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Autore: Raheela Orbeli    09/09/2013    6 recensioni
Forse era arrivato il momento di staccarmi da lui, anche se sapevo sarebbe stato molto difficile fare a meno del proprio migliore amico. Mi sarebbero mancati incredibilmente i suoi atteggiamenti da bambino che lo portava a ricevere sempre un due di picche da tutte le ragazze, mi sarebbero mancati i nostri litigi e i suoi “secchiona” che facevano aumentare la mia ira.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Nulla. L'unica compagnia che potevo sperare nella mensa era il silenzio, una quiete che entrava dentro le ossa e che mi rendeva agitata, i miei nervi erano tesi, pronti per rispondere a qualsiasi attacco esterno.
 
Sembrava tanto la scenografia di un fumetto di secondo ordine di cui Martin mi aveva parlato: Malith, la lucertola aliena. Nell'improbabile storia tutti i compagni di scuola della protagonista erano svaniti misteriosamente e lei era l'unica ad essere rimasta nell'imponente struttura.  Tutti i suoi amici, il suo ragazzo, i professori in realtà erano stati uccisi da una lucertola mutante che si nutriva delle anime degli esseri umani per vivere lasciando i cadaveri in uno stato degradante: dei monconi sanguinolenti di carne. Alla fine era stata uccisa anche Michelle e il mondo era caduto nell’oblio, preda della furia omicida di quegli esseri.
 
Basta Diana, non farti influenzare da queste sciocchezze. Le lucertole aliene non esistono. Il  vento gelido che entrava dalla finestra aperta nella mensa scosse le mie membra, mi diede la forza per muovere le gambe, dure come macigni, dall'ingresso ed addentrarmi nei meandri scuri di quel luogo che di solito era allegro e festoso.
 
Non c'erano, come al solito, i giocatori di Football che sedevano al tavolo vicino alla porta parlando delle partite giocate o quelle che si dovevano ancora svolgere e ideando strategie. Non erano presenti le oche starnazzanti che squadravano tutte criticando ogni singolo capo di abbigliamento delle studentesse che non erano nella loro cerchia di ragazze “in” o che accavallavano le gambe facendo roteare i capelli nella speranza che qualcuno le notasse, non c’erano i secchioni muniti di occhiali e vestiti in maniera stramba, parlando di lezioni o di nuove scoperte scientifiche  all’estremità della sala esclusi da tutti. Non era presente neanche Java. Il cavernicolo era sparito insieme a quella folla di studenti al quale di solito non prestavo particolare attenzione e, come capitava molto spesso, odiavo. Il banco della cucina dove di solito lui preparava i suoi ottimi pasti non ospitava la sua figura possente e muscolosa che mi faceva tornare il sorriso.
 
E Martin? Aveva detto che ci saremo visti a cena ma evidentemente non era così. Saranno andati da qualche parte tutti insieme ora chiama Martin e vedrai che ti risponderà dandoti della stupida paurosa. Presi il telefono tremante e composi il suo numero che ormai sapevo a memoria, sperando come non mai di poter sentire la sua voce, la sua risata, mi avrebbe detto che ormai anche io mi ero lasciata influenzare dalle sue storie, che la sua migliore amica secchiona aveva abbandonato progressivamente la razionalità. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Il rumore che il telefono produceva andava di pari passo con il battito del mio cuore.
 
La paura mi strinse nella sua morsa non facendomi capire più nulla, avevo soltanto un libro con me per difendermi da eventuali pericoli. Poteva essere uno dei mostri che io e Martin avevamo catturato tornato per vendicarsi di noi? Un qualche stupido scherzo? O timori infondati?
 
Non potevo rispondere a nessuna di questa domanda o trovare qualcuno che mi aiutasse a trovare una soluzione. Il silenzio, oltre che un quel luogo, aleggiava nei miei pensieri. Di solito in queste situazioni era Martin che mi aiutava, mi salvava sempre da qualsiasi pericolo. In ogni caso che affrontavamo per il Centro, era il mio Angelo Custode, come amavo definirlo della mia mente. Ma senza di lui che cosa potevo fare? Non avevo con me nessuno strumento che potesse recare dolore o qualsiasi altra cosa.
 
Delle lacrime prepotenti si fecero largo sul mio viso, sapevo che quella paura era infondata, che erano solo paranoie e che magari a breve avrei trovato tutti in un altro luogo, ma non potevo smettere. Ero stanca. Stanca di sapere cose che gli altri non sanno, stufa di conoscere l’esistenza di demoni, fantasmi, mostri e non potermi confidare con nessuno. Non potermi sfogare.
 
Dovevo abbandonare al più presto quella vita fatta di indagini e continui pericoli, magari se avessi mollato tutto i guai avrebbero smesso di cercarmi. In quel momento di totale sconforto il telefono squillò, fu come sentire un canto angelico, essere liberati dopo mesi di agonia, rivedere la luce dopo che si è stati per molto tempo ciechi. Vedere il nome sullo schermo mi provocò un moto di felicità, le farfalle persistevano nel loro volo libero. Martin.
 
Presi tremante il cellulare e risposi al telefono “Martin?” la mia voce risultava roca e cupa anche alle mie orecchie, era come se avessi appena partecipato ad una maratona. “Day, dove sei? Ti cerco da mezz’ora ormai.” La sua voce era ricoperta dal caos di altre voci: era insieme agli altri studenti che, evidentemente, non erano stati mangiati da nessuna lucertola aliena. “dove sei tu razza di mongoloide! Sono entrata in mensa e non ho trovato nessuno. Non dovevamo incontrarci lì, rifiuto umano? Cos’hai al posto del cervello? Acqua? E perché non rispondi alle mie chiamate? Sei così cerebroleso da non sapere neanche rispondere al telefono?” dissi infuriata. Non sapevo perché ogni volta lo insultavo in quel modo, forse era la mia maniera di sentirmi protetta: se lo insultavo le cose sarebbero sempre state come prima e lui non avrebbe mai capito i miei sentimenti per lui. Lo sentii sospirare al telefono “Ecco che mi mancava la mia vecchia Day. Non sentivo i tuoi insulti da quasi un’ora e iniziavo a preoccuparmi e a ritenermi un essere pensante. Per fortuna ci sei tu a farmi rimanere con i piedi per terra. Comunque il preside ha indetto una riunione speciale qui in biblioteca. Pensavo lo sapessi, voglio dire, sai sempre tutto tu. Non ti ho risposto prima perché stavo parlando con Jenny: ha accettato il mio invito ad uscire. Ti rendi conto? Dopo anni di corteggiamento asfissiante e a livelli da stalker si è arresa. Ovviamente il mio fascino l’ha abbagliata, fino ad ora si sarà sentita intimorita dalla mia bellezza per accettare…” Interruppi il suo monologo estenuante “Okay, sto arrivando” risposi riattaccando il telefono e non dandogli il tempo di  replicare.
 
Mi sentivo una stupida, una completa imbecille. Io ero preoccupata per lui mentre lui flirtava deliberatamente con Jenny, mi ero vestita in maniera elegante e diversa dal solito per lui. Facevo ogni cosa ormai per Martin. Cosa ne ottenevo? Era come cercare di afferrare l’aria con le mani: ogni sforzo era impossibile. Tutto era inutile, non avevo le doti per conquistare Martin Mystère, evidentemente non ero abbastanza bella e simpatica. Forse la risposta era che non ero Jenny. Solo questo.
 
Mi asciugai gli occhi cercando di farmi forza, come sempre, ripetendo come l’Ave Maria convivi con il dolore, convivi con il dolore. Era diventato il mio motto personale, mi chiedevo per quanto tempo avrei potuto coesistere con questa sofferenza senza scoppiare e mandare tutto a fanculo.
 
Andai sconsolata in biblioteca, come mai il preside convocava una riunione straordinaria? La risposta mi importava poco. Avevo solo paura che Martin mi vedesse vestita in quel modo adesso. Pensandoci avrei preferito affrontare mille Malith a confronto. Avrebbe sicuramente spalancato gli occhi per lo stupore e fatto qualche battuta idiota delle sue. E basta. Non potevo aspettarmi altro. Non da Martin.
 
Arrivata in biblioteca le voci  degli studenti mi riportarono alla realtà, erano tutti ammassati in un angolo su delle sedie che di solito erano dietro ai banconi di lettura. Mi sentivo come nuda: mille persone avevano profanato il mio luogo sacro con parole inutili e vuote in confronto a quelle che racchiudevano i tomi presenti tra gli scaffali.
 
Era impressionante come, tra la marea di occhi presenti nella stanza, ero riuscita ad individuare il suo sguardo. Sentivo che mi stava fissando, magari sorpreso da quella visione: Diana vestita con abiti femminili.
 
 
Finalmente i miei occhi impauriti incontrarono i suoi.
 
 
Angolo Bradipo
 
Mi mancano le parole, davvero. Ho abbandonato questa storia per davvero troppo tempo che mi sento male solo a pensarci, vorrei porgere le mie scuse a chi ha aspettato pazientemente, a chi ha recensito e anche a chi mi ha invitato messaggi privati per chiedermi della storia. Non ho aggiornato prima per diversi motivi: la scuola mi aveva distrutta, in tutti i sensi, privato anche di quella poca vita sociale che avevo e non avevo tempo di continuare. Avevo anche paura di deludere tutti con il secondo capitolo e così ho aspettato, non so neanche bene io cosa. Sfortunatamente il mio computer si è rotto e non ho potuto far nulla in questi due mesi di vacanza, ma ora eccomi qui. Pronta  a continuare la storia, sperando di avere l’appoggio e il sostegno ricevuto nel primo capitolo. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite  seguite, siete fantastici <3
 
   
 
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