Grazie ancora degli splendidi commenti…
Oggi non vi annoio con un mare di preamboli inutili…
Buon capitolo =)
Capitolo 7.01
Sapore di te.
Step one you say we need to talk
He walks you say sit down it's just a talk
He smiles politely back at you
You stare politely right on through
Some sort of window to your right
As he goes left and you stay right
Between the lines of fear and blame
You begin to wonder why you came
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
Let him know that you know best
Cause after all you do know best
Try to slip past his defense
Without granting innocence
Lay down a list of what is wrong
The things you've told him all along
And pray to God he hears you
And pray to God he hears you
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
As he begins to raise his voice
You lower yours and grant him one last
choice
Drive until you lose the road
Or break with the ones you've followed
He will do one of two things
He will admit to everything
Or he'll say he's just not the same
And you'll begin to wonder why you came
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
How to save a life
How to save a life
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all
night
Had I known how to save a life
How to save a life
{How to save a life- the Fray.}
Hermione.
L’aria è
brillante, bianca, fredda. Inglese, dannatamente inglese. La corsia è sgombra,
la luce abbagliante, il cielo nero. Mentre scendo gli scalini, facendo un cenno
di ringraziamento al pilota, il vento mi soffia i capelli sul viso, furioso.
Rabbrividisco nel mio abbigliamento estivo. Poi setaccio la pista, in ricerca
di lui. Ho le
guance asciutte e il cuore quasi immobile nel petto. Continuo a guardare tutto
come da dietro spessi occhiali. Persino la proposta di Richard mi sembra
lontana da me, lontana dalla mia vita. Forse in effetti me la sono solo
sognata, come mi sono sognata tutto questo. Ora aprirò gli occhi e sarò ancora
nella mia tenda a lottare contro zanzare affamate del mio sangue tra le braccia
sudate di Richard, lo sveglierò con un bacio e faremo un altro veloce round
d’amore prima di tornare dai nostri casi disperati da salvare.
Sul bordo
della pista, troppo colorato nel mezzo di questo acquoso e grigio scenario, Ron
sembra intenzionato a sparire nel nulla. Cammino lentamente, per poterlo studiare
il più possibile, da lontano. Il mio cuore resta immobile, muto, congelato. Non
è il Ron che ricordavo, è alto, certo, i capelli rossi, le orecchie rosse, le
lentiggini, gli occhi dall’azzurro folgorante e innocente, li alza su di me e
abbozza un sorriso imbarazzato. Mi sento studiata e anche io mi imbarazzo,
abbasso lo sguardo sui miei piedi, intrappolati in ciabatte rotte.
-Ehi.- Lo
saluto. Improvvisamente non so come comportarmi. Abbracciarlo? Baciarlo?
Stringergli… la mano? Una pacca sulla spalla? Cosa siamo? Amici? Conoscenti?
Fratelli? Lui non sa che un tempo ho sognato di poter essere “amanti”.
-Ehi.-
Risponde. Le sue labbra si aprono in un sorriso carico di dolcezza e nuovo,
tenero, imbarazzo. Mi avvicino ancora, ora siamo uno di fronte all’altra. I
suoi occhi sono rossi, profonde occhiaie contornano il suo sguardo grave.
Anche lui
sembra non sapere cosa è bene fare, e mi rendo conto di non essere la sola a
ricordare come ci siamo salutati, il fatto che non gli ho dato un perché, il
silenzio di questo ultimo anno tra di noi. Gli sorrido, tentando di rimandare
il momento dei chiarimenti il più possibile: per sempre, magari.
-Come
va?- chiedo.
Lui
scuote il capo. –Lascia stare. Tu? Tutto… bene?
Mi
stringo nelle spalle. –Sono molto preoccupata…
-Sì. Dai,
vieni.
Apre la
portiera di una macchina rosso mattone, e io entro in quel riparo caldo e
ovattato. Lui si siede alla guida e si tuffa nel traffico.
-Una
macchina?- chiedo.
Annuisce.
Il silenzio tra noi ha un che di assurdo, non ricordo che vi sia mai stato.
–Pensavo che fosse meglio parlarne un po’ prima di arrivare all’ospedale.
-Sì.
Giocherello
con un riccio e mi appoggio al vetro gelato mentre una pioggia bollente inizia
a sferzare l’aria, proprio come durante la nostra ultima conversazione. E
risento quella morsa al cuore e allo stomaco, quel battito doloroso nel petto,
quel respiro febbricitante ballarmi sulle labbra. Lui tiene le mani serrate sul
volante, le spalle rigide sotto il golf blu notte, gli occhi fissi sulla
strada, immobili.
-Sta…
tanto male?- chiedo.
-Non si
sa ancora, sai, i Guaritori non possono definire… ancora non ce l’hanno fatto
vedere… e poi non sappiamo come… gli abbiano fatto… questo.
-Pensi
siano stati i Mangiamorte?- un brivido ci percuote entrambi mentre, lentamente,
pronuncio queste parole. Ed è come se al mondo ci fossimo solo noi: solo noi
possiamo capire, questo dolore non appartiene ad altri, questo terrore è tutto
nostro.
-Chi
altro potrebbe volere morto Harry Potter?
Silenzio.
–Ma lui… lui non morirà, vero?- chiedo, e ancora una volta rabbrividiamo.
Vedo i suoi occhi bagnarsi di lacrime e vorrei abbracciarlo, ma non posso
farlo. Anche se stiamo abbattendo il muro tra di noi, lui è ancora lì,
dolorosamente eretto da anni di discussioni, incomprensioni, imbarazzi,
menzogne.
-Io lo
spero.- La sua voce è ancora dolce, ma velata di malinconia.
-Ginny
come sta?
-Ginny
è…- sospira. –Sfatta. Distrutta. E… Incinta.
Incinta?
Incinta? Incinta? –Incinta?
L’aria si
fa improvvisamente pesante. –Sì, me l’ha detto prima che venissi, penso
volesse che te lo dicessi io, sai, per non doverlo fare lei, e piangere e tu
piangi e tutte queste cose qua.- Ma io non piango, respiro pesantemente.
Penso che
certo che Ginny è sfatta e distrutta. Avrà bisogno di me, qui, e provo un dolce
calore dentro sapendo che tra poco potrò abbracciarla.
Mentre
corriamo nella campagna inglese fuori Londra, bloccati nel traffico
dell’ingresso della città, la pioggia che rende tutto incredibilmente grigio,
lui resta con gli occhi fissi sulla strada, fingendo che io non ci sia.
-E… tu?
Tutti i
muscoli del suo corpo si contraggono.
-Io…- la
voce gli si spezza. –è molto complicato. Sono felice che tu sia qui.
È come se
la gola mi si gonfiasse, non riesco a respirare o a parlare, commossa. Per la
prima volta da tanto tempo non c’è menzogna sul suo viso, nei suoi occhi, nel
suo sguardo, tra di noi. –Sono felice di essere qui… Sono certa che non è
poi così complicato.
-Sì, e
non ti immagini nemmeno quanto.
Il San
Mungo è proprio come ogni volta che ci sono stata negli ultimi, troppi, anni
nelle ultime, troppe, visite che ho dovuto fare. Ma questa volta l’ansia che
provo non è nemmeno minimamente paragonabile a quella delle altre volte, forse
solo a quella lontana mattina in cui sono dovuta andare alla ricerca di Ron e
Harry per sapere che ne era di loro, che ne era del mondo, che ne sarebbe stato
di me. Mi sento soffocare, per la prima volta vacillo, e non è solo per Harry,
ma anche per Ron, che è disperato per qualcosa di così “complicato” che non può
condividerlo con me, per Ginny, innamorata, incinta, con Harry su quel letto… e
per me, adesso, che sono qui come una naufraga, vorrei lenire i loro dolori ma
ho anche io un sacco di dolori: i dolori per loro, i dolori per Harry, e perché
Richard mi vuole sposare e io non capisco cosa provo per Ron. Perché mi sento
soffocare?
Il
corridoio è vuoto, lui si volta verso di me e mi sorride. –Sei fortunata,
se ne sono andati tutti. Prima c’era una folla incredibile.
-Possiamo
vederlo?
-Sì.
Penso di sì.
Spinge
una porta ed entriamo nella sua camera, una camera bianca e profumata di pulito
e pozioni, e su un letto è sdraiato Harry, pozioni attaccate al suo corpo, una
lampadina illumina lugubre le sue guance scarne e pallide, la sua cicatrice
sembra innaturalmente grande, senza occhiali il suo viso appare incredibilmente
vulnerabile e spoglio.
Mi sento
mancare. Un dolore ovunque che ammutolisce tutti gli altri dolori, come se
fosse il mio corpo stesso quello steso su quel letto, ogni angolo del mio corpo
soffre, mi devo appoggiare alla parete per stare in piedi. Anche Ron adesso non
può più mascherare il male che sente, chiude la porta appoggiandovisi sopra,
pallido con un cencio, con le labbra vibranti e le orecchie più paonazze che
mai. Arranco a fianco a Harry, prendo la sua mano pallida, gelata, fragile tra
le mie e, senza riuscire a frenarmi, inizio a piangere. Sento Ron che mi si
avvicina, mi toglie la mano di Harry e io non ho la forza di oppormi, mi prende
tra le braccia e mi stringe. Piango, piango così forte che mi soffoco con i
miei stessi singhiozzi, bagnandogli il golf e il collo e le guance, ma lui
continua a stringermi, e anche le sue lacrime scorrono su di me, bagnandomi
i capelli, le mani, il collo, le
guance, ci sorreggiamo a vicenda, sospirando e singhiozzando, mi appoggio a lui
come non mi sono mai appoggiata a qualcuno; e la cosa mi spaventa
terribilmente, perché lui non è “qualcuno”: è Ron.
Non so
quanto tempo passi, quanto ne sia passato quando finalmente alzo gli occhi su
di lui, abbozzo un timido sorriso umidiccio e lui risponde al sorriso con
sincerità.
-Lo so
che stai male.- Dico.
-Sì,
anche io lo so. Che stai male.
Mi scosto
da lui, mi asciugo le guance, e quando lo riguardo in viso, anche lui si è
ricomposto. Lancio un’ultima occhiata a Harry, steso senza forse su quel letto
d’ospedale, e usciamo nel corridoio ormai illuminato dalle bolle di luce perché
fuori deve essere caduta la sera.
-Ron!- La
sua voce irrompe con furia nella mia testa, e mi volto. Cassie è seduta su una
sedia, i capelli fulvi e gonfi che incorniciano la sua figurina magra e dorata,
i suoi immensi occhi innocenti e allagati d’amore e preoccupazione per Ron. Gli
getta le braccia al collo, lo bacia su tutto il viso, sussurrandogli parole
roche che io non capisco. Poi si volta verso di me.
-Mione!-
è imbarazzata, tutta rossa e scarmigliata ora, la bambolina perfetta che ho
sempre sognato di essere. La rabbia che provo nei suoi confronti imbarazza
anche me, mentre lei mi prende le mani e mi bacia morbidamente le guance, con
quelle stesse labbra con cui un secondo prima baciava Ron. Provo a cogliere un
ultimo frammento del suo sapore. –Ginny mi ha portata qui, adesso è in
bagno, sarà qui a minuti. Come stai?
-Sono
stata meglio. Tu?
Ma non
ascolto la risposta, e nemmeno Ron lo fa, ne sono certa. Il suo chiacchiericcio
è solo una musica di sottofondo, lui appoggia la guancia alla sua testa morbida
e chiude gli occhi, come se fosse troppo stanco per continuare, e lei gli tiene
la mano, accarezzandogliela dolcemente. Lei lo ama, forse lui ama lei. Ginny
aveva ragione dicendo che aveva ricominciato. Mia sorella ama quello che
pensavo dovesse
essere il mio uomo, lo ama tanto da essere stata sempre qui con lui a tenergli
la mano e a baciarlo morbidamente sulle labbra. E Ron ama Cassie, la mia
esotica e splendida sorella che si prende tutto quello che io non riesco ad
apprezzare del tutto, che riesce a conquistare tutto ciò che io non riesco a
raggiungere. Ron merita il suo amore, e Cassandra merita l’amore di Ron.
Forse io
dovrei sposare Richard e ignorare come mi batte il cuore in questo momento,
ignorare l’ansia, l’amore, la rabbia, tutto…
In quel
momento Ginny esce dal bagno, il su viso è una maschera di sofferenza e i
capelli rossi fiammeggianti fanno a pugni con il colorito cereo delle sue
guance. –Mione…- Singhiozza. E mai, mai, l’avevo vista così, lei, sempre
forte e indistruttibile. Erano anni e anni che non vedevo le lacrime su quel
volto, e nemmeno ricordo l’ultima volta che quelle guance erano state bagnate.
La prendo tra le braccia e la stringo più che posso. –Andiamo a casa…
La porto
a casa, le preparo un latte bollente che rifiuta, io e Luna la laviamo sotto la
doccia mentre l’acqua calda e profumata si mescola alle sue lacrime e i capelli
ci si appendono alle dita, i suoi seni sembrano più piccoli di come li
ricordavo, e provo a cogliere se la sua pancia è un po’ più grande. Gliela
accarezzo e lei singhiozza più forte. Le mettiamo un pigiama caldo, lei trema,
la sdraiamo a letto, e beve il suo latte. Si adagia trai cuscini e le coperte,
e io mi stendo accanto a lei, l’abbraccio, e lei si lascia stringere. Mi tiene
una mano. –Sono qui, qui con te.- Le sussurro all’orecchio. Lei annuisce,
chiude gli occhi e cade addormentata.
Anche io
chiudo gli occhi, senza lasciarle la mano, ma non mi addormento, dormire
accanto a lei mi fa navigare in un mare di una bellezza struggente, pesante
sotto il peso di ricordi pieni di Harry, di Ginny, di Hogwarts, di Voldemort…
di Lui.
*
Abbracci. Ecco quello di cui avremmo bisogno, a volte. Solo di un
abbraccio.
Dalla persona amata, dalla migliore amica, da un fratello, dalla
mamma.
Bracci muti, ma molto più significativi di tante parole.
Abbracci. Colmare le distanze. Abbracci.
=)