's
in my head again
Somebody
mixed my medicine again, again
Si
guardò
intorno un po’ confusa ma nessuno sembrava sconvolto o
turbato, addirittura le
infermiere guardavano Dakota con un sorriso in volto.
Non riusciva
a capire.
“Stupita,
eh?”
Si girò per
guardare chi le aveva parlato: lo spilungone affianco a lei si era
voltato e
ora la guardava con un mezzo sorriso stampato in volto.
“Molto.”
“Dalla voce
o dal testo?”
“Entrambi.” Sorrise
“Ma è una mia impressione o sta parlando di
droga?”
“Oh, ci hai
azzeccato in pieno, dolcezza.” Si avvicinò un
po’ di più “Ma non preoccuparti,
non verrà nessun dottore ad incatenarla in una camicia di
forza e rinchiuderla
in una stanza piena di pareti imbottite: i dottori dicono che le fa
bene
cantare dei suoi problemi, è una valvola di sfogo non
indifferente.”
Fece un
altro grande sorriso e Ellie si chiese se avesse per caso una paralisi
alla
bocca, o se semplicemente era consapevole del fascino delle sue labbra.
“In ogni
caso” continuò, la voce alta per farsi sentire
sopra i giri di batteria e la
voce di Dakota “come mai non ti ho mai vista da queste parti?
Nuova?”
“Di zecca.
Arrivata giusto stamattina.”
“Allora è
con immenso piacere che mi presento” E le prese la mano tra
le sue “Noah
Jackson, al suo servizio.” E si chinò a baciarla
in un perfetto baciamano d’altri
tempi.
Decisamente
quel posto era pieno di scoppiati, prima quella che parla come un
cartone
animato e ora lo spilungone d’altri tempi con i jeans
sdruciti e una strana
t-shirt. Bello.
Si dice che
il buongiorno si vede dal mattino, no?
Bene, dopo precisamente 14 mesi e 13 giorni
torno a pubblicare su EFP. Ma stavolta abbandono i fandom e mi dedico
ad una
originale a cui tengo con tutti il mio cuore e su cui sto lavorando da
un bel
po’… e nella mia testa c’è
scritto tutto, addirittura l’epilogo. Nonostante
questo non posso assicurare la pubblicazione precisa e veloce, sapete
com’è..
.esiste una cosa chiamata UNIVERSITA’ che risucchia tutto il
mio tempo, un po’
come i dissennatori con la vostra anima.
Comunque spero che questo prologo vi abbia
incuriosito.
Per chi volesse ho già alcuni presta volto
alla mia storia:
Dakota
Noah
Per Ellie invece non riesco a trovare
qualcuna che rispecchi la mia visione personale. Appena la
troverò ve lo
comunicherò! :D
Le canzoni invece sono entrambe dei The
Pretty Reckless (la cui cantante è Taylor Momsen, la presta
volto di Dakota) e
in ordine sono ‘Under the
water’ e ‘My medicine’.
Eikochan