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Autore: Nori Namow    24/08/2013    16 recensioni
«Stai tranquilla. Non ti farò del male, non potrei mai.» le sussurrò accarezzandole dolcemente la testa.
La donna l'aveva riconosciuta, era lei.
«Non è ancora il momento di incontrarci…» esitò, non sapeva il suo nome.
«A..A…Alexis.» balbettò a fatica lei, riportando lo sguardo sulla donna.
«Bene, Alexis. Quando arriverà il momento giusto, ci incontreremo nuovamente. Ma fino ad allora, devi perdonarmi per quello che sto per fare.»
***
«Siamo molto più simili di quanto pensi, Alexis. È un bene che tua madre se ne sia andata proprio adesso, l’ha fatto per il tuo bene. Poi con il tempo capirai perché.»
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                 capitolo XII


 

a Sam, perché ti avevo promesso
che tu in questa storia ci saresti stata. ♥

 



 

-Louis

Fu una liberazione, parlare con lei. Era speciale, me lo aveva detto Harry. E non lo era solo perché era stata scelta dalla Cometa, ma perché tutta la sua persona era speciale.
 
Avevo otto anni, quando caddi dalla bicicletta. Mi sbucciai un ginocchio a causa della caduta, e mi bruciava da morire. Ricordo che il quel momento desiderai soltanto che quel dolore svanisse, che il mio ginocchio tornasse normale perché altrimenti mia madre mi avrebbe fatto la solita ramanzina. E accadde, la ferità svanì e io capii di aver appena sperimentato il mio potere da mago. Ero un curatore, capace di curare le ferite mie e degli altri attraverso un semplice tocco. Curai i bambini che come me si facevano male, curai un cane che era stato investito, la febbre di Nix, il rene di Liam che non aveva mai funzionato. Ho curato un sacco di persone e animali, ma non sono riuscito a curare colei che amo di più al mondo. Quando avevo quindici anni, mia madre si ammalò di leucemia. I dottori, sia maghi che umani, dicevano che c’erano poche speranze di salvarla.
Io ci ho provato, ho fatto di tutto. Una sera mi sono avvicinato a mia madre e l’ho accarezzata, per poi utilizzare tutto il mio potere su di lei. Ero un curatore, potevo guarire anche lei, dovevo guarire anche lei. Era mia madre e non mi rimaneva che lei, non poteva morire a causa di una malattia, non poteva. Sforzai talmente tanto il mio potere, che quella notte rischiai di morire anche io. Polly mi ritrovò svenuto e con il sangue al naso, mi dissero che il mio potere non era abbastanza forte, che niente era abbastanza forte. Ti rendi conto? Io avevo il potere di curare e non ero stato capace di salvare la vita di mia madre. È morta due giorni dopo, e io mi sono sentito così inutile da desiderare la morte. Polly mi ha aiutato, tutti lo hanno fatto. A volte fingevano di essere feriti solo per farmi sentire utile, in qualche modo.
Capisci come mi sentivo? È come se un cuoco facesse bruciare tutto ciò che cucina. Mi sentivo una nullità. Io… Io sono una nullità. Il mio potere non serve a un cazzo, se non può curare le persone che amo. Certo, non era una stupida ferita o una febbre, ma io dovevo solo guarirla, solo quello.

È da quando ho diciotto anni, che visito l’ospedale. Faccio visita alle persone sole, a quelle che tra poco se ne andranno, a quelle che invece sorridono perché ce l’hanno fatta. Vado lì perché c’è la vita, capisci? Vivi, morti, nuove nascite, nuove riprese, vite cambiate per sempre, in bene o in meglio. Vita, e io ho bisogno di circondarmene continuamente. Nessuno a parte te ed Harry, sanno di questa mia cosa. Ho paura di essere giudicato male, o pazzo, o qualunque altra cosa. Vedo persone scoppiare di felicità in un stanza, e persone che piangono in un’altra. Capisci? L’ospedale, sembra strano dirlo, è vita. E ci ho provato, ci ho provato davvero a stare lontano da quel reparto, ma ad un certo punto non ce l’ho fatta. Ci sono andato, circondato da persone che piangevano disperate, altre che guardavano il vuoto, altre che aspettavano, altre che tiravano un sospiro di sollievo perché forse ce la potevano fare. Persone che sorridevano ma in realtà avrebbero voluto piangere, ma capiscile, non possono piangere, loro devono sorridere finché possono perché morire piangendo non è una bella cosa, specialmente per chi poi rimane qui a soffrire.
Il cuore e i suoi sentimenti, quelli come si curano? Io sono un curatore e so per certo che non posso curare i sentimenti. O meglio, i sentimenti non si curano, cambiano.
Ma come fai tu a guardare in faccia una persona che porta dentro un male che potrebbe ucciderlo? Di cosa parli, con una persona del genere? Persone che fingono che va tutto bene, ma non è così. Come osiamo, noi persone sane, dire che ci dispiace? Come se capissimo cosa provano? Noi non-malati non capiamo un cazzo, di cosa significhi portare dentro un mostro che ci divora, lottare ora dopo ora, secondo dopo secondo, contro un demone che ti ammazza da dentro e rischia di vincere.
Mia madre rideva spesso in quel periodo, forse perché voleva farmi credere che ce l’avrebbe fatta, che presto sarebbe guarita. Io guardo quelle persone e mi odio perché vorrei guarirle.
 
Sei mesi fa poi, ho incontrato lei. Era in compagnia di sua madre, la quale probabilmente doveva fare una visita. Io ero nella sala d’attesa e osservavo i pazienti, i loro volti, i loro occhi. Quando il dottore le chiamò, lei diede una pacca amorevole sulla spalla della madre, e insieme entrarono. Aveva ragione, è normale piangere  quando hai un mostro dentro. Lo avrebbero fatto tutti. Dopo un po’ di tempo uscì solo la ragazza. Poteva avere due anni meno di me, era bella, alta, capelli corti e occhi color nocciola. Si sedette proprio accanto a me con aria arrabbiata, le braccia incrociate al petto, e borbottava chissà cosa. Io la fissavo come un imbecille, e lei se ne accorse.
«Cos’hai da guardare? Mai vista una tipa incazzata?»
Mi svegliai dalla mia trance, e sentii il viso andarmi a fuoco. «S-Scusa, mi dispiace.»
Lei si stropicciò gli occhi, poi mi tese la mano. «Scusami tu, oggi sono scontrosa più del solito. Sono Sam, piacere.»
Abbozzai un sorriso e ricambiai la stretta. «Louis.»
«Sei di queste parti?» domandò incuriosita. Annuii, e lei mi disse che abitava in un paese vicino.
«Maligno o benigno?» la guardai sotto shock a causa di quella domanda, e mi chiesi se non avessi udito male.
«C-Cosa?»
«Sei qui, devi fare una visita. Hai un tumore?»
La tranquillità che utilizzava per parlare di quell’argomento mi spiazzò completamente. Sua madre era all’interno a piangere, e lei sembrava solo infastidita, come se la malattia fosse solo uno stupido contrattempo.
«N-No.»
«E cosa ci fai qui?»
Non potevo dirle della mia strana ossessione, non dovevo. Ma quegli occhi da cerbiatto mi guardavano, e così lo feci. Le dissi: «Qui scorre la vera vita, e a me piace circondarmene.»
Lei storse un po’ le labbra, ma non commentò nulla.
«Senti, mia madre ne avrà per molto lì dentro, che ne dici di vedere scorrere la vera vita davanti ad un gelato?»
Accettai come un’ameba, ma cerca di capirmi. Lei era bellissima e aveva uno strano fascino, anche se la sua indifferenza mi uccideva quasi. Mi piaceva la sua compagnia, mi sentivo bene. Rischiai di vomitare tutto il gelato solo quando lei mi disse quella cosa, che avrei preferito non sentire mai.
«E così tua madre…»
«Sì, piange sempre da quando è successo e non la smette più. Che palle.»
Alzai un sopracciglio. «Sam, è malata, ha tutto il diritto di piangere, non credi?» sbottai a quel punto, stanco di quella sua indifferenza. Come poteva?
E poi capii perché poteva. Sorrise, per la prima volta nei suoi occhi vidi un barlume di tristezza, il muro che crollava.
«Non è lei ad essere malata, Louis. Sono io. Io ho quella schifosa malattia.»
 
E mi ritrovo per la seconda volta in quel pozzo senza fondo, un abisso di dolore. Per la seconda volta, io e il mio potere siamo inutili e non possiamo salvare chi amiamo.
Perché io non ho fatto la cosa giusta, ovvero smettere di frequentarla e tornare alla mia vita. Ho continuato a conoscerla, a consolarla anche quando non me lo chiedeva, a guardare film con lei, a tenerle la mano quando aveva paura. Ho fatto la cosa sbagliata e mi sono innamorato di lei.
E lei sta per morire, capisci che fregatura è la mia vita? Le hanno dato un anno di vita, e Sam, la mia Sam, ha rifiutato le cure. Come se si fosse già arresa al suo destino, come se non gliene fottesse un cazzo di me che l’amo e non voglio perderla. Ho perso mia madre, e sto per perdere anche lei.
Capisci, perché i miei occhi sono sorridono mai? Perché hanno visto cose bellissime che dovranno finire, perché il mio potere non serve a nulla.
Posso io, ventunenne con una vita davanti e la fila di ragazze dietro, morire per amore a causa sua?
È doloroso, e io non faccio che guardare i miei amici e immaginare cosa accadrebbe se uno di loro si ammalasse. Polly dice che il mio potere è forte ma non abbastanza per questo tipo di malattia, e che dovrei solo affidarmi alla scienza. Vorrei morire, morire mentre curo Sam e ci riesco.
 
 
-Alexis
Piansi silenziosamente, quel giorno, ma non in presenza di Louis. Lo feci a casa mia, lontana dallo sguardo di tutti.
In quel momento mi alzai in piedi e abbracciai forte Louis. Anche se non serviva a nulla, era meglio che provare dolore sulle proprie spalle.
Non potevo dirgli “guarirà, vedrai” o “ starà bene”. Era inutile e ipocrita. «Amala incondizionatamente finché puoi.» gli dissi invece, e lui sembrò apprezzare il mio gesto.
Mi sorrise grato, poi mi aiutò a prendere le borse e camminammo insieme senza dire una parola.
Vidi una piccola folla all’interno di un negozio d’abbigliamento, e vidi i volantini fuori che spiegavano il perché: saldi. E io amavo i saldi.
Chiesi a Louis di aspettarmi fuori e entrai all’interno del negozio brulicante di gente e di bei vestiti. Agguantai due magliette che avevo notato sin da subito e, vedendo che la taglia era senza dubbio la mia, optai per mettermi in fila e attendere il mio turno per pagare. Avanti a me c’era una donna sui trentacinque anni, alta, con capelli legati in una coda di cavallo e color biondo platino. Apparì una seconda commessa, che aprì la seconda cassa e permettendomi quindi di cambiare postazione. Ero proprio accanto alla donna, e riuscii ad osservare i suoi occhi azzurro cielo, molto chiari e quasi trasparenti. La presenza di quella donna mi fece venire i brividi, e capii il perché solo qualche secondo dopo.
Al suo collo c’era una collana, il quale pendente era una pietra incastonata nel suo piccolo involucro di metallo. Assottigliai lo sguardo, e pian piano sentii crescermi dentro il panico. Quella collana era familiare, e ne ebbi la conferma quando, mentre davo i contanti alla commessa per pagare le mie magliette, la pietra cominciò ad emettere luce.
La donna lo notò immediatamente, e cominciò a guardarsi intorno con sguardo famelico e allo stesso tempo allarmato, come se temesse di perdere la ragazza che cercavano da diciotto anni. Finsi di essere interessata al mio nuovo acquisto, ma sapevo che appena uscita dal negozio la luce sarebbe svanita, e la donna avrebbe capito che ero io colei che cercavano. Louis mi osservò sorridente dalla vetrina, e con uno sguardo allarmato gli feci capire che eravamo nei guai. Non conoscevo il potere di quella donna, ma sperai soltanto che non fosse capace di mettermi in difficoltà.

 


E dopo ottomila anni, Eleonora aggiorna!
ok non comincerò a scusarmi a random, tanto ormai ci siamo arrese tutte all'evidenza:
non aggiorno più spesso. Non so perché, a volte vorrei scrivere, apro il file, lo guardo.
E lo richiudo.
LO RICHIUDO, CAPITE? Credo di avere il blocco dello scrittore, perché ci sono momenti
in cui scrivo tantissimo, e altri in cui non voglio nemmeno chattare. lol sono strana
in ogni caso, spero questo capitolo mezzo strappalacrime vi sia piaciuto. 
Abbiamo scoperto la storia di Lou, e ora c'è un bel guaio in agguato.
Chi sarà la donna? Idee? scrivetelo nella recensione. ♥
   
 
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