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Autore: CreAttiva    28/07/2013    1 recensioni
Runne è una bambina di undici anni dal temperamento ribelle, lunghe orecchie ripiegate sui capelli dorati e un paio di enigmatici occhi rossi. Occhi che sollevano domande alle quali non sa rispondere; perché sono gli stessi di suo padre, di cui non sa praticamente nulla.
Ma Runne guarda al futuro, e insegue il suo sogno di diventare una guerriera per combattere il famigerato Endrun, spietato re del Mondo dell'Avvento. Ancora non sa quanto il suo passato e il suo destino siano intrecciati alla sete di potere del tiranno.
La sua vita e quelle di tutto il mondo dipendono dalle scelte di Runne; e quelle più giuste per il bene comune potrebbero richiedere dolorosi sacrifici.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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2 - Un nuovo amico

La Verità - 1^ parte


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Runne camminava a passo svelto, perdendosi tra le vie di Fiandher. Ogni tanto rallentava per guardare qualche chiosco, poi riprendeva la marcia. Quella notte aveva dormito poco. Quando era riuscita ad addormentarsi, era stata tormentata dagli incubi. L’immagine di un paio di occhi rossi l’aveva perseguitata per tutta la notte. Occhi come i suoi. La mattina era uscita di casa senza avvisare né sua madre né Daeb. Quell’unica parola le risuonava nella testa, con una cantilena incessante. Reptile. Reptile. Reptile. Anche i bambini conoscevano i reptili: esseri diabolici che sfruttavano la magia nera. I reptili erano i personaggi cattivi delle fiabe, quelli che rappresentavano il male e che popolavano gli incubi dei piccini. Originari di una terra sconosciuta, c’era chi affermava che i reptili fossero sorti dal sangue delle grandi battaglie. Inoltre si vociferava che il re di Kuden, bramoso di dominare tutto il Mondo dell’Avvento, avesse un intero esercito di reptili al suo servizio. Re Endrun era un uomo scaltro, in passato consigliere del sovrano precedente, Flarel; quest’ultimo venne spodestato con un inganno che lo portò alla morte. Endrun, cospiratore del raggiro, gli era subentrato.

Ma Runne non pensava a questo, mentre piangeva sulla collina del castello. Pensava invece a quella parola. Reptile. Reptile. Reptile. Udì un fruscio alle proprie spalle e si girò di scatto. I sinhilari che le si erano radunati attorno sussultarono assieme alle foglie e agli stracci di cui erano vestiti.

Liuru le si avvicinò cauto:«Perché piangi?» Runne non rispose. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Le lacrime continuarono a scendere senza sosta. Gli esserini la guardarono tristi e preoccupati, e alla fine la ragazzina disse:«Perché mio padre è un reptile. Perché io sono un reptile.»

«E allora?» fece un sinhilare paffutello «Che c’è di male in questo?»

«Io... sono un mostro!»

Liuru scosse la testa. «E’ più mostro il malvagio figlio del santo che il buon figlio del mostro.» Runne lo fissò con aria interrogativa.

Liuru continuò:«Significa che non importa chi sia tuo padre, o tu, ma cosa serbi nel cuore. Ci hai dato un grande aiuto, perciò sappiamo che non sei un mostro. E per ripagarti ti faremo un omaggio!»

I sinhilari si scambiarono uno sguardo d’intesa. Formarono un cerchio attorno a lei e girarono come posseduti da una strana danza. Le loro vocine si levarono in un canto e Runne se ne sentì riempire il cuore. Le lacrime volarono via e un sorriso le si formò seguendo quella melodia gioiosa. Non riuscì a resistere. Si sentì pervasa e rapita dalla felicità sfrenata di quei sinhilari. Cominciò a cantare suo malgrado, parlando una lingua a lei sconosciuta e venne travolta da uno strano sentimento: fu come se stesse nascendo, come se respirasse per la prima volta, come se desse il suo primo urlo. Dopo un po’ il canto calò di tono e il cerchio di sinhilari si spezzò.

Runne si strinse il petto estasiata. Non riusciva a trovare il coraggio di infrangere quella magia che la rendeva tanto eccitata con la profanazione delle parole. Infine chiese:«Come mai mi sento così felice?»

«E’ il Canto della Quiete.» rispose Liuru «Si dice che il Mondo dell’Avvento nacque con questo canto. Tra noi viene tramandata di generazione in generazione.»

«Cosa vogliono dire quelle parole?»

«Nessuno lo sa.» intervenne una sinhilare graziosa «Il loro significato si è andato perduto nei misteri del tempo.»

«Come ho fatto a cantare con voi? Eppure non avevo mai sentito questa canzone...»

«E’ perché sei una feliana. I feliani sono stati i primi ad abitare queste terre, sono ancora più antichi di noi sinhilari. La loro magia, che scorre nelle tue vene, ti ha fatto ricordare questa melodia.» Runne si rasserenò al pensiero che l’incanto dei feliani l’accompagnasse nella vita.

«E’ incredibile! E’ l’esperienza più bella che abbia mai vissuto! Grazie, Liuru! Grazie a tutti voi!» Salutò i sinhilari e si avviò verso casa, colma di una frenesia incalcolabile.



Runne sfondò praticamente la porta.

Judith fece un gesto di stizza. «Dico, ma sei impazzita?!» Notò il radioso sorriso di sua figlia e rimase di stucco «Ti vedo allegra. Cosa ti è successo?»

«Mamma! Mamma!» esclamò Runne.

«È bellissimo! È stupendo! È magnifico! È...»

«Cosa?» domandò la madre perplessa.

«Il Canto della Quiete!»

Judith sbatté le palpebre «Canto della quiete?»

«Non sai cos’è? È... oh, come te lo posso spiegare?»

«Va bene, va bene.» assentì sua madre. Si picchiò la fronte con una mano. «Daeb, è vero! Era andato a cercarti! Lo hai visto?»

«No.»

«Sono qui.» rispose una voce flebile. Daeb entrò ansimando e si sedette sulla spalla sinistra di Runne.

«Ma quanto corri?» prese fiato «Ti ho vista schizzare tra la folla mattutina e ti ho seguita. Ma ti ho persa di vista. A sapere che stavi tornando a casa me la prendevo molto più comoda.» Runne scoppiò a ridere. Il sinhilare la guardò con aria stupita e un po’ offesa.

«Credevo fossi giù di morale, per questo ti ho cercata. Tutta questa fatica e tu ridi?» Runne rise ancora più forte.

«Parla di un certo “Canto della quiete”.» spiegò Judith.

«Ah! Ora capisco! Sì, fa quest’effetto.» Attesero che Runne placasse le risate, quindi si sedettero. Il cuore di Runne batteva a mille.

«Ti ho promesso di raccontarti la verità, e te la racconterò.» esordì Judith.



Judith vive con la sua famiglia a Hermet Dlun, nel Regno di Raion, la terra dei feliani. Sono poco più di seicento: il resto della stirpe si è sparso da secoli per il Mondo dell’Avvento, mescolandosi agli umani. Judith ha sedici anni ed è figlia di tessitori. Un giorno, mentre gira come di consueto in mezzo ai maestosi palazzi, vede un uomo accovacciato a terra, completamente avvolto in un mantello nero. Il cappuccio è calato fino alla punta del naso. Judith si domanda come faccia a vederci. L’unica cosa che riesce a distinguere è la pipa che sta fumando, emettendo soavi nuvole di fumo.

«Cosa ti serve, bambina?» domanda una voce gelida e roca.

Judith scuote la testa. «Niente, scusi. Non volevo infastidirla.» e fa per andarsene. L’uomo ammira le ciocche dorate dei suoi capelli dondolare placide accarezzando la schiena; ne è ipnotizzato e senza rendersene conto apre il mantello solo quel poco che gli permette di scoprire un braccio, cui sono messi una moltitudine di bracciali. Ce ne sono di tutti i tipi: di corde intrecciate, di legno finemente intagliato e di ferro inciso. Judith li guarda ammirata. Anche con la pipa in bocca, il ghigno dell’uomo è inconfondibile.

«Ne vuoi uno, bambina?»

«Grazie, ma non me li posso permettere.»

L’uomo spegne la pipa e se la infila sotto il mantello. Si alza, si toglie un bracciale e lo porge a Judith. «È derivato dall'intreccio di algarame: una particolare pianta color ruggine dalle foglie lunghe e sottili che al contatto col fuoco cristallizza la clorofilla in un lucido manto protettivo.»

«Glie l’ho detto: non ho i soldi...» L’uomo le afferra un braccio e le fa indossare il bracciale.

«Te lo regalo, bambina.» Avvicina le labbra al suo orecchio. Judith sente il suo fiato misurato sfiorarle il collo.

«Per la tua bellezza.» mormora lui.

«Non posso accettarlo...» balbetta Judith arrossendo. L’uomo non risponde. Si scosta da lei e scivola via come un’ombra, scomparendo tra la folla.



Judith torna a casa con aria trasognata. «Ciao, mamma.»

Gliend si volta verso la figlia. «Bentornata! Allora: qualcuno ti ha fatto la corte?»

Judith nasconde d’istinto il braccio dietro la schiena. «Nessuno.»

La madre sospira. «Speriamo in bene... sei in età da marito e il tempo corre!»

«Non ti preoccupare. Quando troverò quello giusto, sarai la prima a saperlo.»

«Ti ringrazio. Aiutami a preparare la cena, adesso. Tuo padre sarà qui a momenti e avrà una fame da lupi.» La sera trascorre tranquilla e, finalmente sola nella sua stanza, Judith rimira il bracciale.



Il giorno dopo Judith esce di nuovo. Si guarda intorno preoccupata, poi tira un sospiro di sollievo quando scorge l’uomo. È nello stesso posto del giorno precedente, nella stessa posizione, indossa lo stesso mantello e fuma di nuovo la pipa. Sembra quasi che non si sia mai mosso da lì.

Judith gli si avvicina e gli posa di fronte un cestino per il pranzo. «Per ringraziarla. Non riuscirò mai a ripagarla del tutto, ma...» L’uomo rimane immobile, come se lei non ci fosse.

«Spero le piaccia.» prova Judith. Nessuna risposta. La ragazza stringe i pugni nervosamente. «Bhé... io devo andare. Arrivederci.»

«Aspetta.» Judith si congela sul posto. L’uomo spegne la pipa e le fa cenno di sedersi. Judith obbedisce. L’uomo apre il cestino e tira fuori un piatto avvolto in uno straccio, contenente una crostata di mele. Nel cestino ci sono anche delle posate, che lui usa in silenzio.

«Sei un’ottima cuoca.» acconsente, e Judith si riempie d’orgoglio.

«Come ti chiami?» le chiede l’uomo, voltandosi verso di lei. Judith non riesce tuttavia a distinguere il suo viso.

«Judith. Lei...?»

«Non credo di essere così vecchio. Avrò cinque o sei anni più di te. Dammi pure del tu.»

«Invece tu?» si corregge Judith. Il ragazzo non risponde.

«Vengo qua ogni pomeriggio.» e così Judith inizia a parlare. Parla di sé, dei suoi genitori, persino delle sue cottarelle da bambina, senza riuscire a fermarsi.

«Parli un sacco!» la interrompe lui.

Judith arrossisce. «Lo so, ma non ho mai avuto nessuno a cui confidare queste cose.» È troppo timida per farlo.

«E le riveli a un perfetto sconosciuto come me?»

«Sei stato tu il primo a regalarmi questo bracciale.» e solleva il braccio per mostrarlo.

Lui ha un attimo di esitazione, poi riprende il controllo:«Quella è robetta da niente, è solo un... hobby.» Quante fanfaronate escono dalla sua bocca?!

«Se per te questi ornamenti non valgono nulla, significa che sei ricco!»

Il ragazzo dà un’alzata di spalle. «Diciamo che nel mio lavoro è normale maneggiare roba del genere.»

«Davvero? Sei un mercante, allora?»

Lui ridacchia, divertito. «Chissà? Magari sono un ladro.»

«Non ho sentito di nessun ricercato in città. Non prendermi in giro.»

Sveglia, la ragazza. «Devo andare.»

«Dove?» chiede Judith, incuriosita.

«Sono affari miei, chiaro?!» sbotta il ragazzo alzandosi di scatto. Judith risponde con un debole «Scusa!» prima che lui scompaia avvolto nel suo mantello.

Il giorno seguente Judith torna con un altro cestino per il pranzo, e fa altrettanto nei giorni successivi; ogni volta si siede a parlare con il ragazzo, anche se lui non risponde mai alle sue domande dirette, tenendosi sempre vago o cambiando discorso; e ogni volta la conversazione finisce quando il mercante si dilegua nella folla pomeridiana. Judith naturalmente non dice nulla ai suoi genitori: cosa penserebbero di lei se sapessero che si è invaghita di uno sconosciuto senza volto e senza nome? A Judith va bene così: quella nota di mistero mette un po’ di pepe al suo amore.



Un pomeriggio si reca come al solito dal suo amato. Ma non lo trova. Al suo posto ci sono tre uomini che parlottano sottovoce. Judith riconosce le loro armature feline: le guardie. Vorrebbe avvicinarsi, chiedere spiegazioni. La voce le muore in gola quando una delle guardie mostra una pipa alle altre due. Una pipa. La sua pipa.

Si volta e torna a casa il più in fretta possibile.

Il giorno dopo torna al solito posto, ma non trova più né il ragazzo né le guardie. Così l’indomani e anche nei giorni a venire. Judith si sente angosciata. Teme per il ragazzo e non sopporta il fatto di non poterlo vedere. Qualche volta scoppia a piangere, chiusa in camera sua, come una bambina. Si dà della stupida, ma le lacrime non si placano.



Passa un mese. Judith si accorge che c’è tumulto a Hermet Dlun: le guardie pattugliano spesso la città e anche la gente è più nervosa. Judith non si fa troppe domande: queste cose non la riguardano. Così crede.

È una notte fredda quella in cui Judith si sveglia di soprassalto. Ode i passi dei suoi genitori salire le scale frettolosamente.

«Judith! Judith!» Suo padre.

La ragazza balza giù dal letto. «Che succede?»

«Dobbiamo andarcene, presto!» Judith lo asseconda. Non sa cosa stia accadendo, ma le grida che sente provenire dall’esterno precedono le spiegazioni. Si precipitano fuori dalla casa e Judith vede ciò che teme: l’inferno.

Le case in fiamme, le donne che urlano, i bambini che piangono, uomini che ne combattono altri. Uomini? No, quelli non sono feliani: sono reptili. Judith osserva pietrificata quella scena di morte. Tortura, carneficina, sangue, paura: si mescolano ovunque. Sua madre la chiama, suo padre la tira per un braccio, ma lei non riesce a distogliere lo sguardo da quell’orrore. I genitori la trascinano di peso in mezzo alla folla scalpitante, nella calca urlante. Judith si trova inghiottita dalle persone che scappano e gridano terrorizzate, come lei. Man mano che procedono, qualcuno cade a terra e muore calpestato. La gente non ci bada e continua a correre: la paura fa anche questo. Poi è il turno dei reptili, che spinge la folla a destra, a sinistra; che fanno stragi. Le inversioni di marcia sono brusche. Judith viene spinta da una parte all’altra, reggendosi e mantenendo salda la mano della madre a fatica.

Un rombo sordo sopraggiunge non lontano dalla folla e una luce accecante invade i loro volti: poco distante da Judith una ventina di persone esplodono. Sotto la pressione della magia dei reptili, esplodono. Judith viene sommersa dal loro sangue: ne sente l’odore pungente, il sapore viscido in bocca. Sangue di amici, sangue di conoscenti, sangue di innocenti. Judith trattiene un conato di vomito e singhiozza in preda al panico. Sarebbe bastato un metro e anche per lei sarebbe finita. Inutile pregare gli dei: vita o morte sono tutta questione di fortuna. Judith sente freddo ed è scossa da tremiti, nonostante il caldo soffocante proveniente dai corpi intorno a lei e dalle fiamme che divorano le abitazioni.

È un attimo. Le persone si stringono di più e una spinta le fa scivolare via la mano di sua madre. La chiama, ma la sua voce è coperta dal frastuono della folla. Riesce a scorgere il volto terrorizzato di Gliend appena prima di perderla, inghiottita col marito nel gorgo di gente. Judith rimane sola, indotta a proseguire quella terribile marcia. Un altro rombo, e un’altra esplosione invade i feliani poco dietro a Judith. La calca si restringe; sono tanti ma rispetto a prima sono pochissimi.

Un agghiacciante stridio che non può provenire da alcuna gola umana squarcia il cielo. L’intera folla si arresta a guardare inorridita la bestia sovrastarla. Il corpo è quello di un lupo, il cui pelo rosso brace ricasca come una chioma sul collo possente. Una folta coda fluisce nell’aria pesante, mentre le enormi ali da pipistrello gli permettono di abbassarsi e agli artigli di afferrare in volo due feliani. L’animale li finisce con le zanne. Negli occhi gialli, senza pupille, si riflette lo stesso ghigno malvagio del suo cavaliere, seduto sul suo destriero e protetto da un’oscura armatura nera.

Judith ha sentito parlare di quelle creature: glorg, i lupi fantasma dei reptili. Il glorg spalanca le fauci e un alito d’ombra scende sui feliani, disintegrandone una buona parte. La folla si disperde, ma il glorg e il suo padrone la inseguono spietati. Judith si guarda attorno disperata, cercando di cogliere con lo sguardo i suoi genitori. Scorre la vista sulle persone che la circondano, corre senza seguire una direzione precisa. Finalmente li trova: ma l’immagine che la raggiunge è quella di un reptile che trapassa con la spada il corpo di suo padre e che decapita sua madre.

Judith grida con quanto fiato ha in corpo. I polmoni le bruciano almeno quanto le manca il respiro. Un altro raggio di tenebre sconvolge i feliani. Non colpisce Judith, ma l’impatto è talmente vicino e violento da farla volare tre metri più avanti. La ragazza batte la testa. Qualche secondo di delirio e poi precipita nel nulla.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Capitolo pesantuccio… e il passato di Judith non è finito qui! Che ne pensate di questo colpo di fulmine per un uomo di cui non sa nulla? Dopo qualche flirt e fru fru ecco una bella carneficina. Spero di non avervi spaventato troppo. Ne “Il destino scelto” mescolo ironia, amore, azione e drammaticità. O almeno ci provo. Solo voi lettori avete l’ultima parola a riguardo. Cianciatemi le vostre opinioni! (ho appena violentato l’italiano xD)


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

   
 
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