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Autore: Andy Black    07/09/2013    8 recensioni
Non è la solita storia... qui non si scherza più. Il destino del mondo, come noi lo conosciamo, è in pericolo.
Pregare per il proprio futuro diventa lecito, quando scopri che il tuo dio ha finito di avere pietà e compassione per te. Troppi errori.
Troppe ingiustizie.
Ma qualcuno cercherà di cambiare tutto, e di salvarci. Di salvarci tutti.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Oppressione - Pt. 2


Ryan fremeva, Marianne non lo aveva mai visto così tanto sorridente.
I tre erano seduti nell’anticamera dell’ufficio di Lionell, mentre Linda era alla sua scrivania.
Il solito ronzio dei neon bianchi non sembrava dare fastidio. Stavolta c’era di che essere felici.
Stavolta c’era di che festeggiare.
“Siamo riusciti a prendere Rachel, finalmente” sospirò Marianne, stravaccandosi sulla sedia. Il suo volto apparve all’improvviso più rilassato, anche se i segni dello stress li aveva incisi sul volto come fossero cicatrici.
“Finalmente ho vinto” disse Ryan.
“Quel Lucario è fottutamente forte” fece ancora la ragazza di colore.
“Lo so benissimo”
“Hai avuto la meglio. Manectric è stato allenato alla perfezione”
“Anche se non l’ho allenato io...” una crepa si formò sul volto del biondo.
“Ma l’hai portato tu alla vittoria” s’intromise Linda. Ryan la guardò, con quella prepotenza attraente. Le gambe erano coperte dalla scrivania, ma aveva le braccia incrociate sotto i seni bianchi, che parevano dovessero uscire a breve dal loro posto. Il sorriso soddisfatto di chi aveva dato la giusta spinta per portare a termine quell’operazione.
“Rachel è nostra” aggiunse quella.
Ryan continuava a guardarla. Poi si girò verso Marianne, con gli occhi socchiusi. Pareva stesse vedendo un film proiettato nell’interno delle palpebre, e le tenesse aperte quel tanto per non perdersi nulla neanche nell’altro mondo.
L’altro.
Quello dove rapivano le ragazzine per scopi buoni.
“Vado a cena e poi a letto. Domani dobbiamo partire presto” fece Ryan.
Marianne riattivò il cervello e gli sorrise debolmente, per poi alzarsi. “Penso che ti seguirò”
“Io rimando qui a sbrigare alcune faccende. Aspettatevi la convocazione da parte di Lionell, dopo... sicuramente ci detterà il piano d’azione”

Rachel e Lionell avevano preso a parlare un po’ più scioltamente. Rachel si era rilassata, e stava chiedendo dei dettagli sull’operazione.
“Quindi partiremo domani?”
Lionell le sorrise. Aveva un fascino strano, con quel sorriso, e quei capelli ben pettinati. Il viso duro, ma si vedeva che quelli di Lionell erano occhi che aveva usato per tanto tempo. Gli occhiali, sobri e sottili, con la montatura trasparente, lo aiutavano a mettere a fuoco gli eventi nuovi.
Chissà quanti punti nella sua vita erano stati così importanti da essere stati incisi sulla calotta cranica dalla memoria, scultrice di professione, modellatrice di verità.
Molto spesso ricordiamo quello che vogliamo, molto spesso ricordiamo male.
Ma la verità è che tendiamo a ricordare solo quello che ci piace e ci ha stupito.
Le labbra di quello, ancora incredibilmente turgide, nonostante l’età, schioccarono quando si disunirono.
“Sì. Partiremo di buon mattino. Ma tranquilla, potrai continuare a dormire sull’aereo”
Rachel annuì, e nonostante quello che disse Lionell le provocò un certo divertimento non poté sentirsi libera di esprimerlo.
“E Zack sta bene?”
“Mi sembra di capire che questo Zack è importante per te”
“È la persona più importante che c’è, per me”
Lionell inarcò le sopracciglia. Poi annuì. “Te l’ho detto, ora starà dormendo, ad Edesea”
Lei annuì e poi tornò il silenzio.
In effetti la situazione era un po’ particolare. Aleggiava come smog nell’aria di quella stanza, e lo si vedeva. L’imbarazzo, s’intende.
Rachel non capiva per quale motivo quell’uomo così silenzioso gli stesse vicino dato che non le diceva niente. Ma un dubbio voleva levarselo.
“Lionell... mi può parlare della mia mamma? Che tipo era?”
“Era una donna meravigliosa. Bellissima, mi ero innamorato della sua schiena. Una notte mi sorprese, svegliandosi, mentre le guardavo le spalle, e gliele baciavo” l’uomo ricordava quell’avvenimento  con il sorriso sulle labbra. Una piccola ruga d’espressione, una crepa sul viso di quello, si formò non appena rilassò i tendini.
Si era deconcentrato ed il suo viso aveva regalato a Rachel l’impressione di quello che Lionell in effetti era: un uomo avviato verso gli ultimi atti della vita.
“E poi?”
“E poi sorrideva sempre. Stendeva quelle labbra che ancora oggi ricordo quanto belle fossero. Tu assomigli a lei alla sua età. È strano davvero, sembra di vederla, con quel giubbino di jeans, che se ne stava con il walkman a fantasticare sulla strada principale di Edesea”
“Abitavate ad Edesea?”
“Lei studiava all’università, in quel periodo. Ed io mi stavo laureando”
“Lei è laureato?”
“Sì, Rachel. Sono laureato in storia antica e mitologia”
Rachel parve colpita. “Io sarei dovuta andare quest’anno all’università... ma le sole forze economiche di Ryan non bastavano a pagare la retta”
“Eh lo so... purtroppo questa è una brutta cosa. Ma al diavolo, adesso ci sono io! Studierai e ti laureerai se vuoi”
Rachel si sorprese del futile tentativo di sembrare un buon padre dopo un assenteismo pressoché totale dai suoi ricordi.
Stette in silenzio, lasciando sedimentare quelle parole, rimbalzare sul fondale della sua mente e posarsi poi leggermente su di essa.
“Come è morta di preciso, mia madre?”
Lionell sospirò ed abbassò la testa.
Rachel si sentì padrona di riprendere la parola. “Mi scusi se le rievoco brutti pensieri, ma io ho bisogno di sapere. Ho vissuto nella menzogna fino ad ora”
“Beh... tua madre Irya aveva una brutta malattia, che la rese cagionevole di salute. Era sempre debole, gracilina, e lo sforzo del parto le diede il colpo di grazia. Collassarono alcuni organi interni per lo sforzo, e morì... senza neanche aver visto cosa avesse dato alla luce”
“Oh...”
“Non parliamone più. Ti va?”
“Decisamente”
“Bene. Hai Pokémon con te, vero?”
Rachel annuì.
“Posso vederli?”
“Beh, ho un Zebstrika ed un Pupitar piuttosto impressionabili. La stanza è piccola e non è il caso di liberarli qui. Ed anche Carracosta... sa, non lo conosco bene, me l’ha prestato un... amico. Però posso presentarle Zorua, il mio amico di sempre”
Un lampo si accese negli occhi di Lionell, dopo un sorriso. “Ma certo. Adoro quel Pokémon”
“Zorua, ti presento una persona”
Rachel mise mano al cinturone e prese la ball di Zorua, quella dietro a tutte. Quello comparve sul pavimento, davanti a loro.
Dagli occhi di Zorua la situazione era un po’ particolare. Ogni volta che usciva dalla sfera vedeva quello strano bagliore rosso, che poi diventava una luce bianca, che quasi ti accecava.
Lui chiudeva gli occhi.
Quando succedeva voleva dire che stava per vedere la luce.
Che stava per vedere Rachel, la sua amica.
Lentamente la luce bianca andava svanendo, e lui se ne accorse subito. Aprì gli occhi lentamente, col timore di rimanere accecato.
Non rimase accecato.
Gli occhi erano aperti, e finalmente lui era fuori. Guardava tutto ciò che c’era attorno, ma la prima cosa di cui si rese conto fu il fatto di avere un pavimento freddo sotto i cuscinetti delle zampe.
Il divano, il posto dove adorava addormentarsi.
E lì c’era Rachel. Ma aveva qualcosa che non andava, era scossa, lo sentiva a pelle.
Lui aveva un sesto senso per quelle cose.
Salì sul divano con un saltò, mentre due voci familiari scambiavano parole.
Si chiese come facessero. Quando diventava un bambino provava una difficoltà abnorme nel parlare, sembrava quasi che gli scoppiassero i polmoni.
Si sistemò sulle gambe di Rachel, magari si sarebbe sentita meglio avendolo vicino.
Poi alzò gli occhi, per vedere l’interlocutore della ragazza.

Era lui.

Zorua prese a ringhiare, con sorpresa per i presenti.
“Zorua!” lo rimproverò Rachel.
Lionell spalancò gli occhi. Vari processi mentali si annodarono alla testa come liane all’albero, per poi arrivare ad una conclusione.
Zorua ricordava tutto.
“Mi spiace, signore... cattivo, Zorua! Rientra!”
Zorua scomparve, lasciando di nuovo da soli i due.
“Mi spiace, davvero tanto” aggiunse ancora lei.
“Tranquilla, non mi conosceva, può succedere”
Toc toc, ed entrambi si girarono verso la porta. “Avanti” disse il più anziano tra i due.
Un uomo basso, con la barba lunga castana, e con i capelli pettinati dello stesso colore si presentò ai due. Indossava un camice, a Rachel parve subito uno scienziato pazzo.
Lionell si sorprese di vederlo. “Che succede, Stark?”
“Bluruvia non esiste più. Kyogre si è svegliato”
“Oh...” Lionell si alzò in piedi 
Quella notizia scioccò Rachel, che fece altrettanto. “Kyogre? Quel Kyogre?”
“Sì, tesoro. Rimani qui, potresti perderti. Tra un po’ una recluta di porterà nella tua stanza. Riposa bene, perché domani ci aspetta un lungo viaggio”
“Ok”
“A domani”

Ryan e Marianne erano seduti al tavolo della mensa.
Quella roba, stranamente, era buona. Lionell si premurava di sottoporre alle sue reclute, ma più in generale a chiunque lavorasse per lui, il meglio.
Non voleva rivolte inutili.
I due, l’uno di fronte all’altro in quella stanza ricolma di gente ed illuminata da grossi lampadari che emettevano luce bianca, mangiavano il loro rancio, parlottando del più e del meno.
“Linda ti si è attaccata addosso come una mosca cavallina” disse sorridente Marianne. Masticava lentamente, assaporando il cibo con gusto.
Adorava mangiare, non lo faceva mai troppo spesso. Masticava, ed un ciuffo di quei capelli che tanto sembravano molle di un materasso si presentò cordiale davanti al suo sguardo.
Non era il caso in quel momento, lo riportò su con la mano, e quello si arpionò in un altro ciuffo.
“Meglio così. Da quando c’è lei abbiamo raggiunto buoni risultati”
Ryan mangiava velocemente, l’unica cosa che gli interessava era la doccia di fine serata. Forse sarebbe passato da Rachel, a parlarle. Forse.
“Io non credo sia stato tutto merito suo. Forse fare colpo su di lei ti ha spinto a fare di più”
“Non volevo fare colpo su di lei”
“Bugiardo”
“Non è vero”
“È vero invece”
“Ti dico di no”
“Lasciamo perdere... comunque, se lo vuoi sapere, e scommetto che non è così ma io te lo dirò lo stesso, Lionell favorisce i rapporti sentimentali tra colleghi”
“E perché mai?” chiese incuriosito l’altro.
“Perché la famiglia è il nemico naturale della professione, queste le sue parole. E se la tua famiglia fa parte della tua professione, si aggira un importante ostacolo”
“Tu credi sia così?”
“Io non lo so di per certo. Ma forse crea meno problemi da ambo le parti. Insomma, lavorando assieme, due persone sanno entrambe cosa fa l’altro, e le liti in questo senso diminuiscono”
“Io andrei a lavorare solo per sentire la mancanza di mia moglie. Perché poi tornerei a casa e la ritroverei”
Marianne rimase stupita da quelle parole. Non lo pensava così profondo.
La cena passò velocemente, almeno per Ryan. Marianne continuava a gustarsi il suo cibo.
Lui si alzò educatamente, la salutò e se ne andò in stanza.
La doccia, il momento più felice della sua giornata. Perché significava che anticipava un altro grande momento della giornata, ovvero il sonno.
Ryan era un pelandrone, adorava dormire, ma era il classico tipo che se aveva qualcosa da fare lo prendeva a cuore e la faceva.
Uscì da quella doccia pulito e felice. Sul fondo di quella tutta la rabbia e la cattiveria dei giorni precedenti. Rachel era davvero in quell’edificio, non aveva più senso ora immaginarla lì.
Asciugamano attorno alla vita, uscì fuori, Gallade era nella sfera, quel giorno non lo aveva liberato se non per gli allenamenti. In fondo meritava un po’ di riposo anche lui.
La porta era socchiusa.
Ryan, che stava preparandosi per la notte, si bloccò d’improvviso.
La sua porta non era stata chiusa. Qualcuno era in stanza.
“Hey, ti ci vuole molto?”
Linda. Linda era sul letto, e lui non l’aveva vista.
“Linda! Ho letteralmente ingoiato le tonsille quando ho visto la porta aperta”
“Scusami. Non era chiusa a chiave, e così sono entrata”
“Bene...”
Linda guardava la schiena del ragazzo mentre prendeva una maglietta nera e la infilava su quelle spalle larghe, piena di muscoli.
“Sei qui per la convocazione?” chiese Ryan.
“No. Volevo solo dirti che sono felice di aver trovato tua sorella”
“Ah. Ok, grazie. Sono felice anche io”
I due temporeggiarono, mentre una nuova tensione riempiva l’aria. 
Fu la bionda a spezzarla.
“Bé... ti lascio al tuo risposo, allora. Ricordati che la sveglia domani è alle cinque.”
Si congedò da Ryan, uscendo dalla porta e facendogli un cenno con la mano, senza voltarsi a guardarlo.

Zack e Mia erano rimasti per un paio d’ore in quella posizione. Non sapevano neppure che ora fosse. Ma avevano fame.
Tanta fame.
“Mia...”
“...”
“Mia”
“...hh...”
“Mia! Mia, non cedere, Mia!”
“Zack...” la voce funerea, stanca, assonnata.
“Come stai?”
“Sto bene... sto bene. Ho fame”
“Anche io. Mi spiace”
“Forse non avrei dovuto seguirti”
“Se avessi saputo che ti saresti cacciata in questo guaio non avrei mai fatto in modo che ci seguissi. Inutilmente, peraltro”
“Ho voglia di un bagno”
“Ed io di un cheeseburger, come la mettiamo?”
Mia sorrise, e Zack la sentì. Entrambi deboli, entrambi stremati e demotivati.
“Usciremo da qui?” fece poi lei.
“Io spero di sì”
Dei passi presero a rimbombare nel corridoio. I ragazzi si irrigidirono, e Mia strinse il braccio di Zack, impaurita.
Zack si alzò in piedi, facendosi avanti a lei, nascosta dietro le sue caviglie, troppo stanca e denutrita per alzarsi.
I passi diventarono sempre più forti, fin quando la flebile luce al di sotto del taglio della porta fu coperta da due piedi. Poi quattro. Sei.
Sei piedi, tre persone. O forse no, forse qualcuno era su di una gamba sola.
Se Zack avesse detto a Mia una cosa del genere probabilmente quella avrebbe trovato la forza per prenderlo a morsi dietro ai polpacci, e rise per questi deliri che la fame gli regalava già confezionati con carta da regalo rossa e nastrino dorato. In fondo il Natale era vicino.
Una chiave entrò nella serratura della porta, e Mia strinse Zack, impaurita.
Sembrò quasi eterno quell’istante, in cui la chiave faceva scattare il meccanismo della serratura, e permetteva alle rotelle di girare ed al piolo che bloccava la porta di ritirarsi dentro.
La maniglia si abbassò, e la luce inondò la stanza.
Tre figure erano in piedi.
Tre figure ombrate erano in piedi.
“Chi siete?” chiese Zack, con la mano a protezione degli occhi sensibili.
“Rancio” rispose una voce grossa. Posarono per terra due vassoi ed una bottiglia d’acqua.
“Aspettate... per favore” fece Mia, quando vide che quelli si girarono per andarsene.
Due completarono l’azione. Uno si fermò, e pareva guardarla, anche se agli occhi della ragazza era solo un’ombra.
“Che vuoi?”
“Puoi accenderci una luce? Ti prego. Ho paura”
Quando le lacrime di Mia sembrarono turbare il respiro della bella, Zack deglutì un boccone tanto amaro quanto lungo, parve affogarsi con i suoi stessi rimorsi. Era stato lui a metterla in quel guaio.
La figura misteriosa si voltò e poi chiuse di nuovo la porta a chiave.
Al buio di nuovo.
Mia continuava a piangere, stavolta con più intensità, e Zack non poté fare a meno di accovacciarsi davanti a lei, e stringerla tra le braccia.
Mia era lì, e piangeva, mentre nella sua testa c’era Rachel. Pregava Arceus che stesse bene e che non le fosse successo nulla.
Poi la luce si accese.
Sia Zack che Mia strinsero forte gli occhi, stuprati dalla luminosità del neon bianco accesosi. Lentamente Zack vide il volto di Mia, sfatto e distrutto, cimitero delle fossette che le si creavano sul viso quando rideva, il trucco sciolto agli occhi a testimoniarlo.
Non era ridere, che voleva Mia. Voleva respirare l’aria aperta.
Quando Mia riaprì gli occhi fu in grado di vedere Zack sorridere. “Hai visto?” le disse. “Hanno acceso la luce”
Mia annuì leggermente, ancora scossa. Zack la strinse ancora, poi si alzò ed andò a prendere il cibo e l’acqua.
Mangiarono famelicamente, e decisero di non sprecare l’acqua, non sapendo se ci fosse stato un altro rancio.
Quella stanza non conteneva aperture, come finestre o condotti per la ventilazione. Lì si entrava dalla porta. Da quella porta chiusa a chiave.
Da quella porta da cui sarebbero dovuti uscire.
Tutto ciò che avevano erano un vassoio, la sedia, l’acqua, sonno, fame, sete e paura.

 
   
 
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