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Autore: GenGhis    22/08/2013    2 recensioni
Questi racconti nascono principalmente da molto tempo libero, uniti ad una notevole capacità di elaborare idiozie e trascriverle su carta. Non mi andava di dover scrivere sempre le stesse cose, quindi non c'è un vero e proprio tema che accomuna queste storie. Solo, appunto, tanto tempo libero e la stessa penna.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Racconto 9
Cecità

* * *



Pare che nel mantenere un segreto convivano sempre due impulsi discordanti: da un lato, la paura di svelarlo; dall’altro, l’ignaro desiderio di condividerlo. Non tutti i segreti riguardano la coscienza; per alcuni confidare un segreto non ha alcun effetto benefico, ma il solo scopo di attestare che una certa cosa è accaduta davvero, perché se non c’è nessuno a testimoniare, è come se non fosse successo niente - ed ecco che celare un segreto e confessarlo hanno la stessa radice, agire sulla realtà, prima deformandola e poi serbandola dall’oblio. Per quel che mi riguarda, non ci sono fatti da dimostrare né ci saranno mai amnesie a cui sottrarsi, ma tenterò di sintetizzare così il mio: io non riesco a cogliere la bellezza dei muscoli in movimento, né lo splendore di un amore giovanile, né la tristezza nella morte.
Scoprii la mia natura tempo fa, ma in franchezza sento di averlo sempre saputo. Da quel bacio greve nel sottoscala, dalle sue labbra socchiuse che schiudevano le mie, sono passati otto anni, e anche allora, stringendo il suo corpo vibrante contro il mio, inerte, mentre sentivo il sapore agro della sua saliva e i tremiti del suo petto, mi sembrava di tenere fra le mani un pesce vivo, viscido, che scivolava via dalla mia presa anodina e si dibatteva sul mio volto inespressivo. Percepivo l’eccitazione di lei, ma di quel contatto umido ed estenuante, consumato nel crepuscolo di una lampadina nuda sopra le nostre teste intrecciate, ricordo solo il battito lento, abulico del mio cuore indolente, e l’assoluto senso di desolazione delle mie dita flosce attorno alle sue, calde e piene di passione.
Mi staccai da lei, e mi passai il dorso della mano sulla bocca. Non volevo respingerla, ero avvinto dal suo spirito intemperante e dal suo aspetto sottile, ma quello che ai suoi occhi era stato un bacio ardente e salace, ai miei un’aderenza di labbra su labbra, uno scambio di respiri e un masticare l’uno la lingua dell’altro, avviluppati nell’abbraccio ardimentoso in cui mi aveva accolto. La sensazione di essere immobile come una statua di sale mentre lei bruciava del desiderio di toccarmi ancora mi travolse, ed ero indifferente, anche se afflitto dalla mia apatia, quando ci provò. Le sue dita mi sfiorarono i sensi, vigili, messi a nudo sulla mia cute innervata, e anche se indotto a nuove sensazioni dal suo tocco, non riuscivo a scorgere alcuna armonia nel nostro contatto: ero diventato cieco - o forse lo ero sempre stato - e una visione di noi due, annerita come una fotografia bruciata, mi riempì gli occhi.
Quello scatto di noi, due corpi avvinghiati sotto un cono verticale di luce gialla, continuo a portarlo con me, sebbene detesti ricordare: scruto quel volto bronzeo ed imberbe, il naso volitivo in parte nascosto dai capelli di lei, sciolti su di me, e nei miei occhi scuri, torvi, che fissano qualcosa oltre l’occhio del faro in cui siamo imprigionati, leggo il senso di vacuità che provai quel giorno, e che da allora mi perseguita. Voglio custodirci così, un attimo prima che lei sollevi il suo sguardo fermo su di me e mi dica, risoluta: “Ti amo, tesoro mio, ti amo e ti amerò per sempre”.
Qualcosa s’incrinò in me; una molla scattò e riportò il buio dove fino ad un attimo prima aveva danzato la luce, un silenzio asettico dove aveva infuriato il caos. Da allora, io so di essere un guscio vuoto, un grembo sterile e inaridito. A volte sento come se il mio corpo fosse pieno d’acqua: percepisco sotto la pelle la presenza di un abisso plumbeo ed insondabile, dove ogni eco si dilata e galleggia in superficie. Ogni suono immergendosi si disperde, e niente arriva del mondo esterno nella cavità, immersa nel silenzio fluttuante ed ovattato nella profondità del mio petto, dove regna il vuoto che ho al posto del cuore.
“Ti amo, tesoro mio, ti amo e ti amerò per sempre”: sono passati otto anni, e ancora queste parole universali non hanno smesso di attrarmi, di esercitare su di me un fascino sfrenato ed implacabile. Io so di essere un uomo incompleto: parlare d’amore, per me, è come leggere una poesia astrusa e violenta, e rimanerne annientato; è come un formicolio tormentoso a qualcosa che dovrebbe esserci, e invece non c’è; è l’orrenda sensazione di mancanza, quando brucio di desiderio e vorrei poter avere una donna, ma so già che non potrei darle ciò che cerca. Fantastico di riuscire ad averne una, sirenica e flessuosa, la cui pelle profumi di mandorle come immagino sappia il corpo nudo di una di loro, e quando l’immagine diventa talmente concreta da indurmi al parossismo del piacere, le parole ti amo, così reali per chiunque, così ermetiche per me, riappaiono a infrangere l’idillio.
Non ne ho mai parlato con nessuno, né mai lo farò. In questo mondo non esiste pietà per chi è come me, perché nessuno può davvero comprendere il mio tormento - come io non posso comprendere molti aspetti della vita ordinaria, che mi sono sempre stati negati. Il mio cuore, immobile, pulsa per inerzia, e ogni mia emozione è cerebrale, arida e fredda come una formula matematica; pertanto non conosco la paura, anche se già so che vivrò in isolamento, né il dolore, sebbene non ci sia modo per sfuggire a quello che sarà il mio futuro. L’arte, talvolta, riesce a penetrare nel mio animo e allora, quasi in un raro momento di lucidità, mi sembra finalmente di provare dispiacere per il mio destino, e sono lampi elettrici in una notte densa e impenetrabile, e sono colpi feroci che mi strappano al mio torpore.
È solo una dolce illusione, e in sincerità non credo che le parole di altri uomini possano avere questo effetto miracoloso su di me. Ho riflettuto a lungo, e credo che la mia mente, nel disperato tentativo di salvarmi dalla mia ragione insonne, si sforzi di imitare gli effetti di ciò che trovo scritto sui libri: la mia sofferenza non è che un clone, il mio pianto duplicato e poi sdoppiato in centinaia di lacrime incolori, e questa stessa confessione, senza significato per me, è solo una cosa finta, copiata, che non ha altro scopo se non quello di vivere, almeno nella simulazione, nell’arte, nella poesia. 


Questa storia partecipa al contest Insegreto di Shizue Asahi, ed è ispirata del seguente segreto ##30549 “I miei parenti insistono affinché io faccia nuove conoscenze, soprattutto nuove ragazze perché non sono mai stato con nessuna. Sono vergine e mi sento etero (i video porno gay su internet mi fanno schifo) quindi non sono omosessuale. Il punto è che non sento il bisogno di stare con qualcuna. Mi masturbo molto e questo mi basta per essere soddisfatto sessualmente...”
  
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