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Autore: MyLandOfDreams    01/08/2013    5 recensioni
Sono passati 4 anni dall’ultima volta che l’ha visto. Quattro anni da quando le ha dichiarato il suo amore. Quattro anni senza ricevere sue notizie.
Fino ai 12 anni Mike occupava una parte importante nella vita e nel cuore di Lucia, e, ora che lui è lontano, lei non fa altro che aspettare il suo ritorno. Ormai ha compreso quali sono i sentimenti che prova per il suo amico, ma quest’ultimo non ha mai provato a mettersi in contatto con lei.
Lei non ha più amici. Ha solo la sua famiglia.
Fin quando, il primo giorno del terzo anno di liceo, non incontra lui.
Claudio che, in punta di piedi, entrerà nella sua vita aiutandola a rifarsi una vita.
Ma il passato non si può cancellare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
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Salve a tutte. Prima di passare al capitolo vorrei chiedere perdono per il ritardo. Più volte ho cercato di scrivere questo capitolo (orribile secondo me), ma c'era sempre un qualcosa che mi impediva di proseguire, dall'arrivo improvviso di ospiti al computer che si bloccava a ogni lettera che scrivevo. Inoltre ho pubblicato senza neanche rileggerlo per cui ci saranno numerosi errori/orrori. Volevo anche informarvi di aver creato un gruppo su facebook per spoiler, comunicazioni e quant'altro.
Vi lascio al capitolo, e, per coloro che ci arriveranno, ci vediamo giù.

 

Capitolo 4

 
  «Mi vuoi spiegare perché cavolo hai scelto di iscriverti ad uno scientifico? Cos’avevi nel cervello quando hai preso questa scelta?» Chiesi ironicamente «La scimmia che fa sbattere i piatti o il criceto che gira nella ruota?».
  Erano trascorse ormai tre ore dal mio arrivo in casa di Claudio.
  Solo dopo aver fissato luogo e ora d’incontro per le ripetizioni mi ricordai di non sapere dove vivesse. Dovetti per cui correre a perdifiato per raggiungerlo prima che salisse sul bus.
  In quelle tre ore, col passare dei secondi, il mio nervosismo non aveva fatto altro che crescere a dismisura fino a farmi scoppiare.
  «Lucia ti prego» Mi supplicò con le mani congiunte «ho bisogno di una pausa! Non ne posso più, sono al limite. Sono tre ore che non faccio altro che ripetere definizioni e proprietà»
  Si stava lamentando di stare ripetendo definizioni e proprietà di monomi, binomi e polinomi! Era programma di primo superiore, e noi eravamo in terzo!
  «Ciò che è al limite, in questo momento, è solo la mia pazienza. E io dovrei farti recuperare il programma di un anno e mezzo? Col cavolo»
  Visti i nostri toni, metà quartiere ci aveva sicuramente sentiti.
  Stremata da quella discussione che andava avanti da più di venti minuti mi accasciai sulla sedia, non molto stabile visto lo scricchiolio che emise, su cui ero rimasta seduta per tutto il tempo cercando di fare entrare quante più nozioni possibili di quella materia nella testa di Claudio.
  Avevo ormai preso la mia decisione: il giorno dopo sarei andata dalla professoressa dicendole che avrei preferito farmi interrogare ogni giorno per tutto l’anno scolastico nella sua materia pur di non dover dare ripetizioni a quell’essere sprovvisto di cervello.
  Ormai non lo definivo neanche più una persona: le persone si contraddistinguono dagli animali per l’intelletto.
  L’essere difronte a me non pensava. Non ragionava. Sì, insomma, non aveva cervello.
  In quelle tre ore avevo cercato, con tutte le mie forze, di fargli imparare almeno le basi per le equazioni di primo grado. Ma niente. Eravamo ancora al punto di partenza.
  «Io penso invece che tu non voglia avere niente a che fare con me indipendentemente da queste “disastrose ripetizioni”» Mi urlò contro mimando con le dita le virgolette alle parole disastrose ripetizioni. «Mi vuoi spiegare perché ce l’hai con me? Cosa ho fatto di male?»
  Non avevo abbastanza forze per alzarmi e fronteggiarlo guardandolo negli occhi.
  Come potevo dirgli che il mio atteggiamento freddo e distaccato di quel pomeriggio era dovuto al suo tentativo di diventarmi amico, ai suoi occhi che tanto amavo che avevano il potere di farmi sentire tremendamente felice e al tempo stesso quasi depressa?
  Come potevo dirgli che non volevo stargli intorno per mantenere la promessa fatta a mio fratello di non indagare oltre sul suo rapporto con l’essere in mia presenza?
  Semplice. Non potevo. «Esisti».
  Avevo risposto senza riflettere alle conseguenze. Era stata l’unica risposta che, in un certo senso, racchiudeva le risposte vere.
  Avevo pronunciato quella breve parola con tutto il disprezzo possibile. In quell’istante volevo solo ferirlo, fare in modo che non volesse più avvicinarsi a me.
  Ma non appena vidi il suo viso incupirsi e il suo sguardo farsi sempre più sofferente me ne pentii.
  Non avevo alcun diritto di rinfacciargli la sua stessa nascita. Nessuno aveva un tale diritto su un’alta persona. Non lo avevano i genitori sui figli, figurarsi degli sconosciuti.
  «Claudio, mi dispiace, non vo…» Cercai di scusarmi ma mi interruppi quando vidi Claudio voltare la testa con un movimento secco per non guardarmi. L’avevo ferito, più di quanto desiderassi fare.
  Purtroppo per me la macchina del tempo non era stata ancora inventata, per cui, anche volendo, non sarei potuta tornare indietro e cancellare quella maledetta risposta.
  «Per favore vattene» Era stato un sussurro. Quelle tre parole furono pronunciate con la voce spezzata dalle imminenti lacrime.
  Conoscevo bene l’orgoglio maschile. Avevo trascorso buona parte della mia vita circondata da Mike e Marco, e li avevo visti piangere una sola volta. I ragazzi tendono a tenere per sé le lacrime. Piangere è, secondo molti, segno di debolezza. E poi ci sono quei ragazzi che non vogliono piangere di fronte a una ragazza perché si suppone che siano le ragazze quelle da dover essere consolate, e i ragazzi coloro che consolano.
  Percepivo nell’aria il suo dolore. Avrei voluto rimanere, scusarmi, consolarlo, conoscere la sua storia. Avevo capito che la mia risposta gli aveva riportato alla mente un qualche episodio che lo aveva segnato. Glie lo potevo leggere negli occhi.
  Ma non ero nessuno per lui. Avevo già fatto abbastanza.
  Senza dire nulla raccolsi in fretta le mie cose e uscii da quella casa. Sulla soglia della porta d’ingresso sentii inevitabilmente Claudio scoppiare a piangere.
  Avevo sicuramente esagerato. Ma forse, pensai, era meglio così.
 
  La mattina seguente Claudio non si era presentato a scuola.
  Avrei voluto parlargli, chiarire. Scusarmi. Ma Lui non c’era e mi sentivo in qualche modo colpevole della sua assenza.
  Inoltre in quell’istante stava entrando in classe la professoressa di matematica.
  Avevo preso la decisione di parlarle per farle sapere che non ero capace di portare Claudio al livello di preparazione della classe. Ma avrei preferito prima chiarire con Claudio.
  Per un momento avevo pensato di continuare con le ripetizioni, ma avevo paura.
  Continuare le ripetizioni avrebbe significato trascorrere interi pomeriggi con Claudio, andarci d’accordo, stringere un legame d’amicizia.
  Io non volevo diventare amica di nessuno. L’avevo promesso a Mike: nessuno avrebbe preso il suo posto, quindi non potevo avere amici all’infuori di mio fratello.
  Io mantenevo sempre le promesse.
  Così come ero intenzionata a mantenere la promessa fatta a Mike, volevo mantenere anche quella fatta a Marco pochi giorni prima.
  Quando facevo delle promesse le mantenevo, che le avessi fatte a uno sconosciuto o a una persona importante era irrilevante. Nel mantenere le promesse mettevo da parte l’egoismo, che caratterizza ogni essere umano, la curiosità, i limiti alla mia pazienza.
  Ero pronta ad alzarmi per andare alla cattedra e parlare alla professoressa della mia decisione, ma, posata la borsa, chiese il silenzio senza neanche fare l’appello, segno che aveva una comunicazione importante.
  «Ragazzi, devo darvi una comunicazione importante» Attese qualche secondo assicurandosi che tutti le stessero prestando attenzione «Il vostro nuovo compagno si trova in ospedale».
  Mi sentii crollare il mondo addosso. Inevitabilmente mi sentii responsabile.
  Era assurdo pensarlo, lo sapevo bene, ma qualsiasi cosa gli fosse capitata, se non avessimo discusso, avrebbe potuto benissimo evitarla.
  Senza neanche rendermene conto mi si riempirono gli occhi di lacrime.
  La professoressa non aveva finito di parlare «È stato investito da una macchina e ora è in coma»

Mio angolino personale:
so che è un capitolo un po' breve e molto deludente (dopo tutti questi giorni di "ferie" mi viene difficile scrivere come prima), ma dal capitolo successivo inizierà la storia vera. Inoltre vorrei ringraziare chi segue, ricorda, preferisce e soprattutto recensisce questa storia, siete voi che mi date soddisfazione e mi incitate a continuare la storia semplicemente mettendola in una delle tre liste o spendendo parte del vostro tempo scrivendomi anche poche parole.
  
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