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Autore: ChocoCat    23/08/2013    0 recensioni
Come raccontare un amore mai nato?
Ho capito la passione che votavo alla nostra relazione; non solo mi piaceva parlarti, ascoltarti, condividere le risate con te, ma il tuo fisico atletico, il tuo viso a spigoli morbidi, perfino quei tuoi capelli da istrice mi piacevano.
Per non parlare dei tuoi occhi. Non avevo mai visto una sfumatura di cioccolata così perfetta. Gli aghi verdi che ne emergevano non facevano che abbellirli; un concentrato puro di seduzione dagli effetti devastanti su di me. Eppure la luce dei tuoi occhi non era data dalla loro bellezza; emanavano un calore e una passione che non avevo mai scorso in nessun altro. Tu mi piacevi per quello.
Parlavi con gli occhi, combattevi con gli occhi, seducevi con gli occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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PS: di nuovo consiglio vivamente di ascoltare la canzone riportata, qui si tratta di Love Pollution, dei Feeder: https://www.youtube.com/watch?v=AVkzZr30voA

Ecco, come promesso, il secondo capitolo di questa prima settimana.

 

 

Spero che qualcuno di voi apprezzerà questa storia.

Spero di esprimere sotto la sua “cuticola”, che sa di vecchi amici (per voi che amate HP) e magia, quanto ci sia di vero.

In ogni parola scritta c’è tutto il mio cuore, tutto il mio rimpianto.

 

 

Non esitate a darmi il vostro parere.

 

Con affetto,

 

.ChocoCat.

 

 

 

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Crossing bridges over water

A new reflection creeping in

 

Got your head so full of traffic

The love pollution's setting in

FEEDER

 

 

 

 

 

 

 

 

 

II

 

 

Sono sempre stata fedele a me stessa. Una persona con idee semplici, chiare. Crescendo poi ho capito quanto quello che dicevo suonasse stupido nelle orecchie degli altri.

 

A quindici anni ero una ragazza piuttosto serena, spesso mi instillavo coraggio da sola per l’inspiegabile paura che mi faceva il mondo.
Volevo fare così tante cose che mi perdevo nei miei pensieri e finivo per lasciarmi scoraggiare, schiacciata dalla mia incapacità di scegliere.
Tu eri come me.

 

Eravamo a scuola insieme da qualche anno, non ti avevo notato. Si, certo, ti conoscevo.

Ragazzo scalmanato, facevi parte di quella fetta di Hogwarts che vive per creare caos.

Ti trovavi bene con i miei fratelli, infatti; io avevo Luna, la mia più grande amica.

 

Eri bello già allora, ma io non ti guardavo.

La tua pelle, tesa sullo zigomo chiaro e vellutato, una pelle di bambino, non chiamava il palmo della mia mano, e no… il tuo sorriso non mi faceva stringere il cuore.

Non ancora.

È con orrore che mi chiedo come reagiresti sapendo queste cose.

Se solo tu potessi leggermi…

 

Era appena finito il quarto anno, quando ci siamo avvicinati. È stato per caso.

Non ricordo con precisione quando ho cominciato a pensare che tu potessi essere un amico per me, un amico speciale.

 

Forse era una gita a Hogsmeade, ai Tre Manici di Scopa, in cui gli amici in comune ci hanno trainato senza troppi complimenti.

Tu eri là, brillavi della tua luce, e solo standoti vicino mi sono accorta di quanto ogni tua parola fosse giusta, succosa, interessante.

 

Abbiamo cominciato a parlare fra noi; per un paio di giorni, quando passavamo del tempo con gli amici –ora riuniti in un unico gruppo-, io e te ci siamo accostati impercettibilmente e abbiamo imparato a conoscerci.

Eri un ragazzo pieno d’ideali, mi sembravi un pacco da scartare, ma ancora non ti prestavo abbastanza interesse per capire chi tu fossi veramente.

 

Caspita, è simpatico, però. Così mi dicevo, quando la sera andavo a dormire e tra le coperte ripensavo alle giornate appena trascorse con te.

E subito m’invadeva quella sensazione di essere su una nuvola, neanche fossi la persona più potente del mondo.

Parlare con te… mi dava le ali per viaggiare al di là dei muri. Ogni mattone di ogni muro, un briciolo di paura che con orrore scompare dalla mia mente e la lascia libera.

 

Tu questo eri per me; prima ancora di conoscerti bene, prima di capirti.

 

Come ero io?

 

A quindici anni avevo un fisico snello e fine, sapevo che i ragazzi si giravano per guardarmi, ogni tanto.

Io arrossivo ma facevo sempre finta di essere una dura, una di quelle che uccidono con lo sguardo.

Niente di più falso, ma questo già lo sai.

Ero una ragazza con dei capelli luminosi che danzavano sulle spalle, il sorriso spontaneo che si arricciava sulle labbra come una molla senza nessun ritegno; due ciocche sempre davanti agli occhi, uno sguardo timido ma pulito e sincero. Lo stesso sguardo che ti ha fatto scappare via da me. Mi odio, mi odiavo; non me lo perdono ancora adesso.

 

Tu avevi quei capelli che andavano in tutti i sensi, color cioccolato al latte; sembravi un istrice, qualsiasi cosa cercassi di fare per metterli a posto.

Non lo sapevo, ma eri un fascio di muscoli per il Quidditch sotto quelle vesti scure, quella camicia, quella cravatta.

Mi pare ancora di sentire il tuo profumo. Fa male.

Lo sentivo anche solo a stare seduta accanto a te per chiacchierare fra una lezione e l’altra.

Avevi sempre un maglione di troppo e le tue braccia erano calde, quanto fredde erano invece le tue mani.

Arrossivi facilmente senza perdere il buon umore e senza nasconderti.

Cominciavi a balbettare, se imbarazzato, e cambiavi discorso con quell’espressione strana e ridicola che mi viene in mente ora.

Gli occhi ridevano e le guance erano rosse e tirate; le labbra di sbieco sui denti piccoli e regolari –miseriaccia, io ho dovuto mettere l’apparecchio per ottenere un fac simile del tuo sorriso!-.

 

Anche tu non risparmiavi i sorrisi, anzi ogni parola l’accompagnavi così.

Gesticoli ancora come allora?

Era una cosa terribilmente divertente vedere nei tuoi occhi quello che non riuscivi ad esprimere a parole e che cercavi invano di far intendere a gesti.

Sì, mi sono affezionata a ogni dettaglio; a distanza di anni me ne ricordo ancora.

 

Non ti vergogni, Gin! Così mi diresti, se solo…

Se solo io non avessi rovinato tutto in partenza.

 

Così, tutto questo, io lo leggevo noi tuoi occhi.

Sei stato il mio primo specchio umano: in te c’erano i miei sogni e le mie paure, in me i tuoi.

Non passava giorno senza che provassi brividi nel sapere che avrei fatto una passeggiata con te e avrei potuto parlarti.

Era quello che sapevamo fare meglio!

Chi siamo? Da dove veniamo? Cosa faremo più tardi? Ne vale la pena? È giusto? È sbagliato? Mi piace… no, questo no.

Era come gridare in una stanza vuota e sentire l’eco. Nelle stanze l’eco non esiste. Nella tua sì.

Esisteva.

 

Ero stupita dal nostro affiatamento. Mi sei piaciuto subito; eri così interessante.

Ti ricordi quel giorno che siamo finiti in punizione perché Macmillan ha fatto finta di non sapere dove fossimo quando la prof l’ha mandato a chiamarci?

Mi bolle ancora il sangue! Una bella fattura non gliela toglie nessuno, se me lo trovo davanti adesso.


Io avevo degli ottimi voti, ma non parlavo mai in classe.

Tu invece accantonavi una pila di Deludente e Troll sul fondo del baule, ma chiedevano sempre a te di leggere i testi ad alta voce.

Adoravo ascoltarti leggere ad alta voce; intonavi ogni parola con la giusta rapidità e modulavi la voce con sorprendente maestria.

Ti ammiravo, e ti invidiavo.

Io leggevo bene solo per me stessa, nel mio letto caldo, alla luce di una lampada soffusa nel cuore della notte.

Ci piaceva anche parlare di libri, tu mi parlavi di Tolkien e io di Pullman.

 

Ci siamo scoperti a vicenda ed eravamo colmi di gioia, di aspettative.

“Un amico, un amico vero!“ Gridava il mio cuore cercando di scoppiarmi in petto.

Poi è venuta l’estate.

L’ho passata a casa con la mia famiglia, ero felice, ero eccitata.

Mille promesse nella mia testa.

 

Con lei arrivò il mio compleanno.

Era attorno al 10 settembre, se non sbaglio. Una domenica.

L’abbiamo festeggiato tutti insieme, mi ricordo di essermi emozionata molto.

Gli amici erano tanti, il buon cibo abbondante e i giochi divertenti.

Poi, durante l’ennesima pellicola di film babbano trito e ritrito –illegale, a scuola, e fornito dai miei fratelli- io ho continuato a fare come se tu non ci fossi.

Come se fossi solo uno fra i tanti.

Non ho fatto nessun calcolo pensando a te.

Non ho fatto nessun calcolo pensando a lui; forse, invece, pensando a lui ne ho fatti troppi.

Ho baciato Dean Thomas.

E tu sei diventato il mio migliore amico.

   
 
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