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Autore: Shizuru117    09/10/2004    1 recensioni
Una mia vecchia fanfiction, riscritta e riadattata...In un mondo diverso dal nostro, dove ci sono segreti nascosti, la vita di una ragazza diversa...
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9

UNA NUOVA VITA, UNA NUOVA ALBA.

 

La mattina successiva sembrava aver spazzato via i ricordi della sera che, inequivocabilmente, nessuno dei quattro ragazzi sarebbe riuscito a dimenticare. Era stato tutto così strano ma, al contempo, era come se fossero diventati consapevoli di una realtà che, fino a quel momento, non li aveva nemmeno sfiorati. E’ pur vero che non esiste alcuna persona che prova a vedere i fatti sotto una luce diversa, sotto dei punti di vista diversi. Analogamente, anche i galerians non si erano mai resi conto di cosa voleva veramente dire essere una vittima, delle volte uccisa con la più spietata freddezza. Era come se Adhara gli avesse donato qualcosa, come se gli avesse donato una parte di stessa.

 

Quest’ultima si alzò piuttosto di buon ora, quando non era ancora giunta l’alba. Riusciva a sentire che dentro di lei qualcosa stava cambiando. Per la prima volta, dopo lunghi anni, si era destata da sola e gli incubi che sognava perennemente ogni notte erano spariti. Sapeva di aver condiviso con gli altri una parte importante di sé e, con tutte le emozioni che vorticavano nella testa, non riusciva a rendersi conto se, in realtà, era sollevata oppure angosciata. Paura, sicurezza, dolore, gioia, tristezza, consapevolezza. Il suo cervello, in quel momento era un’insieme di tutte queste cose.

 

Indecisa su cosa fare, si indirizzò verso il piccolo e sudicio balcone. Affacciandosi, vide la vita cittadina che si stava svegliando dal suo pacifico sonno. Pian piano, tutti gli esseri umani, per loro natura frenetici ed irrequieti, cominciavano ad andare al lavoro, sebbene fosse ancora buio. Ma le strade erano così diverse da come le si potevano vedere di giorno. Per la prima volta, dopo tanto tempo, si fermò ad osservare ciò che la circondava.

 

Vide le luci dei palazzi adiacenti che, a mano a mano, si accendevano. Sulle strade, prima vuote e pericolosamente silenziose, cominciavano a riversarsi i lavoratori. Una leggera brezza sembrava ripulire l’aria pesante e satura di smog che caratterizzava l’intera Michelangelo City. Per un momento, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò del suo periodo passato all’orfanotrofio. Fu sorpresa, sapeva bene che i galerians creati da un corpo umano non avevano ricordi però arrivò tutto senza il minimo preavviso.

 

Ricordò i campi verdi spazzati dal vento, le tre vecchie sequoie che sembravano osservarti dall’alto della loro imponenza. Il sole che ti accarezzava dolcemente la pelle, mentre eri fuori a giocare. Sebbene la sua non fosse stata un’infanzia felice, riusciva a ricordarsi soltanto i momenti piacevoli passati in compagnia delle suore. Era come se la scatola rossa dei suoi ricordi si fosse aperta su una pagina scritta in bella grafia, dove c’erano disegnati delle belle margherite.

 

D’un tratto provò un’infinita tristezza. Da quando abitava in città, non si era più potuta fermare ad osservare le meraviglie che la natura offriva. Non si era più emozionata nel vedere un tramonto, odiava la neve e non le interessava vedere il cielo blu di una giornata estiva, tappezzato qua e là di candide nuvole bianche.

 

Quando il sole cominciò a sorgere, segnando l’inizio di un nuovo giorno, Adhara alzò gli occhi. Tutto il suo viso era circondato da un’aura di placida tranquillità e i suoi capelli biondi, con la luce, avevano assunto degli splendidi riflessi dorati. Talmente belli che potevano sembrare irreali, talmente flessuosi da apparire come un cuscino di morbide piume. I suoi occhi blu come il mare risplendevano e, allo stesso tempo, infondevano speranza. Non sembrava più la malinconica e irritante Adhara, ma appariva quasi come una visione, come quella di Venere che nasce dalle acque. Delicata al punto di poterla rompere anche solo sfiorandola.

 

“Ben svegliata, sorella mia.” Disse Alhena, sorridendole dolcemente.

 

“Da quanto sei qui?” Le domandò l’altra, continuando a fissare il vuoto.

 

“In fondo, ha così importanza saperlo? Quello che conta non è sapere da quanto…ma come sono stata qui. Si appoggiò al ballatoio. “Ti do fastidio, se guardo il sole assieme a te?”

 

Fece cenno di no con la testa. Rimasero per alcuni minuti così, l’una accanto all’altra, mentre quella grossa palla gialla che era il sole, lentamente, si stava alzando dallo zenit. Alhena chiuse gli occhi, cercando di scacciare il freddo mattutino che, lentamente, si impossessava delle sue membra.

 

“Ti ricordi?” Esordì allora Adhara.

 

Cosa?” Chiese, incrociando le braccia al petto.

 

Anche quel giorno c’era un’alba così bella. Così bella da togliere il fiato. Ma quell’alba, per noi, avrebbe significato smettere di esistere, smettere si esistere come persone, come esseri umani. Nessuna di noi sapeva se avrebbe visto il tramonto, se sarebbe giunta la notte eterna. Ma forse, se siamo ancora qui, qualcuno lassù in cielo non si è dimenticato della nostra vita. Perché, in fondo, al mondo ci siamo anche noi due.

 

Lo sguardo di Alhena diventò improvvisamente mesto. Sapeva bene a cosa faceva riferimento la sorella. Si ricordava, come se fosse stato ieri, cosa era successo in quella piovosa mattina di dicembre. Lei ed Adhara erano scappate dall’orfanotrofio e, dopo tanto vagare, erano giunte alla conclusione di dire basta a quella squallida vita che facevano. Quella mattina avevano deciso di diventare galerians, per dimenticare quello che era e quello che sarebbe stato.

 

“Non potrei mai dimenticare. Quel giorno, che noi chiamavamo ‘avvenire’, è diventato la mia persecuzione. Da un po’ di tempo mi capita di riflettere a questo proposito e, ogni volta, giungo alla conclusione che sarebbe stato meglio morire piuttosto che diventare quella che sono. In fondo non rimpiango le mie scelte, perché quando le ho fatte ero sicura, ma se prima di farle avessi saputo…magari il mio futuro sarebbe stato diverso. Abbassò la testa, spostando alcuni ciuffi di capelli dagli occhi.

 

“Io non credo che sia così. A quel tempo eravamo due ragazzine che si chiedevano cosa aveva da offrire il mondo. E, per quanto ci sforzassimo, la risposta era sempre la stessa: niente. Questo mondo continua a non offrirci niente di veramente concreto, ma ci siamo guadagnate un posto in esso. Con sangue e sudore.”

 

“Forse hai ragione.” Sospirò, sorridendo. “Però vorrei tanto non essere mai diventata la bestia che sono.”

 

Anche io Alhena, anche io vorrei tanto non essere diventata così. Perché, prima di diventare un galerian, io non ero così dannatamente cinica e fredda. Dalla sua voce emergeva tutto l’odio che poteva provare per Nova, per quella macchina che non aveva fatto altro che darle una vita di schiavitù, dove l’unico dono era quello di adorarla e servirla. Improvvisamente, sentì la mano di Alhena sulla sua spalla.

 

“Questa…è la nostra alba. Ogni giorno mi sento bene nel sapere che qualcuno ha creato tutto questo, tutta questa incredibile meraviglia. E se dobbiamo lottare per qualcosa che non sia la nostra missione, allora lottiamo per questo mondo, perché qualcuno non faccia lo stesso errore che abbiamo fatto noi. Ricordati, Adhara, che anche se non lo dico spesso, ti voglio bene. Sorrise, poi le diede un bacio sulla guancia.

 

Anche io ti voglio…bene, sorella mia.” Ricambiò quel semplice gesto con tutto l’affetto di cui era capace.

 

Erian aveva assistito a tutta la scena. Si era svegliata presto perché desiderava andare in biblioteca a cercare qualche informazione sulla Straub High School e, passando davanti al balcone, le aveva viste. Non sapeva perché si era fermata ed aveva ascoltato ma, sentire quelle parole uscire dalle loro labbra, l’avevano resa irrequieta. Loro, che più di chiunque altro, erano famose per la loro crudeltà, erano in realtà due semplici sorelle capaci di emozionarsi di fronte ad una stupida alba? Andò via, cercando di scacciare quei brutti pensieri che, inconsciamente, avevano già preso posto nel suo cuore.

 

CONTINUA…

  
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