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Autore: TaliaAckerman    12/08/2013    3 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Le vie della città di Chexla erano frequentate e rumorose, e la gente si affollava attorno alle bancarelle del mercato mattutino. Dubhne camminava in mezzo alla folla, spaesata da tanto baccano. C’erano signore che si sbracciavano, bambini che si rincorrevano, signorotti che discutevano in mezzo alla strada e bande di venditori che attiravano clienti alle proprie bancarelle.
Maledizione! Ma dove diavolo è il cibo? pensò la bambina, tesa. L’idea di rubare così deliberatamente la turbava, ma se non voleva morire di fame non aveva altra scelta. Quindi, meglio se si fosse sbrigata. Camminò spintonandosi con i passanti per ancora qualche minuto, quando poi finalmente scorse fra la folla un’insegna recante la scritta: “Pane Fresco”.
Sono salva! Era da parecchio tempo che la bambina non aveva modo di assaggiare un solo pezzo di pane, e l’idea di potersene nutrire per una volta le fece venire l’acquolina in bocca. Raggiunse la bancarella in men che non si dica, ma una volta lì si bloccò. Che cosa doveva fare? Rifletti.
La ragazzina si sedette a terra, appoggiata ad un muretto, guardando con ardente desiderio ogni micca di pane che veniva venduta ai compratori. Doveva darsi una mossa, pensò mentre il suo stomaco brontolava ripetutamente. Allora, cauta, si avvicinò nuovamente al venditore.
Devo solo aspettare che si allontani un po’…
L’uomo, un Thariano basso e mingherlino, stava parlando animatamente con una giovane donna dello Stato dei Re, tentando di convincerla a comprare due pezzi della “deliziosa focaccia integrale” invece che uno. Dubhne esitò un istante e poi, appena il venditore ruotò attorno alla bancarella per porgere l’acquisto alla cliente, scattò. Fulminea, allungò un braccio e senza pensarci due volte afferrò la micca di pane più vicina. Fatto questo, si voltò e corse via, cercando di attirare meno attenzione possibile. Poco dopo, seduta su un piccolo muretto lì vicino, si gettò sul proprio pasto con voracità. Era buono, molto buono; Dubhne non aveva mai assaggiato un tipo di pane così morbido e saporito. Forse il Thariano aveva ragione, dopotutto.
– Chi sei tu? – quella voce gentile la fece sobbalzare, e la bambina rischiò di rovinare a terra per la sorpresa. Atterrita, si voltò verso chi aveva parlato. Proprio accanto a lei c’era un uomo alto, di corporatura media. Aveva un aspetto piuttosto ordinario. La carnagione leggermente abbronzata e gli occhi color castano scuro non lasciavano dubbi: Uomo Reale. Aveva capelli ispidi e un po’ arruffati, castani ma striati in alcuni punti di grigio chiaro. Non poteva avere più di quarantacinque anni.
– Allora? – ripeté l’uomo tranquillamente. – Qual è il tuo nome?
Dubhne indietreggiò, nascondendo il pane dietro la schiena. E se l’altro avesse scoperto cosa aveva rubato? Rimase un attimo ferma, poi si voltò e corse via.
L’uomo rimase fermo in mezzo alla piazza, stupito.
Dubhne corse verso la foresta, trattenendo a stento le lacrime. Era da tempo che un uomo adulto le rivolgeva una parola amichevole. In effetti, l’ultimo a cui aveva parlato era stato il cacciatore di Letjak, quasi un mese prima.
L’uomo del mercato sembrava aver notato il pane nascosto dietro la schiena della ragazzina, ma lei – ne era certa – l’aveva visto sorriderle. Allora ripensò a suo padre, che dopo la morte di Camlias l’aveva letteralmente abbandonata, e poi a Kall, che negli ultimi mesi trascorsi alla sartoria aveva fatto di tutto per aiutarla.
Pianse, amareggiata: quello di cui aveva veramente bisogno in quel momento era un genitore: qualcuno con cui potersi confidare, qualcuno che la accudisse e proteggesse. Ma chi mai avrebbe potuto voler bene ad una sciagurata come lei?
Seduta su un mucchietto di foglie secche, Dubhne si asciugò le lacrime con una manica: non ne poteva più di piangere. Era arrivato il tempo di crescere, di smetterla con quei ridicoli piagnistei.
Tu sei in gamba, Dubhne. Molto più di quanto pensi, le tornarono in mente le parole che le aveva sussurrato una sera Alesha. In cuor suo, la ragazzina sperava che l’amica avesse ragione.


Il mercato era, se possibile, ancora più della prima volta in cui Dubhne aveva messo piede a Chexla. Ottimo, così – in mezzo alla confusione – sarebbe stato più facile rubare qualcosa da mangiare.
La mamma non ne sarebbe felice.
Ma sta’ un po’ zitta! Lo faccio per non morire di fame!
Però prima, per nutrirti, non avevi bisogno di rubacchiare qua e là come una stupida ladra!
Non m’interessa!
In realtà, la ragazzina era piuttosto combattuta. Si sentiva in colpa per lo stile di vita che stava cominciando a portare avanti. Avrebbe dovuto tornare nei boschi e tirare avanti con dignità; sarebbe stata quella la cosa più giusta da fare. Ma Chexla era una città così ridente e affollata, così dannatamente normale. Era di questo che la ragazzina aveva bisogno: potersi sentire una persona comune, vivere in mezzo alla gente senza vergognarsene, non dover vivere alla giornata. In quel momento desiderava una casa più di ogni altra cosa al mondo.
Dubhne si avvicinò al bancone dei formaggi, tentando di ostentare un’espressione disinvolta. Guardando l’ingenuo e grassoccio venditore, si sentì leggermente in colpa, ma poi si decise a rigare dritto e rubò furtivamente un quarto di forma di formaggio di montagna.
Anche stavolta ce l’ho fatta.
Aveva appena finito di formulare quel pensiero, quando qualcuno le si parò davanti e le sottrasse il tozzo di formaggio che avrebbe dovuto costituire il suo pranzo.
- Ma che fai, pezzente?
Era un ragazzino poco più grande di lei, non più vecchio di Dills. - Non lo sai che rubare è un reato? Signore!
Prima che Dubhne potesse fare niente per fermarlo, prese a sbracciarsi in direzione della bancarella. - Signore, questa bambina è una ladra!
- Sta' zitto! - esclamò lei avvertendo il panico avvolgerle le viscere. - Sta' zitto, ti prego, se mi lasci andare giuro che te ne lascerò un pezzo...
Ma ormai il venditore li aveva visti. Come molti altri fra i passanti del resto.
Dubhne fece per girare i tacchi e scappare, ma il ragazzino l'aveva già afferrata per un braccio facendole male. Aveva mani grandi e forti per essere così piccolo. La trascinò con malagrazia fino al tavolaccio su cui erano adagiate in bella mostra le forme di formaggio.
L'uomo che li vendeva non aveva più niente di goffo o tenero, ora. Teneva le mani sui fianchi e aveva il volto, se non proprio adirato, almeno decisamente urtato.
- E così vivacchi rubando il cibo dei lavoratori, eh? - la apostrofò afferrando il pezzo di formaggio che il ragazzino gli porgeva con aria soddisfatta. Questi vestiva di stracci come lei, ma negli occhi gli brillava un 'che di furbo e malizioso. Come se lo facesse da una vita.
- Non l'ho rubato! - mentì lei istintivamente. - Era per terra e l'ho raccolto!
Lo schiaffo dell'uomo la colpì con uno schiocco; Dubhne sentì la pelle della guancia farsi bollente e gli occhi riempirlesi di lacrime. Non era stato così forte, ma la vergogna e il ricordo di tutte le volte in cui le erano capitate cose del genere alla sartoria le fecero venire voglia di piangere.
- Secondo te sarebbe ancora in queste condizioni se fosse caduto in questo fango? - sbraitò il margaro sventolandoglielo sotto il naso. - Mi prendi per uno stupido?
- Stavo morendo di fame! - la bambina gettò all'aria ogni tentativo di scagionarsi e sperò che la verità riuscisse a commuoverlo qual tanto da impedirgli di colpirla ancora. O di denunciarla alle guardie cittadine per farla sbattere in una cella. - Ho digiunato per giorni e non ho nessuno che mi procuri del cibo!
- Non è vero - intervenne il ragazzino vicino a lei con aria civettuola. - Eri qui anche ieri. Hai rubato un tozzo di pane alla bancarella del fornaio!
- Non è vero! Sei un bastardo! - perdendo il controllo Dubhne si gettò contro di lui colpendolo al petto con i piccoli pugni serrati, ma l'altro non ebbe neanche bisogno di difendersi perché l'uomo l'aveva afferrata per la collottola separandoli.
Eccetto per un paio di curiosi, non era rimasto quasi nessuno a osservare la scena. Evidentemente situazioni di quel genere dovevano essere piuttosto frequenti al mercato, e la gente aveva cose più importanti a cui pensare.
- Se le cose stanno così allora sei anche una bugiarda - sputò il venditore con disprezzo. - Ti prenderesti una bella ripassata, se non fossi solo una bambina...
Lo sguardo di Dubhne le cadde sulla bancarella alle sue spalle. O meglio, sul bambino che, senza emettere fiato, stava facendo incetta delle forme più piccole infilandole in un sacco. Una gran rabbia prese a bruciare nello stomaco della ragazzina, che gli puntò contro un dito accusatorio.
- Al ladro! - strillò. - Sono d'accordo, mi hanno imbrogliata per rubarvi tutto il formaggio!
Un pugno menato dal primo ragazzino vibrò contro la sua guancia facendola cadere a terra, ma il margaro si era già voltato accorgendosi di tutto. Un attimo dopo aveva afferrato il ladruncolo dietro il bancone per un orecchio. A quel punto l'altro se la diede a gambe.
Sovrastando gli insulti del ragazzino che imprecava contro il compare che l'aveva abbandonato, l'uomo lo spintonò a terra, accanto a Dubhne.
- Dei miserabili - commentò arrabbiato. - Eravate d'accordo tutti e tre non è vero?
- No! - esclamarono i due all'unisono.
- Io non c'entro niente con loro! - si schermì Dubhne in un soffio. - Non ho mentito, avevo solo fame. Non ho mai rubato altro in vita mia!
Bugiarda, bugiarda, bugiarda.
Il margaro li squadrò con volto incagnito.
- Se le cose stanno così credo che vi consegnerò tutti e tre alle guardie cittadine. C'è già abbastanza feccia in città senza che ci si mettano anche i bambini...
No, no per favore...
- Avanti! - Lei e il bambino vennero rimessi rudemente in piedi. - Adesso voi venite con me.
- Un momento, per favore.
Dubhne sentì una mano posarlesi su una spalla. Non osò voltarsi per vedere in faccia colui che aveva parlato, per cui si limitò a continuare a fissare l'uomo davanti a sé.
- Questa bambina è con me.
Le gambe di Dubhne quasi cedettero per la sorpresa. Voltò di scatto il capo e si ritrovò a fissare il volto dell'uomo che aveva scorto il giorno prima e che aveva cercato di parlarle.
Anche adesso la sua espressione era gentile.
- Ho detto io a Mila di scegliere un pezzo di formaggio. Solo che deve aver preso le mie parole troppo alla lettera... - le rivolse una strizzatina d'occhi, poi tornò a rivolgersi al venditore. - Sarei passato subito a pagare, naturalmente. Quant'è per quel quarto? - così dicendo indicò il tozzo di formaggio incriminato, che era stato riappoggiato sul piano della bancarella.
Il margaro sembrava disorientato almeno quanto Dubhne.
- Cinque... cinque
galet di rame.
- Ne darò dieci per il disturbo - disse l'uomo affabilmente estraendo un sacchetto dalla tasca che emise un allegro ticchettio di monete. Con tutta la calma del mondo lo aprì e le contò una ad una, per poi depositarle in mano al suo interlocutore. Poi si avvicinò al banco e prese il quarto di formaggio.
- E quest'altro moccioso? È anche lui figlio vostro?
- No, ma conosco i suoi genitori. Non saranno contenti nel sapere quello che loro figlio ha combinato.
- E quindi che ne faccio?
- Non lo so, ma fino a prova contraria non ha rubato niente.
Il sacco pieno di formaggi era ancora dove il ladruncolo l'aveva lasciato, dietro il bancone.
- Ora, se volete scusarmi, ho delle commissioni da fare.
Prese delicatamente Dubhne per mano e, visto che la bambina continuava a stare ferma a bocca aperta fissando ora il malgaro, ora il ragazzino, ora l'uomo che l'aveva salvata, diede un piccolo strattone per farle capire di muoversi.
Non appena si furono allontanati quanto bastava dalla bancarella, l'uomo lasciò andare la stretta senza dire più una parola. Dubhne gli trotterellò dietro.
- Davvero conoscete quel ragazzino? - chiese alla fine. Era l'unica frase sensata che la sua mente era riuscita a formulare.
- Una ladra educata - commentò l'uomo con un sorrisetto. - Chi ti ha insegnato a dare del "voi" agli sconosciuti?
- Nessuno - mentì Dubhne. Non erano affari suoi.
Sorprendentemente quello non replicò.
Una volta arrivati al solito muretto, vi si sedette e invitò la bambina a fare lo stesso. Diffidente, lei lo imitò. L'uomo le porse il formaggio.
- Che cosa? - Dubhne non riuscì a trattenere la sorpresa. - Ma non... non lo merito, io... sapevate
benissimo che l'avevo rubato...
- Certo che lo sapevo. Ho messo in scena tutta quella recita per te e adesso ti rifiuti di mangiare?
Sempre più disorientata, la ragazzina allungò una mano e furtivamente lo afferrò. La crosta era morbida e l'interno ancora di più. Era squisito.
Chissà cos’è… pensò incuriosita, leccandosi le dita rimaste appiccicose. Sarà una specialità di Chexla… Si guardò intorno, soffermandosi per la prima volta sui dettagli di quella grande città; l’aria odorava fortemente di terra bagnata, e il più delle costruzioni era realizzato in pietra. C’erano giardini attorno alle abitazioni, e la bambina vide persino uno Shirin addomesticato correre appena dietro una staccionata. La strada centrale che conduceva alla piazza era ampia e polverosa, e il vento di quel giorno faceva volare casseruole in legno e altri oggettini provenienti dal mercato. Dubhne tirò su col naso, arricciando le labbra. Quel luogo non aveva niente a che fare con Célia. Con una fitta di nostalgia, ripensò alla capanna dove aveva vissuto con i suoi genitori. Le pareva fossero passati secoli dall’ultima volta in cui vi era stata, il giorno in cui aveva incontrato per la prima volta il signor Tomson. La ragazzina tremò.
Non pensarci.
- Che cosa ci facevi al mercato, se posso saperlo?
Dubhne sapeva che quel silenzio non sarebbe potuto durare per sempre. Ma anche se l'idea la riempiva di agitazione, si sentiva in dovere di rispondere a quello sconosciuto che si era messo in gioco per darle una mano.
- Stavo cercando da mangiare.
- Lo avevo intuito questo. Ma perché qui a Chexla? Non ti ho mai vista in città prima d'ora, eppure sia ieri che oggi ti ho vista aggirarti al mercato.
Lei non rispose.
- È come pensavo... sei da sola, non è vero?
Dubhne fece un cenno di assenso, mesta.
L’altro fece un’espressione strana, quasi compassionevole. A sorpresa si chinò su di lei. – Ma non hai la mamma e il papà? Una famiglia?
Lei scosse violentemente la testa. Poi, senza preavviso cominciò a singhiozzare. – Ehi… - cercò di calmarla l’uomo, posandole una mano sulla spalla. – Va tutto bene…
Dubhne, presa dallo sconfortò, lo abbracciò.
E, di getto, gli raccontò ogni cosa. Dei suoi genitori, la sartoria di Célia, il rancore verso Dills e Charlons e l’amicizia di Alesha. La morte della madre, la fuga e la vita nei boschi. Rievocò tremante ogni singolo momento doloroso della propria vita, confidandosi a quel completo sconosciuto che le ispirava però tanta fiducia…
Alla fine, il suo interlocutore le accarezzò la testa. – Sapevo che in te c’era qualcosa che non andava, l’ho capito subito. Povera bambina, quante cose orribili hai da raccontare… e da così giovane… - Le porse un fazzolettino di seta, e lei si asciugò lentamente gli occhi.
– G-grazie…- mugolò, restituendolo.
Ma l’uomo la bloccò. – No, no… tienilo pure. – Poi la osservò attentamente per qualche istante. Parve riflettere molto intensamente, poi scandì:- Senti… mi stavo chiedendo… Non ti piacerebbe venire a vivere con noi?
Certa di non aver capito bene, Dubhne sgranò gli occhi. – Che cosa?
– I soldi non ci mancano di certo. Mia moglie sarà felice di accudirti… e potrai giocare con i miei figli come se fossero tuoi fratelli. Gli farà piacere un po' di compagnia... e credo farà piacere anche a te.
Dubhne rimase ferma, a bocca aperta. Poi, felice come non mai, si gettò fra le braccia del suo salvatore.
– Oh, grazie!- esclamò ridendo. – Grazie, grazie di tutto! Io ho già preso la mia decisione!
- Bene allora - fece l’uomo, porgendole una mano. – Io mi chiamo Archie Farlow. Benvenuta nella mia famiglia.





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