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Autore: Alektos    06/02/2008    3 recensioni
“Allora?”, chiese Sirius, “Che cosa stavi fissando con sguardo così beato, prima?”
Tonks alzò gli occhi da dietro il bordo della tazza dalla quale aveva iniziato a sorseggiare la bevanda e con un cenno della testa indicò la mensola posta a sinistra della credenza, alle spalle dell’uomo.
Lo sguardo del padrone di casa si posò, prima sull’oggetto di interesse e poi sulla ragazza, per un paio di volte.
“Da quando ti interessi di botanica?”, le chiese, alzando un sopraciglio.
“Non mi interesso di botanica”, rispose, “Solo guardavo la tua Fluxmoon.”
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Weasley, Nimphadora Tonks, Sirius Black
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Il vuoto dopo il caos

Il vuoto dopo il caos.

Questa era la sensazione che provava Ninfadora dopo quanto successo al Ministero qualche ora prima.

Si trovava stesa su una barella nel corridoio del S. Mungo, lo stesso dove mesi prima avevano portato Arthur per un primo soccorso. Certo, lei non era così grave, ma Malocchio aveva insistito perché si facesse visitare; adesso era corso ad avvisare i suoi genitori che probabilmente l'avrebbero raggiunta da lì a poco.

La luce, proveniente dai globi luminosi che rischiaravano il corridoio, benché tenue, le dava fastidio e così si coprì gli occhi con una mano.

Avrebbe voluto urlare, piangere, prendere a pugni qualcosa, possibilmente se stessa, ma non riusciva a muovere un solo muscolo. Sempre la stessa scena davanti agli occhi: Sirius, lampo di luce verde, velo.

Più ci pensava, più era convinta del fatto che ce l'avrebbe fatta, se solo quel cretino non si fosse messo di mezzo. Non era caduta, nonostante Bellatrix l'avesse colpita; avrebbe potuto continuare, se solo Sirius non si fosse intromesso, sarebbe ancora vivo. Più cercava di convincersi di questa idea, più le sembrava una cosa stupida.

Non era vero. Se lei non si fosse fatta colpire, Sirius sarebbe ancora vivo. Era questa la realtà dei fatti!

La colpa, benché Remus le avesse detto il contrario, era tutta sua e non riusciva ancora a credere di aver ucciso suo cugino.

“Tesoro.” Una voce familiare, anticipata dal rumore di passi nel corridoio, pronunciò il suo nome, ma la ragazza non ebbe alcuna reazione.

Solo quando si sentì chiamare una seconda volta si girò. Quando vide gli occhi di sua madre, quasi prese paura. Il cuore iniziò a martellarle nel petto.

Sirius…”, Mormorò.

“Stai tranquilla, va tutto bene.” Questa era la voce calma e rassicurante di suo padre.

Meccanicamente si mise seduta, lasciandosi abbracciare da Andromeda.

“Ho ucciso Sirius”, mormorò al suo orecchio.

“No. Non sei stata tu.”

Queste erano le esatte parole che voleva sentirsi dire, eppure non la rincuorarono minimamente.

“Sì, invece.”

“No. Abbiamo parlato con Malocchio e anche con Remus: sappiamo come sono andate le cose e la colpa non è tua. Lui non avrebbe dovuto essere lì.”

“Non importa. Lui ha preso il mio posto nel combattimento con Bellatrix. Io non dovevo lasciarmi colpire.” Rispose con rabbia, serrando i pugni.

Ci furono attimi di silenzio durante i quali Andromeda prese la figlia per le spalle e iniziò a scuoterla, noncurante delle sue condizioni.

“Ascoltami bene!”, disse. “Non prenderti colpe che non hai. Sirius era un mago straordinario, sapeva a cosa andava incontro uscendo di casa. E di certo non è colpa tua se Bellatrix ti ha colpito. Potevi essere tu, come poteva essere qualcun altro.” Infine sospirò e ritornò più calma, poi riprese. “Conosco mio cugino. Anche se non ti avesse colpita, lui si sarebbe messo in mezzo ugualmente. Aveva un odio morboso per Bellatrix, era quasi attratto da questa sua pazzia. E combatterla era per lui motivo di sfida. In più faceva parte del ramo della famiglia che ha sempre rinnegato. Riuscire ad ucciderla o sconfiggerla, avrebbe significato molto per Sirius.”

“Ma non ci è riuscito…”, mormorò Tonks, sempre con voce atona.

“No. Lui è stato incosciente, erano anni che non utilizzava la magia; forse aveva ripreso in mano la bacchetta per piccole cose, ma per un duello, bisogna essere allenati; se questa notte Sirius è uscito è stato solamente per Harry. Doveva proteggerlo a tutti i costi, lui è fatto così. Sapeva a cosa andava incontro.” Senza accorgersene Andromeda aveva usato il presente.

Ninfadora abbassò la testa poi gettò le braccia al collo della madre e scoppiò in lacrime. D’accordo, forse non era colpa sua, ma l’aver perso Sirius era un dolore immenso.

Di lì a poco comparve un guaritore che, dopo averle fatto bere una pozione calmante, decise che la ragazza poteva anche tornare a casa, a patto che rimanesse tranquilla per un paio di giorni. Insieme ai suoi genitori raggiunse l’atrio del S. Mungo e Ted si Smaterializzò con lei.
Quella appena trascorsa era stata una lunga notte e adesso, Tonks aveva solo bisogno di riposare, possibilmente senza pensare ad altro, senza correre il rischio che l’immagine sorridente di Sirius che cantava le carole di Natale le tornasse alla mente. La pozione per un lungo sonno senza sogni era la soluzione giusta.

 

Due giorni dopo.

“Sei sicura?”

“Sì, mamma. Devo farlo.”

“Non sei obbligata, Silente a detto che puoi anche non andare.”

“Voglio andare.”

Andromeda l’aiutò ad infilarsi il mantello, il suo braccio sinistro era ancora indolenzito poi, Tonks entrò nel camino e scomparì gettando una manciata di polvere volante pronunciando con tono chiaro la sua destinazione: “Grimmauld Place.”

Quando comparve nella cucina della casa molti dei membri dell’Ordine erano già arrivati e uno di questi, Lupin, l’aiutò ad uscire, accompagnandola poi fino ad una sedia libera. Non aveva una bella cera nemmeno lui, ma dopo tutto quello che aveva passato era il minimo.

Silente non tardò molto ad arrivare e la riunione poté avere inizio. Ninfadora non seguì una sola parola, era troppo presa a guardarsi intorno: ogni singolo oggetto di quella casa gli ricordava Sirius.

La sua mente riprese a vagare tra ricordi e sensazioni, come se in quella stanza fosse completamente sola.

Quando ritornò alla realtà, la riunione era già terminata e alcuni membri dell’Ordine stavano salutando.

“Tu, cosa fai, Tonks?”, la voce calma di Lupin la colse di sorpresa.

“Cosa?”

Il volto dell’uomo si allargò in un sorriso. “Non hai sentito una sola parola, vero?”

Come una bambina sorpresa a rubare le caramelle, abbassò la testa, senza riuscire a nascondere un leggero sorriso di colpevolezza.

“Dobbiamo ripulire tutto. Adesso che… beh, è successo quello che è successo, questo non è più un luogo sicuro.”

“Oh”, disse solamente, “Volete una mano?”

Lupin sorrise. “È quello che ho chiesto a te poco fa.”

Tonks sorrise ed annuì, seguendo poi la signora Weasley al piano superiore.

Iniziarono a lavorare in silenzio, cercando di ricordare tutti i posti dove avevano sistemato le cose dell’Ordine. Il solito Kreacher gironzolava per la casa, saltellando qua e là, felice di aver appreso la notizia che il membro traditore della famiglia Black fosse morto. Non c’era modo di fermarlo, nessuno di loro era il diretto erede e quindi non obbediva agli ordini.

Già erano tutti abbastanza giù di morale e l’elfo di certo non aiutava. Tonks si occupò del soggiorno, al primo piano: non c’era molto da fare, quello era più un luogo di riposo che non di riunione. La sua attenzione fu catturata, ancora una volta, dall’enorme arazzo della casata dei Black.

“È quasi inquietante.” Bill le era comparso alle spalle.

“Già, Toujours Pur.” Sospirò. “Credo proprio sia finita l’era Black. Una famiglia distrutta da se stessa.”

“Ti serve una mano?”, le chiese il ragazzo, cambiando improvvisamente argomento.

Tonks indicò due scatoloni con dentro cianfrusaglie varie, niente di vitale importanza, tra i quali, in quel preciso momento, l’elfo di casa stava rovistando in cerca di qualcosa che si fosse, per caso, salvato dalle pulizie precedenti.

“Maledetto elfo”, mormorò.

“Lascialo perdere”, le disse Bill, posando una mano sul suo braccio. Si guardarono per qualche istante, sorridendosi a vicenda. L’istinto di abbracciarla, per il ragazzo, fu molto forte ma Tonks si spostò: aveva avvistato Kreacher prelevare una pergamena da uno degli scatoloni.

“Bombarda!”

 Uno scoppio, proprio ai piedi dell’elfo, lo fece scappare, costringendolo a lasciare quello che aveva preso; lo sentirono urlare a lungo e poi lanciare maledizioni contro i mezzosangue e i traditori della famiglia: tutto nella norma, insomma. Quando i due ragazzi scesero con gli scatoloni, Kreacher lanciò loro uno sguardo pieno d’odio, continuando a mormorare frasi accusatorie, mentre delle lieivi spirali di fumo salivano verso l’alto, provenienti dal retro della sua maglietta.

“Che è successo?”, chiese Molly uscendo dalla cucina. “Ho sentito uno scoppio.”

“Oh, nulla”, la tranquillizzò Tonks. “Solo uno stupido elfo impiccione.” 

“Ah, quindi è merito vostro se è corso di qua, con il vestito in fiamme e urlando?”, chiese Lupin dall’altra stanza.

“Sì!”

“Ottimo lavoro, veramente un ottimo lavoro”, commentò camminando con le mani dietro la schiena, raggiungendoli poi con due borse di roba che fluttuavano tranquille davanti a lui.

Posarono tutto sul tavolo della cucina e Kingsley, anche lui rimasto a dare una mano, aveva rimpicciolito  tutte le cose  e si era incaricato di portarle personalmente nell’ufficio di Silente, ora il luogo più sicuro.

“C’è anche Fierobecco da sistemare.”

Remus guardò l’orologio. “Hagrid dovrebbe essere qui a minuti.”

Una volta che Kingsley fu sparito attraverso le fiamme del camino, i restanti si sedettero intorno alla tavola, in attesa del gigante; tra loro calò un cupo silenzio.

A parte le pergamene ed alcuni strumenti dell’Ordine, che denotavano un segno del loro passaggio in quella casa, non avevano toccato nient’altro. Eppure, anche se la cucina aveva lo stesso aspetto di sempre, sembrava diversa. Le solite due tazze, perennemente rovesciate sul lavello, la mensola polverosa con sopra inutili vasi vuoti sui quali era scritto Mandragola, Bezoar, Radici di Belladonna, Cavolo carnivoro Cinese, e molti altri nascosti dietro. L’unico spazio utilizzato realmente era quello sopra ai fornelli: nascosti da un’anta c’erano due ripiani che dividevano il pensile in tre parti uguali nei quali, Sirius teneva, in uno, lo zucchero, il sale e altri ingredienti per preparare tè, cioccolata e altre tisane; nel secondo vi erano quelle che Molly definiva schifezze: caramelle, cioccolata e qualunque altra cosa atta a rovinare l’appetito prima di cena. L’ultimo conteneva invece cibo più sano come i biscotti e una torta. Ovviamente, tutte quelle cose sarebbero sparite di lì a poco, quando avrebbero abbandonato per sempre quella casa.

Le riflessioni di Tonks furono interrotte dall’arrivo di Hargrid, che riuscì ad entrare nella stanza a fatica, tirato da Arthur e Lupin.

Aiutando alla meno peggio il gigante, riuscirono a farlo arrivare nella stanza di Fierobecco che dopo il rito dell’inchino, si lasciò accarezzare sul collo. Tonks li Disilluse entrambi, mentre Bill allargava la finestra con un secondo incantesimo, in modo da riuscire a farli uscire. Ormai era buio  e nessuno, teoricamente, avrebbe dovuto notarli.

Un po’ a fatica, l’Ippogrifo si alzò in volo: la mole di Hagrid non era facile da sollevare e lui non volava da tempo.

Una volta che furono lontani, sulla linea dell’orizzonte, tornarono tutti indietro a finire le ultime commissioni.

Non tutti, però, erano tornati nella cucina di Grimmauld Place: Tonks, si era fermata due piani più in alto e il primo ad accorgersene fu Bill che tornò immediatamente indietro.

La trovò seduta, immersa nell’oscurità, sul letto nella camera di Sirius, intenta a fissare il pavimento; un tenue raggio di luna entrava dalla finestra dietro di lei.   

Tonks”, sussurrò avvicinandosi.

La ragazza lo guardò sorridendo amaramente.

Bill non sapeva bene che dire, così optò per una banalissimo “Come stai?”, poi però le parole uscirono da sole. “Mi sono preoccupato quando ho saputo che eri stata ferita.”

“Sto bene, è solo un graffio.”

“Volevo venire a trovarti, ma non sapevo se era il caso, così…

“Bill, non ti devi scusare, è carino che tu l’abbia pensato.” Lo guardò e notò le sue guance  colorarsi leggermente di rosso. Passò qualche istante durante il quale Tonks si mise ad accarezzare il copriletto seguendo le linee dei ricami con la punta delle dita.

 “Sai”, iniziò lei, “Lui ha sempre detto che ci sono delle cose per le quali vale la pena morire…

Bill si avvicinò e si inginocchiò ai piedi del letto.

“Sapeva a cosa andava incontro, ci era già passato”, tentò di consolarla. “Almeno è morto fuori da queste mura.” Magra consolazione.

“Mi mancherà.” Le lacrime presero a scorrerle sul volto e abbassò lo sguardo nel tentativo di nasconderle: i capelli, in quella posizione le nascondevano parzialmente il viso.
Il ragazzo si mise in piedi e prendendo le mani della ragazza l’aiutò ad alzarsi a sua volta, abbracciandola. Posando la testa contro al sul petto, Tonks iniziò a piangere.

Nel mentre, le persone al piano di sotto si erano accorte della mancanza dei due ragazzi così Arthur si offrì volontario per andarli a cercare. Quando si affacciò nella camera di Sirius, trovò i due ragazzi abbracciati. Bill se ne accorse e, visto che Tonks non accennava a calmarsi, con un cenno del capo gli fece segno di uscire.

Lentamente, lacrime e singhiozzi diminuirono. Facendola scostare da lui, la fece sedere nuovamente sul letto e le asciugò una lacrima che le stava rigando il volto.

“Meglio?”, chiese.

Accortasi improvvisamente di quanto successo, la ragazza si portò una mano alla bocca.

“Scusami, sono una stupida.”

Bill le sorrise.

“Non ti devi scusare e non sei una stupida. Sei umana anche tu, Tonks. È normale che ti manchi.”

Si alzò nuovamente dal letto questa volta fu lei ad abbracciare il ragazzo.

“Grazie”, mormorò; chiuse gli occhi quando lui prese ad accarezzarle i capelli, assaporando ogni istante, anche se tutto questo andava contro la sua volontà.

“Andiamo?”, le chiese.

Sciogliendosi dall’abbraccio e sorridendo, annuì.

Una volta tornati in cucina, nessuno fece domande, solo Arthur li scrutò a lungo, ma non trovò nulla di strano.

Molly, nel mentre, aveva raccolto le cose che stavano in cucina e che, per forza di cose, non potevano rimanere lì.

Tonks, Lupin, vi andrebbe una tazza di tè da noi?”, chiese Arthur.

I due fecero un cenno di assenso con il capo; stare un po’ in compagnia in un luogo diverso da quello poteva solo che aiutarli.

I signori Weasley e Bill furono i primi ad entrare nel camino e a sparire tra le fiamme. Prima che Tonks li seguisse, Lupin la prese prendendola per un braccio e porgendole un pacchetto che aveva appena tirato fuori dalla tasca.

“L’ho trovato mentre pulivo. Il biglietto dice che è per te.”

Leggermente titubante lo prese, e per prima cosa lesse quanto scritto sul piccolo pezzo di pergamena arrotolato..

“Doveva essere un regalo per il mio compleanno”, specificò Tonks. “Manca una settimana.”

“Pensi di riuscire ad aspettare così a lungo?”, le chiese Remus, conoscendo l’impazienza della giovane e vedendo come fissava l’oggetto, incuriosita.

Il pacchetto era molto rudimentale, avvolto con la carta della “Gazzetta del Profeta” tenuta insieme, qua e là, da pezzi di magi scotch.

Una volta tolto l’involucro, rimase solamente una piccola ampolla nella quale si trovava del liquido grigiastro; Tonks lo mise contro luce e poi, soddisfatta, riavvolse la fiala alla meno peggio nella carta e la mise in tasca.

“È un ricordo”, disse infine; un sorriso amaro era comparso sul suo volto. 

Lupin, cortese come sempre, la fece entrare per prima nel camino, ma una volta lanciata la polvere volante, non partì.

“Abbiamo dimenticato una cosa!”, urlò.

“Cosa?”

“Tu vai, ti raggiungo subito.” Dette queste parole corse al piano di sopra.

 

Qualche minuto dopo comparve anche lei nella cucina dei Weasley.

Vedere per un’ultima volta Grimmauld Place, prima di sparire tra le fiamme, le aveva procurato una stretta al cuore indescrivibile e alcune lacrime, minacciarono seriamente di tornare a rigarle il volto quando pronunciò a voce alta la sua destinazione. Fortunatamente, non ebbe tempo di pensare perché Molly, come uscì dal camino, le fu subito addosso chiedendole spiegazioni sul ritardo.

“È tutto a posto, vero?”, poi la guardò meglio. “Cosa ci fai con una pianta in mano?”, domandò stupita.

“È tutto a posto, tranquilla.” Le sorrise.

Bill, dall’altra parte della stanza, la stava osservando per capire se, effettivamente, fosse tutto nella norma.

“Oh, ma questa è la mia pianta”, si risvegliò la signora Weasley e Tonks annuì sorridendo.

“Me ne sono ricordata all’ultimo. Dove vuoi che la metta?”

“Ti dispiacerebbe mettermela di là? Prima che la portassi via la tenevo sul davanzale interno della finestra.”

“Assolutamente no.”

Tonks si avviò verso la stanza accanto e, mentre tutti gli altri prendevano posto intorno al tavolo, Bill la seguì.

Come ebbe posato la pianta si girò, trovandosi inaspettatamente davanti il ragazzo che portò una mano dietro di lei per toccare una delle foglie di un verde chiarissimo.

Ci fu qualche secondo di esitazione, poi la consapevolezza di essere soli e tranquilli.

Le voci delle altre persone presenti nella casa sembravano molto lontane, tra di loro era calato il silenzio e si potevano sentire indistintamente i ticchettii della lancetta dei secondi di un vecchio orologio posato chissà dove; da una seconda finestra entravano prepotentemente nella stanza dei raggi di sole che illuminavano completamente l’ambiente circostante.

Fluxmoon”, iniziò Bill sussurrando il nome della pianta che aveva appena toccato. “Quanti ricordi, non è vero?”

Ora l’arbusto non lo interessava più, il suo sguardo si era posato su Tonks.

Una parte, quella razionale, le diceva di lasciar perdere, di rispondergli che quello non era il nome corretto e di chiudere lì quella conversazione, prima di trovarsi nuovamente in una storia che sapeva non sarebbe finita bene; un’altra vocina, invece, le diceva di proseguire, di dargli corda, perché tanto, prima o poi, di quello, avrebbero dovuto parlare, in più, era quello che inconsciamente desiderava.

Il loro comportamento, negli ultimi mesi era stato chiaro a tutti, anche a loro. Volente o nolente, Tonks si era nuovamente innamorata di lui.

 “Molti ricordi, belli e brutti”, rispose sottovoce.

“Il mio ultimo, è molto brutto.”

“Anche il mio.”

Se non fosse stato che il loro tono era serio, la loro conversazione sarebbe sembrata quella di due bambini. 

Bill le si avvicinò ulteriormente facendole poi sollevare il mento, prendendolo tra le dita, fino ad incrociare il suo sguardo.

Il cuore iniziò a martellarle nel petto.

Da quando era entrata nell’Ordine della Fenice e lo aveva incontrato nuovamente, le cose erano cambiate e di parecchio: aveva giurato a se stessa che lo avrebbe odiato, anche se stavano dalla stessa parte, che non gli avrebbe parlato: reazione piuttosto infantile, ne era consapevole. Le cose però erano evolute in modo diverso da come si era prefissata: lentamente, si era riscoperta un'altra volta attratta da lui, smaniosa di incontrarlo alle riunioni, di dividere con lui un turno e, soprattutto, era stata gelosa di Fleur. Aveva sempre represso questi sentimenti per non soffrire ulteriormente. Eppure, in quel momento le sue difese erano meno di zero. E non era la prima volta che succedeva.

Tonks”, riprese il ragazzo con una nota in più di decisione nella voce, “Non mi importa!”

Si soffermò qualche istante per pensare alle parole da usare.

“Non mi importa quello che è successo, sono passati tanti anni. Quello a cui tengo adesso, sei tu.” Prese fiato. “Voglio cancellare il passato e ricominciare perché, sinceramente, sono stanco di questa situazione. Pensavo che anche avendoti intorno non sarebbe cambiato nulla e invece ti sei nuovamente fatta strada nei miei pensieri, nei miei sogni. “

Non era pronta a quelle parole: lei era già sulla difensiva, pensava di dovergli rinfacciare azioni lontane anni, ma quando lui finì di parlare, per la seconda volta in quella giornata gli occhi le si arrossarono e due lacrime scappate le rigarono le guancie. Per lei, quelle, erano parole stupende e conoscendo bene Bill, sapeva quanta fatica aveva fatto per riuscire a parlarle apertamente di quello che provava.

“So che questo non è un buon momento per dirti queste cose, ma io voglio starti vicino. Voglio aiutarti a dimenticare questi giorni infami e farti ritrovare il sorriso.”

Lentamente, il volto di Bill si avvicinò al suo. Sembrava quasi che il cuore di Tonks volesse uscire dal suo petto, tale era la forza con cui batteva. Quando lui fu a pochi centimetri dalla sue labbra, lei girò la testa di lato: la parte razionale aveva prevalso.

“Scusa. Ma io non voglio soffrire ancora. Sappiamo tutti e due come andrà a finire.”

Quelle parole Tonks le sussurrò, per poi voltarsi e andarsene con passo sostenuto. Una volta raggiunta la cucina, si sentì al sicuro; velocemente salutò i presenti, scusandosi con Molly per non aver bevuto il suo tè. Uscì e si Smaterializzò davanti a casa sua.

 

 Il giorno successivo, Tonks passò tutta la mattinata nella sua camera, dicendo ai suoi di non stare troppo bene; era una bugia, ma solo in parte: fisicamente era tutto a posto, emotivamente, invece, era veramente uno schifo.

All’ora di pranzo, Andromeda si presentò in camera sua con un bel piatto di minestra calda che non fece altro che contribuire a peggiorare l’umore, ma questo sua madre non poteva saperlo.

Prima di uscire dalla stanza, dopo averle portato il pranzo, Andromeda la disturbò solamente per dirle dir aver trovato nel suo mantello un oggetto avvolto dentro una pagina di giornale. Tonks le aveva mugugnato qualcosa di assolutamente incomprensibile, così la donna fece di testa sua, posando il pacchetto sul comodino.

Quando Andromeda fu uscita dalla stanza, Tonks si mise a sedere sul letto, prese l’ampolla e la liberò della carta nella quale era avvolta. Conteneva un ricordo, lo aveva constatato la sera precedente, dopo che Lupin glielo aveva dato.

Fece evanescere la minestra dal piatto fondo e, dopo aver pronunciato un paio di incantesimi, vi versò la strana sostanza grigiastra. Mise la testa dentro al piatto fino a quando non ne venne risucchiata al suo interno. Da sfocato, l’ambiente si fece più nitido ogni secondo che passava e, Tonks riuscì immediatamente a capire che si trattava della camera di Sirius a Grimmauld Place.

Il suo cuore mancò un colpo quando vide suo cugino seduto sul suo letto, e ne mancò un altro alla vista di Bill.

I due uomini stavano tranquillamente parlando e Tonks si mise ad osservare la scena con curiosità sedendosi su una sedia lì vicino.

 

Fluxmoon.”

Gli occhi di Sirius si erano illuminati improvvisamente. “Fluxmoon?”, chiese, “non è Fluxweed?”

Bill parve sorpreso. “Giusto, hai ragione. È dai tempi di Hogwarts che sbaglio questo nome. Una volta è anche costato cinque punti alla mia casa.” Non sapeva perché aveva raccontato questa cosa proprio a Sirius, in fondo, era di poca importanza.

“Non sarà un nome, per caso, legato ad una ragazza?, chiese quest’ultimo già sapendo quale sarebbe stata la risposta.

“Sei un veggente?”

“No, un conoscitore di donne. Se parli di piante o fiori, loro in mezzo ci sono sempre”, mentì. Sapeva benissimo a cosa si riferiva, glielo aveva raccontato sua cugina mesi a dietro e adesso, lui era ancora più curioso. “Una bella ragazza?”

William era leggermente imbarazzato, non era abituato a parlare di certe cose, in particolar modo con persona che non conosceva bene, ma annuì comunque con decisione.

 “E per quale motivo è finita?” Questo era il punto cruciale, il nodo al quale voleva arrivare. Sapeva di aver saltato alcuni passaggi della conversazione, ma non gli importava. Come aveva sentito pronunciare quel nome, aveva collegato immediatamente.

“Non so.”

“Come, non sai?”

“Un giorno non si è presentata ad un appuntamento e da lì non l’ho più vista.” A Bill non andava di rivelare il nome della ragazza, ma non sapeva che era una fatica inutile, la persona davanti a lui conosceva benissimo tutta la storia. “Ho provato a cercarla, a mandarle delle lettere, ma niente. Quella è stata veramente una brutta giornata.”

Sirius sghignazzò. “Ci credo, scaricato a quel modo.”

“Non solo”, sospirò Bill, “Una tipa del sesto anno, se non erro, mi si è lanciata addosso e mi ha baciato.”

“Ma tu guarda, queste ragazze che ti saltano addosso e ti baciano, che tortura.”Il tono di Sirius non era per niente serio.

“Dipende sempre da chi è la ragazza in questione”, replicò Bill, “Quella veramente era proprio…

 

Lentamente tutto si fece sfocato fino a quando Tonks non si ritrovò seduta sul suo letto.

Non ebbe alcuna reazione: fissò semplicemente il piatto fondo, ma senza guardarlo realmente.

Portando le mani al volto si lasciò cadere a peso morto sul letto; nella sua testa fece scorrere le ultime immagini viste e soprattutto, cercò di ricordare le esatte parole. Essersi trovata di fronte suo cugino, sebbene sapesse che non era reale, ma solo un ombra, ora per sempre imprigionato in quell’ampolla di vetro, l’aveva un po’ scombussolata; trovare anche Bill, in quel ricordo, era stata una seconda pugnalata: non aveva fatto altro che pensare a lui nelle ultime ore, a chiedersi cosa, sette anni prima, lo avesse spinto a fare quello che aveva fatto e adesso che aveva scoperto la verità, si sentiva ancora più stupida. Per lungo tempo lo aveva maledetto e capire che era stato tutto un banale equivoco, che adesso quella dalla parte del torto era lei, era un pensiero che continuava a martellarle nella testa, era una vocina fastidiosa ed insistente.

Rimproverò se stessa per non avergliene parlato, per averlo schivato così a lungo e per averlo odiato. E, nonostante tutto quello che aveva passato, lui la voleva ancora.

Doveva fare qualcosa, ma ancora non sapeva cosa. Tornare indietro, ormai, non era più possibile: solo la notte prima lo aveva chiaramente respinto, mentre lui le aveva aperto il suo cuore; in qualche modo, però, doveva tentare almeno di recuperare la sua amicizia o un rapporto anche solo legato al lavoro con l’Ordine e spiegargli cosa effettivamente fosse successo tanti anni prima.

Pensò a lungo sul da farsi e, alla fine, erano tre le strade che poteva prendere: la prima, era di lasciare le cose come stavano, ma era un’ipotesi non presa in considerazione dal principio. La seconda era quella di correre tra le sue braccia, in lacrime, implorando perdono per gli ultimi otto anni: scartò anche quella: non era il tipo che implorava le persone. Le rimase solo la terza opzione.

Tonks dovette raccogliere tutto il suo coraggio per agire; si rimise seduta sul letto e con un colpo di bacchetta rimise il regalo di Sirius nella sua confezione e lo ripose su un ripiano della sua libreria; prese pergamena e piuma e si mise a scrivere freneticamente, poi arrotolò il foglio, fermandolo con della cera fusa.

Si vestì in tutta fretta con le prime cose che trovò nell’armadio, poi si risedette sul letto e,  portandosi la bacchetta alla tempia, ne estrasse un filo argenteo che fece cadere nel piatto usato prima come pensatoio; controllò che il ricordo fosse quello voluto e dopo aver trasfigurato il cucchiaio sul comodino in un’ampolla, ve lo rinchiuse dentro.

Prese la pergamena e il piccolo contenitore di vetro e li mise in tasca per poi uscire in tutta fretta dalla stanza.

“Io esco”, annunciò alla madre, passando davanti alla porta della cucina.

“Ma non stavi male?”, le chiese Andromeda, affacciandosi prima che la figlia uscisse. La trovò intenta a mettersi il mantello.

“Sì. No. Non lo so. Devo uscire!” Una risposta chiara come i suoi pensieri al momento.

Senza darle il tempo di replicare, Tonks usci e si Smaterializzò.

 

Comparì qualche secondo più tardi alla Tana. Esitò prima di bussare, sperando che fosse proprio lui ad aprirle la porta, invece, come al solito, fu Molly.

“Ciao Tonks”, le disse, sorpresa di trovarsela davanti. “Vieni, entra.”

“Grazie mille.”

“Siediti”, la invitò la signora Weasley. “Tutto bene?”, le chiese ricordandosi della fuga della sera precedente.

“Diciamo quasi. Senti…”, iniziò titubante, “C’è Bill in casa?” Quando pronunciò il suo nome si sentì le guance andare a fuoco e sperò solamente di non essere diventata troppo rossa in volto.

“Sì, è in camera sua, ma, fossi in te, tornerei domani se devi parlarci. Oggi è di pessimo umore.”

E Tonks sapeva anche il perché.

“Non importa, devo solo consegnargli una cosa.”

Molly le fece segno di salire e lei si avviò.

Arrivata davanti alla porta bussò delicatamente con il cuore che le martellava nel petto.

“Non voglio nulla, sto bene così!” Lo sentì urlare. Lentamente Tonks abbassò la maniglia ed aprì.

“Ho detto che…” Bill si bloccò improvvisamente quando la vide entrare, lui era in piedi, davanti alla finestra. Non disse nulla, semplicemente la osservò.

Tonks avanzò verso di lui e quando fu a due passi di distanza, si fermò.

Io…” iniziò e lui girò la testa di lato, facendo finta di guardare fuori, senza essere realmente interessato al paesaggio esterno.

Fu in quel momento che Tonks si sentì veramente un vermicolo. “Non chiedo di essere né perdonata, né capita”, riprese tenendo un tono di voce basso, “Solo, vorrei farti capire quali sono stati i miei pensieri, fino a poche ore fa.” Tutto quello che c’era da sapere era rinchiuso in due banalissimi oggetti quali un foglio di pergamena e un contenitore di vetro potevano essere.

Bill non si girò, rimase ostinatamente con lo sguardo oltre il vetro stringendo convulsamente il pugno della mano destra..

“Ho ancora le tue parole che si ripetono nella mia testa e quello che provo, non è falso. Spero solo che tu, un giorno, possa capire, perdonarmi e forse, rivolgermi nuovamente la parola.” Il suo respiro si fece più affannoso; posò ampolla e pergamena su una sedia lì vicino, “Scusami”, a passo veloce uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Scese le scale, delusa. Non si aspettava che lui la trattasse amichevolmente, ma l’indifferenza… quella era peggio. Avrebbe preferito mille volte che le avesse riversato addosso una serie di insulti, che si fosse arrabbiato.

Attraversò la cucina di corsa, approfittando dell’assenza di Molly per uscire senza essere fermata, ma non vi riuscì.

“Te ne vai di già?”

Troppo tardi, la signora Weasley aveva fatto il suo ingresso nella stanza, raggiungendola e prendendola per un braccio.

“Senti, volevo chiederti una cosa…” Il suo tono di voce sembrava preoccupato e quando le fece cenno di sedersi, Tonks non poté rifiutare.

“Dimmi”, le rispose. Non voleva stare un minuto di più in quella stanza, ma per Molly poteva tranquillamente fare un’eccezione.

“Io e Arthur stiamo pensando di offrire la Tana a Silente, come luogo di ritrovo per l’Ordine. Tu, cosa ne pensi?”

Sarebbe stato tremendo dover entrare tutti i giorni in quella casa, le avrebbe fatto ricordare quanto era stata stupida, ma non era un motivo valido per non dire a Molly quello che realmente pensava della sua idea. Giocherellò qualche istante con un centrotavola in cerca delle parole da usare; la situazione non era così facile come si poteva pensare.

“Molly, dipende da voi. Potreste trarne vantaggi e svantaggi: la casa sarebbe ben protetta dagli incantesimi di Silente, e di conseguenza, anche voi. L’unico inconveniente è che avreste gente per casa molto più del solito. Potrebbe essere, come dire, fastidioso.”

“Se è solo per quello, penso di poter resistere. Dopo cena ne parlerò nuovamente con Arthur.”

Calò il silenzio. Tonks voleva aiutare molto di più Molly a prendere quella decisione, ma non riusciva a trovare le parole adatte. “Credo ci siano altre cosa da prendere in considerazione, ma sicuramente Silente è più informato di me. In fondo per Grimmauld Place aveva fatto tutto lui.

“Suppongo tu abbia ragione.”

“Bene, adesso scusami, ma vado.” Tonks si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta.

“So che manca ancora qualche ora, ma non ti andrebbe di fermarti per cena? Penso comunque che il tuo contributo nella conversazione con Arthur possa essere molto prezioso.”

La ragazza esitò. “No, grazie comunque Molly.”, rispose sorridendo, sapendo perfettamente di averle dato una delusione.

“Sicura?”

“Sì, vado.”

“No, resta.” Le parole erano state pronunciate da una voce maschile alle loro spalle. “Resta a cena.”

A Molly quelle parole risuonarono nelle orecchie come una domanda, ma in realtà, quella di Bill  era un’affermazione.

Fu questione di un decimo di secondo e la vista di Tonks si annebbiò e il suo cuore riprese a battere forte e velocemente; non aveva il coraggio di alzare il viso per guardare il ragazzo negli occhi.

Cosa doveva fare? Andarsene nuovamente o restare?

Tonks finalmente alzò la testa e, vedendo l’espressione del giovane, annuì. Ancora non aveva realizzato cosa stesse succedendo, ma qualunque cosa essa fosse, doveva essere bella e quella strana sensazione alla morsa dello stomaco ne era la prova.

“Oh, bene. Vado di sopra a prendere la tovaglia per gli ospiti, allora”, disse Molly allegra, non capendo quello che stava succedendo, non sentendo la tensione che c’era nell’aria in quel momento.

“Sai”, iniziò Bill avvicinandosi alla ragazza, “Credo che, se Tonks lo vorrà, potresti averla più spesso tra i piedi, mamma.”

Gli occhi di Tonks si illuminarono: non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito. Non poteva averla perdonata ancora.

“Suvvia Bill”, le rispose la donna uscendo, “Tonks non disturba mai.” Detto questo, sparì oltre la porta.

“Sei sicuro?”, gli chiese Tonks quando lui le fu davanti diventando completamente rossa.

“Mai stato più deciso prima d’ora”, rispose prendendole una mano e accarezzandola.

Molly, a metà della rampa di scale, si bloccò ripensando alle parole del figlio: le sembravano un po’ equivoche, così tornò indietro per chiedere spiegazioni.

Quello che vide, una volta affacciatasi all’interno della cucina, le bastò come risposta e uscì nuovamente. Loro, ovviamente, non si erano accorti del suo rientro, erano troppo presi da loro stessi e da quello che stava succedendo: avevano tante cose da chiarire e otto anni da recuperare.

La signora Weasley sorrise tra sé e sé, fantasticando con la propria mente verso piani futuri. Non se lo aspettava, ma vederli insieme le aveva fatto piacere. Intuì immediatamente che tra di loro doveva essere successo qualcosa nei giorni precedenti. Già la fuga di Tonks e la sua ricomparsa improvvisa l’avevano lasciata perplessa. Certo, le mancavano i fatti, ma quelli li avrebbe tranquillamente estorti a Bill, con i metodi poco ortodossi che solo una madre sa usare.

Adesso, Qualche ora più tardi,  Molly era seduta sul letto di camera sua che e stava leggendo un libro mentre Artur, rincasato da circa un ora, dopo essersi fatto una doccia l’aveva raggiunta. “Allora? Mi spieghi cosa è successo?”, chiese l’uomo che rientrando in casa aveva notato qualcosa di diverso nei due giovani.

Molly scrollò le spalle. “Non lo so”, rispose con un sorrisino che le increspava lievemente le labbra. Diede un’occhiata all’orologio appeso alla parete di fronte a lei: mancavano ancora quaranta minuti buoni alla cena, e la tovaglia, pensò, avrebbe potuto anche portarla giù più tardi.

 

  
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