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Autore: MyLandOfDreams    05/08/2013    3 recensioni
Sono passati 4 anni dall’ultima volta che l’ha visto. Quattro anni da quando le ha dichiarato il suo amore. Quattro anni senza ricevere sue notizie.
Fino ai 12 anni Mike occupava una parte importante nella vita e nel cuore di Lucia, e, ora che lui è lontano, lei non fa altro che aspettare il suo ritorno. Ormai ha compreso quali sono i sentimenti che prova per il suo amico, ma quest’ultimo non ha mai provato a mettersi in contatto con lei.
Lei non ha più amici. Ha solo la sua famiglia.
Fin quando, il primo giorno del terzo anno di liceo, non incontra lui.
Claudio che, in punta di piedi, entrerà nella sua vita aiutandola a rifarsi una vita.
Ma il passato non si può cancellare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 5
«Lucia!». Una mano posata sulla mia spalla intenta a scollarmi mi fece tornare alla realtà.
Mi osservai intorno. L’aula era ormai deserta. L’unico zaino presente era il mio, segno che la giornata scolastica era terminata. Facendo vagare lo sguardo per la classe individuai Marco.
Aveva gli occhi leggermente spalancati, tinti di blu, un blu scuro, cupo, ma allo stesso momento luminoso. Compresi che la campanella dell’ultima ora era suonata da un pezzo e Marco, preoccupato nel non vedermi, era venuto a cercarmi. Potevo leggerlo nel colore dei suoi occhi. C’era preoccupazione, sollievo e una leggera sfumatura di rabbia.
«Mi vuoi spiegare cosa ti prende?!» Esclamò alzando la voce «È da ieri sera che sei strana. Non ha toccato cibo, non hai partecipato ai nostri soliti discorsi a tavola, hai anche ignorato Margaret quando ti ha chiesto di leggerle una favola e ora ti ritrovo qui, in classe, dopo che la campanella è suonata mezz’ora fa!».
Era in collera, ma lo era per la preoccupazione.
«Scusa» era un sussurro quasi inudibile. Involontariamente mi si riempirono gli occhi di lacrime.
Alla vista dei miei occhi velati di lacrime, Marco mi prese tra le braccia facendomi scoppiare in un pianto a dirotto.
«È… tutta… co-colpa… mia» cercavo di parlare, di sfogarmi, ma i singhiozzi mi impedivano di pronunciare una frase senza che balbettassi.
«Shh. Qualsiasi cosa sia accaduta non devi fartene una colpa». Marco cercava di consolarmi con dolci sussurri, ma non poteva fare nulla. Ero convinta che fosse colpa mia. In qualche modo lo sapevo.
«No. Non è vero. Io. Sono stata io… a fare…entrare… Claudio… in coma» Non percepii il corpo di Marco irrigidirsi al suo nome, ero troppo intenta a ricordarmi come si respirasse.
Avevo parlato con troppa foga, e i singhiozzi contribuirono a mozzarmi il fiato. A tutto ciò si aggiunsero una morsa alla parte sinistra del petto, all’altezza del cuore, e le vertigini.
Stavo avendo un attacco di panico. Marco, accortosene, mi prese una mano posandola tra il cuore e la clavicola in modo che potessi percepire i suoi respiri e seguirli, facendomi, così, calmare.
«Ora come va?» Mi chiese in un sussurro.
Ancora non riuscivo a parlare per cui mi limitai ad annuire col capo.
«Andiamo a casa. Hai bisogno di riposarti» Mi disse afferrandomi la stessa mano che avevo posato sul suo petto e prendendo in spalla il mio zaino.
Senza aggiungere altro ci avviammo verso i cortile che fungeva da parcheggio riservato ai mezzi degli studenti.
Durante il tragitto in motorino, contrariamente alle altre volte, la mia mente non riuscì a liberarsi.
Continuavo a rivivere quel pomeriggio. Continuavo a vedere il volto sconvolto, sofferente e anche un po’ deluso di Claudio alla mia breve ma devastante risposta.
Le lacrime continuavano a solcarmi il viso, ma il vento, creatosi per il movimento del motorino, le spazzava via dalle mie guance.
Avrei voluto che la lacrime fossero tutti i sensi di colpa che mi attanagliavano e che, così, una semplice corsa in motorino mi avrebbe liberata da quel peso sul cuore.
Non volevo soffrire. Quale essere umano dotato di un minimo di intelligenza poteva anche solo pensare di voler soffrire? Mi sentivo responsabile di quanto era accaduto a Claudio. Ma non lo volevo, perché ciò avrebbe significato avvicinarmi a lui per farmi perdonare e, ironia della sorte, era lo stesso motivo che mi aveva spinta a rispondergli in quel modo.
Una volta giunta a casa mi precipitai nella mia camera senza salutare nessuno e, con le copiose lacrime che mi inondavano il viso mi abbandonai tra le braccia di Morfeo.

Qualche ora dopo mi risvegliai percependo un paio di piccole manine stringermi il braccio sinistro e un paio di grandi e sicure mani che mi carezzavano i capelli.
Ero circondata. Alla mia sinistra la piccola Margaret dormiva beatamente aggrappata al mio braccio quasi come se fosse un peluche. Alla mia destra Marco, con un lieve sorriso sulle labbra, mi guardava.
«Ti senti meglio?» Mi chiese in un dolce sussurro.
«Sì» risposi «Perché siete nel mio letto?» continuai. Un brivido mi percorse la schiena.
Non che il ritrovarmi a letto con loro fosse strano o mi dispiacesse, ma tutto ciò preannunciava o un regalo, o un interrogatorio.
La prima ipotesi era da scartare in quanto il mio sedicesimo compleanno sarebbe stato l’indomani. L’ipotesi più plausibile era quindi la seconda.
Non avevo alcuna via di fuga.
Sfilando il braccio dalle grinfie di Margaret, l’avrei svegliata facendola scoppiare in un pianto interminabile durante il quale mi si sarebbe attaccata addosso in stile piovra.
Non avrei potuto scavalcare Marco in quanto era il doppio di me sia in altezza che in larghezza. Non che fosse grosso, per carità, ma due ore di palestra al giorno per due anni non ti donavano certo un fisico gracile.
Non sarei neanche potuta fuggire scivolando verso il basso. Marco aveva ben pensato di intrecciare le sue gambe alle mie.
«Volevo capire cosa fosse accaduto. A quanto mi hai fatto capire, il nuovo arrivato c'entra qualcosa». Pronunciò tale risposta dapprima quasi con dolcezza per poi terminare con un pizzico di disprezzo.
Marco avrebbe benissimo potuto risparmiarsi la trappola. Avevo bisogno di sfogarmi e sarei andata comunque a cercare conforto in lui, indipendentemente dall’agguato.
Cominciai quindi a raccontargli tutto. Ogni singolo dettaglio. Gli parlai del primo giorno di scuola, di come Claudio mi avesse difesa da Giulia, di come aveva cercato di essermi amico, e delle sensazioni che mi suscitava semplicemente scrutandomi con quegli occhi che tanto amavo.
Gli raccontai del giorno precedente, di quanto avevo provato a non stargli vicino, delle ripetizioni, della mia risposta crudele e della notizia del suo incidente.
Spiegai a Marco le ragioni di quella risposta, ovvero la promessa fatta a Mike.
Durante il mio monologo aveva assunto un’espressione neutra, quasi indifferente, ma, non appena accennai a Mike e alla promessa che gli avevo fatto vidi il suo volto incupirsi, così come i suoi occhi.
«Lucia ascoltami bene». Mi prese il viso tra le sue grandi mani e mi si avvicinò fino a far coincidere le fronti in modo che potessi guardarlo negli occhi. Inevitabilmente ricordai quando Mike mi aveva tenuta così e, inevitabilmente, delle lacrime vi velarono gli occhi.
«Devi andare avanti. Sono passati quattro anni ormai. Per tutto questo tempo non ha voluto cercarti. Avrà avuto centinaia di occasioni per cercarti, darti sue notizie. Non l’ha fatto».
Le lacrime cominciarono a rigarmi il viso. Sapevo che quelle parole non erano altro che la realtà. L’avevo sempre saputo. Semplicemente, la parte stupida di me, continuava a sperare che tornasse­, che non mi avesse cercata in tutti quegli anni semplicemente perché non aveva potuto.
Ora la realtà mi si presentava davanti e faceva male.
Con i pollici cercò di asciugarmi le lacrime «Non ti mentirò. Claudio mi sta un casino sulle palle e quando l’ho visto accanto a te, l’altro giorno, stavo per tirargli un pugno nello stomaco semplicemente perché ti stava sorridendo» Un sorriso amaro gli si dipinse sul volto. «Ma ti ha fatta sorridere. Ovviamente non sempre, ma è la prima persona, in quattro anni, ad averti strappato un sorriso sincero. Se lui è la tua unica possibilità di andare avanti allora mi sta bene. Dovrò comprarmi un sacco da boxe da appendere in camera su cui sfogarmi ogni qualvolta lo vedrò, ma non importa. Non voglio più vederti triste per Mike»
Abbassai lo sguardo. Le lacrime continuavano il loro percorso lungo il mio viso. Secondo Marco dovevo andare avanti, lasciare che Mike restasse un ricordo. Ma ero pronta a voltare pagina?
«Solo…» Sollevai lo sguardo verso Marco che mi stava parlando «cerca di non scoprire come o perché ci siamo incontrati io e Claudio. Complicherebbe tutto. Me lo prometti?»
Gli sorrisi «Ti prometto che non indagherò»

«Scusi, saprebbe indicarmi il reparto di terapia intensiva?»
Era assurdo come, appena entrata in ospedale, nessuno fosse disposto a darmi delle indicazioni. Dovetti chiedere informazioni a una signora mora dagli occhi castani che si stava prendendo un caffe alle macchinette.
La vidi scrutarmi da capo a piedi con un’espressione tra lo scettico e il fastidio. Per alcuni minuti restammo in un silenzio imbarazzante fi quando decise di rispondermi.
«Sei qui per far visita a Claudio vero?» Sobbalzai sul posto.
Chi era quella donna? Avrà avuto all’incirca una trentina d’anni o poco più. Non poteva essere la madre. Ma non poteva neanche essere la sorella. Non sapevo neanche se ce l’avesse la sorella.
Titubante le risposi «Si. Lei è ..?» chiesi curiosa di dare risposta alle mie domande interiori. Ero tanto intenta a cercare di capire chi fosse quella donna da chiederle come sapesse che stesi cercando giusto Claudio.
«La madre». Sgrani gli occhi. Ero sotto shock.
Intanto perché, facendo qualche calcolo, compresi che fosse diventata madre tra i sedici e i diciannove anni.
Inoltre aveva risposto con disprezzo, quasi disdegnasse di essere sua madre.
«P…pia…piacere di conoscerla» risposi.
«Per rispondere alla tua domanda, ti basta salire al terzo piano e svoltare a destra. Stanza numero 3». Senza aggiungere altro si voltò verso l’uscita.
Non sarebbe salita con me da suo figlio? Avrei voluto chiederglielo ma un’altra domanda aveva maggior bisogno di risposta.
«Scusi! Perché è stato investito?».
Era quella la domanda a cui desideravo ardentemente dare una risposta. La domanda che da ore mi tormentava.
«Ha preso il posto del fratello minore» Aveva risposto con indifferenza. Quasi come se il fatto che il figlio minore stesse per essere investito, o il fatto stesso che Claudio fosse in coma per aver cercato di salvarlo, non la toccassero minimamente.
Un campanello d’allarme risuonò nella mia mente.
Da quel che avevo capito quella donna aveva dato alla luce Claudio più o meno alla mia età.
Dalle risposte che mi aveva dato potevo leggere semplice indifferenza, se non anche disprezzo.
Poi ricordai il volto sofferente di Claudio quando gli avevo detto che la causa del mio comportamento freddo e antipatico fosse la sua esistenza.
Ero rimasta ferma a osservare quella testa mora allontanarsi, mentre il mio cervello elaborava tutti i dati a disposizione.
Giunta a una conclusione, mi diressi a passo spedito verso Claudio.
Dopo alcuni minuti di corsa lungo le scale e i corridoi dell’ospedale giunsi difronte alla stanza numero 3 del reparto di terapia intensiva.
Senza alcuna esitazione entrai in quella stanza, ma rimasi pietrificata alla visione dell’immagine che mi si parava davanti.
Non mi ero preparata mentalmente a vedere Claudio quasi privo di vita, immobile in un letto con diversi macchinari attorno. Era pallido, cadaverico, e sarei scoppiata a piangere convinta che fosse morto se non ci fossero state quelle macchine che dimostravano che fosse ancora vivo.
Lentamente mi avvicinai a lui fino a raggiungere la sedia posta accanto al letto.
«Ehi, ciao». Le lacrime ricominciarono, per l’ennesima volta in quella giornata, a rigarmi il viso.
Mi sentivo una stupida a rivolgergli la parola nel suo stato di coma.
Molti pensano che le persone in coma riescano a sentire ciò che gli capita attorno. Altri pensano che si trovino in una realtà parallela.
Io non sapevo cosa pensare. Sapevo solo che dovevo chiedergli scusa, anche se non poteva sentirmi.
«Claudio. Mi dispiace. Sono stata un’idiota. Non volevo dire ciò che ho detto».
Non notando alcuna reazione cominciai a disperarmi.
Volvevo che si svegliasse.
Volevo vedere quegli occhi.
Volevo vedere quel sorriso.
Volvevo che mi vedesse. Che vedesse quanto in colpa mi sentivo.
«Ti prego svegliati!» urlai singhiozzando.
Non riuscendo più a trattenermi scoppiai a piangere, più di quanto già non stessi facendo, incrociando le braccia accanto al suo fianco e poggiandoci il viso.
E, per l’ennesima volta, mi addormentai in lacrime.
Non sapevo, però, che un paio di occhi mi aveva osservata dalla soglia della porta per tutto il tempo.

Mio angolino personale:
Prima di tutto chiedo perdono per il capitolo schifoso che mi è uscito.
Passando al capitolo...
Perchè Marco ha detto che, se Lucia avesse scoperto per quale motivo lui e Claudio si conoscono, tutto si complicherebbe? Cosa nascondono questi due? C'entra per caso Mike? Se si, che rapporto c'è tra il nuovo arrivato e Mike? Perchè la madre di Claudio lo disprezza così tanto? "Solo" perchè le ha rovinato la gioventù?
Perchè Marco sostiene che Mike non abbia voluto cercare Lucia nonostante le occasioni non gli siano mancate?
Ma la domanda fondamentale è: di chi sono quegli occhi che hanno scrutato Lucia?
Hahahahaha non so se dovrei dirlo ma a quest'ultima domanda non so neanche io dare una risposta. Per ora.
Hahahaha ok dopo tutte queste domande mi vorrete uccidere :3

Passiamo ai ringraziamenti. Un grazie a chi recensisce i capitoli, a chi segue, ricorda e preferisce la storia. E un GRAZIE a PinkyCCh che, come ho già detto prima, mi ha creato il banner e che ha messo la mia come sua UNICA storia preferita <3
  
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