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Autore: Redrum    06/03/2008    3 recensioni
Questo è quello che significa essere romantici secondo me.
Non si può dire che non ci abbia provato.
Comunque non è Moccia, per fortuna
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordo più che ora sia, sono uscito da casa col cuore in gola e ho creduto sarebbe stato meglio prendere la macchina per cercarti. Uscito dalla soglia mi sono reso conto di quanto avessi fatto bene ad avere strette nel pugno le chiavi, con quel ciondolo che ci ha attaccato mia madre per riconoscerle, quello fatto a palla di biliardo col numero 6 che ormai non so più di che farmene. È passato più di un anno ma anche adesso c'è la pioggia, solo che stavolta è vera. È realmente presente sulla manica del mio giubbotto, picchietta sul mio viso e cadendo in gocce sugli occhiali mi distorce la prospettiva attraverso le lenti che ormai sarebbe meglio farmi cambiare, sono anni che porto le solite. Le Etnies invece ce l'ho da pochi mesi, eppure grazie al mio vizio di strascicare i piedi sono riuscito a consumare il tacco di una, e l'acqua mi inzuppa leggermente il tallone. Sento il calzino inumidirsi e così inizio a camminare zoppicando sulle punte come un perfetto idiota. Ci sono solo io, tutti questi stronzi in questa stronza cittadina se ne staranno al caldo nella loro stronza casa tirata a lucido a pensare alla prossima occasione in cui potranno andare con i loro stronzi amici al bar da Carlotta e spettegolare su quel tale lì che frequentava l'asilo con tiziocaio che l'ha visto in discoteca a fare questo e quello. Su di me avrebbero di che spettegolare, ma a me non importa perché mi importa solo della pioggia, stanotte. E stanotte ci sono solo io, quindi la pioggia è mia, e mia soltanto. Giuro che non vedo un'anima, e cammino imperterrito, schermando la palla di luce dei lampioni con la stoffa dell'ombrello nero grande – che quello piccolo non bastava a ripararmi, l'ho lasciato in macchina – e riuscendo così a vedere i contorni luminosi delle gocce che cadono dal cielo lungo le facciate delle (stronze) case. Ho le cuffie alle orecchie e sto sentendo Reanimation, quasi ignaro che per la prima volta dopo più di quattro anni non lo ricollegherò più a notti di freddo walkman scassato cuffie intinte per sbaglio in una fontana diari di scuola con foto di Kirsten Dunst appiccicate sopra con lo scotch e scritte simil-murales perché non mi riesce fare di meglio dato che come dice Carletto sono un toy e come al solito ha ragione... Mi chiami. Avrei dovuto immaginarlo che sapere il nome delle strade di questo (stronzo) posto mi avrebbe fatto comodo prima o poi, ma poco importa perché l'istinto mi ci porta lo stesso, o forse è la pioggia. Forse è lei che mi trascina amorevole in questa strada buia oltre al passaggio a livello che sembra di essere ad Axetown, solo che davanti a me c'è il locale più triste che si possa immaginare, e, davanti al locale più triste di questa stronza cittadina che non è degna nemmeno di essere sfiorata dai tuoi piedi sull'asfalto, c'è un non più triste figuro con gli occhiali e i capelli spettinati peggio di Sweeney Todd intrisi di pioggia, che prima di uscire si è spruzzato quel profumo di arancia e vaniglia che gli innesta un meccanismo di memoria olfattiva che ormai rimanda solo a te, un po' come il tuo giubbotto verde col pelo che è rimasto per un mese sulla sedia con le ruote sotto il tavolo nello studio, nascosto a tutti tranne che a me, quell'ammasso di stoffa e piume di non so cosa intriso del tuo odore dolce, che mi sono portato al viso dieci volte al giorno, per non perdere nemmeno l'ultima traccia che avevo di te in quei giorni, respirandoti fino a morirne. E questo figuro con gli occhiali adesso si caccia il lettore cd in tasca, lascia cadere l'ombrello sul marciapiede zuppo d'acqua che forse una delle stanghette di metallo si è piegata per la botta ma non importa – non adesso, tiene stretto il piccolo regalo che ha per te nella tasca sinistra e corre tremante di felicità, corre verso la porta blindata che si socchiude, sorridendo nel vedere il tuo faccino, gioendo per la sensazione di potente irrealtà che ha provato solo sentendosi dire “ti amo” dalla persona che mai avrebbe creduto e tanto avrebbe voluto sentirglielo dire, la stessa di cui gli basta vedere anche solo la prima foto per scoppiare a piangere di felicità, stupida felicità piagnucolosa, quella che non vuoi, non vuoi è sciocca non piangere e allora non piango, amore, non piango più, sono felice adesso, felice con te, felice anche adesso che sto scrivendo e tutto è già successo, e l'ombrello l'ho già raccolto da terra e la stanghetta sì è vero era un po' piegata ma il meccanismo a molla è scattato comunque e a casa ci sono tornato quasi asciutto, anche perché aveva smesso di piovere – visto che serviva l'ombrello quello grande? –, sono felice adesso che sento che mi sforzo e mi impunto per essere convinto di controllare la mia mente quando è la mia mente che vuole te, quando sono io che voglio te, quando è chiaro che non ci sono più quelle brutte cose ronzanti che vedo al microscopio come enormi, perché sono solo cacchette minuscole su uno stronzo vetrino da laboratorio, e chi vorrebbe vedere cacchette minuscole su uno stronzo vetrino ingrandite da uno stronzo microscopio? Nessuno, ecco la risposta, o perlomeno non io, che penso a te ogni momento, che sono di nuovo di notte ad ascoltare i Linkin Park ma non sono triste anche se piango perché penso alle mie cazzate come Jonathan Davis che canta con me e mi dà un abbraccio affettuoso come a dire ce l'hai fatta coglionazzo complimenti, ma penso soprattutto a te, e non ho più avuto incastrato in gola il cuore incandescente come una borsa dell'acqua calda dal primo giorno in cui ci siamo parlati, e sono stato tutta la notte vicino a te, come questa sera solo che tu eri vicina, stavolta, molto vicina eppure non potevi parlarmi... non fino a notte fonda, quando tutti dormono eccetto me che mi sveglio, mi sveglio, mi sveglio sempre per te, anche solo per una lettera a sorpresa nascosta dietro il disco nella custodia di Edward Mani Di Forbice, anche solo per un bacio, come quelli che mi hai stampato sulle labbra insensibili dal freddo, che pizzicavano e bruciavano come se fossero ghiaccioli in sublimazione, e ne chiedevano ancora, ancora, prima di andare, ancora, prima che la porta blindata si richiuda sul casino di una festa che mi dirai che chiaramente faceva schifo ma a cui dovrai andare, che sarebbe stato meglio stare io e te sotto il piumone a leggere IT e mangiare yoghurt e guardare Il Miglio Verde e fare l'amore e frignare per l'ultima puntata di Lost, ma adesso devi andare, ritornare dentro quello stronzo locale, lasciandomi qui, e io lasciandoti lì, ma non devi temere, perché sappi che non ci sono dubbi, e che io sono la persona più felice del mondo, adesso, anche se sono bagnato, con un ombrello formato famiglia ed ha smesso di piovere. Lo sai perché? Perché la pioggia ce l'ho nel cuore.

È mia, e mia soltanto.





4 marzo 2008

  
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