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Autore: Queen of Superficial    05/08/2013    7 recensioni
«La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.»

Sequel di "Niente virgolette nel titolo". Perché? Lo sa Dio.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Datosi che 'amare' non è il contrario di 'inmontagna'.”
(SMS di Gertie, le quattro di un mattino qualunque.)

 

 

In questa contraddizione inevitabile
tra quel che doveva essere e quel che è
ho combattuto numerose battaglie,
battaglie mortali.

(Non mi pento di niente, Gioconda Belli)

 

 

Dominic, sei la persona più stupida che io abbia mai incontrato.”
Bliss sostava catatonica sul divano, alle nove e un quarto di mattina. Dominic nemmeno le rispose, impegnato com'era a scorrere con gli occhi la lettera che aveva tra le mani per la terza volta.
Io, invece, giravo il caffè nella tazza, seduta attigua a Fleur che se ne stava compunto, col monocolo, in pigiama, e reggeva in mano una busta che recava il mittente Court of London.
Jimmy, che si svegliava sempre tre quarti d'ora dopo la razza umana, entrò in salotto scarmigliato e seminudo cantando a bocca chiusa Fear of the dark; i pantaloni della tuta lasciavano intravedere buona parte di frammenti anatomici che è costume non far intravedere, quale che sia la situazione in cui ti trovi. Bliss si voltò a guardarlo alcuni secondi, ipnotizzata.
“Potevi essere il mio, di non-cugino.”
Jimmy le rivolse uno sguardo assonnato privo di significati.
“Ripensandoci, potevi essere anche proprio mio cugino, la cosa non mi avrebbe fermata.”
“Bliss, tesoro, ci siamo frequentati e conosciuti prima che io e Ria scoprissimo di non essere parenti. Potevi svegliarti allora, io due colpi te li avrei dati.” ribattè quello confusamente, con la voce impastata di sonno.
Bliss perse ogni espressione.
“Ora macera, macerati nel rimpianto.”, sibilai alla mia migliore amica, senza particolare slancio.
“Tirati su quei pantaloni, svergognato.”, si introdusse Fleur, non convinto.
Dominic si voltò meccanicamente, come Chucky la bambola assassina.
“Forse non avete capito l'entità del dramma che stiamo tutti vivendo sotto questo tetto.”
Jimmy lo guardò, disinteressato, e l'altro sventolò la lettera.
“E' un ordine di custodia temporanea.”
“Tradotto in prosa?”, domandò Rev, approssimandosi al vassoio col caffè.
Dominic ribolliva, osservando con disappunto la donna-demone con le tette al vento tatuata sulla schiena del suddetto.
“Tradotto in prosa, Belfagor, la stronza si è presa il bambino. Non glielo lascerà vedere finchè non andranno in tribunale.”
Jimmy, sorvolando il tono piccato di Dominic, si versò una tazzina di caffè e disse: “E dov'è ora quel cretino del tuo amico, Magica Ballerina Volante?”
Dom trasalì, accusando due o tre tic nervosi alla mano.
“E' uscito!”, rispose, stridulo, “E' uscito dicendo che sarebbe andato a parlarle.”
“E se Kate chiama la polizia, quelli se lo portano e scoppia uno scandalo.”, aggiunse Bliss, telegrafica.
Magica Ballerina Volante si agitava senza posa. Come se fosse avvolto dalle fiamme.
“Gli ho mandato Chris alle calcagna. Ma avete idea del casino che succede, se quella fa una qualunque mossa, anche trascurabile tipo farsi pizzicare dai paparazzi con gli occhi gonfi di pianto? Avete capito che vuol dire per il management, per l'immagine di Matt, cosa accade se casomai Catherine parla con un giornale di quello che le è successo? Cosa penserà la gente, se venisse a sapere che Matt ha abbandonato sua moglie? Cosa penseranno i fan?”, continuò infatti, isterico.
“Che è rinsavito.”, rispose Bliss, a bassa voce.
Lui la ignorò.
“E ci vai di mezzo anche tu, Maria Goretti!”, aggiunse, invece, puntandomi contro la lettera, paonazzo di furia, “Puoi stare certa che la tua reputazione andrà in mille pezzi tanto quanto la sua!”
Jimmy appoggiò un momento la tazzina e si frappose tra di noi, sfoderando il suo migliore sguardo da statua di marmo all'indirizzo di Dominic.
“Modera i toni.”
“Ma quali toni, James, quali toni! Anche tu sei della partita, sai, bello? La vostra penso sia in lizza per diventare la relazione più discussa di tutti i tempi dopo il tizio che sposò un cuscino! Già prima di stare insieme eravate cugini, e non so in quanti lo sappiano, figurarsi se ora esce che lei ha messo le corna a suo cugino con il suo peraltro chiacchieratissimo ex!”
“Lei non gli ha messo le corna.”, ribatté Bliss.
Ma il nostro eroe parlava a macchinetta, imbufalito: “No, certo che no! Sono andati in Nuova Zelanda, da soli, senza dire niente, per giocare a tressette coi Maori! Ma chi vogliamo prendere in giro!”
Si voltò, sudato e furioso, di nuovo verso Jimmy.
“E tu svegliati! Come fai a berti che non sono stati a letto insieme? E dire che si vocifera così tanto del tuo sorprendente quoziente intellettivo. Sai che figura ci fa il tuo piccolo batuffolo, quando quella va a parlare coi giornali? La figura della tr”
Non finì mai la frase.
Noi non lo vedemmo, a dire la verità. Vuoi per il sonno che ancora ci avvolgeva, vuoi per la tensione, ma giuro, sul serio, non lo vedemmo partire. Però senz'altro lo sentimmo arrivare: il suono secco, pieno, di ossa contro ossa.
Dominic cadde al suolo, svenuto.
Jimmy, invece, si sedette sul divano tra di noi sotto una pioggia di sguardi allibiti.
“Dio”, disse, massaggiandosi il punto della fronte con cui aveva appena spedito Dominic in un'istruttiva esperienza di premorte, “ Finalmente un po' di silenzio.”
“Cristo Jimmy.”, soggiunse Bliss, monocorde, “L'hai steso.”
“Sì, beh. Ci vuole poco.”

 

 

Sai cosa si fa quando non ce la si fa più? Si cambia.”
(Alberto Moravia, Gli Indifferenti.)



Avevamo adagiato Dominic sul divano, e io lo stavo sventolando con la lettera infernale. L'audience del salotto, consistente in noi quattro e basta, mi accerchiava in stato di leggera allerta.
“James, però.”, azzardò Fleur occhieggiando il moribondo, intriso a metà di un vago tono di rimprovero.
“Non deve mai, mai e poi mai darle della troia davanti a me. Ho considerato l'agitazione in cui era come attenuante, quindi gli è andata anche bene.”
“Ah, gli è andata bene?”, intervenne Bliss, agitando una mano, “Beh, siamo fortunati. Pensa se gli andava male! Si andava a depositare disinvolto dentro una bara su misura. Jimmy, gli hai tirato una capocciata bastevole a ledergli la memoria a breve termine in modo permanente, come in quello stupido film di Drew Barrymore.”
“A me piace, Drew Barrymore.”
“Ohi ohi ohi ohi”
“Shh, si sveglia.”
Dominic roteò gli occhi, poi li posò incerti su di me.
“Scusami.”, articolò, faticosamente.
“Che mal di testa.”, disse poi.
Bliss sparì alla velocità della luce, per ritornare poco dopo con un bicchiere sfrigolante in mano. Lo aiutammo a tirarsi a sedere, e non appena in posizione semi-eretta incrociò lo sguardo ostinato di Jimmy.
“Ti sei calmato?”, gli chiese questi.
“Sì”, rispose Dominic, “Grazie del prezioso contributo.”
“Quando vuoi.”
“Ti pregherei di no.”
Mi misi le mani sugli occhi, preda di uno spasmo di esasperazione, e delle dita gentili mi si chiusero intorno ai polsi.
“Tutto bene, amore mio?”
Raccolsi un po' di energia per organizzare un sorriso, e aprii le mie dita per incontrare gli occhi preoccupati di Fleur.
“Sì. Come faccio a fare sempre questi grandi, grandissimi casini, Fleur?”
Il mio amico si strinse nelle spalle.
“Ce l'hai nel sangue. E' talento.”
Mi voltai verso Bliss, che accudiva Dominic facendogli bere l'aspirina. Con la mano libera gli reggeva maternamente la testa. Due imbecilli.
Jimmy era di nuovo al vassoio del caffè: avrei giurato che ci fosse andato apposta per lasciarmi un momento in compagnia della mia coscienza, la quale si ergeva davanti a me in tutta la sua statuaria, aristocratica persona.
“Io non ho sangue, Gregory Fleur. Non conosco i parenti di mio padre e quelli di mia madre non sono realmente i miei parenti. Tutti i legami che ho stretto, tutto ciò che chiamo 'famiglia', è lì per scelta, non perché deve. Non condivido il sangue neanche con mia sorella. Mio cugino, l'amore innocente e inviolato di ventitré anni della mia vita, mio fratello maggiore, il mio mentore e la mia unica, vera figura paterna ora è il mio compagno. Ma perché insisto a complicarmi la vita?”
Gregory mi allungò il portasigarette d'argento, con uno sguardo sagace e divertito.
“Tutto quello che hai elencato corrisponde appena ai requisiti minimi per avere una relazione amorosa con Matthew Bellamy. Se fossi stata anche lontanamente normale non ti saresti mai innamorata di lui. Non avresti mai visto il mondo con i suoi occhi. Che non è poco, Eldariael, non è poco.”
Tacqui.
“E non vedi quanto è bello tutto questo, poi? Lo hai detto tu stessa. Siamo qui per scelta. Ti abbiamo amata incondizionatamente, solo in virtù del fatto che sei tu. Ti rendi conto, vero, della straordinarietà di tale dettaglio?”
Mi asciugai una lacrima prima ancora che scendesse, e mi sentii un'ingrata. Guardai Jimmy, che beveva un altro caffè davanti alla finestra.
“James ti ama follemente, Eldariael. Più della sua vita, più degli Avenged Sevenfold, più di ogni altra donna, ogni altra cosa. E' pazzo di te. Lo è sempre stato, ben prima che steste insieme. Quello che prova per te è ben al di là di qualunque cosa io abbia mai visto in vita mia; tieni conto che ne ho viste una discreta marea. Tu sei la ragione per cui vive. Lo so perché me lo disse di persona quando, quella volta, rischiò di...”
“Fleur, ti prego.”, lo fermai, brusca, trasalendo dietro i contorni di un ricordo che ancora mi gelava il sangue al punto da non poterlo neanche sentir nominare.
Fleur tacque, comprensivo, pensieroso e sorridente.
“Cosa ho fatto?”, proruppi, allibita.
Tutti gli occhi si voltarono verso di me, tranne quelli di James.
Chichi, chiamata d'urgenza per venire ad assisterci, stava, in quella, facendo il suo ingresso nel salotto con un vassoio di cornetti freschi in mano.
“Que?”, disse.
“Io...”, continuai, sbigottita e inerme, “Io non mi rendo neanche lontanamente conto della gravità di quello che ho fatto. Mio Dio, Gesù, mio Dio.”
Mi portai una mano davanti alla bocca, sedendomi.
“Gesù. Mio Dio.”, ripetei, a mezza voce.
“Ti rivolgi alle persone sbagliate, piccola.”, disse Jimmy, tirando dalla sigaretta senza spostare lo sguardo dall'orizzonte al di là della portafinestra.
“Ma che è?”, domandò Bliss, congedando in fretta Chichi.
Jimmy finalmente si voltò, amaramente divertito. “Io gliel'avevo detto che il problema non sarebbe stato il mio, di perdono, per quel che è successo. Che la parte difficile sarebbe stata perdonare se stessa.”
“Grazie, Frate Indovino.”
Respirai lentamente, poi guardai lui, colpevole.
Mi sorrise dolcemente, poi arricciò le labbra e scosse la testa, canzonatorio.
Gli suonò il telefono.
Rispose.
Un'acuta voce di donna travalicò la barriera dell'altoparlante per ferirci i timpani senza il bisogno del vivavoce.
UN MOMENTO SONO AL TELEFONO CON MIO CUGINO
“Ma chi è?”, domandò Dominic, ancora in fase di ritorno da quel breve tour nei Campi Elisi.
JIMMY
Jimmy si tolse il Blackberry dall'orecchio e spinse il tasto speaker.
“Splinter, sei in stereo. Salutate Splinter, tutti.”
Brusio di convenevoli.
C'è Ria? E' lì?”
“Sì, è qui. Che succede?”
Oh no. Ooooh no. Oh no no no no no no.
“Splinter?”, esortò Fleur.
Jimmy, non ti arrabbiare.”
“Lo so già.”
Un metallico, fortissimo sospiro di sollievo ci stordì tutti e quattro.
“Bene, allora spiegami che cazzo è successo esattamente, perché ho ricevuto, alcuni minuti fa, una telefonata da un'amica PR che è nel campo della stampa scandalistica, la quale mi informava con gentilezza che questa mattina stessa una giornalista del Sun sarebbe andata a intervistare Kate Hudson sulla stupefacente sparizione di suo marito con la ex fidanzata Ria Montague, attuale fidanzata del batterista degli Avenged Sevenfold. Sei ancora tu il batterista degli Avenged Sevenfold?”
“Sì.”
“Bene, allora verranno a chiederti se ti pesano le corna.”
“Non è stata a letto con Matt.”, precisò Bliss, incerta.
“E chi se ne frega!”, starnazzò mia sorella, agitata, “Ti pare che a quelli interessa cosa è successo per davvero? Ma come ragioni?”
“Oh!”
“Sentite, non mi fate perdere tempo che non ho. Dove siete?”
“A Morgue Place.”
“Bene. Sarò lì in 9 ore. L'edizione del Sun su cui uscirà l'esclusiva è quella di mercoledì prossimo, abbiamo un po' di tempo per rimediare a questo casino.”
Finito il comunicato, ci attaccò soavemente il telefono in faccia.
Seguirono alcuni minuti di raccolto silenzio.
“Sapete”, esordì Fleur, correggendo quattro tazze di caffè che non erano assolutamente necessarie, “c'è una particolare varietà di Iris che si chiama 'Evening Drama'.”
“Tappezziamoci il terrazzo.”, commentò Bliss.
“Jimmy, ti posso parlare in privato?”, dissi io, afferrando due delle sopracitate tazze e dirigendomi, senza attendere risposta, verso la camera da letto.
“Certamente”, disse, e mi seguì con un sorriso consapevole.
Una volta in stanza, aspettai che entrasse, appoggiai il caffè sul comò e mi chiusi solennemente la porta alle spalle. Lui si posizionò a braccia conserte davanti al letto, guardandomi, in attesa.
Sospirai, schiena contro la porta, e lo guardai a mia volta in cerca di ispirazione.
Volevo dirgli scusami, sono stata un'egoista, una bambina e una stupida, tutte e tre insieme. Non posso credere che tu mi abbia perdonato perché io al posto tuo non l'avrei fatto, avrei tenuto il punto, bruciando di sacra offesa, sentendomi tradita, e delusa, e non riuscirei neanche a guardarti in faccia senza essere divorata dal sinistro dubbio che tu non mi abbia detto tutta la verità in merito alla faccenda, che sì, in realtà siete stati a letto, o che la voglia ti ha sfiorato, o che comunque, fosse anche per una manciata di minuti, hai guardato con quegli occhi, in quel modo che sappiamo noi due, qualcuno che non sono io.
Dissi, invece: “Avresti preferito rimanere come prima?”
Alzò gli occhi al cielo, e così facendo mi comunicò simultaneamente due cose: che avevo fatto una domanda cretina, e che ero noiosamente prevedibile. Poi puntò lo sguardo su di me e incrociò le braccia, facendo finta di dover raccogliere i pensieri per rispondere, quando in realtà la caratteristica precipua e dominante di Jimmy, lo sappiamo tutti, è il continuo, incessante effetto sorpresa che è in grado di creare in qualsiasi situazione la vita – o la gente – lo metta.
“Nel senso tutti e due in un posto in grazia di Dio, senza dover venire a sapere di sparizioni improvvise dalla tua migliore amica? Sì.”, rispose quindi, guadagnandosi, da parte mia, una frazione di secondo a bocca aperta.
Scossi la testa, impaziente.
“Hai capito, Jimmy.”
Era chiaro che aveva capito perfettamente a cosa mi riferissi. A un tempo, apparentemente lontanissimo, così lontano da sembrarci quasi un'illusione, in cui eravamo più che fratelli, più che amici, ma, almeno secondo noi, indubbiamente consanguinei e quindi sollevati da qualunque problema di confinamento del rapporto.
“Vuoi la verità?”
“No, dimmi pure la prima cosa che ti viene in mente.”
“Sai come ti chiamano i miei amici?”
“No, come mi chiamano?”
Cavallo pazzo.”
Lo guardai, interdetta e incuriosita.
Estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni della tuta, ci armeggiò un po' e me lo porse.
“Guarda.”
Guardai.
Un messaggio di Jason diceva: “M. told me about yo trip. What's with Crazy Horse now? She alright? Keep in touch, we worried
Sollevai lo sguardo su di lui.
“E perché mi chiamano Cavallo Pazzo?”
Ripose il Blackberry.
“Secondo te?”
Aprii bocca, ma poi la richiusi.
“Ria, tu ci hai la guerra in testa. Fai cose all'improvviso perché così ti dice il cervello ed è capace che uno ci perde il sonno a cercare di scoprirne il motivo. Prendi decisioni completamente arbitrarie e sconnesse per ragioni oscure a tutti tranne che a te. Hai teorie criptiche e indecifrabili su moltissime cose a cui nessuno sano di mente dedicherebbe mai attenzione. Tu sei questa. Io so bene come sei fatta, ti conosco da sempre: non devi spiegarmi niente. Semmai, è a te stessa che devi spiegare qualcosa. Non chiedermi cosa però, perché, anche per le ragioni che ti ho appena elencato, non ne ho idea.”
Lo guardai da sotto in su, con un mezzo sorriso che mi attraversava il volto, figlio di qualcosa che non so spiegare. Era stanco, scoglionato, eppure il codice d'onore che dettava legge in lui, e che lo obbligava senza requie a cercare di sollevare coloro che amava da qualunque dubbio, fastidio o dolore gli imponeva di continuare a parlare. Aveva gli occhi accesi come quando disegnava i cuoricini con il gessetto sulle lapidi al cimitero di Huntington Beach, spiegandomi per quale motivo non dovevo mai, mai, mai bere altra birra che non fosse la Heineken quando lui non era nei paraggi per salvarmi dai postumi delle sbronze.
“Pensi di dovermi delle spiegazioni, di dover argomentare con me le ragioni che ti hanno portato a un gesto del genere, ma in realtà lo faresti solo per cercare di spiegarle a te stessa. Perché la verità è che non lo sai, Ria. Semplicemente, hai fatto una cosa senza pensare.”
Si fermò.
“Mi stai ascoltando?”
“Sì, scusa, pensavo alla Heineken.”
Sospirò, incredulo. “Beh, è sicuramente un'ottima cosa, ma credevo stessimo affrontando una discussione.”
Toccò a me incrociare le braccia. Non ero in vena di polemiche. O magari sì.
“Jimmy, perché non mi tocchi più?”
“Eh?”, fece lui, falsamente confuso.
Gli rivolsi uno sguardo eloquente.
Prese un respiro calmo, e un movimento fluido delle spalle gli fece adagiare le braccia lungo il corpo. Effettivamente me lo diceva spesso, che gli facevo cadere le braccia.
“Senti, contrariamente a quanto crede Synyster, io non ho gli interruttori in testa. Non riesco a tenere attive contemporaneamente tutte le funzioni che mi vengono richieste, specie quando si tratta di te, che sei un soggetto estremamente difficile da gestire. Allora, per questa e tutte le successive volte, ricordati che io e te siamo stati qualcos'altro per molto più tempo di quanto non siamo stati amanti. E che io sono anche tuo fratello maggiore e il tuo migliore amico, oltreché il tuo fidanzato. In questo momento sto facendo il migliore amico e il fratello maggiore.”
Fece una pausa, serissimo, e io tacqui.
“Perché mi conosci quanto io conosco te, e sai benissimo che se in questa circostanza avessi fatto il fidanzato avrei spaccato le gambe a lui e mandato all'inferno te. In via definitiva e non revocabile.”
Silenzio.
“Lo so io quanto mi ci è voluto per soffocare la furia omicida che mi ha preso al pensiero che quello ti avesse anche solo sfiorato, e lo sforzo titanico di autocontrollo che non ho e che mi sono dovuto inventare perché sai anche bene quanto io sia poco abituato ad agire con buonsenso e razionalità. Ormai comincio anche ad avere un'età e sono stato in guai seri per le mie reazioni spontanee più volte di quanto mi faccia piacere ricordare. Ci sono periodi del passato da cui preferirei prendere le distanze.”
“Sono d'accordo con te.”, dissi, “In effetti gran parte del sedicesimo secolo è stata davvero imbarazzante.”
Mi guardò interdetto un secondo, poi scoppiammo a ridere.
“Senti, smettila, mi fai perdere il filo.”, disse, ma più rilassato, tornando serio all'improvviso, “Questo sforzo l'ho fatto soltanto per te. Perché tu sei la cazzo di maledetta eccezione a tutte le mie regole. E alla mia fuga dalle responsabilità. Però non chiedermi di comportarmi normalmente in tutto e per tutto, per favore. Non farmi domande a cui non vuoi che io ti risponda, perché ti ferirei.”
Andai ad abbracciarlo, appoggiando la guancia sul suo petto, ricacciando in gola quella sensazione di bruciante ferita che già avevo addosso. Serrò la stretta intorno a me.
“Scusa.”
“Prego.”, disse.
Voltai il viso verso di lui, e Jimmy abbassò gli occhi, guardandomi ironico.
“Almeno un bacio puoi darmelo?”
Rise.
“Sì, quello sì.”
“Comunque non hai risposto alla mia domanda. Avresti preferito rimanere come prima?”
A quel punto, si chinò a baciarmi.
Ma è cosa universalmente nota che i baci, almeno in questa parte del mondo, non hanno mai risolto niente.

 

Heaven is a place on Earth with you.

 

Matthew Bellamy, alle diciotto e venticinque, spalancò accaldato la porta d'ingresso.
“Eccomi.”
“Cos'è successo?”
Transitando per il salotto, non potei fare a meno di notare il segno di cinque dita rosse che ancora stava sbiadendo sulla sua guancia.
“Kate non vuole parlarmi.”
“E' evidente.”, disse Fleur.
“Io ti avrei investito con la macchina.”, disse Bliss.
“Oh no.”, disse Dom.
“Ma dai.”, disse Jimmy.
“Che faccio, li servo in salone i chimichanga?”, disse Chichi.
Il criceto non disse niente.
Avevo la nausea. La nausea di tutto. La nausea di tutti.
“Splinter sarà qui tra qualche ora, forse può aiutarci.”, disse Fiorellino, spuntando dietro le spalle di Matt, che finalmente si mosse per andare a crollare sul divano, respirando pesantemente.
“Mi ha chiamato per chiedermi di andarla a prendere in aeroporto.”, aggiunse poi, a mo' di spiegazione.
“Ha chiamato anche noi.”, disse Fleur.
“Veramente ha chiamato Jimmy per sincerarsi di non dover mettere in valigia l'abito da cerimonia funebre.”

 

Hot summer nights, mid July
when you and I were forever wild
the crazy days, the city lights
the way you'd play with me like a child

 

Non riuscirò mai a riprendermi Bing.”
Matt sostava davanti a me, in terrazza, con gli occhi pieni di un dolore che non conosceva. Così poco avvezzo a gestirlo, circospetto nel modo in cui provava a metabolizzarlo, ad assorbirlo. Un figlio. Avrei giurato che si stava rendendo conto solo in quel momento di avere sul serio un figlio. Nella lacerante, imprevedibile possibilità di perderlo, di essere chiuso fuori da buona parte del processo che lo avrebbe visto correre, toccare la sua prima chitarra, sputare la pappa, addormentarsi a faccia in giù sul divano, fare a botte con un compagno di classe, prendersi una cotta per una ragazzina dai capelli lucenti, la prima, cocente delusione d'amore, il desiderio imprescindibile di un hi-fi, il primo concerto, la prima sbronza, perfino la prima volta che, adolescente e come tale refrattario a ogni regola, un po' lo avrebbe odiato. Bingham era ancora all'inizio di qualunque strada, eppure suo padre stava appoggiato alla ringhiera, davanti a me, a capo chino, e già lo vedeva sfuggirgli dalle mani per un gesto stupido come fuggire in capo al mondo con la ex fidanzata. Gli spezzava il cuore perfino l'idea di non potere, un giorno, sentire la distanza tra di loro farsi incommensurabile una delle rare volte che si sarebbe seduto al tavolo della colazione; avrebbe, allora, visto un teenager cupo e dubbioso, o forse un campione di football, o forse un appassionato di Epic Metal che fracassava i piatti di una batteria nel sottoscala di casa di amici, e si sarebbe sorpreso ad amarlo con tutto se stesso, quale che fosse la forma che avrebbe acquisito ai suoi occhi.
Si rese conto di averlo abbandonato, anche se per poco, e non si sentì migliore del proprio padre. Bellamy senior, l'amato e odiato.
“Tu non sei George.”, gli dissi, poggiandogli dolcemente una mano sul braccio.
Alzò gli occhi verso di me attrezzando un sorriso amaro, ma lo vidi tale e quale che non era d'accordo.
Prima ancora che la sua ragazza, ero stata una sua grandissima fan. Sia io che lui ricordavamo benissimo Escape. Sia io che lui ricordavamo benissimo i rispettivi padri. Il concorso di colpa mi si abbatté addosso come un ramo caduto.
“Ascolta, Matt. Non hai fatto nulla di irreparabile. Te lo riprenderai. Ti riprenderai Bing.”
Matt sospirò, saettando qua e là con lo sguardo, mentre si accendeva una sigaretta con le mani incerte.
Tirò una lunga boccata, calmandosi, poi mi rivolse lo sguardo.
“Tu non la conosci.”, disse.
I suoi occhi mi sciolsero un pensiero dal congelatore della memoria.
“Gli accenti.”
“Che?”
Scossi la testa, sorridendo.
“Al mio primo anno di università, gli accenti delle parole non mi entravano proprio in testa. Erano un vasto, oscuro mistero. Non riuscivo a distinguerli in nessuna maniera. Continuavo ad associargli segni, regole, filastrocche, nel tentativo di mandarli a memoria. L'unico che mi riusciva di ricordare era il circonflesso, perché di solito dove si trovava era caduta una consonante e allora non mi riusciva difficile pensare che, non so, in chateau
fosse caduta la 's' che per esempio era rimasta in castle.
Era Fleur che, con l'amore di una nutrice mulatta, si metteva lì seduto alla scrivania affianco a me e cercava di aiutarmi a memorizzarli. Hai capito, Eldariael? Senti il suono. Ascolta; 'è' non è 'é'. Di' 'vero'. E ora invece prova a dire 'gelo'. Senti che la 'e' non è la stessa? La senti?”
Mi guardò senza capire.
“Beh, non la sentivo. Per me era un'impresa impossibile. Io e gli accenti eravamo l'uno il terrore dell'altro. Poi, col tempo, ci ho fatto l'orecchio. Ancora oggi non saprei spiegarti come è successo, com'è che è avvenuta questa transustanziazione dalla dimensione dell'impossibile a quella del quotidiano. Però è accaduto.”
I suoi occhi sembravano piccoli laghi norvegesi preoccupati e confusi.
“Non sottovalutare le capacità che neanche sai di avere, Matt. Tu ami Bing. E nessuno sa meglio di noi due di quali meravigliose imprese è capace l'amore.”
“Nessuno sa meglio di noi due anche di quali catastrofici errori è in grado di commettere, però.”
Tacemmo.
“Ti ho fatto scappare via, bambina.”
Cercai un altro posto, qualunque altro posto che non fosse lui, per poggiare lo sguardo. Soffiai via una nube grigio-azzurra contro il cielo. Mi arrabbiai, mi agitai, e mi si riaprì una minuscola ferita. Così profonda che avrebbe potuto trapassarmi da parte a parte, e invece sembrava affondare dentro di me senza fine. Per la maggior parte del tempo, cercavo di evitare di pensarci.
“Sospetto se lo chieda ogni giorno anche il Dio del Tuono di là in salotto, se forse non sei finita tra le sue braccia per quel che è successo.”
“Matt, non voglio parlarne.”
Chiusi gli occhi. Una folla di immagini. Una porta sbattuta. Una corsa per cadere in ginocchio sull'unico vialetto al mondo capace di sostenere il peso del mio dolore.

 

 

I'm tired of feeling like I'm fucking crazy
I'm tired of driving till I see stars in my eyes
It's all I've got to keep myself sane, baby
so I just ride.”

 

Pioveva.
Una pioggia atavica, ancestrale. L'espressione di Mosè sperduto in mezzo all'infinito mare dopo il trentesimo giorno di diluvio mi apparve chiara, cristallina davanti agli occhi mentre picchiavo forte, a pugno chiuso, contro la porta di un appartamento all'ultimo piano del numero 13 di Via dei Fiori Oscuri.
Non so come ci ero arrivata, dopo tutto quel vagabondare stordito appena uscita di casa senza telefono, senza chiavi, senza portafoglio. Senza ombrello.
Chissà perché pioveva sempre, quando qualcuno si trovava nella condizione di doversi dirigere di corsa a casa di Andrea O'Malley.
Mi aprì lei, assonnata, con una felpa addosso che le arrivava fin quasi alle ginocchia.
“Ria? Ma che diavolo...”
Poi mi vide. Fradicia, tremante, sconvolta.
“Mio dio... Che ti è successo, Capitano?”
Cercai di articolare una parola, o due. Avevo un fiume di concetti che mi premeva dolorosamente dietro gli occhi, come se volesse farmeli schizzare fuori dalle orbite, il fiato corto e non riuscivo a stare ferma.
Improvvisamente, un rumore di passi nel corridoio annunciò la presenza di una terza persona. Sapevo di trovarlo lì. Speravo di trovarlo lì.
“Andy, ma si può sapere chi cazzo è a quest...”
Si bloccò non appena mi vide.
“Cristo santo.”
L'agitazione mi ha sempre reso particolarmente ricettiva. Affatto intorpidita o confusa, come succede agli altri. Vidi, infatti, nei minimi dettagli, il suo volto trasfigurarsi in una smorfia che sembrava un punto d'incontro tra la preoccupazione e la furia.
Finalmente, una parola trovò un varco nella mia gola occlusa dallo sgomento del dolore: un suono debole, incrinato, terribilmente sofferente, come mai ne avevo prodotti in vita mia.
“Jimmy”, dissi, scoppiando a piangere forte, all'improvviso. La diga era franata.
Jimmy, a torso nudo, sorpassò Ann in un baleno scostandola di lato, per chiudermi in un abbraccio così stretto e totalizzante che, se ancora mi fossi ricordata come si faceva a respirare, probabilmente avrei smesso del tutto di farlo.
Quando riaprii gli occhi, quella che mi sembrò un'infinità di tempo dopo, misi a fuoco a fatica il salotto di casa O'Malley illuminato da poca luce, e Ann in piedi, poco lontano, con una pira funebre di asciugamani perfettamente piegati in ordine di grandezza tra le braccia.
Qui e là, biancheria e vestiti sparsi per il salotto.
“Vuoi un po' d'acqua?”
La guardai negli occhi verdi. Era preoccupata, e interdetta. Chiunque si trovasse nel bel mezzo di un momento privato tra me e mio cugino sperimentava la curiosa, inevitabile sensazione di stare invadendo uno spazio sacro.
Cercai di sorriderle, non ci riuscii.
“Grazie. Scusa, Ann.”
“Non devi scusarti. Vado a mettere su un po' di tè.”
Girandomi, incrociai lo sguardo indagatore di Jimmy.
“Come sapevi che ero qui?”
“Non lo sapevo. L'ho immaginato. Tuttalpiù, se non ci fossi stato, mi avrebbe soccorso Andrea.”
“Non potevi chiamarmi sul cellulare?”
“Non ce l'ho, dietro, il cellulare.”
Sbuffando, mi tolse la maglia come si fa con una bambina. Neanche lo guardò, il mio reggiseno. Non guardò nulla di preciso, mentre mi avvolgeva intorno un asciugamano e mi frizionava per scaldarmi. Era preoccupato a morte.
“E' fradicio anche questo.”, disse, riferendosi al reggiseno, e con un gesto che doveva venirgli da anni d'esperienza nel campo lo sganciò e lo tolse, buttandolo alla cieca dietro di sé, tenendo chiuso l'asciugamano sul davanti per non scoprirmi.
“Su, asciugati un po'.”, disse, poi si voltò, gentilmente.
“Jimmy, cos'ho che non va?”, chiesi, mentre il telo mi arrossava la pelle che sfregavo con troppa lena.
Chiunque avrebbe detto, dolcemente, “niente, tesoro. Tu non hai niente che non va”. Mio cugino, invece, fulmineo, rispose: “La testa.”
Silenzio.
“Posso voltarmi?”
“Sì.”, dissi.
“La testa, hai, che non va. Come diamine fai a metterti con certi elementi da circo?”
Quando si voltò, si accorse che ero nuda, a parte gli slip – fradici pure quelli – e l'asciugamano tenuto davanti al seno mentre scalciavo via i jeans.
Arrossì e girò la faccia verso la finestra; cercando in giro con lo sguardo, reperì la sua maglia sul bracciolo del divano e me la porse, senza guardarmi.
“Jimmy?”, dissi.
“Sei in mutande.”, ratificò.
“Anche tu sei in mutande, eppure io ti sto guardando.”
“Io non porto un paio di slip di seta azzurra resi trasparenti dall'acqua.”
Poi si bloccò un attimo, guardando verso i suoi boxer: “O sì?”
Scoppiai a ridere infilandomi la sua maglia, e vidi un sorriso aprirsi sul suo volto, che finalmente si era rivolto di nuovo verso la sua piccola, catastrofica cugina.
“Cristo santo, meno male.”, disse, aprendo le braccia per accogliermi.
Appoggiai il naso alla sua pelle e respirai forte. Sapeva di sigari, sole e sere estive, con una punta di un profumo che usava da sempre.
“Ora, per favore, vuoi dirmi che è successo?”
“Ho litigato con Matt.”
“Sì, questo l'avevo capito.”
“Sono tornata a casa con una bottiglia di whiskey e diverse intenzioni.”
“Non indaghiamole.”
“Ok. Non appena ho aperto la porta, mi ha detto 'Ria, non sono mai stato più felice in vita mia. Mi butto in doccia, cosa fai, vieni?'. ”
“Va bene, saltala, saltala sta parte.”
“Sì, appunto.”
Crollai a sedere sul divano, sfilandomi con discrezione gli slip che lanciai verso quelli che probabilmente appartenevano ad Andrea, in un angolo del tappeto.
Ann entrò con il tè, circospetta; Jimmy le rivolse un'occhiata eloquente.
“Tesoro, per favore. Metti via quel vassoio e vai a prendere la tequila.”
Lei annuì e fece dietrofront, ed io alzai lo sguardo verso di lui, adorante. “Sei la cosa migliore che sia mai accaduta alla razza umana.”
“Sì, lo so.”, disse lui, sbrigativo, “Che stavi dicendo?”
Un singhiozzo improvviso mi spezzò il respiro, precipitandomi di nuovo verso le lacrime.
Jimmy si accostò a me.
“Su, su, ehi. Ci sono qui io.”
Mi spinse a sedermi in braccio a lui, come feci la prima volta che qualcuno mi spezzo il cuore, e bene o male tutte le successive: mi ci accoccolai, grata.
“LO VOLETE IL LIMONE?”
“Ma quale limone, Andrea! Porta la bottiglia e basta.”, gridò Jimmy in risposta, poi guardò me.
“Se non ne vuoi parlare ancora, va bene.”
Mi lasciai andare addosso a lui, appoggiandogli la testa su una spalla. Chiusi gli occhi. Le sue braccia intorno a me mi cullavano gentilmente, senza sosta. Ero precipitata in un batuffolo d'ovatta, e anche il dolore sembrava senza peso, lì: Jimmy profumava di calore e di Jimmy.
Andrea ancora non riemergeva.
All'improvviso, si irrigidì. E io pure.
“Jimmy”, dissi, imbarazzata, “Hai un...”
“Ignorala.”
Lo guardai, soffocando una risata.
“E' mattina presto, è fisiologico, e tu mi sei seduta in braccio, se non vado errato senza mutande. Tra noi due ci sono solo i miei boxer, che non sono fatti di cemento armato, devo darti qualche ulteriore spiegazione?”
Non riuscivo a smettere di ridere, e non mi decidevo a scendergli di dosso.
“Però, sembra un gran bel...”
“Ria, ti prego, non fare commenti. Potrei non sopravvivere al trauma.”
“Scusa, scusa... volevo solo essere gentile.”
“Hai uno strano concetto di gentilezza, fattelo dire.”
Rideva anche lui.
Ann rientrò con la bottiglia in una mano e tre bicchieri in equilibrio precario nell'altra, proprio mentre io riemergevo dal corridoio con un paio di suoi slip addosso.
“Ani, ti ho preso della biancheria.”
“Fa' pure. Cosa avevate tanto da ridere?”
“Jimmy ha avuto un risveglio particolare.”, dissi velocemente, con un'altra risata.
Jimmy mi riprese, carico di ironico disappunto. “Ria!”
Ann, invece, ci mise un secondo a capire. Ma poi ci arrivò.
“Santo cielo. Ma non avete il minimo senso del pudore, voi due? Non so, di quel che è appropriato, costumato, accettabile...”
“No.”
Mentre versava la tequila nei bicchieri, disse: “E' bello sentirti ridere, Ria.”
Le passai dietro e la abbracciai, baciandola sui capelli come quando ci conoscevamo appena, e ci sembrava di conoscerci da sempre. Svuotavamo le bottiglie di birra sotto i palchi, lei rideva, Bliss suonava. Dormivamo poco, ma bene, a quei tempi.
“Forza”, mi esortò, porgendomi un bicchiere da whiskey pieno fino all'orlo, “Sputa il rospo.”
Mandai giù d'un sorso l'intero contenuto, e poi mi apprestai a fornire quella che la Storia ricorda come il peggior resoconto di guerra che io abbia mai dovuto ratificare a chicchessia. Il più umiliante, brutale scavare in me stessa che abbia mai conosciuto.
“Torno a casa con una bottiglia e tanta voglia di fare. Lo trovo lì che mi aspetta e mi propone di fare una doccia insieme. Matt si avvia nel bagno, io mi prendo un momento per mettere via il whiskey e per, beh...”
“Non voglio sapere.”, mi interruppe Jimmy, categorico.
“Ok, allora diciamo che mi prendo un momento e basta. Vado alla dispensa a prendere del ghiaccio.”
“Per cosa ti serviva del ghiac...”
“SHHH!”, lo zittì Ann, osservandomi.
“Tornando indietro, lo schermo del suo iPhone si illumina. In sovrimpressione, appare una foto con mittente 'KH'. Poi un'altra, un'altra, e un'altra ancora. Visto che io devo sempre agire a discapito del fatto che la definiscano 'beata ignoranza' per un motivo, decido, repentina, di aprire le foto. Lei è addosso a lui, seduta, abbracciati, ridono, bevono, in una sequenza di scatti molto intimi. Non intimi del genere amichevoli, intimi del genere flirt, non so se avete presente.”
“Abbiamo presente.”, disse Ann, accigliata.
“C'era scritto 'these are from Coachella. Looking forward to seeing you, miss you, K' o qualcosa così. Scorro un po' i messaggi all'indietro. Molto teneri. Non sono menzionata una volta. Una sola. Che fosse una. Ce n'è addirittura uno di una sera in cui, e me lo ricordo bene, io ero seduta addosso a Matt sul divano e parlavamo di matrimonio a Palm Beach, e di quanto fosse cliché. Mi ricordo che data fosse perché era il compleanno della mamma, e lui non metteva giù un attimo il cellulare. Io gli chiesi chi era, e lui mi rispose che era Dominic in crisi per non so quale motivo. Beh, stasera, già che mi trovavo, ho controllato se Dom gli aveva mandato messaggi quel giorno. Neanche uno. Non scriveva a lui, scriveva a lei. E lei a un certo punto gli ha chiesto anche perché ci avesse messo tanto a rispondere; lui ha scritto che stava chiacchierando con gente, e non guardava tanto spesso il telefono. Con gente, avete capito. Stava chiacchierando con gente. La gente, lasciate che lo dica ad alta voce così il concetto si chiarifica a me stessa, sarebbe la sua fidanzata, e le chiacchiere sarebbero i programmi per il matrimonio.”
“Quel pezzo di merda”, sibilò Jimmy.
Ann gli diede una pacca su una gamba, incitandomi a continuare.
Andavo avanti e indietro di fronte a loro, seduti sul divano, senza requie.
“Esce dalla doccia e mi trova ancora di fianco al bancone, col suo telefono in mano, e mi chiede cosa sto facendo. Il tono da privacy violata che usa mi fa partire i nervi. Gli chiedo di spiegarmi, esattamente, chi è questa KH e perché non ne so niente. Lui, pacifico, mi risponde una cosa tipo 'un'amica'. Gli faccio presente che stiamo per sposarci, gli cito qualche messaggio e gli dico che alla luce di ciò sarebbe decente da parte sua definirmi con un po' più di chiarezza chi sia questa amica.
Mi risponde: Ria, devo essere completamente onesto con te. Ho conosciuto una persona. Con questo non ti sto assolutamente dicendo che io me ne sia innamorato, ovviamente non è così, però ha... qualcosa. Ci siamo incontrati al Coachella, lei si era persa e io passavo di lì... Ti ripeto, ecco, niente di speciale. Siamo diventati proprio buoni amici. Lei è fenomenale, davvero. Divertente, per dirne una.”
Mi fermai. Loro due, sempre sul divano, mi fissavano allibiti.
“E a quel punto io gli ho chiesto perché, visto che specificava che non era niente di speciale, non me l'avesse presentata, o non me ne avesse almeno parlato, o perché non avesse parlato a lei di me, invece di dirle che chiacchierava con gente.”
Silenzio.
“E lui?”, disse all'improvviso Ann.
“E lui mi ha risposto che non lo sapeva, in realtà. Che semplicemente non se l'era sentita di dirmelo per una serie di motivi uno più fesso di un altro. E che non si sentiva di escludere, per onestà intellettuale, la possibilità che il rapporto tra loro due potesse, un giorno, evolversi diversamente, perché comunque se ne era sentito in qualche modo attratto.”
“Ma che diavolo di modo di pensare è?”, domandò Jimmy.
Io esalai un sospiro rotto dal pianto.
“E' il modo di pensare di Matt. Un modo di pensare del cazzo. In realtà, lui non pensa affatto. Non ha senso del giusto. Non ha sinapsi collegate o dendriti funzionanti. Ogni tanto si costringe a credersi una persona normale, ma tanto non lo è. E' a-normale. Del peggior genere.”
Andrea riempì di nuovo il mio bicchiere.
“Ma scusa... Lui ha parlato di un'eventualità che un domani accada che lui si innamori di questa, no? Solo un'eventualità. Non starai mica dando peso a questo? Se lui è fatto così, e lo sai, forse...”
“Ann, ti prego, vi prego, mi prego, ci prego tutti.”, dissi, con le lacrime nella voce, fermandomi solo per buttare giù il secondo bicchiere, “Io ne ho sentiti, nella vita, di discorsi del cazzo. Sono la cugina del Signore dei discorsi del cazzo. Il re del ragionamento a merda.”
“Lo so.”, rispose la mia amica, tristemente.
“Eh, appunto. Ma quello che ha detto Matt stasera va oltre. E' sbagliato, e crudele, e gratuito. Lui crede di non aver fatto nulla di male, capisci? Crede di essere stato semplicemente riservato riguardo a suoi fatti personali, quando in realtà mi ha solo ferito a morte, di nuovo. Mi ha fatto sentire di non essere abbastanza, per lui, di nuovo. Proprio non ci arriva. Indipendentemente da quali siano le sue intenzioni, non è possibile. Non è possibile subire una cosa del genere. Ancora? Per tutta la vita, poi? Non penso di farcela. Voi non avete idea della voragine senza terraferma alla fine che mi si è aperta dentro. Io ci avevo creduto, seriamente, che fosse possibile stare insieme per davvero. Io ci ho creduto, quando lui mi ha detto che avrebbe fatto del suo meglio. E' questo, il suo meglio? Ma quanto posso essere stupida? E' colpa mia, in fondo. E' colpa mia e della mia convinzione da catechismo che basti l'amore per far funzionare le cose. Basta. Basta.”
Stavolta fu Jimmy ad alzarsi a versarmi il terzo bicchiere.
“Questa volta gli spacco il cranio.”
“No Jimmy, tu non farai proprio un cazzo di niente perché io ho bisogno di te. Qui.”
Sospirò rabbiosamente, allungandosi verso il sigaro nel portacenere.

Afferrai la bottiglia e una sigaretta che Ann mi aveva appena acceso. Tirai una boccata, diedi un sorso, e dissi: “Va già un po' meglio.”
Uno spasmo di dolore psicologico, presente come non lo avevo mai sentito, travalicò la mente per tradursi in un'ondata ascendente dentro il mio petto. Chiusi gli occhi.

 

Surprise, surprise, couldn't find it in your eyes
but I'm sure is written all over my face.
Surprise, surprise, never something I could hide
when I see we've made it through another day.”

 

 

Più tardi, mi ero seduta al pianoforte per spodestare, almeno metaforicamente, i due virtuosi della materia che erano in grado di suonare il Rondò alla Turca bendati, con una mano dietro la schiena, un'emicrania martellante e quattro scoiattoli imbizzarriti nei pantaloni senza sbagliare una nota.
“Devo dirtelo”, mi informò Matt, apparendo languidamente alle mie spalle, “Ho sempre pensato che tu e il Reverendo siete proprio una bella coppia.”
SBONG. Il rumore di tasti pestati rimbombò maestoso nel condominio, facendo saltellare sui letti sette famiglie. Quelli col materasso a molle saltellarono un po' di più.
Mi voltai al ralenti.
“Lo pensavo anche da prima che vi metteste insieme. Siete sempre stati una bella coppia.”
“Sì, confermo.”, soggiunse Jimmy, rifilando a Matt il suo famoso sguardo hai un po' rotto i coglioni.
“A proposito, che ci fai qui? La tua presenza non mi delizia più come un tempo.”, aggiunse poi, sarcastico.
Sorrisi, girando la faccia velocemente.
“Non ti ha mai deliziato, Rev. Ad ogni modo, cerco conforto. Sta arrivando Splinter, poi, e mi sembra che abbiamo cose da discutere.”
Jimmy lo guardò serio e aprì le mani: “Chiariamo una cosa. Voglio che tu abbia ben presente, sempre, che l'unica cosa che c'è stata tra te e una morte violenta e dolorosa è questa qui.”, disse, indicandomi.
Matt rivolse gli occhi al muro, respirando forte dal naso.
“Non sto scherzando. Sono serissimo. Le devi la vita.”
“Bene. Amala meglio di me, allora, se ti riesce.”
“Come scusa?”
Matt lo guardò, impassibile.
“Ho detto...”
“Ho sentito cosa hai detto. Voglio capire cosa intendevi.”
“Pensi di essere un così buon compagno, per lei?”
Jimmy non poteva crederci. Strinse un paio di volte i pugni, e fece un passo avanti.
Mi alzai in fretta, allarmata.
“Il mio rapporto con lei non ti riguarda.”
“Parzialmente vero. Ma se ci tenevi sul serio ad essere migliore di me, tanto per cominciare, potevi sposarla.”
“Non sono affari tuoi, e non proiettare su di me i tuoi fottuti problemi mentali, che poi sono quel che te l'ha fatta perdere.”, rispose Jimmy, brusco.
Matt attrezzò un'espressione di finta sufficienza.
L'aria si fece rarefatta, e il silenzio totale. Si fronteggiavano nonostante l'evidente differenza di altezza, duri come il marmo e tesi e taglienti come le corde delle chitarre che un tempo sentivo suonare, felice, ignara, pensando che la gioia di vivere fosse tutta lì.
“Allora dovresti ringraziarmi.”, disse Matt, soffice, “Magari, però, se l'avessi sposata, non avrebbe sentito il bisogno di scappare con me.”
Jimmy digrignò i denti, perse le staffe e avanzò verso di Matt: mi misi fra di loro, cercando di trattenerlo, spingendolo indietro.
“JUNIPER!”, urlai.
Bliss apparve in salotto planando con aria terrorizzata. Sapeva che non la chiamavo mai per nome. E di certo non con quel tono spaventato e urgente.
Impiegò alcuni secondi a inquadrare la scena, poi spalancò gli occhi e corse verso di noi.
Jimmy guardava fisso Matt con odio, e si dibatteva contro di me, trattenuto solo dall'eventualità di farmi male travolgendomi; io cercavo, disperatamente, di portargli il viso verso il mio, convincerlo a guardare me, ad ascoltare me.
“Portalo via!”, urlai a Bliss.
Negli occhi di Matt c'era un'aria di canzonatoria sfida che avrebbe mandato su tutte le furie chiunque, figurarsi Jimmy, che si era trattenuto anche più che abbastanza in quei giorni.
Mentre Bliss trascinava via Matt, il quale manteneva quell'odiosa espressione in faccia camminando all'indietro portato dalla mia migliore amica, guardai Jimmy: gli occhi in fiamme, il fiato corto.
Dio, ti prego. Ti prego, Dio.
Proprio un attimo prima di sparire oltre la porta del salotto, Matt soffiò un acido, acre: “Non ci vai neanche a letto.”
Sentii Jimmy scivolarmi di dosso, glissandomi, e mi appoggiai al pianoforte per non cadere, voltandomi, terrorizzata.
Bliss, come un fulmine, spinse Matt nel corridoio e chiuse la porta.
Jimmy si bloccò proprio lì davanti, e batté violentemente il pugno sul legno laccato.
“Apri questa cazzo di porta, o giuro che la sfondo.”
Qualcuno in effetti aprì una cazzo di porta: quella dell'ingresso. Mia sorella. Con le chiavi.
“Ehilà!”, squittì, allegra.
Io mi avvicinai a Jimmy e gli appoggiai cautamente le mani sulle spalle. Era più teso di prima.
“Che benvenuto.”, commentò Splinter, trascinando il trolley. Fleur osservava la scena dal soppalco, pensieroso: mia sorella lo notò con un soave “oh”.
“Gregory? Ragguaglio.”
“Bellamy ha provocato James. James è partito.”
Mi sporsi a baciare lentamente un punto sulla sua schiena, e lo circondai con le braccia. Dopo un po', il respiro si fece più tranquillo.
Restò immobile, inerte alla mia presa.
“Che schifo.”, disse a un certo punto. Si staccò da me e se ne andò in terrazzo, senza guardarmi.
Splinter diede un'occhiata distratta all'orologio.
“Nove ore.”, disse, “Vi lascio soli per nove ore, ed ecco che succede. Splendido.”
“Qualcuno si offende se prorompo in una lunga litania di imprecazioni?”, dissi, sentendomi crollare le braccia.
“Nono.”, rispose mia sorella, calma e intenta a versarsi un bicchiere di bianco.
Me ne andai in terrazzo, perché non c'era altro da fare.
Jimmy se ne stava a sguardo perso, appoggiato con le mani alla ringhiera.
“Ria, tu mi ami?”
“Ma certo. Certo che ti amo. Da morire.”
“Allora lo voglio fuori di qui.”
Tacqui, e lui si voltò.
“Adesso.”, disse, ferreo.
Guardai a terra e rientrai, andando a bussare alla porta del corridoio, rimasta chiusa.
Bliss l'aprì di quel poco che bastava a sbirciare chi era, e mi rivolse uno sguardo carico di partecipazione con un solo occhio. La mano di Matt spalancò la porta, e me lo trovai davanti, evitando di guardarlo negli occhi.
“Devi andartene.”
Un'eco di tre “cosa?” seguì all'affermazione: Matt, da parte sua, non disse nulla.
Mi sorpassò scostandomi gentilmente con una mano, e successivamente lo vidi prendere il giubbino dall'attaccapanni. Sull'uscio, si fermò un momento.
“Di' a Jimmy che mi dispiace. Ho parlato a sproposito. Per quel che vale, credo che lui sia un'ottimo compagno, per te.”
Sentii il mio cuore spezzarsi. Di nuovo. Inghiottii una lacrima, mentre la porta si chiudeva con un tonfo.
Per evitare di dar vita a scene di panico collettivo, mi ritirai in camera da letto. “E' tutto a posto”, sentii dire a Splinter, “domani si saranno calmati tutti e risolveremo questa storia. Se così non dovesse essere abbiamo alcune ottime padelle in acciaio temprato che, abbattute con la giusta forza...”
Ero seduta al centro del letto a gambe incrociate, e mi asciugavo le lacrime man mano che scendevano. Jimmy entrò senza bussare, come una raffica di vento, e mi guardò con aria colpevole.
“Scusa.”
“Stai zitto. Vieni qui.”
Si sedette accanto a me, ma io lo tirai giù e mi franò addosso, scomposto.
“Non dovevo prendermela con te.”, disse, appoggiandomi la testa sul seno.
Gli accarezzai i capelli, tornando d'un tratto a dieci anni prima, su un letto matrimoniale di Huntington Beach. Si vedeva la spiaggia, dalla finestra.
“Non sono mai riuscito a pensarti a letto con nessuno. Figurarsi poi con me. Anche se ho avuto una specie di cotta per te, per moltissimo tempo.”
Si voltò, stendendosi accanto a me, e aprì le braccia.
“Ma tu avevi quattro, cinque mesi, ed eri qua.”, disse, muovendole. La sua spalla contro la mia, i miei occhi sorridenti sulla sua guancia e il suo sguardo, invece, oltre il soffitto, dentro un mare di ricordi, prima di incrociare il mio. “Capisci, scarafaggio? Negli ultimi tempi, prima di arrivare qui, prima che accadesse questo, abbiamo vissuto in un limbo. Privo di responsabilità e di qualunque senso del reale. Lo sai, sì?”
“Però mi ricordo bene che di sesso ne abbiamo fatto eccome.”
Sbuffò, dolcemente.
“Ria, abbiamo sfogato un sogno proibito. Adolescenziale. Ma finita l'ebbrezza di aver avuto il permesso di infrangere tutte le regole, cosa è rimasto?”
“Noi”, dissi, tranquilla, “Quelli di prima.”
Mi guardò negli occhi, eloquente. “Appunto.”
Gli porsi la mano e lui la prese, baciandone il palmo prima di mettersela sul petto, sotto la sua.
“Era una vita che non mi chiamavi scarafaggio.”, osservai, pervasa da una tenerezza antica quanto l'anima.
Mi sorrise, poi si voltò verso il comodino, localizzò il pacchetto di sigarette e le prese. Qua non si faceva altro che fumare, discutere e amareggiarsi. Fleur avrebbe detto che la curva gaussiana non mente mai.
“Ti amo, Jimmy. Non amerò mai nessuno quanto amo te.”, dissi, abbracciandolo.
“Sai che per me è lo stesso.”, rispose, accarezzandomi il braccio e baciandomi i capelli, “Ma, di nuovo, appunto. Siamo sempre stati una coppia, e non perché pensavamo di essere cugini. Perché ci somigliamo ben al di là di qualunque parentela possibile.”
Si mise in bocca due sigarette e le accese.
“Io ho un sacco di cugini che non ho mai cagato.”, aggiunse, tra sé e sé.
Gli presi la sigaretta dalle labbra, lasciandogli un bacio lieve proprio all'angolo. Si tolse l'altra sigaretta da bocca, e mi baciò di nuovo, a labbra chiuse. Era meditabondo.
Sì, sì, meditabondo è esattamente il termine che cercavo.
“Jimmy, senti. Io e te non siamo adatti ad alcuna relazione. Non lo siamo mai stati, tant'è che ci siamo scelti sistematicamente persone... persone... come faccio a descrivere che persone ci siamo scelti?”
Sorrise. “Persone Bellamy?”
“Ecco. Bravo. Sei un fenomeno.”
“Vai a prendere i biscotti.”
“Non ci penso nemmeno.”
Scrissi un messaggio a Bliss pregandola di usare una certa discrezione nel prelevare la biscottiera dalla cucina; entrò poco dopo e si accomodò sul letto, sfilando una sigaretta dal pacchetto con aria saggia per poi puntarla verso Jimmy.
“Non farlo mai più, Jimbo. Se tu finisci nei guai, a questa chi la tiene?”
Jimmy si strinse nelle spalle, tirandosi a sedere. “La tieni tu, come sempre.”
La mia migliore amica scosse la testa: “Lei ha bisogno di te.”
Osservammo un minuto di silenzio in onore dei biscotti.
“Ma, per curiosità... voi due avete mai litigato? Perché non vi ho visti una sola volta senza quell'espressione di adorazione ebete in faccia che c'avete l'uno per l'altra sempre. Non una volta.”
“Hai voglia.”, dissi, franca.
“E su cosa avete litigato?”
Jimmy mi scoccò un'occhiata divertita, in attesa che parlassi.
“A un certo punto lui ha avuto, per moltissimo tempo, una fidanzata che io odiavo con ogni fibra del mio essere.”
“Come si chiamava?”
La smorfia di disgusto e rabbia sul mio viso spinse a un repentino cambio di argomento.
“Ok, tralasciamo. Quindi non siete sempre stati rose e fiori?”
“Abbiamo avuto confronti, anche aspri, su alcune cose.”, disse Jimmy, democratico.
Bliss si espresse in una risata a sbuffo, quindi si rivolse a me: “A proposito, oggi sono uscita a comprare una cosa che avevo visto in un negozio e ho preso una roba per te. Provatela, così vedo come ti sta.”, disse, indicandomi la busta con cui era entrata poco prima insieme ai biscotti. Incuriosita, andai a recuperarla e me ne andai nel bagno della stanza: quando l'aprii, le mie sopracciglia bucarono il soffitto per involarsi verso il secondo anello di Saturno. Ne indossai il contenuto, non senza difficoltà, e mi affacciai alla porta.
“Ma non so se è il caso che io esca di qui in queste condizioni.”, dissi, circospetta.
“Avanti! Io sono la tua migliore amica e lui è il tuo fidanzato, no? Vieni fuori.”, mi incitò la stronza.
Incerta, aprii la porta e feci la mia apparizione.
Bliss fischiò, la cretina. Jimmy, steso con le mani intrecciate dietro la testa, voltò il viso verso di me e tacque, guardandomi.
Quella volpe della mia migliore amica sorrise a trentadue denti, disse: “Fantastico, me ne vado, statemi bene.”, e si involò.
Sul sordo clack della porta, mi rivolsi a Jimmy, in lieve imbarazzo.
“Dì qualcosa, per Dio.”, sussurrai.
“Qualcosa, per Dio.”, articolò volutamente atono, seguitando a guardarmi.
Sorrisi timidamente.
“Vieni qui, in braccio a me, angioletto.”
Mi avvicinai a lui e gli salii addosso, a cavalcioni. Appoggiò le mani sulle mie cosce, giocherellando con l'orlo in pizzo delle autoreggenti.
Come rarissimamente accadeva, mi passò una mano dietro il collo e mi attirò a sé, prendendo l'iniziativa di baciarmi.
Affondai tra le sue labbra, colpendo il piercing, e strinsi un po' le gambe.
“Jimmy, se non ti va non...”
“Dillo ancora.”, sussurrò, respirando dalla mia bocca.
“Jimmy, se non...”
“Ancora.”
“Jimmy...”
Mi sfilò la sottoveste trasparente, e il reggiseno: appena la mia pelle nuda toccò il suo petto, brividi lungo la schiena e su per le braccia mi fecero tremare piano.
Mi tirai di nuovo a sedere su di lui, e gli poggiai le mani aperte sulla pancia, sorridendogli. Mi guardava, incantato, e mi piaceva.
“Quanto sei bello.”, gli dissi.
“Quanto sei bella tu.”, mi rispose, dolce.
Si alzò sotto di me, sedendosi a sua volta, e fece aderire di nuovo la nostra pelle abbracciandomi, mentre la sua bocca trovava la mia e la sua mano iniziava a tirare via gli slip.
In quella, si spalancò la porta.
“Ragazzi, scusat... Occristo.”
Mi voltai a guardare Splinter, che si copriva la visuale con una mano, voltando la testa di qua e di là, agitata.
“I miei occhi! I MIEI OCCHI! COSA HO VISTO”
“COSA HAI VISTO?”, soggiunse Bliss, arrivando di corsa. Guardò lei, poi noi.
“Splinter, diavolo, sei una tempesta di inopportunismo.”, commentò, sospirando.
Smontai da Jimmy, andando a sedermi dietro di lui per coprire le grazie.
“Dobbiamo parlare.”, esclamò mia sorella, guardando altrove.
“Possiamo parlare dopo?”, domandò Jimmy.
“No.”
“Bene, possiamo avere un momento per ricomporci?”
Splinter si voltò a fissarlo. “Cosa devi ricomporre?”
Jimmy sbuffò.
“Proverò ad essere più chiaro: mi dai due minuti per farmi passare l'erezione, o devo parlarti così?”
Bliss scoppiò a ridere, e io pure.
Mia sorella no. Senza scomporsi, disse: “Guarda, sei impossibile.”, e chiuse la porta.
Io gli coprii la schiena e il collo di piccoli baci, sorridendo.
“Ria, ho detto che devo farmi passare l'erezione. Per cui alzati, mettiti un saio e fai sparire quelle autoreggenti dalla mia vista.”
Gli infilai una mano nei pantaloni, continuando a mordergli la pelle, e lo circondai da dietro con le gambe.
“Ria.”, disse, severo, poggiando la sua mano sulla mia attraverso la stoffa.
Esalai un lamento capriccioso, e passai la lingua sul suo collo, fino a dargli un piccolo, dolce morso sul lobo dell'orecchio.
“Come vuoi.”, risposi, tirai via la mano e mi accinsi ad alzarmi dal letto.
Srotolai le calze in fretta, e mi infilai una maglia informe appartenuta a qualche epoca dimenticata: le sue braccia forti mi circondarono, e appoggiò la testa nell'incavo del mio collo.

 

Sono fuori di me, e sono in pensiero
perché non mi vedo tornare.”
(Luigi Tenco)

 


“Alla buon'ora.”, commentò piccata mia sorella, vedendoci entrare in salotto.
“Rallegramenti.”, disse invece Bliss, positiva.
“Grazie.”, risposi, acciambellandomi sul divano.
“Tra l'altro, a proposito, era un po' che volevo chiederti se ti sei mai scopata Synyster.”, aggiunse poi, serafica.
“Perchè me lo chiedi?”
Jimmy si voltò, fulmineo.
“Chi è che ti sei scopata?”
“Brian sta venendo qui, e con lui Shadows.”, disse Splinter.
“Perché?”
“Perché, parlando con Shadows, gli ho inavvertitamente detto della sfiorata tragedia tra te e Bellamy, ed egli mi ha risposto che gli serviva giusto il tempo di buttare due cose in valigia. Non gli ho dato peso. Mi ha scritto poco fa chiedendomi di andare a prendere lui e Brian in aeroporto domani alle 15.45.”
Brian
”, disse Bliss, con una punta di ironia, “mi ha chiamato poco dopo che si erano sentiti Shadows e Splinter, domandandomi come stessi tu, Ria, come avevi preso l'incontro con Bellamy e se andava tutto bene con Jimmy. Di qui, la domanda che ti ho rivolto poco fa.”
“Esiste tutto un mondo di persone che, per interessarsi ai sentimenti degli altri, non devono esserci state necessariamente a letto.”, soffiai, cupa. Per noti motivi non erano mai semplici, i nostri discorsi su Synyster.
“Inutile farti notare che non mi hai risposto.”, insistette lei, ferrea.
“Ovviamente la risposta è no. Ovviamente.”
Comunque, quale che fosse la ragione addotta all'arrivo dei metallari dell'ovest su suolo inglese, la verità, come al solito, era chiara e semplice: la campana del pericolo aveva suonato, e il Clan si apprestava a riunirsi per fronteggiarlo insieme.
L'arredamento del salotto era rimasto pressoché inviolato in due anni, a parte trascurabili aggiunte lasciate da chi ci aveva transitato per brevi periodi: un vaso brutto, una piccola scultura irlandese davvero inquietante, qualche nuova candela, una sfilza di posacenere. Il dettaglio che apprezzavo di più, però, come sempre era: noi. Noi, lì dentro, inevitabilmente insieme. Jimmy si sedette accanto a me sul divano, respirando rilassato. Sa Dio il mio terrore atavico che vivesse quella nostra astinenza come una mancanza della sua virilità. Fleur spuntò pimpante dalla cucina, con in mano un libro dall'aria impegnativa.
“Sono le due del mattino e io ho maturato alcune considerazioni.”, esordì, prendendo posto nella sua poltrona.
La sua poltrona. Ecco: ufficialmente, Morgue Place era casa mia e di Bliss. In realtà, invece, ospitava una variegata famiglia, più o meno costantemente alle prese con la risoluzione di curiosi rompicapi esistenziali.
“Bisogna parlare con Kate.”, disse Bliss, in piedi contro la libreria.
“Attenzione allo scaffale dei poeti slavi.”
Si voltò verso di me proprio sul finire della frase che avevo pronunciato.
“Chi cazzo li legge, i poeti slavi?”
“Io.”, rispose Fleur, roteando solenne un bicchiere di brandy.
“Anche io, veramente.”
“Jimmy, sei un'aiuola di sorprese.”, commentò la mia migliore amica. Notai in quell'istante che, nonostante l'aria mortalmente seria che aveva acquisito nel farmi la domanda su Synyster e che non aveva ancora dismesso, portava i capelli raccolti in un'esilarante cipolla bionda in cima alla testa.
“Dunque, ho pensato”, iniziò Fleur, ma lo interruppi immediatamente.
“Bliss, come cavolo ti è saltato in mente di farmi quella domanda?”, chiesi, guardandola.
“Quale domanda?”, domandò il mio amico, leggermente indispettito dalla mia scortese sortita.
“Le ha chiesto se è mai stata a letto con Synyster.”, lo informò mia sorella la quale, occhiali in punta al naso, scorreva un plico di fogli. L'inscindibile legame genetico tra Splinter e i plichi di fogli di cui nessuno conosce l'argomento a parte lei è stato spesso oggetto di ardite supposizioni.
“Mi è parso strano che Brian si preoccupasse prima di te e poi di Jimmy.”
“Brian si preoccupa sempre prima di Jimmy, ce l'ha di default. Sono sposati da vent'anni, non lo sai? Il fatto che non te l'abbia notificato, non vuol dire che non sia sprofondato in una ghiacciaia di ansia per l'eventualità che l'amore della sua vita si affaticasse il cuore litigando con Matthew Bellamy.”, argomentai con sicurezza.
“Preoccuparsi di me non è che un'estensione del preoccuparsi per Jimmy.”, aggiunsi poi.
“Non è vero, lui ti vuole bene a prescindere da me.”, mi corresse Jimmy, tenero.
“Molto commovente, ma non ce ne frega un cazzo. Fleur, dicevi?”, intervenne sbrigativa mia sorella, senza neanche alzare gli occhi dal fascicolo.
Gregory, lieto di aver ripreso la parola, si sistemò meglio in poltrona e ci abbracciò con lo sguardo.
“In verità vi dico, a Eldariael non interessa della sua reputazione. Fa la ricercatrice, adesso, non la groupie. Eldariael è rimasta qui parzialmente perché si sente in colpa per quel che è successo, e parzialmente perché vuole bene a Matthew. Come è giusto che sia. Non sappiamo fino a che punto Kate sia ferma nelle sue decisioni, perciò dobbiamo fidarci di quello che dice suo marito. Il che significa, almeno per un po', averlo intorno”, guardò Jimmy, “e comportarci da buoni amici. Ciò include anche sopportare, qualche volta, atteggiamenti infantili e fastidiosi che gli sono ispirati dall'ansia e dalla difficoltà della situazione. In breve, dobbiamo essere condiscendenti, o non saremo di nessun aiuto.”
Splinter si sfilò teatralmente gli occhiali.
“Ok. Dal punto di vista pratico, io devo impedire, in qualche modo, che quell'intervista venga pubblicata.”
“Non lo si può impedire, a meno che non si convinca Kate a non rilasciarla.”, osservò Bliss.
“Esatto.”, rispose Splinter, risolutiva, “Ed è qui che entra in gioco Matt Shadows.”
Incapaci di qualunque slancio di sbigottimento ex novo, allibimmo per inerzia.
Io guardai Jimmy, che guardò Bliss, che aprì le braccia come il Cristo di Maratea.
Mia sorella roteò gli occhi, stufa di avere a che fare con persone che non sapevano leggere nel pensiero.
“Veramente l'idea è venuta a lui. Quando stavamo parlando al telefono. Ha detto che forse a Kate serviva parlare con qualcuno di completamente estraneo a tutta la faccenda, ma che conoscesse tutti abbastanza da potersi fare mediatore.”
“E quindi ha risolto di portarsela a letto.”, aggiunse Bliss, esegetica.
“Bliss, non tutto ruota intorno al sesso, nella vita.”, dissi.
“Per favore. Lo sappiamo tutti che A) non è vero B) gli uomini o ragionano col cazzo, o col cazzo che ragionano.”
“Juniper, da dove le prendi queste citazioni dotte?”, domandò Fleur, sinceramente interessato.
“Lasciatela stare, è agitata perché arriva Brian.”
Saettai con gli occhi un muto
non è il caso di affrontare l'argomento a mia sorella.
“Io francamente penso che debba parlarci Jimmy, casomai.”, disse invece Bliss, sintonizzata su tutt'altre frequenze.
Ci voltammo in gruppo verso di lei.
“E dico
casomai perché non sono neanche così sicura che parlando si risolverebbe qualcosa. Tutti quanti conosciamo Bellamy e sappiamo bene che non sempre è facile starci insieme. In realtà, diciamocela tutta, lei non ha torto.”
“No, non ha torto.”, concordai.
Tutti annuirono, pensierosi. Solo Splinter la guardava a bocca semi-aperta, con gli occhiali in mano. Curiosa di sentire quel che mia sorella aveva da dire, la esortai ad esprimersi.
“Tu cosa dici, Splinter? Perché sono certa che se hai pensato a Shadows piuttosto che a Jimmy lo hai fatto per l'economia della vicenda, cioè, valutando le convergenze e tutto il resto.”
Jimmy mi guardò, teneramente.
“Non c'ho mai capito un cazzo dei tuoi discorsi.”, disse.
“Io ho pensato a Shadows”, disse mia sorella, alzando il tono per attirare l'attenzione, “perché il ragionamento che mi ha fatto, e cioè tutto il panegirico del parere esterno, non fa una piega.”
“Potresti parlarci tu, Eldariael.”, disse Fleur, rivolgendomi uno sguardo intenso.
Alle nostre spalle, fuori dalla finestra, si aprì il cielo.
Composi un messaggio sullo schermo dell'iPhone proprio mentre un lampo illuminava le nubi nere sopra Londra.
“Ho invitato Matt, Dominic e Chris a pranzo.”

“C'eravamo tanto amati”, canzonò Bliss, sardonica.
“E' necessario far stare Matthew, James, Dominic e Brian tutti in una stanza?”, domandò stancamente Fleur.
Mi voltai verso Jimmy. “A te sta bene?”
Mi guardò, inespressivo.
“E dai!”, sbottai, esasperata.
“Che ti devo dare.”, ribattè lui, prosaico.
Inutile discutere.
“Inutile discutere.”, disse Splinter.
“Appunto. Comunque, ci serve qualcosa. Ci serve qualcuno. Ci serve...”
“... un piano B.”, concluse Bliss, a braccia conserte.
“Esatto”, dissi, saettando con lo sguardo verso di lei, “e credo di avere proprio la soluzione giusta.”
Quattro paia di occhi si voltarono a guardarmi.
“Hai per caso sentito Andrea?”, chiesi, senza voltarmi.
Jimmy mi rispose con tranquillità: “Sì, è a Londra, abita qui adesso.”
“Lo so.”
“Mi ha chiesto di vederci per un caffè.”
“Devo sapere se è disposta a fare una cosa.”
“Chiamala, allora, è amica tua.”
“Andrea? Andrea O'Malley?”, domandò Splinter, posizionandosi con disinvoltura in punta alla poltrona. Sapeva benissimo dei trascorsi di Jimmy e Andrea, e sapeva benissimo dei sentimenti contrastanti che nutrivo riguardo l'argomento. L'odore del gossip misto allo psicodramma l'aveva stuzzicata in un modo particolare e un po' misterioso, fin da bambina.
“Sì, Andrea O'Malley.”, risposi senza virgole, riluttante.
“Vi sentite ancora?”
“Certo che ci sentiamo ancora.”, ribattei, aspra. “Un po' meno di prima.”, ammisi poi.
“Jimmy adora vedere donne che si dibattono per lui. Lo ha sempre adorato.”, sospirò mia sorella, accasciandosi sullo schienale come un quadro di Gauguin.
“Non è vero.”, rispose lui.
“Sì che è vero.”
“Beh, sono adulto, adesso.”
“Darwin non ha contemplato diminuzioni del fattore imbecillità, nell'avanzamento evolutivo. E nemmeno di quello vanagloria.”, rispose Splinter, quieta come un gatto.
“Qualunque incomprensione abbiamo avuto, non costituirà un problema. Questa cosa dobbiamo farla insieme, per Matt.”, intervenni.
“Incomprensione? Tu il fatto che una delle tue più vecchie e care amiche si fidanzi improvvisamente con l'amore della tua vita che fino a cinque minuti prima era suo cugino me lo chiami “incomprensione”?”
“Bliss, ma hai qualche problema con me? Non sono mai stata a letto con Brian, in che lingua te lo devo dire? Perché sei così acida?”
“Io sarò pure acida, ma tu devi ammettere che sei piuttosto imprevedibile.”
“Senza dubbio, ma nella mia pur selvaggia imprevedibilità non è contemplata la menzogna, quindi se ti dico di no è no!”
“Ma cos'ha di tanto speciale Brian Haner, da far litigare voi due?”, si introdusse Fleur, con un'occhiata d'acciaio molto Albus Silente.
“Te lo dico io.”, dissi, prima di riuscire a fermarmi, “Ha di speciale che non l'ha voluta. Non l'ha mai voluta. E' stato l'unico a rifiutarla categoricamente, a sminuirla e a svilirla, e questo le crea il duplice sentimento di volerlo con tutta se stessa e contemporaneamente essere arrabbiata a morte con lui.”
L'unica, irripetibile occhiata ferita che mi avrebbe mai rivolto la mia migliore amica mi arrivò dritta nella cornea.
“Scusa. Scusate tutti.”, dissi, inquieta, e me ne andai. Nessuno mi seguì. Non una mosca volava alle mie spalle. Piombai sul piumone, con le mani sul viso: se avessi avuto il potere di risucchiarmi l'anima attraverso i palmi, se solo l'avessi avuto... Una confusione terribile e isterica mi vorticava in testa, come una tromba d'aria. Jimmy, Matt, Bliss, Andrea. Aveva ragione, avevamo vissuto in un sogno. Protetti e ignari, come in una vasca da bagno piena di batuffoli di ovatta. Non conoscevo questa persona brutale e insipida che sputava sentenze, prendeva i sentimenti alla leggera e incancreniva nei suoi dubbi che ero diventata. Mi rivolevo indietro. Avevo bisogno di riavermi indietro. In un modo o nell'altro, dovevo riuscire a riprendermi.

 

When there's nothing left to burn
you have to set yourself on fire.

 

Il materasso cigolò morbido sotto di me.
Aprii gli occhi di scatto, rivolti alla finestra. Dietro le mie spalle, sentii Jimmy sistemarsi sul cuscino. Le lacrime si affollarono dietro i miei occhi come un piccolo fiume, ricordandomi di quando, da bambina, guardavo Pocahontas incollata al televisore. Mi immaginavo come lei, bizzarra, appassionata e avventuriera. Una donna di grandi orizzonti, coraggiosa e giusta.
Jimmy mi abbracciò alle spalle, respirando i miei capelli.
“Andrà tutto bene, piccola.”
Mi morsi il labbro.
“Il mio piccolo, dolce scarafaggio.”

E' sbagliato, è tutto sbagliato. Non dovremmo neanche stare insieme. Ho sbagliato e non ho fatto altro che sbagliare. Ma qual era il principio? Qual è stato il primo, imperdonabile errore?
Mi voltai all'improvviso e lo abbracciai singhiozzando, repentina e scomposta.
“Cosa mi è successo? Oh, Jimmy, cosa...”
Mi zittì dolcemente, stringendomi a sé.
Non riuscivo a smettere di piangere. E più piangevo, più l'angoscia cresceva, trascinandomi con sé come una barca alla deriva.
La porta si aprì con un lieve rumore di cardini, e qualcuno entrò in punta di piedi.
Jimmy mi attirò a sé, e sul lato del letto dove prima c'ero io si distese una sagoma asciutta ed esile che avrei riconosciuto sempre, ovunque, perché ci dormivo da una vita. Bliss mi abbracciò, cosa che accadeva con una tale rarità da far presagire una tragedia imminente.
“Sei già fuori di testa per una serie di motivi, non dovevo mettermici anche io.”
Sorrisi tra le lacrime, e misi una mano sulla sua.
“Tu ti ci metti sempre. E' quello che fai. Ti metti in mezzo perché mi credi troppo sentimentale per giudicare le cose con obiettività. E hai ragione.”
“Non ci posso fare niente se sei una scafessa.”
Jimmy allungò un braccio per poggiarlo su di lei, creando un abbraccio di gruppo scomodo e scomposto.
“Oooh”, disse Splinter, entrando, “che meraviglia, un panino. Fatemi entrare nel panino.”
Ridemmo tutti e tre, mentre lei ci si gettava addosso, cercando uno spazio libero.
“Quand'è l'ultima volta che sei stato in un letto con tre donne, JJ?”, gli disse Splinter, punzecchiandolo con un piede.
“Uff”, rispose Jimmy, “Saranno stati trecento anni fa. Smettila di ricordarmi che sto invecchiando.”
“Col tempo scopriremo che invecchiare è un gran privilegio. Tuttavia, posso affermare con decisione che io, personalmente, non sono mai stato a letto con tre donne.”, disse Fleur, sedendosi sul bordo del materasso.
Ci voltammo tutti a guardarlo.
“Ma nemmeno con una.”, commentò Bliss, serafica.
Fleur le diede uno schiaffo amichevole ma sonoro su una gamba.
Continuammo a chiacchierare e a ridere, a discutere e a raffinare gli angoli di un piano in cui nessuno credeva, dimentichi della parte brutta dei problemi, quella che consiste nel doverli risolvere in pratica.
Quando mi svegliai, assetata, erano le cinque e un quarto del mattino: intorno a me, i caduti sostavano disposti a tetris, avvolti in un sonno profondo e tranquillo. Perfino Fleur, ai piedi del letto, dormiva serenamente abbracciato al polpaccio di Bliss. Sorrisi, non osando districarmi. Avevo tutto il lato destro del corpo contro la schiena di Bliss, mia sorella sulla pancia e Jimmy che mi abbracciava appena sopra la testa di Splinter, le cui gambe erano incastrate alle sue: alzarmi avrebbe fatto più vittime della Guerra del Golfo.
Una lingua di sole filtrava tra le nubi all'orizzonte, al di là del vetro della mia finestra. Inutilmente letteraria come sono, sorrisi a occhi chiusi decidendo all'istante che quel piccolo raggio non poteva che essere un segno che tutto sarebbe andato a posto.
O, almeno, lo sperai molto, molto forte.

 

 


All the blue light reflections that come in my mind when I sleep
and the lovesick rejections that accompany the company I keep
all the razor perceptions that cut just a little too deep;
hey, I can bleed as well as anyone,
but I need someone to help me sleep.
(Mrs. Potter's Lullaby, Counting Crows)

 

 

 

 

 

Allora.

 

Ecco qua.
Volevo tagliarlo in due parti ma Annika Mitch ha detto di no perché, consultando la carta astrale di Paolo Fox per il 2013, si è avveduta del fatto che è consigliabile non darsi fuoco dopo essersi cosparsi di Margarita quando c'è la luna nuova.
Sono comunque appena le quattro e venti del mattino e non ho alcuna forza residua che mi consenta di andare a controllare, a vostro beneficio, che tipo di luna ci sia ora nel cielo di questo emisfero. (Putacaso aveste deciso di ardere vive dopo un'abbondante aspersione di Margarita, vi prego di rimandare a domani. I dettagli del ciclo lunare di questo mese saranno sulla mia pagina facebook.)
Sono molto stanca e vagamente consapevole di alcune cose ampiamente trascurabili.
Datemi quindi vostre notizie.
Con immutato affetto e un tremendo cerchio alla testa,
Q.






 

   
 
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