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Autore: elyxyz    06/09/2013    20 recensioni
TRAMA: Arthur trova davanti a casa un cane abbandonato e la sua amica Gwen gli consiglia un veterinario di nome Emrys.
“Ma che cazzo…?” si lasciò sfuggire, appena messo piede nel vialetto, stringendo le palpebre per mettere a fuoco – fra la pioggia, la nebbia e le tenebre della sera – osservando la massa informe sul suo tappeto ‘welcome’ sotto al porticato buio. Un topo! Un dannato sorcio davanti alla sua porta!
(...) Brandendo l’ombrello rotto come avrebbe fatto un cavaliere medievale con la propria spada – o come un poliziotto con uno sfollagente – si avvicinò risoluto.
E fu allora che si accorse che il topo non era un topo.
Cioè… era un topo
, ma un topo-cane.
Lo stesso topo-cane che ora guaiva e scodinzolava verso di lui, grondando pioggia e bava sul suo tappeto immacolato.
[AU!Fic Merthur. Accenni ArthurxVivian nel passato. - 12 capitoli in totale, storia conclusa.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Waiting for you

Ecco, come promesso un aggiornamento caricato in fretta! Contenti? ^^
Ho solo una cosa da dire… ogni comportamento avrà la sua spiegazione, come vi ho già anticipato nella precedente premessa.

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A misfatto, elisabethy92, hiromi_chan, chibimayu, Rosso_Pendragon, Orchidea Rosa, mindyxx, Burupya, DevinCarnes, Barby_Ettelenie_91, aeron e FlameOfLife.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo II      

 

 

Non si poteva certo dire che Arthur non avesse chiuso occhio quella notte.

L’aveva chiuso, sì.

E riaperto qualcosa come trecento volte.

Per controllare che tutto fosse a posto, che il cane stesse bene o che la casa stesse bene. O che lui stesse bene.

Ogni piccolo rumore lo destava. Lo innervosiva. E finiva per alzarsi e andare a controllare.

 

La guerra era iniziata all’ora di coricarsi.

Arthur aveva il fermo proposito che nessun animale avrebbe soggiornato in camera sua, perché non era igienico.

 

Per questo motivo, malgrado i guaiti infiniti e le lagne strappalacrime, era stato irremovibile.

Aveva posizionato lo scatolone in un angolo del salotto e aveva spento l’illuminazione, augurando la buonanotte al cagnolino.

 

Poi se n’era andato in bagno e, lavati i denti, aveva affondato il suo corpo sfatto nel letto, sotto al morbido piumone, considerando che, entro breve, avrebbe dovuto sostituire questo a mezza stagione con quello invernale, più grosso.

 

Nel silenzio che doveva regnare – normalmente, solo il ticchettio della sveglia scandiva il tempo – il cane non aveva ancora smesso di ululare.

Arthur considerò che ci sarebbe voluto un po’ perché la bestia si calmasse (o si rassegnasse, ma dipendeva dai punti di vista).

 

Dopo un’infruttuosa mezz’ora, sospirando, egli si risollevò e, non appena riaccese il lampadario del salotto, fu accolto da un festoso scodinzolio e da un richiamo ancor più forte, ma meno lamentoso.

 

“Non esiste che si dorma con le luci accese!” l’avvertì, perentorio, schiacciando i pugni sui fianchi, per sembrare più intimorente.

D’improvviso, fu travolto dal ricordo di come, quand’era ancora bambino, suo padre ci aveva messo poco a fargli passare qualsiasi paura del buio. E qualsiasi protesta stroncata sul nascere, per buona misura.

Ma ricordò anche le infinite notti – soprattutto quelle coi temporali – passate rannicchiato sotto alle coperte a piangere in silenzio, fino a quando Morgana non sgattaiolava al suo fianco, abbracciandolo, consolandolo. E poi, appena lui si addormentava, lei tornava furtivamente nella propria stanza. E nessuno avrebbe dovuto dire niente. Nessuno doveva conoscere quel loro piccolo segreto.

 

“Oh, d’accordo!” sbottò allora, cliccando sul pulsante della lampada a stilo accanto al divano – quella che usava per leggere da sdraiato.

Un lucore discreto si espanse nella stanza, sostituendo il chiarore più potente.

 

Il cucciolo si guardò attorno, fissando da oltre il bordo dello scatolone la fonte luminosa.

“Questa è la mia massima concessione!” decretò Arthur, senza attendere replica, girando sui tacchi e tornandosene a letto.

 

Fece appena a tempo ad atterrare sul materasso, sospirando, pregustando un buon sonno, quando il piagnucolio riprese identico a prima.

 

“Eh, no!” borbottò, intestardito a non dargliela vinta.

 

Ora che l’animale non era più al buio, lui aveva tacitato la propria coscienza e avrebbe atteso che la bestiola si adattasse alla solitudine per quella notte…

Ma, anziché diminuire, i latrati aumentarono d’intensità, come un costante, cocciuto richiamo.

 

Arthur imprecò, infilandosi le ciabatte e andò dritto in sala con il preciso scopo di fare una ramanzina al suo molesto ospite pulcioso.

 

Shh! Devi fare silenzio o sveglierai tutto il vicinato!” lo sgridò, allorché il cane, vedendolo ricomparire, aveva preso ad abbaiare festoso. “Fai si-len-zio!” scandì nuovamente (e inutilmente), sentendo gli ultimi rimasugli di pazienza gocciolare via. “BASTA!” urlò, quindi, zittendo incredibilmente la bestia.

 

Incredulo anch’egli per il risultato ottenuto, pensò bene di battere in ritirata strategica, prima di una nuova, possibile controffensiva.

 

La tregua sembrava tenere, con sua enorme soddisfazione personale, e Arthur scivolò nelle maglie del sonno, coprendosi le orecchie col cuscino, per precauzione.

 

Fu un rumore estraneo a destarlo. Non sapeva esattamente per quanto avesse dormito – la sveglia gli rivelò, beffarda, che non erano passati neppure venti minuti da quando era crollato.

Arthur affinò l’udito, per capire la provenienza del brusio.

C’era un rumore di cartone rosicchiato – senza dubbio – e un basso mugolio sussurrato che gli sembrava provenire da una direzione diversa dal salotto. Che la bestiaccia fosse riuscita a scappare?

 

Invocando forza, egli si risollevò, avvicinandosi cautamente e il più silenziosamente possibile per spiare il cane. Non voleva farsi sentire e, soprattutto, non voleva reinnescare l’incresciosa situazione precedente.

 

Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con l’udito sopraffino del quadrupede, che subito drizzò le orecchie, richiamando la sua attenzione abbaiando.

 

Visto che era stato scoperto, Arthur gli si avvicinò, constatando che suddetta bestiaccia si era intrattenuta strappando tutti i fogli del giornale con cui aveva tappezzato la cuccia improvvisata.

 

Egli pregò solo che non ne avesse ingoiato qualche pezzo e non morisse soffocata.

 

Inspirando dal naso, il giovane Pendragon si rassegnò ad eliminare la fonte di pericolo, sostituendo il rivestimento con una vecchia maglia rovinata.

Incredibilmente, ciò fece la felicità del topo-cane, che subito se lo tirò addosso, azzannando la manica, ringhiandole giocosamente contro, mentre la sbatacchiava qua e là, scuotendo la testa pelosa come se la stoffa fosse stato un giochino divertente o una preda da stordire e sconfiggere.

 

Arthur si rimproverò per non aver offerto prima un distraente all’animale.

 

Col cuore più leggero, lo lasciò al suo nuovo passatempo, agognando un sonno lungo e inconscio fino all’indomani.

 

Purtroppo per lui, il giochino venne a noia presto, e presto erano ripresi i piagnucolii.

 

Arthur si strofinò di malagrazia la faccia col palmo della mano, per scacciare il torpore che lo invitava, suadente, a cedere ancora alle lusinghe di Morfeo e ad ignorare tutto il resto...

 

Sollevandosi a fatica, decise per una parziale riconsiderazione – il suo intransigente orgoglio poteva capitolare un pochino, pur di ottenere qualche ora di meritato riposo dopo una settimana allucinante in ufficio.

 

Agguantando lo scatolone, lo trasportò dal salotto al corridoio, di modo che il cucciolo potesse sentirsi meno solo ascoltando il suo respiro. E forse il suo russare, si disse.

 

Per sicurezza, egli lasciò anche accesa la plafoniera più lontana, perché la luce diretta lo infastidiva, poi accostò la porta della camera da letto e s’impuntò che quella, per quanto lo riguardava, sarebbe stata l’ultima cortesia verso quel botolo rognoso.

 

Ma non lo fu.

 

I brontolii del cucciolo e i rumori che produceva lo avevano svegliato altre cento volte, quella notte.

E mentre aveva dormito – un sonno agitato e nervoso – gli incubi lo avevano perseguitato.

Aveva sognato che la bestia aveva rosicchiato le gambe di ogni mobile, della tavola, del sofà.

E l’imbottitura squarciata del divano e anche delle poltrone.

E le tende strappate.

E la pipì ovunque.

E a metà notte la bestia era diventata un topo per davvero…  seriamente, doveva smettere di guardare le repliche dei Gremlins – …un topo che abbaiava.

 

Arthur si era risvegliato di soprassalto, ansimando, tutto sudato.

E non aveva resistito a controllare che, effettivamente, quello fosse stato solo un parto malsano della sua fantasia.

C’era stata una vocina subdola, nella sua testa, che gli sussurrava che sì, se lo avesse lasciato da solo, quel mostriciattolo sarebbe stato devastante quanto Ciuffo Bianco.

 

Così, dopo nuovi guaiti infiniti, dal salotto al corridoio… la scatola era strisciata sino al fianco del letto.

Alla fine, quel dannato cane aveva vinto.

 

Ma solo per questa notte! Tzé!, bofonchiò Pendragon, con l’amor proprio ammutinato e un’emicrania lampeggiante.

 

Fulminandolo con un’occhiataccia (ma si rendeva conto da sé che, con gli occhi cascanti e le palpebre gonfie, non sarebbe sembrato molto intimorente), Arthur spense ogni luce e concentrò l’attenzione sul veloce ansare che faceva da contraltare al suo respiro.

 

Un’ultima sbirciata a mezz’asta, prima di piombare nell’oblio, sfinito per davvero.

 

 

***

 

 

Non era neppure l’alba, quando Arthur si destò.

Sentiva la sua palma destra affondata in qualcosa di caldo e soffice, qualcosa che si muoveva piano, vibrando.

 

Approfondì cautamente l’ispezione, toccando in punta di dita qualcosa di viscido e freddo. E bagnato.

 

L’istante dopo, qualcosa gli leccò generosamente la mano.

 

Arthur sgranò gli occhi e ritirò in fretta l’arto a penzoloni oltre il bordo del letto, quindi scattò a sedere, ma un capogiro lo costrinse a ridistendersi.

Dio, si era istintivamente pulito l’orrida bava sul piumone e adesso avrebbe dovuto bruciarlo!

 

Ma ormai il danno era fatto e, riprendendo coraggio e imprecando contro il mondo, egli si sporse, piano, oltre la sponda e…

 

E la bestia lo guardava.

Di già.

 

Tutta bella e arzilla, scodinzolava festosa verso di lui.

Che avesse fame?

 

Ma non bisognava dare da mangiare ai cani dopo la mezzanotte.

No, quelli erano i Gremlins.

 

Gemendo di raccapriccio, si ripulì l’ultimo residuo di saliva dalla mano – fanculo, peggio di così! – e tentò di dormire ancora un po’, il giorno sembrava ancora tanto dannatamente lontano. 

 

Riuscì persino ad appisolarsi un po’, anche se non sapeva per quanto.

Forse, invece, aveva solo immaginato di riuscirci, perché il borbottio di sottofondo era snervante, come i graffi delle unghiette sul cartone della scatola.

 

Pertanto, di colpo, con la misura colma, Arthur gettò via le coperte e afferrò il cordless lasciato sul comodino, per chiamare quel dannato veterinario – perché poteva aver accolto in casa una collezione di disgrazie, un untore, un’arma batteriologica mortale e infettiva a quattro zampe (nella sua mente passarono parole grosse come scabbia, pulci, zecche, pelo, bava, rabbia, vaiolo, toxoplasmosi) – suo padre avrebbe potuto diseredarlo per questo.

Di sicuro, quel famigerato medico gli avrebbe detto come smaltire il problema con un canale convenzionale, eccheccazzo!

 

Compose il numero in fretta, prima di cambiare idea.

 

“Pronto?” borbottò una voce, chiaramente assonnata, al settimo squillo.

 

“Salve, ho bisogno di un appuntamento!” esordì Arthur, quasi spazientito.

 

Ma lo sai che ora è?”

 

“Non importa! Il mattino ha l’oro in bocca!”

 

“A quest’ora anche il mattino è ancora a letto…” ironizzò l’accento maschile all’altro capo del telefono. “Devi chiamare in ambulatorio dalle 9.00 in poi…

 

“No, ehi! Senta, guardi-” si agitò.

 

“È un’emergenza?” il tono si fece serio d’un colpo, il sonno passato.

 

N-no…” borbottò Arthur, a malincuore. E poi l’occhio cadde sul disastro nello scatolone, e l’emicrania non gli dava tregua. “Sì, lo è”, ritrattò. “È una mezza emergenza. Voglio prenotare un appuntamento, per oggi”.

 

Incredibilmente l’uomo rise.

“D’accordo. Vieni per mezzogiorno. Ma ci sarà da aspettare…”

 

“Va bene. Grazie”, e riattaccò.

Solo dopo averlo fatto, Arthur aveva realizzato che probabilmente Gwen – mezza ciecata – gli aveva dato il numero di reperibilità a casa, non quello dello studio. E lui, non meno distrattamente, non aveva neppure dato il proprio nome per fissare l’incontro.

 

Ad ogni modo, poiché di dormire ancora non se ne parlava proprio, fece colazione con un paio di antidolorifici e decise di compiere il giro dell’isolato con la bestiaccia in braccio, nella vana speranza di ricongiungersi con il disgraziato padrone.

Poco importava che fosse sabato mattina in un quartiere residenziale e che neppure i galli avessero finora cantato (se mai lì ce ne fossero stati, metaforicamente parlando), perché erano ancora ben chiusi dentro al loro pollaio, sognando le proprie gallinelle.

 

Arthur non aveva incontrato anima viva – neppure il ragazzo che consegnava i giornali porta a porta, oppure il lattaio col suo furgoncino.

Nessuno. Nessuno, veramente. Manco l’ombra di un essere umano.

Sembrava davvero una congiura.

 

“Forse porti sfiga…” ruminò, deluso e incazzato, sollevando il cane all’altezza degli occhi, ma fu ricompensato solo da una lingua a penzoloni e da un’alitata micidiale.

 

Bleah! Vuoi una mentina?” offrì, sarcastico, posando a terra il topo-cane-pecora, che ne approfittò per sgranchirsi le zampe correndo in circolo davanti alla porta d’entrata.

Arthur non fece neppure a tempo a far scattare la serratura, che la bestiola era già corsa dentro, facendolo scoppiare in un’ironica risata. “Ma prego! Fa’ come se fossi a casa tua!”

 

 

***

 

 

Arthur era certo che avrebbe avuto anche l’esaurimento nervoso tra i sintomi da annoverare a Gaius, quando lo avrebbe visitato – cioè il più presto possibile – per un check-up generale e una profilassi d’obbligo, una volta che quella disavventura si fosse conclusa.

 

Ma per ora avrebbe cercato di mantenere la calma e di ignorare la gastrite incipiente e la vena che sentiva pulsare in fronte.

“Non ti azzardare a fiatare!” sibilò alla volta della scatola che teneva sulle ginocchia.

 

Il cane spazzolò la coda sul cartone, in risposta.

 

Sbuffando spazientito, non gli rimase che pregare ogni divinità conosciuta e non (anche se lui era ateo), affinché i tempi si velocizzassero.

 

D’accordo, era andato allo studio veterinario abbastanza presto – più di due ore prima dell’orario pattuito –, con la segreta speranza che magari – sbattendo gli occhioni, o facendo un mezzo sorriso, oppure allungando una bella banconota – lo infilassero di straforo tra un paziente e l’altro.

 

Purtroppo per lui, la signorina Freya, la segretaria frigida, non aveva ceduto né al suo indiscusso fascino (cosa che lo aveva intimamente ferito, e anche molto) né alla profferta di moine pecuniarie.

 

“Ma sono il signor Pendragon!” aveva persino sbottato; benché non amasse giocare spesso la carta dellei non sa chi sono io!’, era certo che dovesse pur valere qualcosa.

Tutti conoscevano l’influenza della sua famiglia, perdìo!

 

Pen- chi?” aveva fatto eco lei, perplessa, digitando celermente il nome sulla tastiera del pc per introdursi nell’archivio virtuale dell’ambulatorio. “Lei non risulta mai essere stato, in precedenza, un nostro paziente…”

 

Un paziente? Lui?!, se non fosse stato sull’orlo di una crisi di nervi, Arthur sarebbe scoppiato a ridere. Fino al giorno prima, un ambulatorio veterinario sarebbe stato l’ultimo posto sulla Terra dove incontrarlo.

 

“Solo le effettive emergenze sono un’eccezione agli appuntamenti prefissati, signore”, gli aveva ripetuto – ancora una volta – da quando si era presentato all’accettazione e aveva preteso un trattamento di favore, tirando in ballo persino la telefonata fatta all’alba che, per qualche ragione nota solo a lui, avrebbe dovuto garantirgli l’apertura facilitata di tutte le porte. “E non serve che lei paghi in anticipo il quintuplo della prestazione”, aveva precisato, quasi svergognandolo. “Il tariffario esposto è unico per tutta l’utenza”, aveva chiarito, con voce gentile ma inflessibile. “La prego di accomodarsi in sala d’attesa, lì, sulla destra. La chiamerò personalmente quando sarà il suo turno”.

 

Arthur non era abituato a ricevere un due di picche – di qualsiasi tipo esso fosse –, per questo aveva grugnito una risposta incomprensibile e si era rassegnato a sprecare il proprio tempo in attesa dei comodi altrui.  

 

La sala – come ebbe modo di vedere – era foderata alle pareti da enormi foto di cuccioli. Erano un’infinità.

Sembrava di stare in un reparto di pediatria o di maternità, non da un veterinario, considerò mentalmente, lasciandosi cadere sull’unica poltroncina ancora disponibile – e cioè incastrato tra una ‘vecchia con un trasportino e gatto soffiante come un mantice’ e una ‘bambina con sua madre e un coniglietto puzzolente che ruminava all’infinito’.

 

“Tu, fa’ silenzio!” intimò preventivamente al cucciolo, prima di dare una rassegnata ispezione attorno fra gli occupanti. Nella stanza c’erano altri due cani, un gatto, e un pappagallo e relativi proprietari.

 

Purtroppo per lui, la bestiola fece lo stesso e l’odore degli altri animali le provocò una strana agitazione.

Sembrava improvvisamente fuori di sé quando un altro grosso cane comparve tra loro, uscendo da quello che, presumibilmente, era lo studio effettivo, mentre il suo padrone si riappropriava del soprabito appeso all’attaccapanni accanto a loro.

 

Sta’ alla larga da noi!” sibilò alla volta del cagnone bavoso che gli si era avvicinato inavvertitamente, mentre stringeva a sé la scatola con più convinzione.

 

Arthur fu bellamente ignorato, ma un’altra certezza si stava spandendo in lui.

Quell’attesa sarebbe stata infinita.

 

 

***

 

 

Si rendeva conto da sé che il cane avrebbe colto il proprio nervosismo e questo avrebbe peggiorato il tutto, ma era più forte di lui.

Spostando la scatola sul ginocchio destro, si mise a dondolare l’altro come un tic, sbuffando insofferente. Un’ora e mezza di vita sprecata!, inveì mentalmente, osservando, distratto, l’avvicendamento dell’ennesimo paziente – arrivato dopo di lui, ma entrato prima di lui.

 

“Il dottor Emrys merita tutta questa pazienza!” gli confidò una signora di mezza età, al suo fianco, facendogli l’occhiolino. “Non c’è nessuno più bravo di lui, parola mia!” rincarò, dando un’occhiata affettuosa al criceto che teneva in gabbia.

 

Arthur si limitò ad annuire col mento, per farle capire che aveva inteso, ma non aveva nessuna intenzione di intavolare qualsivoglia discussione lì dentro.

 

“Senta, gli sta facendo venire il mal di mare!” gli appuntò un vecchiaccio ficcanaso, puntando il suo bastone da passeggio contro di lui.

 

Pendragon smise all’istante di scuotere lo scatolone, ma pensò di non dargli la soddisfazione di una risposta. Di colpo, invece, ci ripensò.

“Lo stavo cullando!” sbottò, saccente. “Si dà il caso che gli piaccia!”

 

“Oh, sì. Come no?” replicò l’uomo, polemico. “È per questo motivo che quel povero cane si lamenta da un quarto d’ora!”

 

Oh, cazzo.

Forse quell’impiccione non aveva tutti i torti… ormai, lui si era persuaso che il mugolio fosse una specie di costante, un mantra che quel cucciolo guaiva all’infinito, ma se non fosse stato così? E-e se avesse vomitato?

 

Rallentò subito il movimento traballante e, in pochi secondi, cessò del tutto.

Il cucciolo lo guardò, sembrando sorpreso – forse sconvolto? –, sbattendo la coda per comunicargli qualcosa.

 

Nah!, il topo-cane-pecora stava benissimo e Arthur si intestardì nella convinzione che fosse lui ad avere ragione e non quel vecchiaccio: tutto quel ballonzolare era un divertimento, altroché! Ma, per buona misura, preferì smettere e, per distrarre la bestiola nell’attesa, si rassegnò ad accarezzarla, lasciandosi mordicchiare le dita.

 

 

***

 

 

“Signor Pendragon! È il suo turno! Finalmente! Ora può entrare!” lo avvisò Freya, l’assistente, con un’enfasi nella voce che lo irritò, perché grondava sottintesi.

 

Era l’ultimo degli ultimi (cosa inaudita!), e le avrebbe quasi risposto a tono, ma la saletta era deserta, fatta eccezione per lui, il cagnaccio e la frigida.

 

Con un sospiro esausto, quindi, accantonò la piazzata e si fece introdurre nell’ambulatorio.

 

Per fortuna, l’interno dello studio era molto più sobrio, registrò automaticamente, perché un ambiente rispecchiava di solito la qualità di chi vi lavorava. Niente quadri traboccanti cuccioli, per carità!

C’erano giochini sparsi ovunque, ma non in disordine, e un sacco di diplomi e attestati appesi alle pareti. D’accordo, sulla carta, poteva anche sembrare un veterinario preparato, ma era tutto da vedere!

 

Forse Arthur s’era distratto un po’ troppo, perché finì per cozzare contro l’oggetto delle sue riflessioni.

 

“Sei sempre così mattiniero, Arthur?” si sentì apostrofare, in modo del tutto inaspettato.

Fu un sorriso gioviale ad accoglierlo, e una mano allungata, pronta per essere stretta.

 

Dio, ma quelle orecchie erano finte, o cosa? Servivano per distrarre gli animali durante le visite?!

 

Arthur si prese il tempo di sondare il tizio davanti a lui.

Quella voce calda e roca, per colpa del sonno, gli aveva dato l’idea fuorviante che appartenesse ad un uomo di mezza età.

 

E che diamine ci faceva, invece, quel ragazzino? Era un tirocinante?

 

“Il dottor Emrys?” domandò, certo di ottenere una risposta negativa.

 

“Sì, ma preferisco Merlin”, lo corresse, con un altro sorriso dannatamente accattivante. “Per favore, niente formalismi. Come regola generale, ci diamo del ‘tu’ coi miei utenti. Un ambiente amichevole e un clima confidenziale aiutano a mantenere gli animali più sereni e rilassati…” motivò.

 

“Oh, beh, sì… mh…” farfugliò Arthur, alquanto sconvolto, di rimando. E se lui non voleva?

E il Codice di Condotta Deontologica dove finiva? Sotto alle scarpe? E il distacco professionale?

 

Che assurdità! A volte, Arthur dava dellei’ anche a suo padre, durante le riunioni del Consiglio d’Amministrazione!

 

“Ciao, dolcezza”, riesordì il veterinario, ignorando i suoi turbamenti e prendendo in consegna il cucciolo festoso dalla scatola.

 

Dolcezza? Oh, ma andiamo!, Arthur lo trovava zuccheroso e fuori luogo.

Poi, però, rifletté che, beh… il cane non aveva un nome.

E in qualche modo, quell’idiota doveva pur rivolgersi a lui.

 

Sentendosi in dovere di fare un ragguaglio, premise: “Ho trovato questo cucciolo sulla porta di casa mia, ieri sera, e-

 

Ma non è un cucciolo!” lo corresse Merlin, osservando la bestiola adagiata sul tavolo medico, tutta fremente.

 

“Come no? È grande come… come un topo!” sbottò, quasi che evidenziasse l’ovvio ad un demente.

 

Sì, doveva essere davvero demente, perché quell’imbecille scoppiò a ridere.

“Vedi, Arthur, esistono cani di piccola taglia…” fu la replica divertita del medico. “Small, come le magliette… Hai presente?”

 

Pendragon trattenne a stento il fumo dalle orecchie.

Chissà quali altre magiche rivelazioni aveva in serbo per lui questo ciarlatano da strapazzo!

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Nella storia c’è un riferimento al filmGremlins’, adorabili creature pelose che diventano piccoli mostriciattoli, e Ciuffo Bianco è il loro leader.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Come già detto, ho volutamente evitato di mettere immagini sul cane che ho scelto, per facilitarvi l’immedesimazione con la descrizione di Arthur. Al momento opportuno, vi mostrerò tutto.

 

Arthur è un asino, sì. Ma presto capirete perché.

 

 

Due anticipazioni del prossimo capitolo:

 

Qualche istante dopo, la bestiola era zitta e seduta composta, completamente a suo agio.

 

Co-come ci sei riuscito?!” sbottò allora il giovane Pendragon, stupefatto. “No, aspetta, non dirmelo. Sei una specie di Patch Adams?” lo accusò quasi.

 

“Semmai, dovresti citare il dottor Dolittle,” lo contraddisse Merlin, sorridendo a tuttotondo. “Comunque, no. Niente abracadabra!” dichiarò, alzando le mani a mezz’aria per sfarfallare le dita. “La mia magia si chiama ‘feromoni’”.

 

Arthur sgranò gli occhi: “Vuoi dire che puzzi da cane?!

 

(...)

 

Ma se questo cane ha scelto te, un motivo ci sarà”, disse fatalista.

 

“Sì,” concordò Arthur. “È perché ha un senso di sopravvivenza molto basso”, ironizzò con una smorfia. Ma il veterinario sorrise, mostrando una chiostra di denti perfetti e bianchissimi, e Arthur si ritrovò ad arrossire, come non succedeva da… da secoli.

 

“Secondo me, stai solo sottovalutando il tuo potenziale…” lo lusingò Merlin, ammiccando. “Magari, quando ha cercato rifugio alla tua porta… aspettava proprio te”.

 

“Allora ha sbagliato indirizzo!” lo freddò, dopo un attimo di distrazione.

 

 

 

Mi ha piacevolmente stupita la risposta all’inizio di questa fic. Ringrazio i 10 utenti che l’hanno messa fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 40 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

  • Linette 79 è stata aggiornata qualche giorno fa.
  • Nei prossimi giorni caricherò anche storie nuove.

 

 


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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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