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Autore: PinkBiatch    23/08/2013    3 recensioni
“C'è una mezzosangue, ad Hogwarts. E' un'insopportabile so-tutto-io, coi capelli crespi e i denti davanti..”
“Sporgenti.” Aveva continuato suo padre, come in trance.
“Come fai a saperlo?” Chiese Scorpius, incuriosito.
“Immagino sia la figlia della Granger.” Disse soltanto lui.
“Sì, si chiama Rose..”
“Che nome del cazzo, Rose..” Disse assorto suo padre.
“Rose Weasley.” Finì Scorpius.
“Weasley.” Draco sputò per terra.“Le avrei dato un nome migliore.”
“Cosa?”
“Niente, Scorp, niente. Stavo pensando fra me e me. M'ero dimenticato quanto la disprezzassi.”
“Chi? La madre di Rose?”
"Sì."
Suo padre si bucò con una spina e buttò la rosa che aveva appena colto fuori dal cancello in ferro battuto che circondava il giardino.
“Perché l'hai buttata?” Chiese suo figlio.
“Perché mi ero bucato” Rispose Draco semplicemente.
“Hai buttato via la più bella rosa del giardino solo perché ti sei bucato con una spina che avresti potuto togliere.” Lo rimbeccò Scorpius.
Quelle parole fecero pensare Draco.
“Verrà il giorno in cui ti mancherà.” Disse Draco dopo un po', quando erano ormai vicini alla porta di casa.
“Chi?”
“Quella Sudicia Mezzosangue.” Ed entrò in casa velocemente, abbandonando Scorpius confuso davanti alla porta di casa.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Ron/Hermione, Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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6

 

 

 

Scorpius Malfoy non chiuse occhio, quella notte. A tenerlo sveglio furono una serie infinita di cose, come i tuoni del temporale, come i suoi pensieri, come le urla del suo orgoglio ferito e le urla del suo cuore, ed ancora lo sforzo di non ascoltare queste ultime.
Visto che non riusciva a dormire rifletté bene sulla sua posizione.
Ormai era chiaro come il sole l'affetto che provava verso la Mezzosangue, tuttavia lei aveva ferito il suo orgoglio, e per questo avrebbe dovuto pagare.
Avrebbe voluto fare qualcosa di veramente meschino nei confronti di quella stupida, per dimostrarle che a lui lei non importava affatto, e che poteva anche morire, e non avrebbe mai avuto un peso la vita di lei sulla sua coscienza.
Non poteva cadere in basso, semplicemente non poteva.
Doveva mettere in chiaro con lei, e per prima cosa con se stesso, che per lui Rose Weasley non era altro che uno spreco d'ossigeno. Una persona che, se fosse morta, avrebbe solamente fatto un favore a tutto l'universo.
Passata un'intera notte a sguazzare in questi pensieri tanto cattivi quanto falsi, senza però rendersi conto della loro falsità, Scorpius quella mattina si svegliò pieno di “buoni” propositi e grandiosi programmi per quello stesso giorno.
Se in quel periodo, specialmente il giorno prima, aveva perso un po' della sua fama di Serpeverde Purosangue, era deciso a riconquistarla tutta in una volta sola.
Si vestì, si preparò e sistemò attentamente ogni minima parte del suo aspetto per risultare impeccabile e bellissimo come sapeva di essere. Non che per la cosa che aveva in progetto di fare servisse attrarre chicchessia. Blanca era già cotta di lui.
Andò nella Sala Comune quando le prime persone cominciavano a svegliarsi, e qualcuno si era già avviato verso la Sala Grande, ma certo Blanca sarebbe arrivata per ultima perché ogni mattina passava un'ora a truccarsi.
Dopo quaranta minuti buoni in cui il Serpeverde ripensò bene al suo “piano” e ripeté mille volte a se stesso quanto riuscisse ad essere geniale quando si applicava e pensava con la testa invece che col cuore -che si stupì di ricordare di avere-, la sua preda scese dalle scale del suo dormitorio con un'espressione stupita e stupida insieme.
“Scorpius”, cinguettò avvicinandosi a lui.
“Ciao, Blanca.” La salutò viscidamente, “Mi stavo chiedendo se ti andasse di andare con me verso la Sala Grande, visto che nel tragitto dovrei parlarti di una cosa.”
Lei sgranò gli occhi. Scorpius poteva sentire a un metro di distanza il cuore batterle a mille dentro al petto.
“Certo.. Certo che sì, Scorp. Ovviamente. Sono sicura che sarà una passeggiata piacevole.” Cinguettò di nuovo, e lo invitò ad alzarsi e ad incamminarsi verso la Sala Grande.
Ben presto furono usciti e si ritrovarono nei corridoi dei sotterranei, dove si trovava, al momento, pochissima gente.
Scorpius ripensò a quanto sarebbe stato meglio uscire mezz'ora prima quando i corridoi erano gremiti di gente pronta ad ascoltare la loro conversazione e a contribuire alla diffusione della notizia. Si disse che avrebbe dovuto ricorrere al piano B, forse il più drastico.
“Vedi, Blanca, è che dall'anno scorso io ci ho pensato un po'..” Cominciò, con un tono un po' titubante, mentre in realtà dentro era sicurissimo di fare la cosa più meschina che potesse fare, quindi la cosa giusta, secondo la sua nuova filosofia di vita.
“E?” Chiese ansiosa lei, visto che lui non parlava da ormai cinque secondi, decisamente troppo per il cuore agitato ed innamorato di lei.
“Quando ti ho allontanata, io ho fatto un grosso sbaglio. E' che mi sono reso conto di non poter volere niente di meglio se non te, tu sei semplicemente perfetta, Blanca.”
“Oh, Merlino, Scorp, non sai quanto ho aspettato questo momento!” Arrossì lei, visibilmente eccitata per ciò che le era stato appena detto.
Una confessione d'amore dal suo Scorpius Malfoy era tutto ciò che poteva voler dalla vita.
Lui era potere, orgoglio, fama, Sangue Puro, bellezza. In parole povere, tutto ciò che il suo cervellino di formica potesse desiderare.
Fece per avvicinarsi e baciarlo, ma lui la fermò ad un soffio dalle sue labbra con un tocco apparentemente dolce.
“Aspetta, non è ancora il momento.” Le sussurrò.
Il momento, tuttavia, per la gioia di Blanca, arrivò molto, molto presto. Dovette solo aspettare di essere sotto la soglia della Sala Grande. Davanti a tutta Hogwarts.
Le cinse la vita con una mano, e con l'altra avvicinò la sua testa alla propria. Da lì, fu solo il piccolo movimento di sporgersi leggermente in avanti e baciarla.
Fece durare il più possibile il suo bacio, sebbene lo stesse disgustando tutto di lei, dalla sua semplicità, alla sua stupidità, al suo brutto aspetto e al suo stato di sangue non puro, sebbene la sua famiglia facesse di tutto per nasconderlo.
Quando si staccò, tutti gli occhi erano puntati su di lui. Tutti, dal primo all'ultimo, insegnanti compresi.
Si voltò con fare disinvolto verso il tavolo Grifondoro, facendolo sembrare solo un gesto distratto per spostare i capelli dalla fronte, mentre in realtà voleva vedere la reazione di Rose. Con suo compiacimento, vide che aveva piantato la forchetta nel tavolo ed era impallidita visibilmente. Le fece un cenno distratto, come per salutarla e schermirla allo stesso tempo, per dimostrarle ancora di più quanto per lui non fosse cambiato niente.
Le voleva far credere di aver sempre creduto Blanca come il meglio per sé. Non lei, non qualcun altro. Blanca. Che non valeva come mezza scarpa della Weasley.

 

 

La mattina di Rose andò di male in peggio. Si svegliò male. Arrivò male alla Sala Grande. La colazione, pur essendo quella di sempre, non le era piaciuta.
Ma tutto sembrava perfetto, ogni cosa, la preoccupazione morbosa di tutti i suoi amici, i complimenti di chi non sapeva esistesse come se fosse la loro migliore amica di sempre, i tuoni che non l'avevano fatta dormire, l'ansia per l'arrivo dell'ansiosa risposta della sua ansiosa madre, tutto era estremamente bellissimo, in confronto a ciò che le si parò davanti agli occhi mentre nella sua testa galleggiava il niente.
Già vedere Malfoy entrare nella Sala Grande a testa alta dopo quella grave sconfitta le sembrò una cosa assurda, ma ancora più assurdo fu vederlo cingere con estrema dolcezza il corpo di quella stupida odiosa oca della Parkinson. Nulla era più assurdo, più ridicolo, più impensabile, più sconfortante di quello.
Le venne la nausea. Tutto le faceva schifo, adesso.
La colazione che le galleggiava alla bocca dello stomaco ansiosa di risalirle in gola.
La lingua della Parkinson che ogni tanto serpeggiava fuori da quell'incrocio di bocche.
La sua espressione compiaciuta.
L'espressione compiaciuta di Scorpius.
L'occhiata spaventata di Sugar verso di lei.
La sua mano che prendeva una forchetta e la piantava nel tavolo.
Tutti i Grifondoro che adesso guardavano lei.
La risata di Robert perfettamente udibile dal suo tavolo.
Il cenno e il sorrisetto soddisfatto di Scorpius diretto solo verso di lei.
Queste cose in successione le fecero girare la testa tanto che impallidì e se ne rese conto anche se non poteva vedere se stessa. Sentì le forze lasciare il suo corpo e ben presto si affrettò ad uscire dalla Sala Grande ed andare nel corridoio per non far vedere a tutti la sua reazione a quel gesto.
Mangiò una Pasticca Vomitosa e corse in Infermeria, dicendo a Madama Chips di aver ingoiato per errore delle Pasticche Vomitose (che oramai erano note anche a lei) ed aver perso l'estremità che le avrebbe passato il vomito.
“Queste cose sono geniali, io stessa sono stata stupita dall'immediata guarigione che portava l'altra estremità, tuttavia possono essere disastrose se quella parte viene smarrita.” Borbottò, più a se stessa che a Rose, che ancora vomitava in un secchio che le aveva dato prontamente Madama Chips.
“E dimmi cara, ti è successo proprio mentre eri a colazione?”
“Sì” le disse Rose tra un conato e l'altro, “avevo la gola un po' secca e pensavo di prendere una caramella per il mal di gola, ma ho sbagliato caramella.” Ridacchiò falsamente.
Se Scorpius Malfoy avesse saputo che era stato appena paragonato ad una Pasticca Vomitosa sarebbe andato su tutte le furie. Rose fu un po' compiaciuta di questo.
Dopotutto, sapeva che lui l'aveva fatto solo per farle un dispetto, per farle male. Per farle capire che comunque lui era migliore di lei, che lui aveva vinto su di lei, anche se era uscito il nome di Rose da quel Calice.
Lei non poteva farci nulla. Era abbastanza migliore di Scorpius da non voler ripudiare i propri sentimenti, mandarli in esilio in una parte remota del cuore. Lei voleva vivere, voleva far sentire intorno a sé la vita che le scoppiava dentro, e non le importava di risultare stupida. Le importava solo di essere se stessa.
Sapeva di essere abbastanza forte da superare tutto, Torneo compreso.
Si frugò in tasca alla ricerca dell'altra estremità della Pasticca e la ingoiò, poi raggiunse Madama Chips, che era andata nel suo laboratorio a creare un rimedio per il vomito di Rose, e le disse con aria un po' imbarazzata ma sbrigativa che aveva trovato l'altra estremità della Pasticca, e perciò poteva uscire.
Corse verso la Sala Grande prima di poter essere fermata da una furente Madama Chips ed entrò appena in tempo per assistere ad un altro importante avvenimento, sebbene dovette impiegare qualche secondo per capire davvero cosa stesse succedendo.
Vide la McGranitt con uno Scorpius un po' più adulto vicino parlare, mentre questo non sapeva bene se sentirsi fiero o se scappare nell'angolo più remoto della stanza.
“Che sta succedendo?” Chiese sottovoce ad Albus, al quale si era seduta accanto.
“Dov'eri finita?” Le chiese lui.
“Non è il momento! Che sta succedendo?”
“La McGranitt ha trovato un nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure.”

 

 

Dopo il suo trionfo nei confronti della Weasley, Scorpius si aspettava tutto fuorché una profonda ricaduta con l'arrivo di suo padre ad Hogwarts, come professore.
Ma chi volevano far ridere? Draco Malfoy come professore di Difesa Contro le Arti Oscure! Draco Malfoy, l'ex Mangiamorte! Certo, le cose erano cambiate dalla Seconda Guerra Magica, ma Draco Malfoy rimaneva sempre agli occhi di tutti un Mangiamorte.
Ed il padre di un idiota.
Ma questo Scorpius non l'ammise a se stesso.
Mille pensieri vorticarono insieme nella sua testa e si chiese cosa pensasse suo padre di lui dopo averlo visto baciare senza tanti preamboli forse la ragazza più brutta ed insulsa di tutta Hogwarts, ma ormai si disse che non avrebbe potuto rimediare al suo sbaglio.
Il padre venne presentato a tutti -come se qualcuno non conoscesse Malfoy il Mangiamorte- e tutti furono stupiti. Perfino Robert lo guardò stranito.
Lui scrollò le spalle e con le labbra gli comunicò che non ne sapeva assolutamente niente.
Si chiese se suo padre avrebbe risposto alla sua lettera a voce, o se avrebbe fatto finta di non conoscerlo, come tutti gli alunni a cui avrebbe insegnato come difendersi da quello in cui lui aveva sempre sguazzato.
La colazione finì e furono comunicati i nuovi orari. Tutti, quel giorno, avrebbero sostenuto un'ora di Difesa Contro le Arti Oscure. I Serpeverde del quarto anno erano i primi. Insieme ai Grifondoro.
Scorpius fu curioso di sapere come suo padre avrebbe trattato la Weasley e si affrettò ad andare verso la classe.
L'aula era quella dove avevano fatto anche gli anni precedenti Difesa Contro le Arti Oscure, l'aula commemorativa di Remus Lupin, ed era assolutamente spoglia. Probabilmente suo padre era arrivato quella mattina e non aveva avuto tempo di mettere lì dentro niente di personale. O forse, non l'avrebbe fatto nemmeno quando avrebbe avuto tempo, per non lasciar trapelare niente di sé da nessuna parte, come aveva sempre fatto.
Scorpius non sapeva perché suo padre non desse mai sfoggio di sé. Sapeva bene quante cose apprezzabili ci fossero di suo padre, cose di cui lui non dava sfoggio.
Era sempre apparso una figura sfuggevole, troppo in alto per parlarci come ad un eguale, troppo lontano, troppo nascosto per capirne i pensieri, e per scoprirne i pregi.
Scorpius, crescendo, l'aveva osservato, ed aveva osservato il modo in cui si proteggeva dagli occhi di sua madre, dai suoi.
Quando era veramente piccolo, e suo padre non credeva che avesse ancora maturato un certo spirito di osservazione, questo lo rendeva tanto partecipe di sue piccole routine quotidiane.
Gli piaceva da morire andarlo a svegliare la domenica mattina, quando rimaneva a letto fino a tardi mentre sua madre si era alzata presto. Gli tirava le coperte e lui, ancora addormentato, si rigirava nel letto.
Ogni tanto mentre sognava sorrideva. Scorpius non l'aveva mai visto sorridere, se non in quei rari momenti d'intimità inconsapevole.
Adesso, anni dopo, si ritrovò a chiedersi che cosa sognasse.
Un'altra cosa che gli piaceva da morire era quando si preparava la colazione e lasciava libera la loro elfa domestica di fare qualcos'altro, talvolta anche di riposarsi. Stava sempre attento a dare queste piccole libertà a Celeste solo quando sua madre non poteva accorgersene, e si raccomandava sempre all'elfa di non farne parola con Astoria, forse perché l'avrebbe trovato strano, o perché si sarebbe infuriata.
Si ricordava ancora come si arrabbiava quando bruciava i toast, e quando li bruciava apposta per far ridere quel bambino biondo. Si ricordò quella volta che si rovesciò la marmellata addosso, di quando insegnò a Scorpius a scrivere il suo nome con la marmellata sui toast.
C'erano otto toast su quel tavolo, uno per ciascuna lettera, quando suo padre si era assentato dalla cucina. Quando tornò, qualche minuto dopo, altri cinque toast erano sul tavolo. Uno per ciascuna lettera del suo nome.
Adesso, Draco e Scorpius erano scritti a fianco, sui toast fatti delle stesse cose, sulla stessa marmellata. Sembrava quasi una promessa di amore paterno, una scritta tremolante di marmellata rossa.
Più tardi, però, dopo troppo poco tempo, Scorpius aveva cominciato a fare l'abitudine a vedere scomparire le attenzioni del padre, fino a venir trattato con alterigia, come chiunque altro che avesse osato rivolgergli la parola.
Tuttavia, Scorpius era stato accolto troppo nelle confidenze del padre, imprudentemente, così seppe sempre come e dove ricercare un gesto di routine del padre, quando farlo.
Lo osservò numerose volte, nella loro grande biblioteca, girare tra quegli scaffali traboccanti di libri, ordinati in modo perfetto, senza cercarne alcuno, senza aver voglia di leggere.
Ogni tanto, tornava ad un determinato scaffale: era sempre quello, ogni volta che ci tornava, faceva molti giri, quasi passeggiate, tra quegli scaffali traboccanti di parole, e poi si fermava sempre davanti a quello. Sempre davanti a quel libro verde, che era forse anche quello tenuto peggio, più logoro, perché forse, di tutte le parole contenute in quella stanza, le uniche parole di cui aveva bisogno, erano quelle impregnate in quel libro.
Dopo averlo sfilato da tutti gli altri libri ed averlo sfiorato con cura, averci spazzato via, senza l'aiuto della magia, la poca polvere che vi si era depositata in quelle ventiquattro ore passate dalla sua ultima visita, lo apriva, e dopo averlo aperto, vi affondava il naso.
Inspirava l'aria imprigionata lì dentro quasi con la stessa avidità con cui un uomo avrebbe bevuto dopo aver attraversato tutto il deserto del Sahara in ginocchioni.
Scorpius, poi, si disse che dopo aver attraversato tutto il deserto del Sahara in ginocchioni uno, più che bere, muore. E non ci arriva nemmeno ad attraversarlo tutto.
L'aridità di quel deserto era facilmente paragonabile all'aridità del padre, ma Scorpius sperò davvero che non sarebbe morto mai perché il suo cuore era prosciugato di tutto l'amore che aveva.
Una volta, si arrischiò ad entrare nella biblioteca mentre i suoi genitori erano fuori, ed aprì quel libro, sempre trattandolo con la stessa cura con cui lo faceva il padre, sebbene con meno amore, perché non gli diceva un granché, se non che conteneva l'ossigeno che teneva in vita ancora suo padre, nonostante l'aridità del suo cuore.
Anche lui lo accarezzò, e lo sentì morbido al tatto, forse consumato da tutte le mani che vi erano state posate, perché era sicuro che fosse appartenuto a qualcun altro prima di suo padre.
Vi affondò il viso anche lui, come aveva visto fare suo padre, e sentì un odore buono, lì dentro. Che non era sicuro di conoscere, ma nemmeno di non conoscere. Al suo olfatto, quell'odore strano, sembrava come un vecchio ricordo sbiadito, un attimo del buio visto nella pancia della propria madre.
Dentro vi trovò una lettera, il cui destinatario era suo padre. Vi erano ancora impresse le impronte del becco che l'aveva trasportata fino ad ovunque si trovasse suo padre in quel momento. Magari in quella stessa casa.
Inoltre, sulla carta, Scorpius poté vedere bene due macchie ancora più gialle della carta invecchiata. Si chiese se fossero lacrime, e spinto da quel presentimento, risistemò tutto e se ne tornò in camera, desideroso di non ricordare niente di tutto questo.

 

La lezione cominciò e Rose era ancora convinta che tutta quella giornata fosse solo un grande incubo, o un sogno strano. Prima Scorpius che limona amabilmente con la Parkinson, e adesso Draco Malfoy come professore di Difesa Contro le Arti Oscure! Lui che ci ha sempre sguazzato! Continuava a chiedersi cosa passasse per il cervello della McGranitt senza ottenere una risposta.
La stanza non era addobbata. Era spoglia, priva di ogni cosa. Tavoli sulla pietra e pietra sotto ai tavoli.
Niente che desse un accenno al fatto che una vita umana avrebbe passato il suo prossimo anno lì dentro, se non anche quelli successivi.
Non sapeva niente di Draco Malfoy, ma sapeva abbastanza di suo figlio da sapere che da giovane era stato uguale a Scorpius, il che, Rose ammetté a se stessa, non poteva essere esattamente un complimento.
Sapeva anche che era andato a scuola con sua madre, che non le aveva mai fatto parola di Draco Malfoy, e sapeva che era andato a scuola con suo padre, che aveva sprecato almeno mezz'ora del suo tempo a dirle quanto avrebbe dovuto farla pagare a Scorpius anche solo per il fatto di aver passato più di dieci anni della sua esistenza in casa con suo padre senza averlo ancora ucciso.
Nient'altro. Non sapeva nient'altro di quella figura scura ed austera che le stava davanti, a pochi metri di distanza. Il volto affilato e pallido, un po' più magro del figlio, forse, e sicuramente con un aspetto più triste. Aveva l'aspetto di un eremita che torna nel mondo dopo anni ed anni passati a parlare con se stesso fino ad annoiarsi.
Eppure, Rose sapeva, passava molto tempo in casa. Era sempre lì, bene o male. Ma forse, pensò, aveva una casa abbastanza grande da nascondervisi e non farsi trovare dagli altri componenti.
Continuò a chiedersi, tuttavia, perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere.
Ogni tanto, ricordò a se stessa, anche sua madre se ne stava sola ed in silenzio.
Lei, così aperta, così solare, così apparentemente lontana da ogni problema, ogni vera preoccupazione che la scalfisse, aveva dei momenti in cui sembrava fragile come un pezzo di cristallo, come schegge di vetro tenute insieme per miracolo.
Aveva quei momenti in cui nessuno osava toccarla per la paura di vederla cadere in mille pezzi.
Rose non sapeva bene da dove quella fragilità uscisse, e cosa la rendesse così palpabile. Forse la lucentezza di quel dolce castano dei suoi occhi che si spegneva, il piccolo velo di lacrime che le offuscava la vista. Forse le mani che tremavano leggermente, o lo sguardo bagnato perso nel vuoto, in un mondo lontano dove Hermione Granger non aveva momenti di debolezza, di fragilità.
Rose si chiese se conoscesse davvero sua madre, se lei le avesse raccontato ogni piccola cosa di sé. Si disse di no, perché tutti hanno i loro segreti. Ma non seppe dire a se stessa se per una madre fosse giusto avere dei segreti con la propria figlia.
Rose aveva sempre pensato che fosse un bene, per dei genitori, raccontare le proprie esperienze ai figli, perché la loro esperienza, la forza, la saggezza che è arrivata al seguito di tale esperienza, possa essere tramandata ai propri figli.
Forse, però, c'erano cose che si potevano tenere solo per sé.
Rose trovò strano che sua madre non le avesse mai parlato di Draco Malfoy. Mai un accenno. Non aveva mai sentito la voce di sua madre pronunciare quel nome così singolare, singolare quanto Scorpius.
Immaginava le solite 'r' della madre ammorbidirsi ancora di più sotto il suono di quel nome, e poi pensò che quel nome era un bivio.
Due diversi modi di pronunciarlo, due diversi modi di pensarlo.
Lo immaginò pronunciato dalla voce calda e dolce della madre, che sapeva confortare ogni cosa, curare ogni ferita con una sillaba arrotondata da quel modo così femminile di pronunciare un nome.
Poi immaginò lo stesso nome pronunciato da una voce tagliente, affilata. Come un coltello che ti trafigge. Quel nome sembrava sputare fuoco, sembrava tagliente.
Quel nome era un'arma a doppio taglio.

 

 

Draco Malfoy era nervoso. Stramaledettamente nervoso.
Si chiese cosa ci facesse con quei marmocchi e con quello sciocco di suo figlio ad insegnare a proteggersi da ciò in cui aveva sguazzato per così tanto tempo.
Ma ora no, ora era pulito.
C'era voluto troppo per rendersene conto, e il mondo magico non l'aveva ancora fatto. Lui era sempre quello, immancabilmente, inevitabilmente, Draco Malfoy il Mangiamorte. Uno dei pochi ancora vivo, ancora in libertà.
Certe persone sputavano per terra al suo passaggio, certe portavano istintivamente la mano alla bacchetta, certe gli lanciavano sguardi di odio.
Quello che non sapevano, e che Draco davvero non si sforzava di far sapere, è che a dir la verità a lui non era mai stato chiesto di fare una scelta come era successo a tutti loro. Loro avrebbero potuto scegliere.
Luce o Tenebra.
Silente o Voldemort.
Lui era nato con la predisposizione per il male. Un fatto di sangue, di abitudini, di educazione ricevuta, questo non lo sapeva.
Sapeva, però, che oltre che la cattiveria aveva ereditato una certa arrendevolezza, una certa viscidità, un certo bisogno del comodo, dal vecchio sangue sporco che gli scorreva nelle vene, che gli avevano sempre impedito di muovere un passo verso la luce, smuoversi da quella pozzanghera d'inchiostro nero, in cui qualcuno, un giorno, aveva intinto una piuma e scritto la parola fine.
Draco non sapeva bene quando la sua vita e la sua famiglia avevano cominciato ad andare allo sfracello. Semplicemente, era successo.
Un giorno si erano svegliati e non erano più un cazzo di nessuno, se non criminali, delinquenti, degli stupidi che avevano fatto le scelte sbagliate. I suoi genitori, non lui. Lui non aveva mai potuto scegliere.
Non sapeva nemmeno perché non avesse mai potuto scegliere niente. Forse perché aveva poca importanza. Forse perché era scontato che avesse scelto il lato oscuro, o forse perché avevano paura che si convertisse alla luce, al bene.
Si chiese quante cose grandiose avrebbe potuto fare, se fosse riuscito ad essere buono, se fosse riuscito a mettere un po' di bontà nel suo cuore, ad aprirlo.
Si chiese quanto avrebbe potuto amare, quanto amore sarebbe riuscito a contenere. Si immaginò a baciare qualcuno un pubblico, tenerlo per mano.
Si chiese quanto bella avrebbe potuto essere la vita, se avesse speso un secondo del suo tempo ad essere buono.
Ma oramai era incatenato nell'oscurità.
La verità era che le catene sarebbero state rimovibili, se solo lui l'avesse voluto davvero.
Ma era troppo arrendevole, ed era troppo comodo stare lì per muoversi, spostarsi, vedere cosa c'è al di là dell'odio e dell'indifferenza.
Oramai i marmocchi erano entrati. Tutti quanti. Dal primo all'ultimo.
Avrebbe subito voluto togliere cinquanta punti ai Grifondoro per esistere, ed aggiungerne cinquanta a Serpeverde per aver accolto il suo bambino, suo figlio, la sua opera. L'unica cosa di cui andare fiero di tutta la sua vita, talmente tanto fiero da dimenticare molto spesso della sua esistenza, e da chiedersi davvero se fosse suo. Ma sapeva, che era suo.
Lo si leggeva nei suoi occhi.
E lo aveva letto anni fa in una scritta di marmellata e toast, quella volta che suo figlio gli aveva dimostrato di aver ereditato qualcosa da qualcun altro, che non era davvero la sua copia esatta. Quel giorno suo figlio gli fece scoprire di saper concepire dell'amore.
“Buongiorno.” Disse freddamente.
Nessuno ebbe il coraggio di rispondere, forse avevano paura. Sperò di non apparire ridicolo.
“Ho detto buongiorno.” Disse, ancora più freddamente di prima.
“Buongiorno” risposero pochi, timidi sussurri.
“Sono il professor Draco Malfoy, e sarò il vostro insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.
Ripetete: Draco Malfoy.” Adesso forse faceva meno paura di prima, non lo sapeva. Fatto stava che molti, quasi tutti gli alunni, ripeterono il suo nome.
Sentì una voce cristallina, limpida, dolce. Una voce che aveva sentito, anni prima, e che talvolta risuonava pallida come un rimbombo lontano nella sua testa, in quei rari momenti in cui si ricordava di saper amare, se lo voleva. Quella voce pronunciò il suo nome in un modo che aveva creduto possibile solo alla voce che rimbombava di nuovo dentro di lui.
Draco.
Draco.
La 'r' era dolce in quella pronuncia.
Draco sembrava voler dire fiore, in quella lingua. Sembrava il significato, la definizione più precisa della parola amore.
C'era una voce soltanto che sapesse far suonare il suo nome come qualcosa di giusto, e non sbagliato come, Draco sapeva, era in realtà.

  
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