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Autore: A n g e l a    07/09/2013    1 recensioni
E se Harry non avesse ucciso Voldemort?
Se l’avesse solo sconfitto nella battaglia indebolendogli i poteri?
E se quest’ultimo fosse tornato alla forma umana tornando ad essere Tom?
E se avesse una figlia?
E se…e se l’Epilogo fosse solo l’inizio?
*
“Bella Riddle è una ragazza intelligente, sveglia, vivace e anche troppo allegra per essere la figlia di Tom.” disse Salazar “Un ottima studentessa, senz’altro.” continuò poi “Ha moltissime idee e sempre ottime e questa è solo una di queste.”
“E mi ripeteresti, Salazar, perché dovrei cambiare quella che è una tradizione di Hogwarts da diciannove anni per l’idea di una ragazzina?”
“Perché sarebbe un bel modo di festeggiare il Natale con i suoi alunni, Preside.” Disse Bella entrando nell’ ufficio, le scarpe rosse al posto di quelle della divisa.
Il preside aveva guardato per qualche secondo prima il fantasma e poi lei, che aveva sfoggiato la sua miglior espressione angelica, e aveva annuito con fare sospettoso.
“Beh, visto che insistete tanto. Ma dovrai organizzare tutto tu con il comitato scolastico.”
Bella ghignò “Mi sembra perfetto.” si era girata e aveva aperto la porta.
“Bella” l’aveva chiamata e lei si era girata “La prossima volta, bussa.”
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry, Potter, Salazar, Serpeverde, Tom, O., Riddle | Coppie: Harry/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Capitolo Uno;

Bella camminò per i corridoi di Hogwarts facendo rumore con le suole delle scarpe rosse.
Aveva sistemato i panni nell’armadio del dormitorio e adesso si dirigeva a passo svelto verso il passeggio segreto che l’avrebbe condotta direttamente alle vecchie camere di Salazar, il fondatore dei Serpeverde.
Nonostante fosse Grifondoro il fondatore la considerava la sua protetta: le dava consigli e le faceva – molte - lavate di capo, ma le andava bene fino a quando avrebbe potuto continuare ad usufruire del suo aiuto  e della tranquillità delle sue stanze per studiare e perfezionare il suo piano.
E sapeva che glielo avrebbe lasciato fare per molto altro tempo, le sue visioni non mentivano.
Anche se ancora non vedevo con chiarezza il futuro di suo padre, era il futuro che vedeva più incerto e nebbioso come se mancasse ancora il fattore determinante.
Era sicura che suo padre avesse bisogno solo di qualcuno che lo aiutasse ad star bene con se stesso, a non farlo sentire in colpa per quello che aveva fatto.
Aprì la porta della stanza ed entrò senza troppe cerimonie accendendo le luci con uno schiocco di dita.
Controllò l’orologio.
Era ancora presto, aveva ancora un’ora abbondante, prima che i ragazzi del primo anno fossero portati nella sala comune per la cerimonia del cappello parlante.
Non lo sapevano, ma ci mettevano il triplo del tempo ad arrivare e a fare il giro del castello.
Le sarebbe bastata, comunque, per iniziare quello che sarebbe stato il suo primo diario, cioè non un diario ma un’agenda dove avrebbe segnato i passi più importanti della sua missione e poi avrebbe dovuto parlare di quest’ultima a Salazar.
Si sedette sulla poltrona di pelle dietro la scrivania e attirò a se l’ex diario del padre con la magia.
Iniziò a sfogliarlo – ah, che bella scrittura – e si ricordò di quanto l’inchiostro che impregnava le pagine del diario facesse parte di lui e raccontasse delle sua vita, di quanto quei pezzi di carta gli fossero stati vicino e fossero testimoni del periodo più oscuro della vita di suo padre, quello in cui era stato più solo.
Scacciò il senso di malinconia che la invase  pensare al padre solo e come solo amico un diario e prese la sua agenda nuova di zecca, in pelle di drago rossa e le scaglie aranciate e marroni.
Intinse la piuma d’oca nell’inchiostro magico e “Punti fondamentali per l’attuazione del miglior piano di sempre” scrisse velocemente e sorrise alla pagina quasi immacolata.
Posò l’agenda e chiamò Salazar ad alta voce, ma questi non apparve e, sapendo che se non appariva era perché impegnato, sconsolata dal dover rimandare la chiacchierata iniziò a mettere a posto le sue cose.
Mentre metteva a posto per materia libri e quaderni nella libreria non poté fare a meno di ripensare alla sua vita.
La sua infanzia non era stata delle migliori, ma non si poteva lamentare: era cresciuta nel Maniero dei Malfoy, all’inizio sola e sotto la tortura di Astoria Greengrass-Malfoy che, con una voce che doveva essere tenera ma risultava solo inquietante, la coccolava-per modo di dire- tirandole le guance e ripetendo in continuazione cose del tipo ‘ma quanto sei carina e pitipì e tiritiritiritì e cucci cucci’ rendendo la sua infanzia un po’ un trauma- ancora in quei giorni, a quasi undici anni di distanza, si chiedeva se, a forza di stare in compagnia di Draco Malfoy, non fosse diventata cinica come lui- ma poi era nato Scorpious Hyperion Malfoy- povero ragazzo con quel nome quasi le dispiaceva per lui- e stare lì non era poi stato così orribile.
Quel bambino biondo più piccolo di tre anni e qualche mese era diventato il suo primo vero e proprio amico.
Non che suo padre l’avesse trascurata, nossignore, l’aveva sempre adorata- come tutti d’altronde- solo che era troppo impegnato a cercare di trovare un piano per distruggere Harry Potter.
All’epoca erano passati sono pochi anni-cinque, sei?- dall’ultima Guerra Magica e quindi le ferite erano ancora fresche e sanguinanti, diciamo così.
Così Harry Potter era sempre stato lì nei suoi pensieri, fisso e irremovibile: con i suoi occhi verdi, quei suoi ricci assurdi e quell’arroganza di chi sa sempre che il bene trionferà, l’aveva sempre descritto suo padre.
Comunque la presenza di Astoria non era stata del tutto inutile perché le aveva insegnato a leggere il futuro, guardare una persona negli occhi e a saper vedere il suo destino.
Non è comunque mai un bene rivelarglielo, le aveva detto la donna.
Ed era per questo che Bella non intendeva rivelare nulla a suo padre del suo destino confuso e nebbioso e, beh, una cosa includeva l’altra, neanche del suo piano.
La stessa Greengrass l’aveva aiutata a sviluppare un innata capacità nel governare un essenza magica, ovvero estrarre la magia da un corpo magico e constatarne la potenza, la forza, la sua stessa presenza o il suo colore, molto indicativo per capirne la personalità del proprietario.
Non che quest’abilità servisse a molto, era solo una cosa in più, perché un essenza magica non è governabile, ne è possibile separarla dal suo proprietario.
Grazie a quest’ultima capacità, ad otto anni, Bella aveva poi scoperto una cosa interessante ed elettrizzante: le circolava nel sangue una potenza spaventosamente immensa, di un colore verde intenso che però era circondato da una luce dorata.
Quando era stato chiamato il suo nome al suo primo anno tutti avevano trattenuto il fiato, perché quel cognome faceva paura, e lei si era diretta allo sgabello cappello parlante che aveva mugugnato un po’ sul fatto che Serpeverde non sarebbe stata una buona idea, dati i suoi poteri e l’aveva spedita in Grifondoro.
Aveva poi capito a dieci anni il perché di questo potere strabiliante: suo padre aveva conosciuto sua madre nei suoi tempi d’oro e le aveva quindi fatto il marchio, trasformandola in una Mangiamorte, quando era al massimo della sua potenza e non aveva ancora posato parte della sua anima-perché, oh si, ne aveva una- e della sua essenza in Harry James Potter.
Così, beh, quindi quando i due si erano uniti (N.d.A. censuriamoci va!) e lei era rimasta incinta le loro essenze si erano mischiate dando vita a quella forza magica.
Avrebbe voluto sapere qualcosa di più ma i due non erano innamorati e sua madre era morta di parto, così suo padre si era preso la responsabilità di una bambina che avrebbe anche potuto abbandonare.
Per questo erano tanto legati, lui aveva dimostrato a lei, a lei e nessun’altro, di avere un cuore di potersi prendere cura di qualcuno e di poterla amare senza riserve.
Per questo Bella era convinta che servisse qualcuno a tirarlo fuori da quella sua corazza di pece nera, ancora non secca, asciutta all’interno che scottava, bruciando carne viva e come fuoco marchiando la pelle di suo padre a vita per scelte sbagliate, fatte quand’era accecato dal potere, a cui non sapeva e non riusciva a rimediare.
Ed era per questo che suo padre aveva bisogno di qualcuno che raffreddasse quel fuoco che, alimentato da sensi di colpa e fantasmi del passato, non riusciva a spegnere, qualcuno che rompesse quella sua corazza di pece.
Quella stessa corazza che lei con la sua presenza era riuscita solo a scheggiare sulla superfice e rompere solo in alcuni punti, scottandosi a volte con la lava sottostante, assorbendo un po’ del suo dolore e alleggerendo le sue spalle di un po’ del peso che queste portavano.
Lei non gli portava rancore perché, contro di lei, lui, non aveva mai fatto nulla.
L’aveva solo guardata con gli occhi come ghiacciati, privati di quel calore, quando aveva tentato di rompere quella sua corazza e, a volte, quelle poche nelle quali era riuscita a romperla microscopicamente, si ritrovavano abbracciati a piangere insieme e altre volte, quando si faceva solo male senza scalfirla, suo padre si infilava nel suo letto da una piazza e mezzo, svegliandola con il suo peso sul materasso,  nella notte e le parlava, mentre le accarezzava i capelli e la stringeva, ripetendo tantissimi ‘scusami’.
Scusami per come mi sono comportato.
Scusami per i miei errori passati che ti rendono la vita difficile.
Scusami se non sono un padre modello.
Scusami perché non riesco ad uscire da qui.
Scusami perché questo ‘qui’ è una gabbia che mi sono creato da solo.
Scusami.
E quelle scuse a volte a Bella facevano un po’ male perché non riusciva a liberarlo da quel senso di colpa costantemente presente.
Ed era stato in una di quelle notti, una di quelle volte in cui facevano male, che aveva realizzato che non tutte quelle scuse erano rivolte a lei ed aveva capito che l’unica cosa di cui aveva bisogno suo padre era amore e perdono.
Ma non da una persona qualunque ma dalla persona che più aveva ferito, umiliato e ucciso nell’anima.
L’uomo che più diceva di odiare ma che, in realtà, odiava per rimando, perché quest’ultimo era proprio il primo ad odiarlo dal profondo.
Perché Harry James Potter si era visto portar via la sua famiglia, amici, parenti, stretti o lontani, che lui li amasse o meno, si era visto portar via una vita da mago normale una vita nella quale non avrebbe dovuto combattere in battaglie magiche, nella quale non avrebbe dovuto allenare compagni di scuola, vedere la morte o lottare contro se stesso per il controllo della propria mente, nella quale non avrebbe dovuto vedere amici, che lui considerava fratelli, consumarsi lentamente per proteggerlo, nella quale non avrebbe dovuto sentir sospirare di meraviglia e sussultare al proprio nome o sentir bruciare la cicatrice o averla la cicatrice o dover  insegnare ai propri figli a proteggersi perché erano in pericolo anche solo esistendo, una vita nella quale sarebbe potuto essere felice.
“Un penny per i tuoi pensieri.”  interruppe il suo macchinare una voce alle sue spalle.
Lei sussultò un po’,  poi sorrise riprendendo fiato e poggiando il libro  che aveva in mano al suo posto.
“Non hai un soldo, sei un fantasma.” Disse “In un quadro, per giunta.” Sottolineò l’ovvio “Comunque, stavo solo pensando che è arrivato il momento.” Disse girandosi verso il quadro di Salazar.
L’uomo la guardò per un attimo e poi sospirò arrendendosi.
“Non ti chiederò se sei sicura di questo, perché ormai ti conosco abbastanza da sapere che non sei un incosciente-non troppo almeno. Ma, ti chiederò come hai intenzione di fare, più nello specifico, diciamo.”
Bella ghignò, si sedette sulla poltrona girevole di pelle nera dietro la scrivania e agguantò la sua agendina.
“Ti ricordi la festa di Natale annuale alla quale partecipano solo gli studenti che non tornano a casa?” Il fantasma nel quadro annuì. “E se quest’anno partecipassero tutti, anche le famiglie?” chiese, gli occhi le luccicavano di furbizia e Salazar non poté far a meno di sorridere tra il compiaciuto e il divertito.
“E dimmi volpe, come hai intenzione di convincere il preside?”
La ragazza sorrise con la risposta pronta ed ovvia che le pizzicava sulla lingua e spingeva per essere rivelata ma, l’orario a quanto pare non era d’accordo e il ‘bip’ acuto del suo orologio la informò di essere in tremendo ritardo per la cerimonia con il cappello parlante.
Saltò giù dalla sedia, posò l’agenda in un cassetto e si aggiusto velocemente la tunica nera.
Fece qualche passo veloce fino alla porta, l’aprì e mentre usciva si girò giusto il tempo di inviare un bacio volante scherzoso e un occhiolino divertito prima di sparire tra le scale nel castello.
Correva per i corridoi e saliva le scale, ringraziando che Gazza fosse andato in pensione l’anno prima.
Arrivò affannata alla Sala Comune prese un respiro profondo prima di entrare tentando di confondersi infondo alla fila di quelli del primo anno.
“Bella Riddle!” urlò la Professoressa di Difesa dalle Arti Oscure fermandosi dal leggere il nome successivo sulla lista.
“Mi scusi professoressa.” Disse immediatamente dirigendosi a passo svelto verso il suo posto.
La professoressa la guardò con sguardo severo oltre gli occhiali rettangolari e poi tornò alla lista degli studenti, passarono una ventina di nomi prima che chiamasse Scorpious.
“Scorpious Hyperion Malfoy!” gridò e Bella sentì qualcuno trattenere dei risolini.
Lui la guardò e lei le fece un occhiolino rassicurante.
Lui si sedette sullo sgabello, alcuni Serpeverde già si stavano stringendo per fargli spazio e il cappello parlante urlò: “GRIFONDORO!”
Bella quasi sputò l’acqua che stava bevendo e riusciva già a sentire la voce di Draco che, più alta di due ottave, urlava imponente che mai, mai!, un Malfoy era stato un Grifondoro!
Bella rabbrividì facendo posto a Scorpious e sussurrando un ‘benvenuto’ esitante che ricevette come risposta un fulminante quanto terrorizzato sguardo omicida.
Bella vide Scorpious deglutire e “Puoi dirglielo tu?” chiederle con uno sguardo da cucciolo bastonato.
Beh, l’avrebbe fatto se non avesse saputo che Draco Malfoy in preda all’ira era capace di lanciare un Avada Kedavra senza nessun rimorso.
“No, grazie. Sai com’è, voglio vivere.” Gli rispose pungente.
“Insieme?” chiese ancora.
“Posso pensarci ma, prima lo diciamo a tua madre così lo prepara psicologicamente.”
E risero insieme facendo cincin con un bicchiere di Burro birra.
 

N.d.A.
I'm back!
Spero che il capitolo vi sia piciuto.
Un ringraziamento speciale a ZuzzyKB per la recensione.
Un bacio,
A.
  
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