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Autore: Marra Superwholocked    24/08/2013    4 recensioni
"Io ero letteralmente spiaccicata al muro, con gli occhi serrati e la bocca che lo imploravano di mettere giù quel coso dalla luce verde.
Poi quell'aggeggio finì di far rumore e potei finalmente riaprire gli occhi.
E fu lì che conobbi il Dottore."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10, Nuovo personaggio, TARDIS
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

Un incontro non programmato

 

La mia vita era tremendamente monotona. Era tutto concentrato su orari da rispettare, linguaggio appropriato e treni da non perdere.
Facevo la commessa in un negozio d'alta moda da dieci anni. Non era di certo il lavoro che sognavo mentre frequentavo il liceo, ma era tutto ciò che potevo fare dopo la morte dei miei genitori quando avevo diciotto anni e dovetti lasciare la scuola. Studiavo per diventare una giornalista, ma il mio sogno andò in frantumi quando mia nonna, l'unica parente che mi rimaneva, si rifiutò di ospitarmi durante il mio ultimo anno di studi. E questo solo perché il mio ex fidanzato si era tinto i capelli di un verde acceso e ascoltava solo rock psichedelico: era un tipo abbastanza particolare ma del tutto innocuo. Solo che mia nonna non mi credette e fui costretta ad andarmene dalla casa in cui crebbi perché non riuscivo a pagare le bollette, cercarmi un lavoro come si deve e una casa poco costosa.

Stavo viaggiando in treno verso casa quella sera. Faceva freddo e non aveva intenzione di smettere di piovere. Me ne stavo seduta sul mio sedile, rannicchiata col mio libro in grembo, troppo stanca per aprirlo. Fissavo le case svanire in pochi secondi dalla mia visuale che avevo dal finestrino alla mia sinistra; le gocce di pioggia scendevano in diagonale per la forte velocità del treno.
All'improvviso sentì la voce del controllore, a poche spanne dal mio volto, chiedere del biglietto. Gli porsi il mio tesserino di abbonamento e con un sorriso stanco lo salutai, per poi tornarmene a fantasticare sulla vita che non ho mai avuto. E che, in un certo senso, non rimpiango, perché di lì a poco avrei incontrato la persona che stravolse la mia vita.
Scesi dal treno una fermata prima della mia, solo per poter camminare al chiaro di luna. Non ho mai avuto paura del buio, ma di certo la luna piena mi aiutò a non perdermi.
Erano le otto di sera passate e in giro c'erano solo pochi ragazzini che, incuranti delle ventate gelide di novembre, camminavano mano nella mano con le loro fidanzatine.
Da una finestra provenivano le dolci note di Casta Diva: segno che il mio vicino di casa, Earl, aveva esagerato con il vino. Nonostante i suoi ottantasette anni.
Mi soffermai sotto la sua finestra e chiusi gli occhi stringendomi nel mio cappotto e assaporando ogni nota di quella canzone, finché un gatto non si strofinò tra i miei stivali cercando compagnia.
La musica finì e qualcosa prese il posto di quella melodia. Questo..rumore somigliava al respiro di un sub a tre metri sott'acqua: tutto tace, tranne quel suono.
D
a dietro l'angolo lampeggiava una luce allo stesso ritmo di quel rumore. Mi avvicinai rasente il muro e sbirciai verso quella luce.
Sembrava tutto normale. Ma poi notai una lanterna che non avevo mai visto prima. Era la lanterna più luminosa e strana che vidi in tutta la mia vita: illuminava l'intera via senza dar alcun fastidio e non attirava nessun insetto. Sembrava essere fatta per stare in quel preciso posto; era perfetta.
Dopo qualche istante notai una cabina telefonica della polizia proprio sotto la lanterna.
Una cabina blu con una lanterna appollaiata sul suo tetto.
Ero più che certa che quella mattina non ci fosse nulla di tutto ciò in quella via.
Mi avvicinai di soppiatto e guardinga alla cabina, dal suo interno proveniva una sola voce, quella di un ragazzo o di un uomo, forse.
Poi la porta cigolò e mi nascosi immediatamente dietro un bidone della spazzatura che puzzava come solo-Dio-sa-cosa. Da quel punto potei vedere bene che l'interno era molto luminoso e non somigliava nemmeno lontanamente ad una cabina telefonica. Certo, fuori c'era un vecchio telefono, forse funzionante, ma l'interno...era più grande. Il ragazzo uscì e sembrava quasi drogato: saltellava da un punto all'altro come una cavalletta e non stava zitto un secondo: “Ah, guarda che cielo! Guarda che luna! ...Senti che puzza!” lo sentì esultare.
Era euforico e contento per la puzza?
Ringrazio infinitamente quel gatto che poco prima si strusciava tra i miei stivali e che in quel momento fece cadere il bidone dietro il quale mi ero nascosta.
Il ragazzo si irrigidì subito e mise una mano nella sua giacca.
“No!” urlai in preda al panico. “Non ho armi con me quindi.. metti giù quella pistola!”
Ma lui, per tutta risposta, rimase con la mano nella giacca e ne estrasse una cosa lunga, luminosa e rumorosa, puntandomela a due centimetri dal naso.
Io ero letteralmente spiaccicata al muro, con gli occhi serrati e la bocca che lo imploravano di mettere giù quel coso dalla luce verde.
Poi quell'aggeggio finì di far rumore e potei finalmente riaprire gli occhi.
E fu lì che conobbi il Dottore.

   
 
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