Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Amens Ophelia    14/08/2013    2 recensioni
"Tredici anni, una katana insanguinata che premeva sulla schiena, che nessuno aveva il coraggio di affondargli nel petto.
Tredici anni, infiniti spasimi affrontati ed evitati, ma la ferita più dolorosa che avrebbe subìto si chiamava destino; Itachi era solo in attesa del suo fato.
Tredici anni, e già il sapore della morte ottenebrava i suoi sensi. Non aveva scelto lui cosa farne della sua vita, se mai la sua era stata un’esistenza".
***
Itachi contro il nome Uchiha, contro se stesso e ciò che è stato costretto a diventare. Può un incontro fortuito far fiorire sentimenti sepolti da tempo, anzi, forse mai germogliati?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3. Come un bucaneve

 
 
 
 
Questa volta la luce del sole non c’entrava. A svegliarlo non fu quella palla infuocata alta nel cielo, ma qualcosa di altrettanto luminoso, quello stesso qualcosa che gli aveva augurato un buon riposo. Itachi sbatté le palpebre più volte, ma quel blu intenso non ne voleva sapere di allontanarsi dal suo volto.
        «Sei fastidiosa, te l’hanno mai detto?», mormorò disturbato, osservando le serene iridi di Hikari a pochi centimetri dalle sue.
        «Sto cercando di capire cosa diavolo siano quei segni che hai sotto gli occhi!», affermò lei, tanto concentrata in quell’impresa da non sentire la critica del suo oggetto di studio. «Eiji dice che hai le rughe d’espressione, perché sei scontroso, ma secondo me sono segni naturali», spiegò convinta.
         «Ti ripeto che sono rughe», ribatté il gemello, mentre sistemava tre ciotole sul tavolo.
         «Come puoi essere così stupido? Avrà un paio d’anni più di noi, è impossibile che gli siano già comparse delle grinze del genere!», urlò in sua direzione, finalmente scostandosi dal ragazzo disteso.
          Itachi issò il proprio peso sulle braccia e riuscì a sollevarsi. Stavolta sapeva di aver chiuso gli occhi al massimo per un’oretta, perché lo scenario non era particolarmente diverso da prima: stessa giornata di sole, stessi indumenti e stessa coppia di fratelli irritanti. Sospirò e si scrollò di dosso quell’urticante coperta, pronto a scendere dal divano.
          «A proposito, posso farti una domanda?», chiese la ragazza, sollevando lo sguardo dal bicchiere che stava lucidando.
          «Adesso chiedi il permesso?», la beffeggiò ironicamente lui, ormai in piedi.
          «È il suo modo di fingersi gentile, non ci cascare», gli sussurrò all’orecchio Eiji, passandogli accanto.
          Hikari arricciò il naso e strinse gli occhi, captando il sarcasmo del fratello, ma decise di non rispondergli. Concentrò il suo sguardo sul moro, sfoderando un sorriso accogliente: «Quanti anni hai?».
          «Tredici», rispose atono. Questo era quello che diceva l’anagrafe, ma lui gli anni non li aveva mai contati, perché una volta nato nel ghetto degli Uchiha, i giorni passavano insapori, gli uni uguali agli altri, talmente monocromi e impegnativi, tra allenamenti, dispute e rancori, da dimenticarsi delle festività, dei compleanni, di qualsiasi evento che il resto del villaggio festeggiava. Sapeva di avere tredici anni, ma non avvertiva quella giovinezza, si sentiva già adulto; poteva benissimo averne venti, per quanto lo riguardava, se solo il fisico non avesse tradito quell’autoconvinzione.
         «Che ti dicevo? La nostra età! Paga pegno, prego», esclamò raggiante Eiji, assemblando una gomitata alla sorella.
         «Ma ne dimostra quindici! Non vale, sono state le rughe a trarmi in inganno!», sbuffò lei, osservando Itachi.
         «Allora sei d’accordo con me che sono rughe! A-ha sorella, Eiji non sbaglia mai!», la canzonò nuovamente, al settimo cielo.
         «Non volevo dire “rughe”, mi sono confusa! Uffa, Eiji, ti odio», borbottò lei, smorzando il sorriso.
       Prima che potesse concedersi un minuto per chiedersi in che razza di guaio si fosse cacciato, entrando in quella casa, a contatto con quei due fratelli, il “tutti a tavola” urlato dalla giovane lo obbligò a sedersi.
 
Incredibilmente nessun rumore, a parte quello dei cucchiai nelle ciotole, spezzava il silenzio di quel pranzo. Nessuna parola, nessun urlo, nessuna lite fraterna… che si fossero decisi a comportarsi in modo civile, finalmente?
          Itachi alzò lo sguardo per misurare il livello di tensione dei padroni di casa, ma per poco non gli andò di traverso il cibo: entrambi lo stavano fissando attentamente, quasi come se pendessero dalle sue labbra, analizzando nel dettaglio il movimento della sua mano, l’apertura della bocca, la masticazione dei cardi. Si vedeva lontano un miglio che si stavano trattenendo dall’esclamare qualcosa, e quel silenzio costava loro caro. L’Uchiha abbassò la testa, tornando a fissare la zuppa.
           Erano normali tredicenni, in fondo, era logico che si comportassero in quel modo. Quello ad essere diverso era lui, come era sempre stato evidente. Era fiero di spiccare sugli altri, elevarsi per intelligenza, abilità nel combattimento, coraggio… andava orgoglioso di se stesso, del proprio nome, nonostante tutto quello che la propria appartenenza al clan aveva comportato, inclusa la strage della sera precedente. Mai aveva desiderato essere qualcun altro, prendere il posto di un'altra persona. Mentre girava per il cortile del ghetto e incrociava uomini e donne dai capelli neri e gli occhi profondamente scuri, quanto le loro ombre – interne ed esterne, era convinto di vivere nel miglior mondo possibile, per quanto terribilmente duro. Nulla avrebbe potuto fargli cambiare idea, perché il senso di appartenenza alla famiglia che Madara aveva generato non era scemato minimamente, anzi, dopo quella sera, era persino aumentato, se possibile.
            Eppure, per una volta, quell’essere discorde, tanto diverso dai due gemelli che aveva di fronte, lo disturbò; dov’erano finiti il suo orgoglio, il viscerale sentimento di legame al clan? Si erano dileguati, di fronte alla spontanea gioia di vivere dei due ragazzini, come se la loro spensieratezza fosse un promemoria atto a ricordargli che anche lui aveva tredici anni e che si sarebbe dovuto godere la vita in quella maniera, fin tanto che gli era lecito.
            Alzò ancora il capo e, ritrovando quegli occhi puntati addosso, si sentì improvvisamente in dovere di prendere la parola: «Questa robaccia non è poi tanto male». Era il massimo della gentilezza che si poteva pretendere da lui, in quel momento.
             Osservò il sorriso di Hikari allargarsi sempre di più e per un momento temette che le si sarebbero strappate le guance. «Lo sapevo! – urlò lei, entusiasta - Sapevo che ti sarebbe piaciuta!».
            «Hai scommesso anche su questo?», domandò Itachi, cercando di sopprimere un sorrisetto divertito.
            «No, nessuna scommessa. Ho già vinto sulle rughe e sulla tua età, di questo passo la umilierei troppo», rispose Eiji, ancora su di giri per quella vittoria.
            «Non… non sono rughe», mormorò il moro, contraendo la mascella. Hikari non riuscì a trattenere un risolino di scherno in direzione del gemello, al suono di quelle parole.
           «D’accordo, siamo pari», sospirò il padrone di casa, riprendendo a mangiare.
 
La sorella tornò a osservare il loro ospite. Avrebbe voluto ringraziarlo per quella precisazione, ma non gli pareva il tipo da accettare una riconoscenza così banale. Esattamente non sapeva che genere di persona avesse davanti; era un ragazzo freddo, distaccato, ma anche molto acuto, attento ai loro dialoghi… parlargli non era facile, temeva che dopo quelle poche battute si sarebbe potuto chiudere nuovamente in un silenzio impenetrabile, ma la curiosità era tanta, perciò decise di rischiare.
            «Vieni dal Villaggio della Foglia, vero?», gli domandò pacatamente. Lui si limitò ad annuire e lei interpretò quel gesto come un via libera per proseguire il discorso. «Ti sembrerà sciocco, ma non me ne sono accorta dal coprifronte, dato che ieri, quando ti ho visto, eri prostrato nel fango. L’ho intuito dalla tua casacca». Itachi alzò improvvisamente lo sguardo, rivelando un’espressione sconcertata, ma lei non si fece bloccare da quegli occhi. «Quel ventaglio bianco e rosso l’ho già visto: sei un Uchiha».
            Al suono di quel nome, Eiji si lasciò cadere il cucchiaio di mano, sbarrando gli occhi. Quella reazione distrasse Itachi, ancora sconvolto dall’acume della ragazza.
            «Un Uchiha», ripeté il giovane Ando, fissandolo con uno sguardo improvvisante rabbuiato. Non poteva crederci! Era l’ironia del destino peggiore che avesse mai conosciuto. Dopo qualche secondo in cui il vuoto aveva attraversato i suoi occhi e la mente gli si era affollata di ricordi, Eiji si alzò di scatto e si precipitò fuori di casa.
            «Non avrei dovuto dirlo», sussurrò Hikari, raccogliendo la ciotola del fratello. Scosse la testa, amareggiata per come il passato fosse riuscito a segnarli tanto e continuasse a tormentarli.
            «Lui non lo sapeva?», domandò stupito Itachi, alzandosi e porgendole anche la sua scodella.
            «No. Quando ti ho trovato nella foresta, eri sul punto di perdere i sensi. Non sarei mai riuscita a portarti al sicuro da sola, essendo tanto gracile, così, prima di venire a chiamare Eiji, ho provveduto a coprire lo stemma della tua casata con il fango. Mi è dispiaciuto, non l’ho trovata una cosa carina, ma non ti avrebbe mai aiutato, se l’avesse visto», spiegò la ragazza, prendendo la tazza dalle mani dell’Uchiha.
            «Non mi serviva il vostro aiuto», affermò sprezzante il ragazzo, con uno sguardo affilato.
 
 In verità sapeva che stava mentendo spudoratamente, che doveva la vita, ai suoi coetanei. Erano stati il sorprendente conforto che non gli aveva permesso di commettere follie o di cadere preda della febbre, quella notte. Non era in grado di ammetterlo, ma era loro riconoscente; erano la prova che potevano esserci ancora persone per cui valeva la pena fare parte dell’umanità.
            «Immagino che ora andrà a Konoha ad avvertire l’Hokage, la Squadra Speciale…», si preoccupò il ragazzo. Non aveva pensato a quale trattamento gli avrebbe riservato il villaggio, d’ora in avanti, ma aveva deciso di non preoccuparsene, dal momento che non intendeva ancora farci ritorno.
            «No, per noi Konoha non esiste più», dichiarò decisa la giovane. Per la tensione, una ciotola le era sfuggita di mano ed era caduta sul pavimento, frantumandosi in cocci.
            Itachi, d’istinto, l’aiutò a raccoglierli e, quando le loro mani si sfiorarono, non riuscì a trattenere un sorriso.
            «Grazie», mormorò lei, frenando a stento una lacrima.
            «Ti commuove tanto ricevere un piccolo aiuto?», la irrise lui, tornando ad indossare la sua consueta maschera di serietà.
            «No, mi tocca il cuore vedere un Uchiha sorridere», spiegò Hikari, risollevandosi.
            Quella piccola gioia inaspettata, fiorita come un bucaneve in pieno inverno, le riportò il consueto sorriso armonioso sulle labbra. Quella serenità spontanea, genuina, assolutamente fortuita, in quel pantano di tristezza, come per riflesso, contagiò anche l’espressione di Eiji che, nascosto dietro la tenda della porta, aveva osservato la scena. Da quella reazione, pensò che forse c’era un motivo per cui il passato si denominasse così, differenziandolo dal presente e, soprattutto, dal futuro.
            «Chiamami Itachi», quasi la pregò lui, capendo di potersi fidare di quei ragazzi.
 
Per quanto fosse legato al proprio clan, anzi, al mito della propria famiglia, voleva che quei due lo conoscessero per come era realmente, per come avrebbe dovuto essere, per come il suo io più nascosto aveva sempre voluto mostrarsi. Desiderava solo stare al mondo per come lo erano loro, da normale tredicenne, spensierato, scapestrato, insolente, ma assolutamente vivo. Almeno per un giorno, voleva essere Itachi, più di ogni altra cosa. 



Permettetemi di ringraziarvi per il supporto, per la vicinanza, per le preziose parole che mi sanno sempre confortare, DoubleSkin e The Valkiria! E ringrazio anche chi dà una lettura silenziosa alla storia, permettendomi di continuare a immaginare come le cose potrebbero evolvere :D Spero che la storia vi abbia incuriositi!
A presto!! ;) 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Amens Ophelia