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Autore: MartixHedgehog    20/08/2013    1 recensioni
In questa storia Sonic è un giovane riccio di dodici anni che corre per cercare libertà e solitudine: libertà da un mondo crudele e opprimente in cui regna la legge del più forte; solitudine da uno zio un po' strampalato e soprattutto da dei coetanei che lo maltrattano e con cui non è mai entrato in sintonia. Ma la sua vita cambia quando nella valle dove abita arriva un altro riccio che potrebbe essere suo fratello da tanto gli somiglia, con quel pelo turchese e i suoi luminosi occhi azzurri... che però, a differenza sua, è costretto su una sedia a rotelle. Un riccio che non può correre, che non potrà mai assaporare quel vento di libertà che tanto gli piace inseguire. Un riccio così diverso da lui che non potranno mai intendersi, pensa Sonic. E invece ben presto tra i due nasce qualcosa: un'amicizia profonda, che saprà insegnargli che esistono tanti modi di correre, e che anche chi non ci riesce può imparare a sognare, a vivere, a trovare la felicità.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Sonic the Hedgehog
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 7
In cui Sonic scopre che camminare non è poi così terribile

 
Sonic frenò proprio davanti alla staccionata di legno che delimitava l’ingresso del campo, e la prima cosa che fece fu gettare un’occhiata al suo orologio azzurro, che scandiva il suo tempo da ben quattro anni: più precisamente, a partire dal suo ottavo compleanno, quando lo aveva ricevuto in regalo dallo zio Chuck. Non era come qualcuno degli oggetti costruiti a mano che lui custodiva tanto gelosamente, ma anche se lo aveva acquistato ci era comunque molto affezionato... anche perché non faceva solo da orologio, ma anche e soprattutto da cronometro: un oggetto senz’altro utile per chi considerava correre come una ragione di vita.
In quel momento, però, non gli importava controllare che tempo aveva fatto nel tragitto, ma piuttosto che ore si erano fatte.
 
Alle quattro mancavano “solo” trentasette secondi. Poco meno che un’eternità, se si era costretti ad aspettare qualcuno: di Zephir, infatti, non c’era ancora traccia.
Una mezza dozzina di bambini stava già giocando tranquillamente nel parco: ora sulla coppia di altalene, ora sullo scivolo, ora sul pinco-panco, ora su uno degli altri vecchi giochi di legno dalla vernice sbiadita dal tempo. Ma lo sapeva bene, il parco non si limitava a quel gruppo di giochi. Oltre la collinetta ricoperta di verde, infatti, nessuno aveva costruito una recinzione, e bastava superarla per avere accesso al luogo che Sonic preferiva in assoluto: il famoso prato in cui passava interi pomeriggi a correre indisturbato e in completa libertà.

Però era improbabile che Zephir lo avesse convocato lì per fare una gara di corsa, e di sicuro nemmeno per i giochi: del resto era risaputo che  questi ultimi erano monopolizzati dal solito gruppo di mocciosi che se ne impossessavano a partire dalle due del pomeriggio e che, fino a oltre le sette, se solo qualcuno avesse provato ad avvicinarsi alla loro altalena, si sarebbe ritrovato con l’impronta dei loro piedi marchiata a fuoco sul sottocoda.
 
No, di sicuro Zephir aveva in mente tutt’altro. Il problema era sapere cosa, ma per fortuna la sua curiosità sarebbe stata soddisfatta esattamente fra tre, due, uno...
 
«Ciao, Sonic!»
 
Non dovette nemmeno alzare lo sguardo dal quadrante per capire che il suo amico era arrivato, con una puntualità da fare invidia alla torre dell’orologio del paese (il cui rintocco gli perforò le orecchie proprio allora, con ben due secondi di ritardo rispetto al suo!).
 
«Ciao!», rispose, sorridendo.
 
Spingendo come al solito le sue ruote in avanti, Zephir gli si avvicinò.
 
«È tanto che mi aspetti?», domandò apprensivo.
 
«No... giusto una trentina di secondi!», replicò con una strizzatina d’occhio.
Zephir annuì, prima di mormorare con un sospiro sollevato:
 
«Sei venuto.»
 
«Perché, ne dubitavi?»
 
«No, è solo che… credevo che fosse troppo difficile per te passare del tempo senza correre», mormorò il riccio azzurro, guardandolo con riconoscenza.
 
Sonic fece spallucce, dandogli una pacca amichevole: «Vedrai che sopravvivrò!»
 
«Lo spero», sorrise Zephir. «In fondo ti ho appena conosciuto. Se non sopravvivi come faremo domani e gli altri giorni?»
 
«Allora…», cominciò Sonic dopo una breve pausa imbarazzata. «Cosa avevi intenzione di fare qui?»
 
«Oh, io pensavo di fare un giro insieme qui nel parco e poi fermarci da qualche parte per fare merenda… Ti piace qui, vero?», rispose il riccio azzurro.
 
«Eccome se mi piace!», esclamò Sonic. Certo, gli sarebbe piaciuto di più se avesse potuto correre in libertà oltre la collina, ma chissà che anche così non si fossero divertiti lo stesso?
 
«Anche a me, sai?», assentì Zephir. «Non è molto che ci vengo, però trovo che sia proprio un bel posto… tranquillo, soprattutto.»
 
Sonic annuì sovrappensiero, mentre osservava la collinetta con nostalgia. Anche se era girato, Zephir parve notarlo, perché disse:
«Lo so che tu preferisci correre… però ho pensato che potevamo divertirci lo stesso anche così, no? E mal che vada, possiamo sempre inventarci qualcos’altro!»
Sonic gli sorrise: era sicuro che sarebbe riuscito a capirlo.
 
Contro ogni previsione, però, quell’insolito giretto a passo di “riccio in carrozzella” si rivelò per il giovane porcospino cobalto tutt’altro che noioso: insieme entrarono nel parco, Zephir che spingeva spedito le ruote sull’erba fresca e Sonic che gli trotterellava accanto, e oltrepassarono la collina.
 
Fino ad allora tra i due regnò un silenzio che sapeva di disagio, anche perché i bambini che stavano monopolizzando i giochi non smisero di fissarli per un solo attimo con aria intimidatoria… ma quando furono a debita distanza, si scambiarono un’occhiata d’intesa e scoppiarono entrambi a ridere.
Erano proprio patetici, quei mocciosi, a sentirsi minacciati dalla loro presenza, come se avere il possesso di quei giochi fosse una questione di vita o di morte. Non ebbero nemmeno bisogno di scambiare una parola per capire che tutti e due stavano pensando alla stessa cosa.
 
Bastò solo quella risata ad alleggerire l’atmosfera tra loro, tanto che ricominciarono subito a raccontarsi quello che non avevano potuto dirsi in classe. E questa volta senza nemmeno un accenno di imbarazzo, mentre proseguivano l’uno accanto all’altro, addentrandosi nel campo.
 
Fu quando lo stomaco di Sonic cominciò a brontolare rumorosamente che decisero di fermarsi in un punto in cui un grosso albero regalava uno spiazzo d’ombra.
Sonic si sedette sull’erba fresca a gambe incrociate, già sentendo sulla lingua il sapore dei panini preparati dallo zio… ma la sua acquolina aumentò a dismisura quando scoprì cosa Zephir celava dentro allo zainetto attaccato alle maniglie della carrozzina: quattro meravigliose fette di crostata alla marmellata di frutti di bosco, dalla pasta così dorata e invitante da mandarlo completamente fuori di testa.
 
«L’ha fatta mamma», spiegò Zephir, mentre Sonic vi si buttava a capofitto, masticandola con profondi mugolii di soddisfazione. «È buona, vero?»
 
«Mmmh… una favola!», rispose l’altro con aria sognante.
 
Peccato solo che i panini dello zio Chuck non fossero nemmeno lontanamente all’altezza di quella magnifica torta. Ciononostante, Zephir parve apprezzarli molto lo stesso, e in effetti non poteva dargli torto: il pane era morbido e fresco, il prosciutto davvero saporito. Strano a dirsi, a quanto pareva suo zio aveva fatto centro, una volta tanto.
Poi, quando finalmente entrambi gli stomaci furono saziati, Sonic e Zephir ripresero a parlare del più e del meno, come se non avessero desiderato altro in tutta la loro vita.
 
«Allora, cosa mi racconti? Perché sei venuto proprio qui a Green Hill?», cominciò Sonic, mentre strappava da terra una margherita e iniziava a tormentarne il gambo sottile.
 
«Oh, non credo sia difficile immaginarlo», ridacchiò Zephir abbassando un poco gli occhi, ma nella sua voce non c’era traccia di risentimento. «Non mi trovavo bene con i miei compagni di classe, tutto qua.»
 
Disse questo con tranquillità, col medesimo tono con cui avrebbe affermato: “Il mio scaffale non mi piaceva più tanto, così ho cambiato la disposizione dei libri”. E questo lo meravigliò, perché cambiare scuola o addirittura paese non gli sembrava certo un affare da poco. Lui non aveva mai pensato a quella possibilità, ma sentiva che per lui sarebbe stato improponibile: perché abbandonare un posto conosciuto per poi magari scoprire che quello nuovo era addirittura peggio? No, smuovere lo zio Chuck dalla sua adorata Green Hill sarebbe stato impossibile, oltre che deleterio: era già abbastanza confuso per conto suo, figurarsi se gli fosse toccato trasferirsi vicino a una nuova scuola per far contento il nipote.
Quindi, rifletteva Sonic, il suo amico doveva aver incontrato problemi piuttosto gravi per essere costretto a trasferirsi. Forse persino più gravi dei suoi... e il pensiero lo fece rabbrividire.
 
«E perché?», domandò.
 
Zephir sembrò esitare per un attimo prima di replicare: «Mi... prendevano in giro... perché ero diverso da loro, suppongo.»
Sonic si morse le labbra, sentendosi sommergere dal senso di colpa.
 
«Oh», mormorò e abbassò un poco gli occhi.
 
«Che cos’hai?», chiese Zephir, ora col suo solito tono allegro.
 
«No, niente...» Sonic scosse la testa. «Solo che... qui non ti troverai certo meglio. Non sai di cosa sono capaci quei... quei...»
 
«Oh, dubito che i nostri compagni siano peggio di quelli che ho già incontrato!», lo rassicurò Zephir con una strizzatina d’occhio.
 
«Dici nella tua vecchia scuola?», domandò Sonic, che proprio non riusciva a capacitarsi che esistessero dei compagni di classe peggiori dei suoi attuali. E la risposta di Zephir lo lasciò letteralmente senza parole.
 
«Non solo nella vecchia, ma anche in quella prima. E in quella prima ancora.»
 
Il giovane porcospino sbarrò gli occhi: «V-vuoi dire che...?»
 
«Sonic, ormai ho perso il conto di tutte le scuole che ho cambiato», continuò Zephir, conservando imperterrito il suo abituale sorriso. «E ti posso dire che questi sono degli agnellini appena nati, a confronto con alcuni di quelli che ho incontrato!»
 
Al sentire queste parole, Sonic non poté fare a meno di deglutire.
 
«Anche Francis?», balbettò con voce stranamente roca.
 
Zephir si mise a ridere: «Francis è un povero idiota, proprio come gli altri. Tutti vigliacchi, dal primo all’ultimo... e, credimi, prendersela con te è l’unico modo che hanno per sentirsi grandi.»
 
«Oh», fu ancora una volta la risposta di Sonic, incapace di dire altro. Zephir continuava a mettere i suoi compagni sotto una luce completamente diversa da quella con cui li vedeva di solito: non aveva mai pensato che le loro violenze e minacce fossero frutto della vigliaccheria. L’idea non lo convinceva del tutto, a dire il vero, ma gli piaceva: significava, perlomeno, che aveva ancora delle carte a disposizione da giocare contro di loro... perché lui non era un vigliacco, vero?
 
«Probabilmente ti sembrerà assurdo», riprese Zephir. «Ma io preferisco di gran lunga questi compagni a quelli che ho già incontrato.»
 
«Davvero?», chiese Sonic, tremando. Parlare col suo nuovo amico era una costante sorpresa, ma anche uno shock, date le tanto incredibili quanto sconvolgenti notizie su di lui che aveva appreso in poco tempo.
 
«Sì. Perlomeno questi non hanno problemi a dirti in faccia quel che pensano di te, cioè che gli fai schifo. Ma quando ti isolano senza rivolgerti la parola, o peggio te ne dicono di tutti i colori alle spalle... allora è un’altra storia», spiegò Zephir, mentre addentava un altro panino al prosciutto. Per la prima volta a Sonic parve di scorgere un brevissimo lampo di tristezza nei suoi occhi così vivaci.
 
«A-alle spalle?», bisbigliò Sonic, e Zephir fece di sì con la testa. «Anche i maschi?», chiese poi: da quel che ne sapeva, di solito era un’usanza da ragazze spettegolare a proposito di tutto e di tutti.
 
«Soprattutto loro!» Per l’ennesima volta Sonic dovette faticare per impedire alla sua mandibola di staccarsi di netto dalla faccia per lo stupore.
 
«E... e cosa ti dicevano?»
 
«Non lo so di preciso», ammise Zephir. «Erano cose top-secret, no?  Probabilmente era roba del tipo: “Ehi, guarda là quello sfigato a rotelle”... le solite cose stupide, insomma. Poi però si giravano a guardarmi e mi fissavano come se mi fossero spuntate le orecchie da asino... non è bello sentirsi sempre gli occhi addosso, sai? E nemmeno entrare in classe con tutti che ti guardano e poi bisbigliano tra loro.»
 
Sonic rabbrividì di nuovo: no, non doveva essere affatto una bella esperienza.
 
«Comunque sia non mi rivolgevano la parola... mai», proseguì imperterrito come se gli stesse raccontando della gita del giorno prima, «e di questo li ringrazio: se avessero aperto bocca, penso che avremmo soltanto litigato, quindi meglio così!»
Quelle ultime parole furono accompagnate da una risata cristallina. Sonic, invece, era troppo sconvolto per trovarlo divertente.
 
«È per questo che me ne sono andato: era inutile restare, quando era ovvio che ero di troppo.»
 
«Quanto ci sei rimasto?», trovò la forza di domandare Sonic, sempre più turbato.
«Nella vecchia scuola? Un quadrimestre, più o meno. Da febbraio fino alla fine dell’anno... ma me ne sarei andato anche prima.» Seguì una risatina amara, eppure col tono di chi aveva già abbondantemente superato la cosa.
 
«E... e prima?»
 
«Prima ero in un’altra scuola ancora... Lì ci sono stato a partire da novembre. Ho provato a iniziare la prima nello stesso posto della quinta, ma non ce l’ho proprio fatta per più di un mese... Ormai credo di conoscere tutte le scuole di Mobius, sai?»
 
Altro sorriso raggiante. E altro cazzotto nello stomaco per Sonic. Per quanto si sforzasse, non riusciva a capacitarsi dell’atteggiamento di Zephir: ma come faceva, cavolo, a essere così allegro nonostante tutto quello che aveva passato?
 
«E... come è stato? Intendo cambiare tutto dopo così poco tempo...», domandò quindi. Era solo la prima delle migliaia di domande che aveva in mente, ma al momento gli sembrava la meno difficoltosa a cui rispondere.
 
«Be’, non è facile, se è questo che intendi, ma la mamma mi ha sempre appoggiato in questo: faceva tutto il possibile per farmi ambientare... anzi, era proprio lei che a volte mi convinceva a cambiare classe. Parlava anche con gli insegnanti e il preside... ma non c’è mai molto da fare con dei ragazzi del genere, no?» Sorrise rassegnato, alzando le spalle, e Sonic fece di no con la testa.
 
Poi, per la prima volta, fu la sua bocca ad aprirsi in un sorriso:
«Deve volerti molto bene...», sospirò. Zephir annuì con gli occhi che brillavano di orgoglio.
 
«Quindi... neanche tu hai mai avuto molti amici», mormorò poi Sonic, con aria comprensiva.
 
Zephir fece spallucce e rispose con semplicità: «Eh no. Anche se mi sarebbe piaciuto!»
 
«Meglio soli che male accompagnati»,  commentò distrattamente Sonic, mentre continuava a tormentare le margherite, ma se ne pentì quasi subito.
 
Zephir, infatti, scosse con forza la testa e replicò, quasi indignato: «No, non è vero! Io ci provavo sempre a diventare loro amico! È anche per questo che ho cambiato così tante volte!» Sonic si meravigliò non poco, sentendo quello che poteva essere benissimo un attacco di rabbia. «Non è mai bello essere da soli: si è più vulnerabili così.» Poi abbassò gli occhi e la voce, sussurrando: «A te può anche piacere, ma a me no!»
 
Sonic capì che se non si fosse rimangiato subito quella frase, il loro pomeriggio sarebbe finito assai male.
 
«Scusa», sospirò. «Non credevo fosse tanto importante per te. Però... con certi ragazzi è impossibile andare d’accordo...»
 
«Perché ti arrendi prima ancora di provarci», lo interruppe il riccio azzurro. Poi chinò il capo con aria colpevole. «Sonic, scusami, non sono venuto qua per litigare», mormorò quasi con le lacrime agli occhi. «Solo che è molto importante per me...»
 
«Ehi, guarda che non fa niente!», tentò di tranquillizzarlo Sonic con un mezzo sorriso.
 
«Scusami», ripeté Zephir. «Però tu penserai che sono strano, e forse hai anche ragione... ma per quel poco che ti conosco, nemmeno io riesco a capirti.»
 
«Che vuoi dire?», domandò Sonic, interdetto.
 
«Che hai sempre la battuta pronta e che nessuno riesce a batterti con gli scontri verbali, però che sai essere anche cordiale come hai fatto oggi... eppure nonostante tutto continui a non voler tra i piedi nessun amico.»
 
«Ehi!» Sonic protestò, un po’ offeso. «E tu non conti?»
 
«D’accordo, ma... devo ricordarti quanto ci hai messo?», sospirò Zephir. «Volevo solo dirti che mi dispiace, ma per te: scommetto che hai sprecato un sacco di occasioni anche prima di me per... non lo so nemmeno io per cosa.»
 
In circostanze normali Sonic avrebbe risposto qualcosa come: “Non è vero, non è colpa mia!”, ma le parole di Zephir lo avevano lasciato letteralmente di sasso. Erano quasi le stesse che gli ripeteva lo zio Chuck, ed era improbabile che l’amico e suo zio si fossero messi d’accordo per dirgliele uno dopo l’altro, visto che non si conoscevano. Che avessero ragione? Che fosse stata davvero colpa sua se si ritrovava da solo? Per la prima volta un pensiero fulmineo lo colpì: forse non era il mondo intero a voltargli le spalle come aveva sempre creduto. Forse era piuttosto lui che voltava le spalle al mondo senza accorgersene.
 
«Anche... anche a me dispiace.»
 
Fu tutto quello che riuscì a mormorare un risposta, troppo sconvolto per pensare a qualcos’altro.
 
«È per questo che ho scelto te tra tutti gli altri e che ho insistito fino alla fine», continuò Zephir. «L’ho capito fin dal primo giorno che tu sei uno di quelli speciali... e non solo perché sai correre più veloce di tutti gli altri.»
 
Sonic sospirò: anche se lui cercava farne cenno il meno possibile (del resto, ogni volta che lo faceva veniva deriso e accusato di darsi delle arie), la sua fama di corridore era piuttosto conosciuta anche a scuola.
 
«Non capisco solo perché ti ostini a nascondere le tue qualità e a comportarti a tutti i costi da orso musone e da introverso...»
 
«Orso musone?», ripeté Sonic, un poco accigliato.
 
«Lo vedi?», rispose Zephir. «Se te lo fanno notare ti arrabbi... ma non perché non sei capace di vedere i tuoi difetti: è perché tu non sei veramente così! Quella di “Sonic l’inavvicinabile” è solo una maschera che indossi soltanto a scuola... perché adesso per esempio non ce l’hai. Vorrei solo capire perché lo fai e aiutarti a risolvere il problema, se posso...»
 
Il riccio cobalto lo fissò senza parlare con aria interrogativa: ormai stava perdendo il filo nei ragionamenti di Zephir... Non perché fossero assurdi, tutt’altro: l’aspetto assurdo di quel discorso stava nel semplice fatto che glielo stesse facendo un coetaneo. Zephir aveva la sua età – mese più, mese meno – eppure parlava come nessun dodicenne si sarebbe mai sognato di fare.
I casi erano due: o in realtà il suo amico era un adulto nascosto nel corpo di un bambino (dopotutto aveva visto una cosa del genere in un cartone animato, non molto tempo prima), oppure anche lui doveva essere davvero speciale.
 
Vedendo che esitava nel rispondere, però, Zephir scosse la testa con un sorriso rassicurante.
 
«Va bene, basta parlare di queste cose adesso... Se la mamma scopre come ti ho trattato, mi recluderà in camera per il resto dei miei giorni!», scherzò, facendolo ridere piano. Poi ritornò serio per un attimo. «Ti chiedo solo di pensarci su», disse. «È a te stesso che devi dare una risposta, non a me.»
 
Sonic annuì, chiedendosi però cosa significassero quelle parole: quale risposta doveva darsi? E se doveva trovarsela da solo, a cosa era servito tutto il suo discorso?
 
Forse era meglio dare retta al suo consiglio e parlare d’altro, pensò: le ramanzine dello zio Chuck erano più che sufficienti; non era necessario che ci si mettesse anche Zephir. E poi c’erano ancora tante di quelle domande che voleva fargli che non sapeva da dove cominciare.
 
«Allora... ti piace questa scuola?», buttò lì. Forse era meglio partire dalle più semplici, perché per quelle impegnative forse non sarebbe bastato un intero pomeriggio.
 
«Abbastanza, sì!», concesse Zephir. «Il preside sembra un tipo a posto, per esempio!»
 
Sonic piegò le labbra in una smorfia sofferente, cosa che fece rabbuiare il suo amico.
 
«Non ti è simpatico neanche lui?», chiese Zephir.
 
«No...», rispose l’altro, «è che l’anno scorso mi ha convocato diverse volte, e in nessuna è riuscito a capire che a cominciare era stato Francis e non io...»
 
«Oh», commentò Zephir. «E tu non hai detto niente?», chiese, quasi indignato.
 
«Cosa avrei dovuto dire? Che gli ho pestato la coda per avermi chiamato “sfigato”? Non gliene sarebbe importato un fico secco! Però non mi ha mai fatto niente, solo qualche nota sul diario... e comunque nessuno batte Francis, in quanto a numero di visite dal preside!», replicò gioiosamente Sonic, senza accorgersi che Zephir stava sospirando e scuotendo la testa, come se non fosse d’accordo su qualcosa che aveva detto. Si preparò mentalmente a una nuova lavata di capo, che però non arrivò mai.
 
«Poi c’è la Choochoo che mi sembra molto brava...», continuò infatti come se niente fosse.
 
«Sì, lei è abbastanza a posto», concordò Sonic. «Però l’anno scorso ci ha dato un sacco di libri da leggere, sai? Mi hanno quasi rovinato l’estate!», sbuffò poi, ridacchiando. Zephir però non lo imitò.
 
«Non ti piace leggere», chiese, con una punta nella voce che pareva di delusione. Anzi, ripensandoci, forse non era affatto una domanda.
 
«Scherzi? Certo che no!», rincarò il riccio cobalto. «I libri sono noiosi... e io non sopporto quando mi annoio!»
 
Ecco, finalmente erano arrivati a un altro punto tra quelli che gli premeva toccare: ora era proprio curioso di sapere come avrebbe risposto Zephir.
 
«Hai letto soltanto quelli obbligati dalla prof?», si informò Zephir con un tono privo di qualsiasi emozione.
 
«A volte manco quelli!», sghignazzò Sonic. «Però mi sono bastati. Non ho mai conosciuto niente di più noioso dei libri!»
 
Non era proprio vero, si rimproverò: in realtà aveva provato, qualche anno prima, ad arrampicarsi su una sedia e a sfilare dalla piccola libreria di suo zio alcuni libri di botanica, zoologia e di altri argomenti riguardanti la natura. Gli era anche piaciuto guardare le illustrazioni colorate e si era divertito a scoprire i nomi scientifici di piante e animali. Però non era di quei libri che parlava il suo amico: Zephir si riferiva ai romanzi e... be’, di certo ricordava con piacere anche le favole della buonanotte che lo zio Chuck gli raccontava da piccolo, ma ormai credeva di essere diventato troppo grande per storie come quelle. No?
 
«Come puoi saperlo se hai letto solo i libri per le vacanze?», chiese a quel punto Zephir, ora un pelo alterato. «I libri sono bellissimi. Ce ne sono anche di noiosi, è ovvio, ma per fortuna non sono tutti così!»
 
«Tra tutti quelli che ho letto, non ce n’era uno che fosse quantomeno decente!», insisté Sonic, ostinato.
 
«Se li leggi perché sei obbligato a farlo, te lo credo che li trovi noiosi!», spiegò Zephir. «Ma se iniziassi a leggere per conto tuo scopriresti che ce ne sono un sacco di bellissimi che aspettano solo te!»
 
«È perché dovrei?»
 
«Perché sono belli! Perché fanno sognare e vivere mille avventure!»
 
«Io ne vivo già abbastanza, di avventure.»  Sonic era alquanto scettico e deciso a non lasciarsi convincere.
 
«Ah sì?» Zephir lo squadrò con aria furbetta. «Sei mai stato trasportato da un libro in un mondo fantastico dominato dall’oscurità?»
 
La sua risposta lo lasciò a bocca aperta e con un sopracciglio alzato: «Ma cosa vai farneticando? È impossibile!»
 
Zephir non stette nemmeno ad ascoltarlo: «Oppure hai mai viaggiato fino al centro di Mobius? O volato oltre le nuvole fino a un’isola sperduta?»
 
«Centro di Mobius? Isola tra le nuvole? Ma dico, ti senti bene?»
 
«O ancora incontrato un gatto blu capace di evaporare? O combattuto su una nave di pirati? E sei mai stato trasformato in un asino e poi inghiottito da una balena?»
 
Sonic decise che era il caso di fermarlo, prima che si mettesse a raccontare, magari, che gli gnomi di coccio del suo giardino durante la notte prendevano vita e facevano l’idromassaggio a suon di scorregge nella vaschetta d’acqua degli uccellini.
 
Ma che diavolo gli è preso?
 
«Ok, hai vinto tu!», si arrese, alzando le mani in segno di sconfitta. «Parlavo di avventure normali, mica di assurdità come quelle...»
 
«Non sono assurdità!», protestò Zephir. «Io quelle avventure le ho vissute!»
 
A Sonic sfuggì una risata: «Certo... Nei tuoi sogni, forse.»
 
«No, non nei miei sogni: nei libri che ho letto!», spiegò Zephir, che stava iniziando a spazientirsi.
 
«E tu vuoi farmi credere di aver vissuto sulla tua pelle tutte le stupidaggini che andavi dicendo poco fa?»
 
«Sulla mia pelle no, ma le ho vissute lo stesso. Nei miei pensieri. Sulle ali della fantasia.»
 
Sonic rinunciò a spiegargli che la fantasia propriamente detta non era certo un gabbiano o un passerotto, e come tale non possedeva di sicuro le ali: ormai era partito troppo per la tangente, e non sarebbe riuscito a riportarlo sul seminato nemmeno assecondando le sue strampalerie.
 
«E va bene. Ammettiamo pure per un attimo che esistano le isole sulle nuvole, oppure i gatti che evaporano o quelle altre cose là: a che servono? In fondo sono solo delle st...» Esitò per un attimo, cercando una parola che non ferisse i suoi sentimenti. «... semplici storie senza un briciolo di realtà!»
 
«Lo saranno», ammise Zephir. «Però mi permettono di fantasticare, di immaginare degli altri mondi più interessanti di questo!» Quindi lo guardò fisso negli occhi: «Tu non ci hai mai provato? Non pensi mai a delle avventure che possano farti dimenticare, per un attimo, quanto la tua vita di tutti i giorni sia noiosa?»
 
Sonic rimase in silenzio: certo che lo faceva, anzi... forse era l’unico modo che gli permetteva di non impazzire, perché gli consentiva di dimenticare, per pochi minuti, tutti i suoi problemi. Tuttavia era sempre più convinto che sognare a occhi aperti fosse considerata una cosa infantile, quasi da minorati mentali per uno della sua età... perciò lui continuava a farlo, ma senza farne parola con nessuno nemmeno sotto tortura.
 
Era senz’altro bello scoprire di non essere l’unico ragazzino sulla faccia della terra che amava fantasticare, ma il suo amico lo stava seriamente preoccupando: non lo allarmava il fatto che amasse leggere (poteva essere un passatempo come un altro, a pensarci bene), ma che avesse la testa piena di quelle cose senza senso e che, ancora peggio, fosse convinto che si trattasse di cose reali. Per quel che ne sapeva, confondere la fantasia con la realtà era un biglietto di sola andata per le cosiddette “case dei matti”: quel posto dove andavano a finite tutti gli animali con le rotelle che non giravano nel verso giusto. E lui doveva impedirglielo assolutamente.
 
«Sì che lo faccio», rispose quindi con un’aria truce. «Ma almeno io so quando è ora di smettere.»
 
«Se sapessi cosa significa, non mi tratteresti come se avessi le rotelle fuori posto», mormorò Zephir, ora chiaramente deluso.
 
«Che significa “cosa”?»
 
«Quanto è bello leggere! Fare dei viaggi impossibili, incontrare amici bizzarri e magari combattere al loro fianco!», fu la risposta. Per il suo amico era ovvio, a quanto pareva.
 
«E soprattutto vivere ogni volta un’avventura nuova!»
 
Si interruppe vedendo che Sonic lo fissava con un misto di incredulità e di ribrezzo negli occhi.
 
«Scusami... pensavo che potessi capire», sospirò. «Io non posso vivere tutte le avventure che voglio, mentre tu... forse è per questo che non ti piace leggere: forse la tua vita è già da sola più appassionante di qualunque libro...»
 
Sonic non rispose, anche se non era del tutto d’accordo: in realtà la sua vita era molto meno avventurosa di quanto gli piacesse far credere a se stesso e agli altri. Anzi, in alcuni giorni la trovava addirittura noiosa. Certo era emozionante poter correre a tutta velocità, ma la vita del Sonic fittizio dei suoi sogni ad occhi aperti era un’impresa continua... a differenza della sua, in cui non succedeva mai niente di nuovo.
 
Ancora una volta, però, Zephir non ebbe la pazienza di attendere che i suoi pensieri accavallati trovassero un ordine e potessero essere esternati.
 
«Scusami», ripeté ancora una volta con aria colpevole. «Non ti ho invitato qui per litigare, te l’ho detto... ma forse un po’ è vero che siamo diversi...»
 
Forse troppo, non poté fare a meno di concludere Sonic nella sua mente. Nemmeno lui aveva accettato di venire al campo per litigare, anzi. Però si rendeva bene conto che la pensavano in modo diverso su molte cose. Il fatto che Zephir parlasse e ragionasse in un modo molto più adulto della sua età, poi, non lo aiutava.
 
Comunque, in un modo o nell’altro, sarebbero riusciti a superare le difficoltà, ne era sicuro. Dopotutto non poteva certo pretendere che lui e il suo amico la pensassero esattamente allo stesso modo su tutti gli argomenti possibili, anzi: il mondo era bello perché era vario, come gli ripeteva sempre lo zio Chuck.
Fino a quel momento, però, doveva ammettere che le cose non erano filate troppo bene.
 
«E la vecchia Aegolius come ti è sembrata?», azzardò, sperando che finalmente quello fosse un argomento su cui potessero intendersi.
 
Zephir sorrise: «Vecchia», replicò, mentre il suo viso tornava a illuminarsi. Poi pensò bene di rincarare la dose: «E poi sempre nervosa, e anche bisbetica. Perfettamente odiosa, in poche parole!»
 
«E sclerotica, non scordarlo!», lo redarguì bonariamente Sonic.
 
Zephir annuì: «Sembra che insegnare le faccia schifo, e che per vendicarsi ci tratti come se la colpa fosse nostra!»
 
«Esatto!», concordò Sonic. «E poi le servirebbe proprio una flebo di camomilla concentrata! Per ora non l’ha ancora fatto, ma scommetto che presto ricomincerà a chiamarci “cari i miei organi vestigiali”!»
 
«E che diavolo sono?», sghignazzò Zephir.
 
«Penso che siano quelle parti del corpo che col passare del tempo non servono più e pian piano scompaiono... Credo sia tipo la coda in certi animali, ma non ne sono sicuro!», spiegò Sonic.
 
«Questa poi non l’avevo mai sentita!», esclamò Zephir, che ormai si teneva la pancia a furia di ridere.
 
«Una così può essere solo schizzata, non trovi?»
 
«Assolutamente!»
 
Sonic si stupì pensando a quanto si stava divertendo, in quel momento, a ridere insieme a Zephir: se solo poco prima avevano rischiato di mettersi a litigare, in quel momento sentiva verso di lui una complicità che non aveva mai provato per nessuno.
Non era poi così male avere un amico con cui poter scherzare, anzi: avrebbe volentieri continuato ancora a lungo a scimmiottare i modi di Miss Aegolius e degli altri professori, se solo i sette rintocchi del campanile del paese non gli fossero giunti alle orecchie.
 
«Cavolo...», mormorò con disappunto, mentre consultava il suo orologio che, d’accordo col campanile, confermava il triste fatto: era ora di incamminarsi verso casa. Mancava poco al tramonto, e anche se non credeva più da un pezzo ai racconti di suo zio riguardo a un fantomatico riccio mannaro (o, in altre versioni, un misterioso vampiriccio) che rapiva i bambini per poi divorarli con calma nella sua caverna fatta di scheletri di animali spolpati, non era comunque una buona idea rimanere fuori di casa con il buio pesto che regnava da quelle parti di notte.
 
«Io devo rientrare», comunicò quindi a Zephir, iniziando a radunare ciò che rimaneva della loro merenda.
 
«Certo, anche io», assentì Zephir. Forse mamma Hérisson aveva optato per storie meno spaventose di quelle di suo zio, ma a quanto pareva la regola del coprifuoco valeva anche per lui.
 
Ad ogni modo c’era tempo: il sole era ancora abbastanza alto nel cielo, e bene o male avrebbero avuto almeno un’altra mezz’ora abbondante per avviarsi con comodo e arrivare a casa prima ancora che iniziasse a sparire dietro le colline.
 
«Avevi ragione l’altro giorno.»
 
La voce di Zephir interruppe i suoi pensieri.
 
«Cosa?»
 
«Hai detto che più una cosa è divertente, più sembra che passi in fretta», spiegò il riccio azzurro, guardando il prato intorno a sé con nostalgia, come se non volesse separarsi mai più da lui e volesse conservarne un ricordo vivido. «È proprio vero... anche se è un pochino triste.»
 
«Già», annuì Sonic, e gli venne da pensare che era da tanto, ma veramente tanto tempo che un pomeriggio non gli volava così velocemente. Certo, quando veniva al campo da solo, era capace di correre per ore senza fermarsi e perdendo ogni volta la concezione del tempo... ma non si ricordava di essersi mai divertito a quel modo senza nessuno insieme a lui.
 
Era bello da pensare, naturalmente, ma anche bizzarro: possibile che l’amicizia per qualcuno potesse regalargli così tanto?
 
Continuarono a chiacchierare e a scherzare anche sulla via di casa, procedendo l’uno di fianco all’altro, e Sonic si stupì no poco constatando che il lungo tratto che avevano percorso all’andata non gli era mai sembrato, al contrario, così breve. Allora era vero che, in compagnia di un amico, il tempo passava molto più velocemente, persino troppo?
 
Sapeva bene che si trattava di una sua impressione... però quando giunsero al cancello che delimitava il parco, Sonic scoprì di sentirsi terribilmente triste. Ma la sua non era la solita tristezza, quella che provava ogni volta che si svegliava dai suoi incubi e pensava ai suoi genitori che non c’erano più… era una tristezza strana: gli stringeva il cuore, come sempre, eppure era tutto sommato piacevole. Perlomeno portava con sé una certezza: quella che l’indomani Zephir sarebbe stato ancora seduto vicino a lui, e che avrebbero potuto incontrarsi anche nei giorni a venire.
 
«Ci vediamo domani, Sonic?»
 
Capì che doveva essersi, un’altra volta, perso nei suoi pensieri, perché la voce di Zephir lo riportò alla realtà con violenza.
Si trovavano all’ingresso del parco, proprio davanti alle altalene, ora abbandonate, che gettavano sull’erba ombre lunghe e sottili.
 
«Sì, certo, domani…», rispose, riscuotendosi.
 
Zephir annuì, mentre dirigeva la carrozzina verso la direzione da cui, quel pomeriggio, era arrivato. «Grazie, Sonic, mi sono divertito tanto!», esclamò poi, regalandogli un sorriso luminoso, con gli occhi azzurri che brillavano nella penombra della sera.
 
«Anch’io», mormorò a sua volta. No, non c’era niente da fare: era impossibile resistere a un sorriso del genere. 
 
Restò a guardarlo quasi imbambolato, mentre il suo nuovo amico (com’era strano anche solo pensare a quella parola… strano, ma bello!) gli dava infine le spalle e iniziava a spingere la sua carrozzina lungo la via. Quando era già abbastanza lontano, però, voltò di nuovo il capo e gli sorrise.
 
Sonic non si era ancora mosso dalla sua posizione, e non poté fare a meno di ricambiare, un pelo imbarazzato, chiedendosi cosa fosse mai quella fitta che gli premeva sulla pelle da sotto lo sterno… Tristezza, forse? Possibile che si sentisse così a pezzi al pensiero di dover lasciare Zephir dopo un intero pomeriggio trascorso insieme a lui? Eppure lo sapeva, si sarebbero rivisti il giorno dopo a scuola: ma allora perché la separazione si stava rivelando così difficile.
 
Distolse lo sguardo prima che il suo corpo si concedesse reazioni di sicuro imbarazzanti (per esempio, ritrovandosi in lacrime) e corse lontano, con il riflesso delle iridi celesti del suo amico ancora impresso negli occhi… che, stranamente, si sentiva scottare come se avesse la febbre.
 
*       *       *
 
«Allora? Com’è andata?», fu la prima cosa che lo zio Chuck gli domandò, senza nemmeno lasciargli il tempo di posare un piede dentro casa.
 
«Abbastanza bene», replicò mestamente Sonic, già mettendosi in guardia da un eventuale abbraccio spacca-ossa, che tuttavia non arrivò.
 
«Ah, per mille ricci arricciati! Ne ero sicuro!», esultò lo zio, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
 
Sonic vide la mano di Chuck calare su di lui e si preparò a ricevere l’ennesima esuberante (e dolorosa) manifestazione d’affetto… e invece lo zio si limitò a tirargli un pugnetto amichevole sulla spalla sinistra. «Lo sapevo che ci saresti riuscito!»
 
Il giovane porcospino si concesse un sorriso stanco.
 
«E dimmi…», continuò. «È stato così faticoso come temevi? Voglio dire trascorrere un pomeriggio al passo di un amico che non può correre, camminando insieme a lui…»
 
«No… non lo è stato», rispose Sonic, e si stupì di quanto si fosse rivelato semplice ammettere una cosa che solo poche settimane prima avrebbe giudicato totalmente fuori da ogni rigor di logica.
 
«Sapevo che ne saresti stato capace, ne ero assolutamente certo!», proseguì lo zio in preda all’entusiasmo, ma poi parve accorgersi di stare, come al solito, esagerando con i suoi attacchi di euforia. Perciò chiuse la porta e invitò il nipote in salotto, dove la televisione stava ciarlando a basso volume; si sedette sulla poltrona lasciando che il giovane riccio si sedesse accanto a lui e gli circondò le spalle con un braccio.
 
Sonic gli appoggiò la testa contro il petto, sentendosi improvvisamente addosso tutta la stanchezza di quella giornata.
 
«Allora, ne è valsa la pena sì o no?», gli mormorò lo zio Chuck in un orecchio.
 
«Sì, credo… credo di sì», replicò Sonic, sorridendo.
 
«E lui come pensi che l’abbia trovato, questo pomeriggio insieme?»
 
«Penso che sia piaciuto anche a lui.»
 
Anche se credo che esistano ben poche cose al mondo che non gli piacciono!, disse Sonic tra sé e sé. In effetti, Zephir era di gran lunga la persona più ottimista e allegra che avesse mai incontrato… ma avrebbe potuto scommetterci che persino per lui una giornata così piacevole non capitava da tanto tempo.
 
Lo zio non rispose, ma quando alzò lo sguardo verso il suo muso si accorse che quasi aveva gli occhi lucidi, in un misto di orgoglio e di commozione.
 
«Sono fiero di te, figliolo. So per certo che sei riuscito a regalargli un giorno fantastico. L’ho sempre saputo che eri troppo in gamba per non riuscirci!», riprese a lodarlo, mentre continuava a passargli una mano tra gli aculei ribelli.
 
Sonic sorrise, mentre chiudeva gli occhi e si lasciava coccolare senza opporre resistenza.
 
Grazie a te, zietto.
 
Avrebbe voluto volentieri che quelle parole prendessero la via della bocca e venissero esternate in modo che anche Chuck potesse sentirle, ma esse si limitarono a rimanere semplici pensieri. Era l’orgoglio che glielo impediva? O era piuttosto una sorta di timidezza, che a quanto pareva negli ultimi tempi lo perseguitava piuttosto di frequente?
 
Eppure lo sapeva che, se non fosse stato per lo zio Chuck, lui non avrebbe scoperto che gli piaceva così tanto passare del tempo con Zephir. Perché allora non riusciva ad ammetterlo del tutto, persino a sé stesso?
In quel momento, però, si sentiva davvero troppo stanco per riflettere in modo logico e sensato: forse l’indomani ci avrebbe capito qualcosa, anche se si trattava dell’ennesima prova che Zephir avesse un effetto portentoso su di lui.
 
Perciò ritornò nella sua camera, stupendosi lui stesso per tutto il sonno che si sentiva addosso. Sbadigliando e sentendosi le palpebre pesanti come macigni, si tolse le sue lucenti scarpe rosse e bianche e si infilò sotto le coperte… e come tante altre volte lo sguardo gli cadde sulla grande finestra che interrompeva la parete: parte della distesa di erba verde su cui aveva camminato poco prima insieme a Zephir era proprio lì, davanti a lui. Ora l’oscurità vi aveva gettato un velo color blu scuro, ma era ancora in grado di distinguerla bene.
 
Era stata senz’altro la prima volta che la vedeva “al rallentatore” e non a tutta velocità; la prima volta in cui, bene o male, era stato costretto a osservarla da vicino, in ogni dettaglio, senza vederla scorrere rapidissimamente intorno a lui.
 
Però non gli era affatto dispiaciuta, anzi. Forse lo zio aveva ragione: forse era a tal punto abituato alla frenesia che caratterizzava la sua vita da finire inevitabilmente per perdersi la maggior parte dei dettagli – piccoli ma non per questo insignificanti – che la rendevano così bella. E, ancor più strano a dirsi, sentiva dentro di sé la voglia di riprovarci, di godere almeno per un altro po’ qualche ora di tranquillità. Insieme a Zephir, naturalmente.
 
Sì, forse camminare non era poi una condanna così insopportabile come aveva creduto fino a poche ore prima, dopotutto: questo fu il suo ultimo pensiero prima che le sue palpebre cedessero del tutto alla stanchezza… e per la prima volta dopo tanto tempo, quella notte Sonic dormì un sonno del tutto tranquillo.


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Buondì ciurma, come butta? :)
Come avete potuto vedere, con questo capitolo si entra finalmente nel vivo della storia. Filerà tutto liscio tra Sonic e Zephir, ora che sono diventati amici? Oppure ci sono ancora delle sorprese in serbo per loro? Lo scopriremo nella prossima puntata! xD

PS: avete capito chi sono il "riccio mannaro" e il "vampiriccio", vero? :D

  
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