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Autore: Yvaine0    30/07/2013    5 recensioni
Cosa succede quando Niall Horan ha una cotta per qualcuno, Liam Payne un piano – e non un piano qualunque, ma un piano geniale! - e Zayn Malik viene coinvolto senza possibilità di replica?
Succede che Dixie scambia Liam per un maniaco, Niall fugge in ogni dove nel disperato tentativo di svicolare e Ruth si guarda attorno cercando di capire cosa diavolo stia succedendo, mentre le vite di tutti loro si intrecciano irrimediabilmente.
Dixie è un'eccentrica fangirl tendente al nerd («Ti ho già spiegato che i nerd non esistono!»), Ruth una Welma di Scooby Doo in versione atletica («Giù dalle brande, si va a correre!»).
Liam è un ragazzo caparbio – forse appena un po' tonto – («Il problema è un altro: non hai capito cosa intendo»), Zayn indiscutibilmente un buon amico («Cosa c'è che non va in te?»).
Il denominatore comune di queste due coppie è senz'altro il povero Niall («Offro io!»), che non ha nessuna colpa se non quella di essere innamorato e un po' confuso.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
Principalmente di maniaci (e) caparbi


 
Liam era sempre stato un tipo caparbio. Non zuccone, secondo Zayn, ma caparbio: determinato, testardo, volenteroso, instancabile; quando si poneva un obiettivo, sarebbe stato capace di provare a raggiungerlo anche mille volte, finché non ce l'avesse fatta. Poi il fatto che fosse anche uno zuccone, era un altro paio di maniche. Lui principalmente era caparbio.
Quel giorno era il suo turno di fare la spesa e per questo motivo Liam si trovava al supermercato meglio fornito della città per fare compere. Considerati gli esami che il suo coinquilino avrebbe dovuto dare nelle settimane seguenti, calcolò che avrebbe dovuto comprare qualcosa in più piuttosto che qualcosa in meno. Era certo, infatti, che Zayn fosse rimasto indietro con lo studio e la settimana seguente non avrebbe avuto un minuto libero per andare a fare rifornimento. Ecco, quindi, che lo spirito di responsabilità di Liam si faceva sentire. Perché oltre che caparbio, Liam era anche estremamente responsabile. Ed estremamente tonto, a detta dei suoi amici, ma lui era fermamente convinto del contrario. Sì, okay, non era proprio la persona più sveglia della terra, a volte tendeva a perdersi nei suoi pensieri, ma non poteva definirsi nemmeno stupido.
Mentre camminava tra gli scaffali del supermercato, Liam osservava distrattamente il post it appiccicato al manico del carrello che stava spingendo, per assicurarsi di non dimenticare nulla. Aveva studiato la lista nella spesa tutta la mattina, per cui era certo di non aver commesso errori di quantificazione o dimenticato di scrivere alcunché.
Due pacchi di carta igienica. Meglio tre forse, si disse, mentre gettava gli involucri nel carrello.
Magari anche qualche pacco di fazzoletti, in caso a qualcuno fosse venuto il raffreddore.
Spuntò le due voci dalla lista e poi cambiò corridoio, dedicandosi finalmente al cibo. Servivano diverse confezioni di pasta. Una di maccheroni, un'altra di spaghetti... Curioso quanto la ragazza bionda che aveva appena superato somigliasse all'amica di Niall con cui non era ancora riuscito a parlare.
Oh, dannazione, era lei!
«Dixie!» esclamò, girando su se stesso per poter scorgere meglio la ragazza.
Questa sobbalzò, sentendosi chiamare, e si sistemò gli occhiali sul naso mentre lo guardava spaesata. «Ci conosciamo?» domandò lei freddamente.
Lui sorrise, era felice di trovarla in quel posto. Si era presentato alla sua facoltà almeno altre tre volte, negli ultimi giorni, senza mai incontrarla. Aveva bisogno di parlarle, di chiederle aiuto, quell'incontro fortuito era stato un vero colpo di fortuna.
«No, a dire il vero. Che caso incontrarti qui!»
Lei inarcò un sopracciglio e tornò ad osservare le diverse confezioni di maccheroni, valutando quale fosse quella che più faceva al caso suo. «Già, è davvero strano incontrare sconosciuti al supermercato» convenne con indifferenza e un tono che a Liam parve decisamente sarcastico.
Ridacchiò, leggermente in imbarazzo. «No, non intendevo questo, – si affrettò a correggersi: - Ti stavo cercando. È da qualche giorno che ti aspetto in facoltà ma non ti ho più incontrata dopo... be', dopo il giorno del McDonald. Ti ricordi?»
Liam osservò la ragazza perdere lo sguardo nel vuoto, poi prendere un respiro profondo e rimettere al posto giusto sullo scaffale la scatola blu di maccheroni che stava soppesando. «Ah – mormorò, collegando finalmente il volto del ragazzo alla persona che aveva incontrato due volte pochi giorni prima. Lo stesso ragazzo che aveva visto più volte cercarla nei corridoi della facoltà e che, turbata dalla sua presenza, lei aveva opportunamente evitato. - Sì, mi ricordo» rispose. Dopo tutto, osservò Dixie, era strano vederlo in felpa, ormai si era abituata ad identificarlo con quella camicia a quadri allacciata fino all'ultimo bottone.
Era il caso di mettere le cose in chiaro una volta per tutte, si disse. Per cui incrociò le braccia sotto al seno per darsi un'aria più autorevole e si schiarì la gola. Stava per parlare, quando si rese conto che forse mettere in mostra il petto di fronte ad un maniaco non era un'operazione molto saggia; quindi le incrociò precisamente sul seno, come a nasconderlo.
«Senti, ascoltami bene, perché non te lo ripeterò più, - premise, guardandolo dritto negli occhi. - Cerca di starmi lontano. Non so cosa tu ti sia messo in testa, non so perché tu mi stia pedinando da giorni, ma devi smetterla. Non voglio più trovarti sulla mia strada per nessuna ragione al mondo, ci siamo intesi?»
Liam rimase a bocca aperta, udendo quelle parole. Il suo sorriso si spense e sul suo volto prese forma un'espressione assurdamente attonita. Non poteva essere vero. «Cosa? - bofonchiò, quando intuì che forse era il caso di rispondere, anziché rimanere lì a fissarla come uno stoccafisso. - Credo che tu abbia frainteso, io non...»
«No, invece ho capito benissimo – lo interruppe lei, alzando una mano per zittirlo. - Davvero, non ti conviene darmi fastidio. Conosco persone che potrebbero farti pentire in tre secondi di essere diventato un maledetto maniaco e non solo per vie legali. Quindi addio» concluse. Detto ciò, prima che Liam potesse anche solo metabolizzare le sue parole, abbandonò il carrello con la spesa e se ne andò di gran carriera.
In tutto ciò, Mister Caparbietà rimase immobile, impalato con aria stupita per quelli che parvero lunghissimi minuti, mortificato e sconvolto.
 
«Un maniaco?» ripeté Niall sconvolto, lasciando cadere il joystick dell'Xbox sul pavimento.
Dixie annuì, ma non mise in pausa la partita. «Già. Sono giorni che mi segue dappertutto, mi aspetta all'entrata dell'università e... - si interruppe per concentrarsi meglio sul videogioco e poi: - Livello completato!» gridò con entusiasmo, alzando un pugno in aria.
«Sì, bene, bravissima, – tagliò corto Niall, togliendole il controller dalle mani. - Un maniaco?» domandò di nuovo, senza badare all'occhiata offesa che gli aveva appena rivolto la sua amica. Quella ragazza era totalmente incosciente. Diceva di essere stata pedinata da un maniaco con tutta la naturalezza del mondo e continuava a concentrarsi con più attenzione sulla martona di Metal Slug che non di ciò che le era successo. E, cavolo, Niall aveva la pelle d'oca.
«Sì, ma stai calmo, – gli intimò lei, dopo aver sospirato per l'esasperazione: perché quel ragazzo doveva essere sempre così apprensivo? - Gli ho detto di starmi lontano».
«Ah, certo, ora sono molto più tranquillo. Sai, pensavo che fossi semplicemente scappata dal tuo stalker, invece mi dici che ti sei fermata a dirgli di lasciarti in pace. Sì, questo mi rassicura davvero, grazie mille» disse contrariato. Incosciente? No, Dixie era molto più che incosciente: era una completa deficiente!
La ragazza lo fissò qualche istante, attonita. Dopo aver rimuginato un po' sul discorso dell'amico, mentre lui borbottava tra sé con stizza, inarcò le sopracciglia e: «Quello era sarcasmo, Niall?» domandò in tono divertito. Non che Dixie non avesse colto l'ironia nella sua frase, ma il solo fatto che Niall Horan avesse fatto del sarcasmo era qualcosa di sorprendente. Dixie era orgogliosa di lui, doveva ammetterlo.
Niall, al contrario, dovette trattenersi dall'urlare in preda alla frustrazione, quando rispose: «Sì!». Si alzò dal divano, scompigliandosi i capelli, e prese a misurare la stanza a grandi passi, parlando tra sé e sé. «Greg, ti prego!» sbottò poi, quando Dixie, per niente colpita dalla sua reazione, si impossessò del suo controller e riprese a giocare. «Mi sembra di avere a che fare con una bambina!»
Il fratello maggiore, dall'altra stanza, si limitò a ridere. «Dixie, sei sicura che fosse un maniaco? Magari ci stava solo provando...» suppose con pragmaticità. Greg Horan, dall'alto della sua esperienza di trentenne, aveva imparato a riconoscere un malinteso. Aveva anche imparato a conoscere Dixie, in quegli ultimi anni, la regina dei fraintendimenti, ed era ormai sicuro del fatto che, se lei non si preoccupava, voleva dire che una parte di lei sapeva di star esagerando. D'altra parte era anche vero che quella ragazza, come diceva suo fratello, era una grandissima incosciente. Aveva preso l'hakuna matata de Il Re Leone un po' troppo alla lettera.
«Sono sicurissima! - obiettò Dixie in tono offeso. - Aveva la camicia abbottonata fino all'ultimo bottone e mi fissava con aria ebete. Sì, okay, magari ci stava provando, ma è questo che fanno i maniaci, no?»
Si udì una sedia strisciare sul pavimento, poi, mentre Niall ancora camminava avanti e indietro affogando nella propria preoccupazione, Greg si affacciò alla porta del suo studio e fece capolino: «No – la corresse. - I maniaci ti seguono fino a casa e ti spiano dalle finestre, non ti aspettano fuori da scuola. Ti importunano, ti telefonano con l'anonimo e, soprattutto, non ti chiedono cortesemente “Ehi, ci facciamo due chiacchiere?”».
«Sì, ma la camicia...»
«Dixie, anche io allaccio la camicia fino all'ultimo bottone!»
«Ma tu sei … grande».
«Stavi per dire 'vecchio', vero?»
«Sì».
Greg sospirò, poi sorrise con aria consapevole. «Apprezzo la sincerità» replicò, per poi andarsene e tornare alla sua precedente occupazione. «E, diamine Niall, smetti di fare l'isterico!» gridò dall'altra stanza.
Dixie annuì energicamente, del tutto d'accordo con lui. «Oh, finalmente qualcuno che ragiona!»
Ma Niall Horan non aveva alcuna intenzione di smettere di preoccuparsi. Non era isterico, non era un tipo che si faceva prendere facilmente dal panico... Okay, magari sì, ma il suo farsi prendere dal panico concerneva l'allontanarsi dalla situazione pericolosa e rimanere a guardarla da lontano, senza parlare, muoversi né quasi respirare; quello che stava facendo in quel momento, trattandosi di lui, poteva tranquillamente considerarsi reagire.
«Dixie, ascoltami» ordinò poi, sedendosi sul divano accanto a lei. Alla ragazza, anche se a Niall sarebbe piaciuto, non passò nemmeno per la testa di smettere di giocare; «Ti ascolto» gli concesse però.
L'altro decise di accontentarsi. Annuì tra sé, convinto della soluzione che aveva trovato a quella strana situazione e proclamò: «D'ora in avanti tu non andrai più in giro da sola. Siamo intesi?».
«Okay» fu la mansueta e inaspettata risposta di Dixie.
Così inaspettata, che Niall si convinse che non avesse capito. «Davvero?» chiese conferma.
Lei annuì. «Sì, certo, perché questo significa che tu - o chi per te - mi scarrozzerai in giro ogni santissimo giorno».
E Niall non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo a quella risposta.
 
«Sei un idiota».
Liam scosse ostinatamente il capo, ancora incredulo da ciò che era successo e aveva appena raccontato al suo amico. «Mi ha preso per un maniaco» ripeté, sconcertato.
Zayn rise, poi gli posò una mano sulla spalla con fare incoraggiante. «Ti avevo detto che pedinarla era una pessima idea».
«Non la stavo pedinando! - lo corresse subito l'altro, sulla difensiva: - L'ho incontrata per caso, al supermercato!»
Zayn alzò gli occhi al cielo, poi lanciò una breve occhiata ai cancelli del parco, controllando che Niall non stesse arrivando. Non era che non si fidasse di Liam, sapeva che lui non era in grado di mentire e, anche se fosse stato in grado di farlo, era troppo gentile per farlo. Solo che a volte sembrava davvero stupido. Certo, anche la ragazza che riusciva a scambiare Liam per un maniaco non doveva brillare di intelligenza – un maniaco? Liam? Con quell'espressione da tonto e l'aria da boy scout? -, ma Zayn lo aveva detto fin dall'inizio: tutta quella pagliacciata era un'idiozia bella e buona. «Sei comunque un idiota» aggiunse quindi.
Tutto era iniziato con un sogno di Niall, che l'ingenuo irlandese aveva ben pensato di raccontare ai suoi grandi amici. Aveva sognato Zayn. Aveva sognato di baciarlo e di... be', farci cose. Aveva mangiato pesante, si era giustificato; probabilmente non avrebbe mai più mangiato così tanto la sera prima di un esame, aveva bofonchiato tra le risate, paonazzo in volto.
Zayn, quando l'aveva saputo, aveva riso. Riso fino alle lacrime, certo che avrebbe preso in giro Niall per quella storia fino alla fine dei suoi giorni.
Invece Liam, che secondo Zayn aveva davvero bisogno di una ragazza, aveva cominciato a straparlare. Anzi, a strapensare. Solo che quando Liam pensava troppo, finiva con l'ossessionarsi – lui e la sua maledetta caparbietà. Ecco perché un paio di giorni dopo, quando Niall aveva ammesso di aver di nuovo sognato qualcosa del genere a proposito di Zayn, Liam aveva deciso di parlare con Dixie per decidere se Niall avesse davvero una cotta per il suo amico; l'irlandese non parlava con loro ragazzi di sentimenti, cotte e cose del genere, motivo per cui doveva necessariamente parlarne con le ragazze – o col fratello, ma Liam sapeva che Greg non avrebbe mai sputato il rospo contro il volere di Niall. A nulla erano valse le proteste di Zayn, a nulla era valso spiegargli che Niall aveva semplicemente pensato troppo a quel sogno strano finendo per suggestionarsi e sognare di nuovo la stessa cosa. A nulla. Liam aveva di fatto trascinato Zayn al McDonald per attaccare bottone con Dixie, poi l'aveva seguita in facoltà e ora rischiava una denuncia per stalking. Era palesemente un idiota.
Ma Zayn, si disse, era ancora più idiota, perché nonostante fosse stato determinato fin dal primo momento a non prendere parte a quella buffonata, ora ci era finito dentro con tutti i piedi, visto che purtroppo non poteva lasciare che Dixie denunciasse Liam per molestie. Forse non averlo tra i piedi per un po' non sarebbe stato troppo faticoso, convenne mentalmente, ma era anche vero che poi Zayn avrebbe dovuto pagare l'affitto da solo.
«Ma smettila – lo rimproverò Liam, interrompendo così la serie di borbottii a proposito di quanto sarebbe stato bello che lo sbattessero in gatta buia. - Intanto questo idiota ha trovato un altro indizio».
A Zayn sarebbe tanto piaciuto voltarsi e prendere a testate la quercia cui era addossata la panchina su cui sedevano, ma aveva ancora un minimo di dignità e in più c'era una ragazza parecchio carina dalla parte opposta del parco che aveva attirato la sua attenzione. Senza smettere di fissarla, quindi, ficcò una mano in tasca alla ricerca del pacchetto di sigarette, pronto a sopportare con l'aiuto della nicotina l'ennesima geniale idea di Liam James Payne. «Sentiamo».
«Noreen!»
«Noreen – ripeté Zayn, lo sguardo ancora fisso sulla ragazza che leggeva. Quel nome non gli diceva niente. - Qualcuna ha attirato la tua attenzione, finalmente?» domandò, speranzoso.
Liam rise e scosse il capo: «Non la mia, quella di Niall» precisò con un filo orgoglio. Non era stato facile estorcergli quell'informazione; aveva dovuto coinvolgere Harry e parlare con lui di ragazze per ore – e Liam non aveva molte cose da dire, perché era un tipo da relazione seria e non ne aveva nemmeno avute molte – prima che Niall si lasciasse sfuggire il nome di Noreen.
«Cosa?» domandò di nuovo Zayn, distogliendo finalmente lo sguardo la tizia seduta sul prato per concentrarsi si di lui.
Liam sorrise trionfante: da un lato aveva fatto un macello con Dixie, ma dall'altro aveva fatto un'importante scoperta. «Noreen».
Zayn prese un respiro profondo e, un pessimo dubbio in mente, si voltò verso l'amico. «Liam, davvero, ora ho bisogno che tu ti concentri un attimo. Puoi farcela?»
L'altro alzò gli occhi al cielo per la teatralità che trasudavano i comportamenti dell'altro, poi annuì: «Ti ascolto».
Gli posò entrambe le mani sulle spalle e lo guardò dritto negli occhi. «Io sono etero. Niall è etero. Smettila con questa storia!» sillabò, sperando che per una buona volta il suo amico afferrasse il concetto.
Contrariamente alle speranza del ragazzo, Liam scoppiò a ridere di cuore, poi mise a sua volta una mano sulla spalla di Zayn e: «Lascia perdere questa storia. Noreen. È di Noreen che dobbiamo occuparci ora».
«Noreen?» Zayn non capiva e non era sicuro di volerlo fare.
«Sì, Noreen. – L'altro ragazzo annuì energicamente, perfettamente convinto di ciò che stava dicendo. Era tutto perfetto, questa volta non poteva sbagliare. - Aiuteremo Niall a conquistarla, così finalmente si leverà dalla testa quest'ossessione di essere inopportuno e troppo sbagliato per piacere a qualcuna».
«Non ci lascerà mai mettere il becco nei suoi affari. E soprattutto, Liam, noi non dovremmo affatto ficcanasare».
Liam scosse il capo, saltando in piedi: «È per il suo bene!» esclamò con enfasi.
«No, è per la tua idiozia!» lo corresse Zayn in un sospiro.
L'amico rise e gli diede una pacca sulla spalla. «E poi naturalmente Niall non lo verrà a sapere».
Naturalmente, ripeté l'altro tra sé.
 
Nella prossima vita, si promise Zayn mentre aspettava di scorgere una testa bionda in corridoio, avrebbe dovuto scegliere più attentamente i propri migliori amici. In primo luogo avrebbe evitato gli irlandesi che facevano sogni a luci rosse su di lui, ma soprattutto avrebbe dovuto assolutamente stare lontano dai ragazzi dal sorriso dolce e l'aria tonta, perché portavano solamente guai. Specie se erano caparbi.
Non sapeva spiegarsi come fosse finito nei pressi della macchinetta del caffé del secondo piano, in facoltà, ad attendere una ragazza per sistemare un guaio combinato da Liam. Da che mondo era mondo, era Liam quello che trovava soluzioni ai problemi degli altri e non il contrario. Quando esattamente i loro ruoli si erano invertiti?
Sbuffò per la terza volta, mentre rificcava il cellulare nella tasca dei jeans. Quell'ala dell'edificio era frequentata da un sacco di gente che non moriva dalla voglia di incontrare, non vedeva l'ora di andarsene a casa. Sarebbe proprio stato curioso di sapere dove diavolo si era cacciata quella ragaz-... Oh, eccola.
Quando Zayn vide Dixie allontanarsi dalla sua amica bruna e, grazie ad un gigantesco colpo di fortuna, da Niall, per raggiungere le macchinette – e quindi anche lui –, aspettò che gli altri due fossero spariti dietro l'angolo per avanzare di qualche passo nella sua direzione. «Dixie, giusto?» Non si stupì quando lei si paralizzò in mezzo al corridoio, per poi riconoscerlo e alzare gli occhi al soffitto con esasperazione. «No, ti prego, basta. Per colpa di quell'altro è un miracolo se posso andare a prendermi un caffè alla macchinetta senza guardie del corpo...».
Zayn abbozzò un sorrisetto di scuse e non fece domande, sebbene non avesse capito nulla di quel breve discorso. Be', che con “quell'altro” intendeva Liam. Questo era abbastanza. «È proprio di lui che devo parlarti» ammise, scrollando le spalle. Un lato di lui sperava che lei lo mandasse al diavolo, così da potersi levare il problema e dire di averci provato, ma di aver fallito. «È un totale cretino e ha lasciato che fraintendessi le sue intenzioni. In realtà noi siamo amici di Niall e...»
Dixie non protestò quando quel ragazzo con gli occhiali e i pantaloni troppo larghi la seguì e si mise in coda al distributore assieme a lei. Nel momento in cui però udì quel nome tanto famigliare, non riuscì a trattenere un'espressione sospettosa. «Amici di Niall? Niall... Il nostro Niall?».
Zayn inarcò le sopracciglia. Niall non era di certo un nome comune, quanti mai ne poteva conoscere? In ogni caso, per chiarezza, confermò: «Niall Horan, l'irlandese».
La ragazza avanzò nella fila e prese a rovistare nel porta monete alla ricerca della cifra necessaria per il suo indispensabile secondo caffè della giornata. «Non mi ha mai parlato di te o del maniaco».
Maniaco? Qualcosa gli diceva che si riferiva a ...
«Liam. Il suo nome è Liam» la corresse, soffocando una risatina che però a Dixie non sfuggì. «E io sono Zayn. Sono... frequento Architettura. - aggiunse a mo' di giustificazione per la sua presenza lì. - Il punto è che Niall non sa che noi... che Liam si è messo in testa di parlare con te, ecco».
Dixie fece una smorfia poco convinta e si sistemò gli occhiali sul naso, alzando finalmente il naso dal suo portafogli, qualche moneta stretta tra le dita di una mano. «Perché?» domandò solo.
Dritto al punto. Zayn si grattò una guancia, affondò nelle mani e, «Perché, vedi...», fu così che si ritrovò a spiegare, mentre la ragazza prendeva il caffé al distributore, come la rinnovata personalità da ficcanaso di Liam l'avesse spinto a cercare Dixie, nella speranza di poterle estorcere qualche informazione su una certa Noreen.
«Noreen, eh?» Dixie annuiva, mentre rimescolava il caffé con la bacchetta in plastica, e a quel cenno Zayn non poté che illudersi di essere giunto a una delle risposte che il suo amico tanto bramava.
«La conosci?» domandò speranzoso.
Lei parve sorpresa almeno quanto Zayn, quando alzò lo sguardo per incontrare il suo; «No, mai sentita nominare» ammise con semplicità. Un'altra cosa che Zayn non sapeva, infatti, era che Dixie annuiva praticamente sempre: quando era sovrappensiero e quando stava effettivamente prestando attenzione al suo interlocutore. Era un'abitudine che Niall trovava divertente e Ruth irritante, ma Dixie continuava a farlo a prescindere dai loro giudizi.
E Zayn sospirò: perché capitavano tutte a lui?
 
Un baccano insopportabile proveniva dalla cucina del piccolo appartamento condiviso e Dixie non faceva che sbuffare da quando era iniziato. Niall ridacchiava sottovoce ogni volta che lei espirava bruscamente, divertito dalla sua insofferenza. Nel mentre sottolineava qualche parola qua e là sulla pagina del volume che stava studiando.
I pomeriggi di studio a casa delle ragazze finivano sempre così, quando anche la loro coinquilina era in casa: Dixie si innervosiva, Niall rideva, Ruth cercava di rimetterli in riga mentre il suo carlino, Asterix, russava sommessamente steso sotto il tavolo. Il lato più bizzarro della situazione era che a fine seduta Dixie era sempre quello che aveva studiato di più, a dispetto di tutte le sue continue lamentele.
«Dixie, smettila» la rimproverò Ruth nel bel mezzo di un invito poco carino della ragazza ad eliminare definitivamente la coinquilina. Be', uno dei tanti inviti a toglierla di mezzo, ecco. Non che lei fosse mai seria, quando proponeva certe cose, sebbene la sua espressione fosse sempre delle più credibili, ma, appunto, aveva un'aria così severa mentre sibilava certe frasi, che a Ruth metteva la pelle d'oca.
«È lei che dovrebbe smetterla» replicò Dixie con la sua solita aria annoiata.
La lei in questione non era altri che Barbara Tanner, per gli amici Babs - e per Dixie “Quella”, “Lei”, “L'altra” o un qualunque altro pronome, tanto meglio quanto più la definizione era impersonale.
Babs era il genere di ragazza che, volontariamente o meno, diverte tutti. Tutti tranne Dixie, che nutriva una sorta di incontrastabile avversione per la sua massa cespugliosa di capelli biondo rossicci, la sua altezza, per i suoi enormi occhi blu e la sua incorreggibile goffaggine.
Ruth aveva tentato svariate volte di farle notare quanto Babs cercasse di rendersi utile, essere disponibile ed effettivamente portasse allegria nell'appartamento, ma Dixie proprio non riusciva a vedere al di là di tutto il baccano che faceva quando lavava i piatti, dei continui guai, della sua voce stonata che cantava a squarciagola a tutte le ore del giorno e, soprattutto, non riusciva a togliersi dalla testa la propria action figure di Batman senza più un braccio.
Ruth era costernata e non sapeva decidersi: era più ridicolo che Babs rompesse tutto ciò che toccava o che Dixie proprio non riuscisse a perdonarle di aver fatto cadere quella stupida bambola mentre spolverava?
Niall rideva, quando veniva preso il discorso, mentre Dixie si indispettiva e le ricordava di aver pagato trentaquattro – trentaquattro! – sterline ad un vecchio approfittatore in un mercatino dell'usato per quell'action figure – e, appunto, non era una stupida bambola: ma un'action figure, un modellino da collezione. Una versione quasi introvabile di Batman, risalente a chissà quanti – be', Dixie lo sapeva – anni prima, che “quella sciocca capellona” aveva fatto cadere della mensola, quando nemmeno sarebbe dovuta entrare in camera sua.
Era del tutto inutile cercare di farle capire che Babs stava solo cercando di essere gentile: Dixie era quanto di più testardo esistesse al mondo, quando voleva – e in questo caso non solo voleva, ma lo riteneva assolutamente necessario.
«Oh, andiamo, non sta facendo nulla di male, sta semplicemente...»
«Distruggendo casa. Proprio come ha mutilato il mio Batman».
Ruth sospirò. Non riusciva a rassegnarsi alla naturalezza con cui la sua amica faceva i capricci pur continuando ad apparire matura e posata. Be', posata... limitiamoci a definirla apparentemente matura. «Dixie, credo che dovresti proprio metterci una pietra sopra».
La ragazza tolse gli occhiali e si stiracchiò; «A Babs, intendi?» domandò come se niente fosse.
La risata di Niall esplose fragorosa senza alcun preavviso, presto seguita da un rumore di cocci rotti e un «Ops!» mortificato proveniente dalla cucina.
Ruth si paralizzò un momento sul posto, mentre Dixie roteava lentamente gli occhi, la testa leggermente piegata all'indietro, assumendo un'aria un tantino inquietante. «Un giorno o l'altro quella farà la stessa fine di Batman» commentò sottovoce, ma non abbastanza perché Ruth non la sentisse.
Questa si alzò dalla sedia e puntò un dito contro la bionda, stizzita: «Se solo avessi lavato tu i piatti, com'era tuo compito...» sibilò, lasciando poi la frase in sospeso per correre in cucina a valutare l'entità dei danni causati da Babs.
Niall ridacchiava ancora, quando Ruth sparì dietro l'angolo, e si beò dell'espressione del tutto indifferente di Dixie alle parole appena udite. Era evidente che non si fosse affatto pentita di aver rifilato alla coinquilina il faticoso lavoro che spettava a lei, dopo aver procrastinato per ben tre giorni. Senza fare una piega, quindi, inforcò nuovamente gli occhiali e tornò a concentrarsi sul proprio libro di testo.
Niall scosse la testa, pervaso da quella tipica sensazione di familiarità che respirava quando qualcuna delle persone che lo circondavano faceva esattamente ciò che ci si aspettava da loro. Piegò quindi a sua volta la testa sul volume e subito si paralizzò sul posto, inquietato da un familiare suono di violini. Si accigliò, dunque, prima di riconoscere The Avengers Theme suonato da Taylor Davis: la suoneria del cellulare di Dixie.
A lasciarlo perplesso, comunque, fu l'espressione indecisa che comparve sul volto della ragazza, mentre il nome di “NOAH” lampeggiava sullo schermo del suo cellulare e una fotografia del soggetto in questione copriva lo stemma di Hogwarts che era impostato come salva-schermo. «Dixie?» dovette richiamarla, prima che lei si decidesse e rispondesse alla chiamata di suo fratello. La osservò sbuffare, poi afferrare il telefono e aprire la comunicazione. «Pronto?» soffiò, alzandosi in piedi e avviandosi verso il balcone. Le battute seguenti furono precluse all'udito di Niall dalla porta a vetri che lei si chiuse alle spalle.
«Che ne è stato del solito “Che la forza sia con te”?» si informò la voce profonda del maggiore dei fratelli Dixon.
Dixie fece una smorfia e tossicchiò una risatina, mentre misurava la superficie piastrellata a piccoli e frenetici passi.
«Quello è il saluto di congedo» spiegò con una tranquillità che al momento non aveva.
«Giusto, come ho fatto a non ricordarlo? - Noah rise, poi tornò a rivolgersi alla sorella: - Come stai?»
«Bene. Tu? A casa tutto bene? Stavo studiando».
Dixie sarebbe stata abile a mentire, se solo fosse stata abituata a farlo. Era il genere di persona che avrebbe potuto mentire senza problemi, ma era così disinteressata al parere altrui che di solito preferiva di gran lunga dire la verità. Ecco perché quelle domande di cortesia, seguite dalla precisazione di avere da fare, permisero al giovane uomo di capire al volo che qualcosa non andava. Dixie era pigra, da quando aveva fretta di tornare a studiare?
In ogni caso Noah aveva un messaggio da recapitarle e non si sarebbe lasciato liquidare così facilmente. «Tutto bene, ma è molto tempo che non ti fai viva. Mamma vorrebbe fossi a cena da noi, la prossima settimana».
«Non posso, ho un esame».
Noah rimase in silenzio qualche istante, un silenzio carico di rimprovero, prima di riprendere a parlare: «Non ti ho nemmeno detto il giorno» le ricordò.
«D'accordo, quando?» gli concesse lei, sbrigativa.
«Giovedì» la sfidò allora il fratello, leggermente innervosito.
Dixie sorrise trionfante: «Venerdì ho un esame!» gli comunicò, intimamente soddisfatta di non aver nemmeno avuto bisogno di inventare una scusa.
Ascoltò il secondo silenzio carico di sottintesi e il sospiro di suo fratello, poi si sentì obbligata ad aggiungere: «Mi dispiace, Noah». E in parte era vero. Non aveva nessuna voglia di tornare a casa, ma le dispiaceva seriamente che le cose stessero così. Un tempo adorava tornare tra le mura domestiche e una parte di lei lo adorava ancora.
«Anche a me. E mamma non ne sarà felice».
«Lo immagino» disse solo.
Noah prese un respiro profondo, poi si decise a pronunciare le parole di rimprovero che si era ripromesso di non rivolgerle: «Spero davvero che tu non lo stia evitando, perché non è scappando che risolverai la situazione».
Dixie si morse il labbro inferiore, colpita da quell'accusa. Aveva centrato il punto, oltre tutto. «Non c'è nessuna situazione da risolvere» borbotttò comunque, ostinata.
E anche questo era vero. «Appunto. Senti, cerca di farti viva ogni tanto, okay?».
«Va bene».
«Parlo seriamente».
«Sì, Noah, ho capito. Dammi solo un altro po' di tempo».
«D'accordo. È normale che ti serva tempo. Ci sentiamo presto, okay? Ti lascio studiare».
La ragazza sospirò e annuì, pur sapendo che il fratello non poteva vederlo. «Certo. Grazie, Noah».
«Dixie?»
«Sì?»
«Ho fiducia in te».
 
Quando Dixie tornò in casa, Ruth era di nuovo seduta al tavolo. Solo un briciolo della confusione che le agitava il battito cardiaco traspariva dai suoi occhi castani, che si affrettò a schermare con gli occhiali da vista.
«Tutto bene?» domandò Ruth, a cui Niall aveva rivelato il mittente della chiamata.
Lei annuì e abbozzò un sorriso: «Sotto con il Surrealismo!» proclamò con falsa allegria, afferrando un evidenziatore verde.




Tadadadann! Questa volta mettiamo un altro po' di carne al fuoco. :)
In questo capitolo immagino abbiate capito qual è stata la causa scatenante di tutta la vicenda e quali fossero le intenzioni di tonto!Liam (XD) quando aspettava Dixie in facoltà.
A proposito di questo, è bene che io chiarisca una cosa che potrebbe causare confusione e non so se riuscirò a inserire nel testo - perché, poi? -, ovvero le facoltà frequentate dai ragazzi.
Come Zayn ha precisato, lui frequenta Architettura; Ruth, Niall e Dixie studiano Storia dell'Arte. Liam studia Logopedia (*coffcoff*), ecco perché la presenza in facoltà di Zayn è giustificata e quella di Liam, invece, insospettisce Dixie: Liam proviene da un altro dipartimento.

Oh e... Dixie e il fratello. Si accettano supposizioni sul perché non vuole tornare a casa! Sono curiosa di conoscere le vostre spiegazioni. XD Detto questo, avevo qualcos'altro da specificare, ma non ricordo cosa, quindi chiudo il becco. Per qualunque domanda, non esitate: non mordo e rispondo a tutti. :) 
Potete trovare tutti i miei contatti sul mio profilo, se vi interessano, non fatevi problemi a contattarmi.
Be', grazie per essere arrivati fino a qui e avermi dato fiducia. :)



 

  
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