Libri > Fiabe
Segui la storia  |       
Autore: littlemoonstar    02/09/2013    1 recensioni
Il mio nome è Cappuccetto Rosso, ma in questo nuovo mondo mi chiamano solo Red.
E in questo mondo un tempo fatato cerco di sopravvivere ora dopo ora, cercando di capire cosa lo abbia ridotto in questo stato pietoso e deprimente.
Io sono Red, e vivo in un mondo pericoloso, in cui il vissero felici e contenti non ha più senso di esistere.
Sono una sopravvissuta, e questa è la mia storia.
 
[Capitolo 18]
Ed ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte ai miei occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare le paure più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri della mia infanzia. Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

4. A very marry unbirthday to you.





I fumi radioattivi mi sarebbero costati la vita, se non avessi avuto la maschera di Biancaneve. La indossai per tutto il tempo, senza mai toglierla. Sentivo gli effluvi provenienti dal terreno avvolgermi. La pelle prudeva, e nonostante la maschera avevo costantemente uno strano sapore in bocca.
Che schifo di posto.
Chissà se la casa dei nani era l'unica ad essere rimasta in piedi. Da quello che mi aveva detto Biancaneve, il castello era andato a farsi benedire, così come quell'idiota di un principe. In fondo non mi era mai piaciuto.
Insomma, a baciare siamo bravi tutti. E il dopo, che divide chi ha le palle da chi non ce le ha.
E in quel momento, Biancaneve probabilmente era più uomo di quanto mai sarebbe stato il principe.
Sapevo che quel bosco era grande, forse anche più grande del mio. Ma almeno non c'erano lupi famelici, e le creature del bosco erano asservite a Biancaneve. Perciò non correvo alcun pericolo.
Ora l'obiettivo principale era uscire da quel dannato bosco e recuperare qualche munizione. Era difficile riuscire a trovarle, l'ultima volta le avevo rimediate grazie ad un giro di contrabbando che avevo scoperto per caso, e ne avevo prese un bel po'. Adesso dovevo mettere in moto il cervello e cercare di trovarne altre prima di finire ammazzata.
Biancaneve aveva messo nella sacca una bottiglietta di sidro di mele. Di certo mi avrebbe scaldata.
Oramai camminavo da un bel po', ma percepivo ancora l'intensità dei fumi tossici attorno a me.
E nonostante tutto, non potevo fare a meno di pensare a Peter. Chissà se aveva trovato riparo durante la tempesta. Chissà se era vivo.
No, non dovevo pensarci.
Non dovevo, maledizione.
Scalciai a terra, colpendo una pigna rinsecchita. La vidi rotolare pochi metri più avanti, e poi sparire. Mi bloccai. Di certo non era la prima stramberia a cui avevo assistito, ma non per questo dovevo fregarmene.
Avanzai cautamente, un passo dopo l'altro. Ogni centimetro era indispensabile e prezioso.
Frugai nella sacca in cerca di qualcosa da poter lanciare davanti a me, ma tutto quello che mi passava tra le mani era più che indispensabile. Scavai nella neve fino a che non trovai una pietra grossa come il palmo della mia mano, piatta e ruvida. Dosai bene la forza e la lanciai di fronte a me. La pietra cadde con un tonfo, e poi sparì.
Scossi la testa, irritata. Quei giochetti mi davano fastidio, e non poco. Così decidi di rischiare. Avanzai sempre più rapidamente, contando i passi che mi separavano dall'oblio.
Ma non avevo paura. La paura se n'era andata da un pezzo oramai.
Più o meno da quando mi ero svegliata in una pozza di sangue, con il braccio mozzato e i brandelli di carne che penzolavano dal gomito. Una scena a dir poco raccapricciante. Ero stata svezzata brutalmente, ma forse era meglio così. La sopravvivenza era difficile, ed essere forti era tutto ciò che ci rimaneva.
C'era qualcosa che bloccava la strada. Un muro invisibile chissà quanto ampio di cui riuscivo a percepire solo qualche dettaglio confuso. E questo mi irritava ancora di più.
Così tirai un pugno alla parete che bloccava il mio cammino. Un pugno energico, forte, senza alcun timore.
La superficie era liscia solo in apparenza: poco al di sotto si poteva percepire qualcosa di ruvido, frastagliato e informe.
Non avevo idea di cosa si trattasse. Uno sfrigolio all'altezza dei miei occhi attirò la mia concentrazione, e un cumulo di neve cadde a terra senza fare il minimo rumore. Al suo posto c'era solo un buco dai contorni irregolari, al cui interno riposavano lunghe foglie verdi, brillanti e vitali.
« Oh, maledizione. » imprecai sottovoce, alzando gli occhi al cielo. Era una siepe. Non sapevo quanto fosse grande, né se fosse tanto fitta da non poterci passare attraverso. Scostai un altro poco di quella neve rinsecchita e pian piano scoprii altre foglie, verdi allo stesso modo e tutte vicine tra di loro.
Era incredibile come si fossero mantenute al di sotto di quella cupola di nevischio, che le intrappolava nei suoi fumi velenosi lasciandole tuttavia intatte. Non sapevo come fosse possibile.
Ma di una cosa ero certa: c'era un solo mondo, a parer mio, in cui era così difficile entrare.
Sbuffai, irritata, e il mio pensiero corse subito al Bianconiglio. Se ci fosse stato lui sarebbe stato tutto molto più semplice. Mi guardai attorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi.
Perché c'era sempre, sempre un modo per entrare nel Paese delle Meraviglie. Anche in quel terribile caos.
Raramente mi addentravo in quei luoghi, ma adesso dovevo farlo e anche alla svelta. Non sapevo se l'aria lì fosse già respirabile, così tenni su la maschera antigas per sicurezza. Mi inginocchiai e frugai nella neve, cercando tra le foglie verdi che spuntavano sporadicamente tra gli ammassi di ghiaccio e acqua.
Terra, erba, terra ed erba. Nient'altro. Scavai più a fondo, avvicinandomi poi alla siepe. I guanti di pelle mi proteggevano dalla bassa temperatura, ma nonostante tutto percepivo chiaramente il vento gelido del bosco.
Scavai ancora, fino a quando non vidi qualcosa di diverso da tutta quella neve: qualcosa di più colorato, vivido e brillante.
Un fungo.
Un vero fungo, con il cappello color miele e il gambo tozzo e spesso. Accanto ve ne erano altri due, più piccoli ed esili. Staccai il fungo più grande da terra e lo analizzai da vicino.
Il dubbio mi attanagliava: in quel miasma di polveri tossiche e fumi radioattivi, di certo mangiare un fungo cresciuto per terra era la cosa più sbagliata da fare. Ma non avevo scelta, se non quella di cambiare strada e allungare il mio percorso costeggiando quella siepe infinita. Il mio senso dell'orientamento era scarso su quella zona, e non sapevo dove sarei andata a finire cambiando strada. E poi ero inspiegabilmente attratta da quel rischio così vicino. Volevo sfiorare la morte, e semmai mi fossi svegliata, sarebbe stata una vittoria in più. Staccai il cappello del fungo dal gambo e ne mangiai un pezzetto, masticando e ingoiando ad occhi chiusi.
Nel Paese delle Meraviglie c'era una regola: mangiare o bere qualsiasi cosa poteva essere molto pericoloso.
Ma in quel momento del pericolo mi importava poco. Speravo davvero che quel pezzetto di fungo insapore mi aiutasse. Che so, a diventare più piccola.
O a crescere a dismisura. No, forse quello sarebbe stato troppo.
Indossai di nuovo la maschera antigas e attesi. Uno, due, tre minuti. Non accadeva nulla. Forse quello schifo di Inverno nucleare ne aveva annullato gli effetti, o forse quello era solo uno stupido fungo ed io lo avevo mangiato inutilmente. Cominciavo a pensare che la seconda ipotesi fosse più realistica.
Meglio che essere maciullata dalle scorie tossiche, senza dubbio. Ma quel fungo sembrava così innocuo che non lo ritenevo possibile.
Pochi istanti dopo mi accasciai a terra, perdendo i sensi.




Aprii gli occhi di scatto, prendendo un grande respiro come dopo una lunga apnea sott'acqua. La mente era completamente vuota, priva di ogni ricordo. Poi, come un uragano, ritornò tutto.
Il fungo.
Una mossa geniale, Red. Complimenti.
Mi alzai in piedi, e come al solito verificai di avere tutto al mio posto. La sacca, la lancia, i coltelli.
Frugai nella borsa e afferrai con tenacia la bottiglia di sidro di Biancaneve. Ne bevvi un sorso, poi un altro.
Mi guardai attorno, e mi accorsi subito di una cosa: la neve era sparita.
E questo voleva dire che ero dall'altra parte.
Mi ci volle poco a confermare la mia ipotesi: attorno a me c'erano solo erba incolta, sterpaglie e fiori dalle dimensioni sproporzionate, probabilmente resi tali dalle radiazioni che oramai incombevano su tutti noi.
Provai a togliere la maschera antigas, rendendomi conto che l'aria era più che respirabile. Ma l'atmosfera non era certo delle migliori.
Il cielo era di un grigio topo, come se da un momento all'altro dovesse scoppiare una tempesta. Il sentiero che mi divideva da quella specie di prato in versione gigante era lasciato a se stesso, così come tutto il resto.
Tirai su gli occhiali e li fermai saldamente sulla testa, scrollandomi la neve di dosso.
Il Bianconiglio mi aveva detto che il Paese delle Meraviglie non se la passava bene, ma non credevo a tal punto. E adesso iniziavo a capire perché cercava sempre di rimanere lontano il più possibile dal suo regno.
Improvvisamente mi ricordai del fungo che avevo mangiato, e cominciai a pensare di essere diventata più piccola: in fondo, tutto lasciava intendere che fossi io, quella troppo minuta nel contesto.
Mi guardai attorno, e dopo aver recuperato le mie cose iniziai a costeggiare i giganteschi fili d'erba, seguendo il sentiero terroso. Sembrava un luogo misero, abbandonato sotto lo sferzante attacco del tempo.
Metteva nostalgia. Chiunque nel mondo delle Favole ricordava quel posto per l'allegria e la spensieratezza che si potevano percepire in ogni angolo, nonostante la follia.
Ma non c'era nulla, davanti ai miei occhi, che ricordasse tutto ciò.
Continuavo a cercare qualche punto di riferimento, qualcosa che mi suggerisse la mia vera altezza. Ma intorno a me vedevo solo tanto caos, e quella confusione stava lentamente facendosi strada nella mia testa.
Un fruscio flebile mi distrasse da quei pensieri sconnessi. Mi voltai velocemente, cercando di vedere oltre quella barriera verde marcio. Il silenzio aveva coperto ogni rumore.
Ogni rumore eccetto uno.
Un tintinnio, leggero e delicato. Come di due oggetti che lentamente vengono a contatto. Somigliava ad un suono che avevo già sentito prima, che ricordavo o ero in grado di riconoscere.
Il tintinnio di una tazza da tè.
Feci un passo in direzione dei grandi fili d'erba, tenendo la lancia stretta a me. Dovevo fidarmi solo del mio istinto. Smisi di muovermi, respirando lentamente e modulando ogni minimo movimento. Sapevo che sarebbe scattato qualcosa, non appena qualcuno avesse rotto il silenzio. Era questione di secondi.
Due piccoli e luminosi occhi gialli apparvero nell'oscurità. « Non muoverti. » mormorò la vocina incrinata tra i fili d'erba.
E in un attimo mi ritrovai accerchiata. In trappola, senza neanche accorgermene, tenuta stretta da due grossi energumeni di cui non riuscivo a scorgere il volto.
« Lasciatemi! » gridai, dimenandomi. Ma erano forti, e non ci misi molto a capire che non era sempre stato così. Le radiazioni nel paese delle Meraviglie avevano agito peggio degli steroidi.
« Fossi in te non farei così tanto chiasso. Non vorrai mica farti trovare, vero? » la misteriosa figura al di là delle fronde scavalcò la matassa d'erba ed apparve, riconoscibile più di chiunque altro.
Prima di quel casino amavo trascorrere qualche giornata nel paese delle Meraviglie, nonostante lo considerassi un covo di matti. Ma adesso avevo come l'impressione che entrarci non era poi stata un'idea tanto brillante.
Di fronte a me, il leprotto bisestile mi fissò con quegli occhi indagatori, muovendo le lunghe orecchie che cadevano delicatamente sulle spalle. Anche lui era diventato decisamente più alto, e aveva la gobba. Il pelo era ispido e mancava in alcuni punti, così come il suo panciotto macchiato e rovinato dal tempo.
Sembrava essere appena uscito da una rissa.
« Non ce la passiamo bene, vedo. » mugugnai, cercando di scrollarmi nuovamente di dosso i due gorilloni, che non erano altro che due degli animali del bosco. « andiamo, ragazzi. Non dovete fare...una maratonda, o qualcun'altra di quelle idiozie che prima amavate tanto? ».
Uno dei due mi ringhiò contro. Probabilmente non capivano il mio umorismo. Il leprotto prese la mia lancia e guardò i due bestioni. « portiamola via. ».
« Via? » ripetei, agitandomi di nuovo. « andiamo, non mi riconosci? Le radiazioni ti hanno spappolato il cervello, per caso?! ».
Lui si avvicinò a me con una strana bottiglietta di vetro. Appeso al tappo di sughero c'era un bigliettino con su scritto Bevimi. Maledizione.
« Da brava, buttala giù. » mugugnò lui, aprendomi la bocca con forza. Il liquido era color lavanda, e sapeva di stantio e ruggine. Un vero schifo.
« Brutti bastar – » cominciai, ma non sentii il resto. In pochi istanti caddi di nuovo nel buio.





Quando mi svegliai, l'irritante rumore di tazzine e ceramica fu la prima cosa che udii. Imprecai. Ero in quel maledetto posto da cinque minuti e già avevo mangiato e bevuto, le due azioni assolutamente controindicate.
Ed ora ero lì, narcotizzata, su quel lungo tavolo pieno di tazze.
« Tavolo? » ripetei, mettendomi a sedere di scatto. La testa mi girò per qualche istante, così cercai sostegno sul duro legno del tavolo di mogano scuro.
C'era odore...di tè. Sorrisi. Conoscevo quel posto. Mi guardai attorno, ma gli alberi coprivano tutto ciò che c'era al di là di quel luogo. I fumi delle teiere annebbiavano parzialmente la vista, ma nonostante tutto riuscii perfettamente a vedere dall'altro capo del tavolo.
« Sai che non dovresti bere nulla in questo posto. » sussurrò una voce suadente e bassa. « eccetto il mio tè. ».
« Non mi fido neanche di quello, se permetti. » risposi, e dall'altra parte udii una risata stridula.
« Mi scuso per il trattamento, Red, ma non eravamo certi che fossi ancora...te stessa. ».
Qualche passo verso di me, e finalmente riuscii a vederlo: il tempo e l'Apocalisse non erano riusciti a scalfire la sua figura distinta, ne i suoi abiti dai colori sgargianti; i capelli erano sempre di quel color perla, lunghi appena sopra le spalle e leggermente disordinati. Il Cappellaio fece un leggero inchino, togliendosi per un attimo lo sproporzionato cappello verde in segno di riverenza.
« Dì alle tue bestiole di trattare meglio gli ospiti. » sibilai, con un sorrisetto. Lui mi rispose di rimando.
« Bevi, sarai un po' scossa. » mi rispose poi, porgendomi una tazza color canarino. Afferrò una teiera fumante a forma di otto, e verso il tè nella mia tazza.
Inspirai quell'odore familiare, il vago sentore di limone e la punta di zucchero. Era sempre lo stesso.
« Alcune cose non cambiano mai, vedo. » commentai, sorseggiandolo lentamente. « Ma credo sia maleducazione bere il tè sopra il tavolo, non credi? ». Il Cappellaio scoppiò in una sonora risata: nei suoi grandi occhi color nocciola c'era un barlume di luce che raramente riuscivo a vedere in lui.
« Vedo che la follia è sparita anche dai tuoi occhi. » proseguii, sedendomi su una delle grandi poltrone che fiancheggiavano la tavolata. Accanto ad essa c'erano la mia lancia e la mia sacca, accuratamente riposte vicino a me. Il Cappellaio guardò il cielo malinconico. « La follia non ci serve più. ».
In quel momento un fruscio dall'altra parte della radura attirò la nostra attenzione, e il leprotto – se così poteva ancora chiamarsi, vista la stazza – uscì dal fitto del bosco con una tazza sulla testa.
« Oh, mancavi solo tu. » esclamò il Cappellaio, facendogli segno di avvicinarsi. Lui si grattò la testa con una delle zampe, visibilmente in imbarazzo. Sapevo che era maledettamente difficile per lui chiedere scusa. Non era un'abitudine che aveva, visto che prima era matto da legare.
« Non ci pensare. » dissi, scrollando le spalle. « è tutto okay. ». Lui mi rispose con un grugnito e si appollaiò su una delle poltrone più distanti da noi.
« Hai incontrato il Bianconiglio? » mi chiese il Cappellaio, rompendo il silenzio. Annuii.
« Mi è stato utile. » dissi, bevendo un altro sorso di tè. « Devo riuscire ad attraversare il vostro mondo e arrivare dall'altra parte. ». Lo vidi sospirare.
Il Cappellaio era sempre stato un tipo malinconico sotto la sua follia: insomma, la storia del tempo che si era fermato all'ora del tè l'aveva profondamente scosso, nonostante nessuno se ne accorgesse visto che era matto.
« Purtroppo non è così semplice, mia cara. » disse dopo un lungo silenzio. « il nostro mondo è molto cambiato dall'ultima volta. Anche se la follia ci ha abbandonati, ci sono molte persone qui che l'hanno raccolta e fatta propria. ».
« Nel senso che sono più matti di prima? » mugugnai, con una smorfia. Lo trovavo difficile. Il Cappellaio mi lanciò un sorrisetto affettuoso.
« Adoro il tuo senso dell'umorismo. Per fortuna non ti ha abbandonata. » sibilò, lasciandosi andare sulla poltrona. « La Regina Rossa ha dato vita ad una delle dittature più terribili che questo regno abbia mai conosciuto. Le carte ispezionano la zona e non danno scampo a nessuno. Fortunatamente questo posto è tenuto nascosto dall'incantesimo del tempo, e nessuno può entrarvi se non invitato o portato qui da uno di noi. Per questo il leprotto ti ha portata qui con la forza: di questi tempi chiunque potrebbe essere una spia della regina. O peggio, fare tanto baccano da far scoprire il nostro nascondiglio. ».
Rimasi ad ascoltare le sue parole con molta attenzione, comprendendo perché il Bianconiglio amava stare lontano da quel posto: era molto difficile uscirne, così come viverci.
Sospirai. « Io non capisco. La Regina Rossa è già stata sconfitta, perché Alice non fa nulla per fermarla? E' l'unica che può riuscirci! ».
A quel nome, il Cappellaio sussultò. Pronunciarlo aveva fatto scattare in lui qualcosa, probabilmente di orribile. Rimasi in silenzio, osservando il tremolio appena percepibile delle sue mani.
« Cappellaio..? » mormorai, confusa. « Va tutto bene? ».
Lui sospirò di nuovo. « E' ora che tu veda una cosa, Red. ». Detto questo si alzò, ed io lo seguii: ci addentrammo all'interno del bosco, in una minima porzione di quel regno a cui la regina non poteva accedere. Oltrepassammo la spiaggia degli animali, adesso deserta. Ci scambiammo un rapido sguardo, e il Cappellaio percepì subito i miei pensieri. Effettivamente, non sentire più gli animali cantare quegli stupidi motivetti faceva un certo effetto.
Ci inoltrammo lungo il sentiero, fino a che non ci trovammo di fronte ad una casetta davvero deliziosa, tutta bianca e con le imposte blu. Il vialetto si interrompeva di fronte ad un piccolo cancello, che portava ad un giardino mal curato: da esso si diramava un secondo sentiero, che portava fino ad un orticello dove ora crescevano solo erbacce; il tetto era rovinato, e mancava qualche tegola; il patio era deserto e lasciato a sé stesso. Le imposte erano chiuse, dal camino non usciva fumo. Era una casa abbandonata.
« E' la casa del Bianconiglio? » azzardai, e lui annuì.
« Vieni. » mi disse, aprendo il cancelletto. Mi guidò fino alla porta: il pavimento del patio scricchiolava terribilmente, e c'erano ragnatele ovunque. Cosa poteva esserci dentro una casa abbandonata?
Il Cappellaio aprì la porta con una piccola chiave d'oro, estratta magicamente dal suo taschino. La porta scricchiolò, immergendosi nella stanza in penombra. La luce fioca attraversava le imposte chiuse in spiragli orizzontali, con una cadenza regolare.
Mi guardai attorno, cercando di ignorare la polvere e il buio. Il Cappellaio avanzò di un passo, guardandosi attorno. Solo dopo qualche istante si mise a fissare un angolo, dall'altra parte della stanza, completamente illuminato dalla luce della finestra chiusa. La polvere attraversava quel fascio di luce offuscandola.
E lì, all'angolo, finalmente la vidi. Quasi mi si mozzò il respiro.
I lunghi capelli biondi, l'abitino azzurro oramai rovinato dal tempo, la pelle diafana così delicata.
« Sono io, Alice. Sono il Cappellaio. » mormorò lui, avvicinandosi sotto il mio sguardo sconvolto.
Alice alzò lo sguardo, mostrando le grandi occhiaie e gli occhi celesti così vuoti, privi di luce e di qualsiasi barlume di vita. Erano frammenti di uno specchio rovinato dal tempo, opaco e senza alcuna vitalità.
Emise un mugolio così flebile che lo sentii a fatica. Guardò lui, poi lo sguardo si posò su di me. Spalancò gli occhi, intimorita.
« E' Red. Te la ricordi, Alice? E' un'amica. » mormorò il Cappellaio per rassicurarla. Lei mi fissò per qualche istante e poi tornò nella posizione iniziale, con le gambe rannicchiate al petto e la testa tra le ginocchia. Dondolava appena, e forse non se ne rendeva conto.
E a quel punto non riuscii più a resistere. Mi voltai e uscii da quella stanza. Da quella casa. Da quell'orrore.
Alice era mia amica. Forse una delle mie amiche più sincere, quando ancora si potevano stringere legami affettivi con qualcuno. Prima di tutta quella morte, di quella distruzione.
E adesso non c'era più niente. Era lì, in quella casa, senza più un'anima.
Cercai di cacciare via le lacrime, che sgorgavano silenziose macchiandomi in viso di una debolezza vile, ma necessaria. Ero arrabbiata, furiosa per quello che avevo visto. Sentii la porta dietro le mie spalle chiudersi, e percepii il Cappellaio dietro di me.
« Mi dispiace, Red. Non ero sicuro di mostrartela, ma ho pensato che se non l'avessi fatto poi sarebbe stato peggio. » mormorò, mortificato. Nella sua voce c'era un dolore che forse neanche io riuscivo a comprendere.
« Perché? Maledizione, perché! » gridai, stringendo i pugni fino a farmi male. Non sapevo se fosse una domanda o un'imprecazione. Mi lasciai cadere per terra, in ginocchio.
« Lei era l'unica che avesse un briciolo di testa in questo mondo. Ci aveva dato la forza di continuare, aveva sconfitto la Regina Rossa e ci aveva liberati. Ma non è stato sufficiente. » spiegò lui, avvicinandosi a me lentamente. « Dopo l'Apocalisse, tutto è cambiato. L'aria è diventata irrespirabile, le radiazioni hanno modificato il nostro aspetto e ucciso. La distruzione si è manifestata come mai aveva fatto prima. Non era più la follia a spaventarci. Erano l'orrore, la morte. La crudeltà. La Regina è diventata più forte. E Alice non ha retto. ».
Mi voltai, con l'orrore negli occhi. « Vuoi dire che... ».
Lui annuì. « E' impazzita. Da un giorno all'altro è diventata silenziosa, debole. Ogni cosa riusciva a spaventarla. La trovavamo negli angoli più bui del bosco, rannicchiata nel tentativo di non farsi trovare. Diceva che voleva sparire, andare via. E poi, quella luce, quel barlume così vivo che sempre era presente nei suoi occhi è...sparito. Per sempre. La Regina la vuole, e la vuole per vederla morta. Per questo l'abbiamo rinchiusa nella casa del Bianconiglio. In questo modo la Regina non può trovarla. ».
Tirai su con il naso, annuendo appena. « Per questo il Bianconiglio se ne va sempre in giro. » mormorai, e lui annuì. Non era solo per restare lontano da quel mondo. Lo faceva per Alice, per aiutarla.
« Non era quello che ti aspettavi, vero? » proseguì lui, e in quel momento un surreale silenzio ci avvolse.
Per la prima volta non era sufficiente distruggere la Regina. C'era qualcosa di molto più potente che andava eliminato. E fino a quel momento, Alice sarebbe rimasta in quel mondo tutto suo, a combattere con quell'assenza.
« Devo andarmene da qui. Devo riuscire ad uscire. » dissi, fermamente convinta che quel viaggio, da quel momento, non era più solo per me stessa, per il mio obiettivo. Era anche per loro.
Per tutti loro. E per Alice.
Mi voltai, dando una rapida occhiata alla casa. Sapevo che Alice era lì dentro, intrappolata in una prigione da cui era impossibile uscire.
Il Cappellaio si frappose tra me e i miei pensieri. « Ti aiuterò io. Perché so che puoi farcela, Red. Che il tuo viaggio ci aiuterà. Aiuterà tutti noi. ».
« Come lo sai? » mormorai, aggrottando appena la fronte.
Lui mi sorrise. « I matti credono sempre all'impossibile, mia cara. ».














Nb. Il titolo si riferisce alla celebre questione del "Non- compleanno", che mi è sempre piaciuta e che ho deciso di sfruttare. Il Paese delle Meraviglie mi ha sempre affascinato! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante le poche visualizzazioni della mia storia sto continuando a scrivere a ritmo serrato, spinta dalla creatività! Quindi spero vi piaccia!

L.



  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Fiabe / Vai alla pagina dell'autore: littlemoonstar