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Autore: SylviaGreen    10/09/2013    4 recensioni
Si possono dire tante cose su Sylvia Green: dormigliona, golosa, chiacchierona, irriverente, pigra, incontrollabile. Ma su due cose si può andare sul sicuro: non è una strega e non ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts.
Eppure, per una strana successione di eventi, Sylvia Green si ritrova a bordo dell'Hogwarts Express, a chiacchierare tranquillamente con Harry e Ron. L'autrice si sarà bevuta il cervello? Probabile.
Ma allora, cara Sylvia Green, che cosa sei?
«Una wimag», risposi automaticamente. «Cioè qualcosa di strano, complicato e ignoto».
STORIA INTERROTTA
Genere: Commedia, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Ehi, sa volare!
 




Passai tutto il viaggio verso la mensa a consolare il mio amico sul fatto che in fondo sarebbe riuscito a sopravvivere anche con il professor Piton che lo odiava, anche se dovetti ammettere anche io che era alquanto improbabile. Raggiungemmo la Sala Grande per il pranzo per primi, e io e Ron, dopo aver adocchiato una piccola montagna di salsicce, ci guardammo con aria di sfida.
«L'ultimo che arriva al tavolo è un bezoar!», urlò lui, e prese a correre.
Purtroppo era partito in anticipo, così non feci in tempo a raggiungerlo che aveva già rumorosamente divorato cinque salsicce di fila prima che potessi fermarlo, e non accennava a lasciarmene neanche una.
«Va bene!», esclamai esasperata mentre mi toglieva il piatto dalla mia portata. «Sono un bezoar, okay? Adesso mi dai le salsicce?».
Lui rise ma non mollò il piatto, e dovetti quasi ribaltarne un altro prima di riuscire ad acchiapparlo con la forza. Dopo che lo avevo ben agguantato, per niente al mondo gliel’avrei mollato; e queste furono le premesse per una sfiancante battaglia alle salsicce e a chi ne mangiava di più. Tutto questo, faccio notare, avvenne sotto gli occhi di Harry, che non sapeva se ridere o darci definitivamente per dei decerebrati, e di Hermione, che invece sapeva già perfettamente che scelta fare.
Mentre io e Ron eravamo impegnati a sfidarci, arrivò la posta.
Quel giorno quasi non mi importò, visto lo sforzo al quale mi stavo dedicando, ma il primo giorno ero rimasta con tanto d’occhi nel vedere all’improvviso un sacco di gufi, civette, barbagianni, assioli, allocchi sciamare all’interno delle finestre aperte, come se il loro senso dell’orientamento fosse andato completamente in tilt all’improvviso. La Sala Grande era tutto uno sbattere di ali, uno sventolare di piume, un fischio. Memore del film di Hitchcock[i], mi ero già coperta la testa con la borsa quando avevo visto Ron alzare lo sguardo dubbioso, in cerca di qualcosa. Poi mi aveva guardato. «Ma che diamine fai? Non avrai mica paura!».
«Ehm … è una cosa che succede spesso, questa?», avevo domandato.
«Menomale che succede!», aveva risposto lui, lasciandomi di stucco. «Pensa se succedesse una volta alla settimana … la Sala Grande sarebbe tanto piena di lettere da doverle infilare anche dentro le uova!».
La frase aveva fatto scoppiare a ridere Harry per un buon quarto d’ora, e solo quando ebbe finito di pulirsi dal cibo mezzo masticato che aveva sputato tra i singulti, fu in grado di raccontarcene il motivo: Ron aveva più o meno descritto la situazione che era successa a casa sua, quando i suoi zii non accennavano a fargli leggere la lettera di ammissione per Hogwarts. Al racconto, al contrario di Ron – che se la rise beatamente – sorrisi ma non mi misi a ridere, anche per rispetto nei confronti del mio amico. In cambio, però, mi mangiai due salsicce, salendo in vantaggio nella competizione. Ero finalmente riuscita a ingaggiare una gara, e quindi niente avrebbe potuto fermarmi, in teoria; in pratica però no, perché malauguratamente per me arrivò un grosso barbagianni e si posò proprio sul piatto che custodivo gelosamente. Solo quando gli stette per dare una forchettata in testa, Ron si accorse della sua presenza, e ci vollero altri cinque minuti di occhiate torve da parte del rapace perché capisse che era suo.



«Non è il gufo di famiglia», spiegò lui, mentre prendeva in mano le sue lettere e il giornale che il barbagianni portava legati ad una zampa. «Il nostro me lo aspettavo stramazzato sul tavolo con la testa dentro una ciotola».
Il barbagianni chiurlò, offeso.
«No, in realtà Errol è rimasto nella guferia: era stanco morto quand’è arrivato, e ha rubato la tana a questo barbagianni», dissi io.
«Sì, è proprio tipico di lui», grugnì Ron, riprendendo a mangiare. Poi si bloccò, la forchetta a mezz’aria. «Ehi! Mi mancano delle salsicce! Ma tu bari!».
Non feci in tempo a dire che avevo solo usato bene il mio tempo che notai che anche Harry si era bloccato, nella stessa posa di Ron. «Oddio, Ron, hanno pietrificato Har–».
«E tu come diamine fai a saperlo?», mi interruppe lui.
«Beh, non ti muovevi e …».
«Non quello! Come fai a sapere del gufo! E come fai a sapere che si chiama Errol?».
Rimasi pietrificata anche io – a quanto pareva, era il giorno degli stupori. Ma a differenza degli altri, dopo pochi secondi non mi distolsi dalla mia posizione, incapace di reagire – e, tra l’altro, felice di notare che Ron, al contrario di me, non mi stava fregando le salsicce dal piatto, perché anche lui si era accorto del problema. Effettivamente, scorrendo nella mia memoria, lui non aveva mai accennato alla cosa, altrimenti anche Harry l’avrebbe saputa. E allora io come diamine facevo a saperla? Eppure ero così certa di averla imparata da qualcuno, ad un certo punto …
«Ehm … magia?», provai, esitante.
«Anche io sono un mago, genia», ribatté Harry.
Giusto. Perspicace, Green.
Il barbagianni chiurlò di nuovo, visibilmente irritato.
E io mi illuminai: avevo capito tutto.
«Me l’ha detto lui, no?».
«No!», protestò Ron. «Io non te l’ho detto! Me lo ricorderei, altrim–».
«Non tu!», ribattei io. Stavo incominciando ad arrabbiarmi: volevano veramente darmi della cretina! «Il barbagianni!».
A quanto pareva, sì. Ero proprio cretina.
Calò un silenzio di tomba per cinque minuti buoni, durante il quale entrambi i miei amici continuavano a muovere le mascelle senza accorgersi di non avere niente in bocca; e io nel frattempo li guardavo, incerta. Avevo detto veramente qualcosa di sbagliato? Cioè, tra scale che si muovono, persone che passano attraverso i muri, topi che diventano gialli e cappelli parlanti, un barbagianni non poteva avermi detto qualcosa?
Alla fine fu Harry quello che riprese la parola per primo: «Lui … ti ha parlato?».
A quanto pare, no. I barbagianni non parlano. Ma come negare la verità? «Beh, ecco … se vogliamo proprio metterla su questo piano … sì». Lo sguardo che i due si scambiarono mi fece subito aggiungere: «Ma non l’ha fatto apposta, eh! Gli è venuto … spontaneo, diciamo».
Come se ciò che stavo dicendo potesse migliorare la situazione! Ora avevo pure ammesso di aver capito le circostanze del messaggio, come se ci fosse stato bisogno di un’ulteriore prova del mio errore! Ma davvero era così grave parlare con i barbagianni? Non mi sorprendeva che fossero sempre così arrabbiati.
Finalmente Ron si degnò di spiegarmi qualcosa. «Ecco … Sylvia, non so se lo sai, ma nel mondo dei maghi non è che sia proprio comunissimo che gli animali parlino agli umani».
Ah. Carino: quella volta in cui finalmente potevo assomigliare vagamente ad una maga, ero una pazza.
«No? Ma neanche un sussurro piccolo piccolo?».
«In generale si limitano a fare i loro versi», confermò lui.
 «Cioè, gli animali si dicono un sacco di cose e noi … voi … non ne percepite neanche una?».
Senza accorgermene, avevo alzato la voce e la mia indignazione aveva fatto voltare molte teste verso di noi. Mi si comprenda: avevo sempre desiderato poter capire i segreti degli uccellini quando cinguettavano.
Capitemi voi, perché Ron non lo fece. «Abbassa la voce, idiota!», sibilò, con una tale veemenza che mi sentii subito – un pochino – in colpa. «Non è proprio il caso di far sapere a tutti dopo una settimana che sei … uhm, cosa sei?».
«Una wimag», risposi automaticamente. «Cioè qualcosa di strano, complicato e ignoto. Cosa vuoi che importi agli altri?».
«Sì, ma io intendevo in senso un po’ più specifico».
«Allora una IUMA».
«Sarebbe?».
«Istituto Universale per Mediatori Animali».
Io e Ron ci guardammo alternativamente per dieci secondi netti, prima di scoppiare fragorosamente a ridere all’improvviso, tanto che Harry decise definitivamente di far finta di non conoscerci; ed Hermione e il barbagianni – che stava tra l’altro bellamente mangiando il mio pane – si voltarono simultaneamente a guardarci. Poi la prima scosse la testa e si alzò, forse per troncare di netto i sospetti per un’eventuale rapporto tra tali cervelli bacati e lei, mentre il secondo si spaventò, sputò un pezzo di mollica sul piatto – il mio piatto! – e riprese il volo, probabilmente ripromettendosi di non tornare mai più a quel tavolo. Nel momento preciso in cui staccò le zampe da terra, la professoressa McGranitt si avvicinò pericolosamente a noi tre seduti.
«Ehi, voi tre!», ci chiamò. Harry alzò la testa e io e Ron tacemmo simultaneamente – con fatica, devo ammetterlo – ma non sembrava arrabbiata con noi. Non più del solito, per lo meno. «Quando avete finito di ridere», e ci squadrò con aria di disapprovazione (tipico di lei), «vi ricordo che alle tre e mezza di oggi iniziano le lezioni di volo».
«Ah», fece Ron, continuando a sghignazzare.
Harry fu un po’ più riconoscente. «Grazie, professoressa».
«Grazie», ripetei io, prima di scoppiare in un nuovo accesso di risatine guardando Ron, che stava facendo chiaramente finta di parlare con un cucchiaino. E saremmo andati avanti per ore, se una voce altezzosa alla nostra sinistra non ci avesse interrotto.
«Quando avete finito di ridere, vedete di prestarmi un po’ di attenzione».
Fortunatamente non era di nuovo la professoressa McGranitt, ma Hermione: mentre noi ridevamo, quella Speedy Gonzales versione strega aveva trovato il tempo di andare in biblioteca e tornare, e ora reggeva un grosso libro dalla copertina lucida intitolato il Quidditch attraverso i secoli. Aveva un’aria interessante, ma non era da leggere durante una gara delle salsicce – che, ci tengo a precisare, non era ancora conclusa, anche se tutti sembravano essersene dimenticati!
Io e Ron guardammo storto il suo piatto, ancora mezzo pieno, ma io feci il terribile errore di annuire alle sue parole.
Non l’avessi mai fatto! Hermione partì come una furia a spiattellare l’uno dopo l’altro consigli e suggerimenti che aveva trovato su quel volume, che evidentemente era interessante ma non quanto le salsicce, e il bello era che c’era pure chi la stava a sentire: si trattava di Neville Paciock, il ragazzo che aveva perso il rospo il primo giorno, che ora aveva le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione e le manine grassocce strette a pugno intorno ad uno strano oggettino sferico.
«Neville, cos’è quella cosa?», gli chiesi, approfittando di una pausa di Hermione per distrarci un po’.
«Una Ricordella», mi spiegò. «Nonna sa che dimentico sempre le cose … questa ti dice se c’è qualcosa che hai dimenticato di fare». Dato che anche Harry si era interessato – perché ogni cosa sarebbe stata più interessante di Hermione in quel momento – Neville sorrise e si impegnò di più a spiegare. «Non so quale meccanismo ci sia dentro, ma in pratica è così, guardate: uno la tiene stretta come sto facendo io ora, e se diventa rossa … oh». Il sorriso di Neville si incurvò in una smorfia, perché la Ricordella era appena diventata scarlatta. «… beh, vuol dire che hai dimenticato qualcosa … ».



Neville si stava sforzando di ricordare che cosa mai avesse dimenticato quando[ii] Hermione, seccata per essere stata interrotta, riprese la sua conferenza con più fervore di prima. Io, Harry e Ron ci alzammo contemporaneamente da tavola, perché perfino la fine del pasto era preferibile rispetto a una spiegazione come quella, ma Hermione si alzò con noi senza smettere di parlare (me misera!) e sarebbe andata avanti fino all’arrivo nel dormitorio se non avessimo fortunatamente incontrato Fred e George, che ci stavano andando come noi.
«Ehi, ragazzi! Ho sentito la McGranitt. Oggi iniziate volo, eh?», esclamò uno dei due.
«Sì», rispose Ron, lieto di interrompere Hermione. «E voi no?».
«Noi non ne abbiamo bisogno, fratellino», si vantò Fred – credo. «Facciamo già parte della squadra di Quidditch di Grifondoro, cosa ce ne facciamo di altre lezioni?».
«E poi», aggiunse – forse – George, «in realtà queste lezioni servono solo a vedere se potete permettervi di stare su una scopa, anche se quelle della scuola fanno abbastanza schifo, ma nel resto degli anni non ne fanno più».
Naturalmente mi avvilii subito. «Proprio una delle poche lezioni a cui posso partecipare!», mi lasciai sfuggire.
Ecco. L’avevo detto.
Io, Harry, Ron e Hermione stavamo seguendo l’esempio di Silente, che aveva rivelato la verità su di me soltanto a chi era strettamente legato alla faccenda: avevamo immaginato che l’attenzione del preside riguardasse la reputazione di Hogwarts e, dato che tutti e tre – quattro, contando Hermione – tenevamo alla nostra scuola, volevamo anche che non fosse screditata per colpa nostra – cioè mia.
In ogni caso, però, ormai era fatta, e neanche la dolorosa gomitata di Harry servì a rimangiarmi le parole. Così, dopo molti alibi a cui né Fred né George credettero, fui costretta a raccontare per filo e per segno wimag e compagnia bella, compresa la storia di Percy. La situazione comunque fu approvata anche da Harry e da Ron, che videro con gran soddisfazione la spiegazione di Hermione troncata per sempre.
Finii di raccontare alle tre meno un quarto, e il resto del tempo lo passammo a escogitare vendette tutti insieme contro di lui, con Hermione che ci ascoltava e che sembrava che stesse in continuazione trattenendosi per parlare. Probabilmente per proteggere Percy, ci disse Ron quando lo feci notare, e Harry fu d’accordo.
Alle tre e venticinque, dopo una lunga programmazione di come avremmo potuto convincere Percy a tuffarsi nel Lago Nero e a farsi stritolare dalla piovra gigante che ci viveva, finalmente Harry ebbe il buonsenso di guardare l’orologio e di ricordare a tutti noi che avevamo una lezione di volo a cui partecipare. Fred e George ci augurarono buona fortuna e finsero di andarsene a letto a riposarsi; ma poi tornarono indietro e, mentre Ron non guardava, lo spinsero a faccia in giù dal buco del ritratto.
«Giusto per prepararti psicologicamente alla caduta dalla scopa», ridacchiò Fred prima che Ron potesse lanciargli improperi.
La battuta del gemello, che avrebbe dovuto essere divertente, in realtà ebbe il solo risultato di renderci ancora più nervosi. Anche se sia Harry che io avevamo provato a non ridere quando avevamo visto Ron cadere come uno stoccafisso e invece ad aiutarlo come meglio potevamo, ora che Fred e George e possibili spintarelle erano fuori dalla nostra portata ci era tornata la paura. Ma più che la caduta dalla scopa – speravamo che l’insegnante di volo ci salvasse in tempo – il nostro timore era un altro. Anche se non lo dicemmo a voce alta, fui certa che almeno io e Harry stessimo pensando alla stessa cosa non appena passammo di nuovo nella Sala Grande, ora con i tavoli puliti e senza piatti (sigh!). Infatti fu proprio quando vedemmo lo stendardo dei Serpeverde appeso vicino al loro tavolo che lui commentò: «Proprio quello che ho sempre desiderato: rendermi ridicolo a cavallo di una scopa sotto gli occhi di Malfoy!»[iii].
«Non sai ancora se ti renderai veramente ridicolo», disse Ron con grande buonsenso, ma anche lui tremava un po’ all’idea. «Comunque, ho sempre sentito Malfoy vantarsi di quanto è bravo a giocare a Quidditch, ma scommetto che sono tutte balle».[iv]
«E poi», rincarai io, scendendo le scale per andare in cortile, «ci sono due casate oltre a noi e a loro; possibile che dobbiamo finire proprio con Serpeverde?».
«Sì, esatto», approvò Ron. «Non è detto che saremo con loro».
Ma a quanto pare era sottinteso: non appena raggiungemmo il cortile e ci unimmo al gruppo dei nostri compagni di Grifondoro, non potemmo fare a meno di notare che, intenti a esaminare le venti scope stese sull’erba, c’erano Malfoy, Tiger e Goyle. Ovviamente, Corvonero e Tassorosso sembrava non esistessero, quando dovevamo fare qualcosa di potenzialmente imbarazzante: sembrava fatto apposta. In particolare Malfoy, giusto per tranquillizzarci un po’, si stava vantando con Tiger e Goyle a voce molto alta delle sue incredibili imprese da bambino a cavalcioni della sua Comet Duecentosessanta, che finivano sempre con lui che sfuggiva per un pelo agli sguardi dei babbani a bordo di quegli strani aggeggi volanti che loro usano.
Evitai di urlargli che in generale gli aerei volavano ad altitudini tali per cui la pressione avrebbe potuto farlo secco in mezzo secondo, ma lo dissi a Ron, che probabilmente non lo sapeva, e lui mi guardò sorpreso.
«Ho sempre pensato di aver rischiato di andare a sbattere contro uno di loro, quella volta in cui sono salito sulla scopa di Charlie», spiegò a me e a Harry, che aveva sentito.
«Probabilmente era un elicottero», ipotizzò Harry.
Ron stava per chiedergli quale fosse la differenza, quando alle tre e mezzo precise arrivò la professoressa. Era bassa e in carne, con i capelli corti e grigi e gli occhi gialli e luminosi. Silente mi aveva detto che si chiamava Madama Bumb.
«Beh, cosa ci fate tutti sparpagliati?», sbraitò. «Prendete posto di fianco alle scope. Di corsa, muoversi!».
Immediatamente ci rendemmo conto che quello che aveva detto George era vero: le scope della scuola effettivamente facevano un po’ schifo. Sembravano piuttosto ramazze vecchie e sporche, usate da una casalinga per anni e anni per spazzare il pavimento, e i rametti che le formavano erano storti e mezzi spezzati. La mia aveva il manico un po’ scheggiato, quella di Seamus Finnegan aveva persino delle incisioni sul manico. A Neville, che era arrivato per ultimo, era toccata quella peggiore: emanava vagamente una puzza di legno marcio. Hermione, invece, dato che era stata probabilmente una delle prime ad arrivare, si era presa la migliore: sembrava quella meno consumata, dal manico quasi lucente, e i rametti erano tutti più o meno dritti. Doveva essere la più nuova.
«Stendete la mano destra sopra la vostra scopa», disse Madama Bumb di fronte a noi, «e dite su!».[v]
A Harry e – inaspettatamente – a me, la scopa saltò immediatamente in mano e quasi ci sfuggiva, come se non vedesse l’ora di spiccare il volo, ma poche altre seguirono il loro esempio. Quella di Hermione, che pure avrebbe dovuto volare di più della mia, rotolò un po’ e si fermò sui suoi piedi, mentre quella di Neville era rimasta ferma a terra, come se non avesse minimamente sentito la sua voce tremante. Evidentemente la riuscita di quel primo esercizio non dipendeva dalla qualità della scopa, ma dal tono di voce che si usava. Magari – ma ora avevo molto più timore ad azzardare ipotesi – le scope erano in grado di capire la determinazione nel dirlo. Come se sentissero che Neville aveva paura. Dopo che Harry fu d’accordo, provammo a dirlo a Ron, la cui scopa si era alzata a metà e poi era tornata giù; lui ci riprovò con voce più decisa – praticamente era come se stesse sentenziando un comandamento divino – e subito il manico gli finì dritto in faccia. Lui lo afferrò dopo che ebbe rimbalzato sul suo naso, massaggiandosene la punta. Malfoy rise alla scena. Lui aveva già in mano la scopa, ma non potevo testimoniare se l’avesse fatta salire a comando o se si fosse chinato di nascosto a prenderla. Quello, comunque, fu ciò che fece Neville dopo numerosi tentativi infruttuosi. Hermione, invece, non si era rassegnata, e dopo tre faticosi tentativi riuscì a ordinare la scopa a salire. Era una bella cosa scoprire che esisteva una materia per cui lei non fosse praticamente fatta apposta.
A quel punto, Madama Bumb mostrò a tutti come montare il manico di scopa senza scivolare verso il fondo, e poi passò in rassegna le file per correggere la presa[vi]. Sembrava che sia io che Harry ci fossimo seduti perfettamente sulla scopa d’istinto, mentre «Vorrà dire, signor Malfoy, che sono anni che usi la presa sbagliata! Il pollice va sopra le altre dita, non sotto; e non mi è difficile spiegarmi come tu sia quasi andato a sbattere contro un elicottero, visto che girare a sinistra è praticamente impossibile se tieni le mani in questo modo!». Ron ebbe solo una correzione – si sedeva troppo avanti – mentre con Neville la professoressa passò dieci minuti solo per convincerlo a mettersi a cavalcioni della scopa, perché il ragazzo non ne voleva sapere. Ci riuscì solo con un compromesso secondo il quale lei dovette ancorarlo a terra con le braccia e assicurarlo quattro volte che la scopa non prendeva il volo da sola, ma che era lui a governarla. L’idea sembrava terrorizzare ancora di più il ragazzo, che stava abbracciando il manico con tutta la forza che aveva, rischiando di farlo a pezzi ancora di più.
Alla fine di questa spiegazione ulteriore, Madama Bumb era molto più seccata. «Quando suonerò nel fischietto», gridò a tutti quanti, «con i piedi vi darete una spinta, forte. Tenete la scopa ben salda. Dopo che vi sarete sollevati di circa un metro, inclinatevi leggermente in avanti e ritoccherete terra. Al mio fischio: tre … due …».
Ma Neville, nervoso e sovreccitato com’era, nel timore di rimanere a terra, si diede la spinta prima ancora che il fischietto avesse sfiorato le labbra di Madama Bumb. [vii]



E fu una spinta incontrollata, causata dalla paura, che lo portò molto più in alto di circa un metro. Alzai lo sguardo seguendo l’ascesa, eccitata e spaventata insieme. Tre metri … sei metri …
Dovette arrivare ai dieci prima che la scopa si fermasse nel vuoto per qualche secondo; e poi … speravo che la scopa, oltre a sentire la sua paura, avesse anche il buon senso di galleggiare a mezz’aria, ma invece cadde rovinosamente a terra, facendo sbattere il suo manico e Neville, che nel frattempo vi si era avvinghiato, contro il prato del cortile. Contemporaneamente ad un urlo di dolore, si sentì distintamente un crack proveniente da un punto indistinto del ragazzo.
A quanto sembrava, la più grande nostra paura si era avverata, anche se non su di noi, e Madama Bumb non aveva avuto il tempo di intervenire. Si limitò ad avvicinarsi a Neville, che sembrava sull’orlo di una crisi di pianto, e a prendergli le mani tra le sue. «Polso rotto», bofonchiò. «Dai, su, alzati. E non frignare». Lo sollevò bruscamente, con forza, rimettendolo in piedi. Neville si reggeva in piedi a fatica, come se si fosse rotto anche tutte le ossa delle gambe, e aveva l’aria di voler scappare a gambe levate da quel cortile per non tornarci mai più.
«Dovete tenere i piedi saldamente a terra mentre accompagno il signor Paciock in infermeria», annunciò severamente la professoressa mentre si allontanava a passi svelti, reggendo Neville per la collottola. «Se becco una sola scopa per aria, chi la monta si ritroverà espulso da Hogwarts prima che riesca a dire Quidditch». E sparì.
Non appena Madama Bumb scomparve nel castello con Neville alle calcagna, iniziarono una serie di chiacchiere che prendevano in giro il povero ragazzo, come se io non sapessi perfettamente che ognuno di loro aveva temuto di fare la stessa sua figuraccia.
«Ma avete visto che incapace?».
«Che razza di stupido senza cervello».
«Quel gran salame che non è altro!».
«E quella scopa che continuava a volare!?».
«Poveretta, si stava stancando nel portare un peso come il suo!».
«E lo avete sentito?».
«Gne gne, sempre a piangere!».
«Che frignone incapace!»
Il più maligno tra loro era sicuramente Malfoy. Ora che Neville non poteva sentirlo e nessuno aveva il coraggio di prendere le sue difese, stava sputando tutte le brutte parole che gli venivano in mente su di lui, ed erano tante. In più, senza che Madama Bumb se ne fosse accorta, si era chinato e aveva raccolto da terra la Ricordella che Neville aveva perso nella caduta, e ora la stringeva tra le mani come un trofeo. Il vetro lavorato della pallina luccicava al sole mentre lui la teneva sollevata.
«Avete visto che faccia?», sghignazzo a voce molto alta. «Se avesse stretto questa, si sarebbe ricordato di cadere sulle chiappone!».
Tutti risero e lui, rinfrancato dal successo della battuta, rise con loro. E sarebbe andato avanti ancora per molto a dire altre brutte parole, forse peggiori, se non avesse sentito una voce arrabbiata alle sue spalle. «Dammi qua, Malfoy!».
Era Harry. Sia lui che Ron, insieme a me, avevano ascoltato le prese in giro dei Serpeverde senza sapere cosa dire per intimidirli – quando incominciavano a sfottere, era dura fermarli – ma ora Harry aveva raggiunto il limite. Tutti tacquero all’istante per godersi la scena.[viii] Era da un sacco di tempo che aspettavano uno scontro diretto. Loro come Harry e Draco, probabilmente.
«No», rispose Malfoy, arrogante. «La metterò in posto dove Paciock dovrà cercarsela». Si mise a cavalcioni della sua scopa e spiccò il volo. «Che ne dici del tetto?». Si fermò a circa tre metri da terra, guardandoci come se fossimo nullità. Purtroppo non aveva mentito: volava molto bene, in modo lineare e sicuro. «Cosa c’è, Potter? Pensi di non arrivarci?».
Harry fece per prendere la scopa, e ovviamente Hermione gli venne addosso prima che partisse. «No, Harry, non se ne parla!», gridò. «Madama Bumb l’ha vietato, e per di più non sai nemmeno volare!».
Lui non la guardò neanche: nella sua testa c’era solo la Ricordella e Malfoy, e niente avrebbe potuto fermarlo. Non appena spiccò il volo, dandosi una spinta con i piedi, vidi Ron incrociare le dita di nascosto, senza farsi vedere dai Serpeverde, e pensai che dovevo farlo anche io. Però, per qualche strana ragione, non ne sentivo il motivo. E quando vidi il mio amico dirigersi deciso verso Malfoy, capii perché: lì a mezz’aria, mentre saliva, con il vento che gli scompigliava i capelli e senza aver mai toccato prima una scopa volante in vita sua, lui sapeva perfettamente cosa fare, senza bisogno che io sperassi per lui. Senza bisogno di studiare o leggere il librone che Hermione aveva preso dalla biblioteca, conosceva i movimenti da fare d’istinto, come se glieli avessero inculcati nel cervello. Sapeva come sterzare, come accelerare e perfino come contrastare lo sbandamento leggermente a sinistra di cui Fred e George ci avevano avvertito. Sapeva come sistemarsi per favorire l’aerodinamicità e come salire ad altezze vertiginose senza scivolare a terra.  Non appena raggiunse Malfoy, mettendosi proprio davanti a lui, si levò un urlo di ammirazione da parte di tutti i Grifondoro – il più forte era il nostro, chiaramente – ed era del tutto giustificato. Harry volava bene come Malfoy, se non addirittura meglio. Con la sola differenza che, vivendo tra babbani, non aveva mai toccato una scopa.
L’unico problema in tutta questa faccenda era che io non avrei dovuto saperne assolutamente niente. Io avrei dovuto stare lì a sperare con Ron, sperando che non cadesse, e poi gridare ammirata e sollevata quando avevo notato che sapeva il fatto suo. E invece non avevo avuto paura per lui neanche per un secondo. Era come lo sapessi già … o meglio, come se avessi capito in contemporanea a Harry che era capace di andare sulla scopa.
E, a coronare il tutto, non era la prima volta che mi sembrava di essere nella sua testa.
Ma complimenti, Green. Ora leggi pure nel pensiero.
Stavo appena per iniziare a preoccuparmi della mia testa e delle pazzie che poteva fare quando sentii, forte e chiaro, le parole di Harry. In teoria non avrei dovuto udirle, data la lontananza. E invece no: mi rimbombarono nel cervello come se me le stesse urlando nei timpani. «Dammela, Malfoy, o ti butto giù da quella scopa!».
«Ah, sì?», rispose Malfoy con un ghigno che, però, non riusciva a dissimulare la sua preoccupazione.[ix] Non avrei dovuto sentire neanche quelle parole, ovviamente, ma era come se le udissi dall’orecchio di Harry: ben distinte, con tutte le sfumature di significato che il tono di voce lasciava intendere.
Prima di vedere quello che successe dopo, sentii nella mia mente che Harry aveva deciso di farlo. Non mi si chieda come.
Lui si piegò in avanti fino a quasi mettersi in orizzontale, afferrò saldamente il manico di scopa e diede un’accelerata tremenda verso la mano di Malfoy che ancora reggeva la Ricordella, e per poco non riuscì veramente a prenderla: Draco fece appena in tempo a scansarsi, e i suoi capelli superpettinati furono subito scompigliati dalla folata d’aria scatenata da Harry. Lui invertì bruscamente la rotta, fermandosi all’improvviso e girando di centottantagradi, e poi tornò di nuovo indietro, arrestandosi dietro Malfoy che, nel frattempo, si era voltato.
«Niente Tiger e Goyle a salvarti l’osso del collo quassù, eh?», lo apostrofò Harry[x] e, ancora una volta, io lo udii perfettamente.
Sembrò che a Malfoy fosse venuto in mente lo stesso pensiero.[xi] Il ragazzo ormai aveva capito che Harry volava molto meglio di lui.  E se avesse dato un’altra accelerata come quella, catapultandolo giù dalla scopa? Non sarebbe stato in grado di spostarsi, in quel caso. Così disse: «Facciamo a modo tuo, allora!», con la voce definitivamente preoccupata, e lanciò la Ricordella verso il tetto della scuola, molti metri più in là. Poi si diresse velocemente verso terra, senza nemmeno voltarsi indietro a vedere se Harry fosse riuscito a prenderla, ma questo Harry non lo vide.
Il ragazzo era totalmente concentrato verso la palla, che vedeva come al rallentatore sollevarsi in aria e poi sfrecciare a tutta velocità verso un muro di Hogwarts. Draco non aveva la forza necessaria per farla raggiungere il tetto, e la palla si stava dirigendo dritta dritta contro la finestra di un ufficio, non molto lontano dai nostri dormitori. Harry si chinò in avanti un’altra volta e diede una seconda accelerata puntando deciso verso il muro, il doppio più veloce della pallina, tanto veloce che confondeva il vento che gli fischiava nelle orecchie con le grida di tutti noi, rimasti a terra a guardare. Immaginai che Malfoy stesse rosicando, ma non potevo guardarlo neanche se avessi voluto: i miei occhi e il mio cervello, come se avessero una volontà tutta loro, si stavano concentrando sulla rincorsa di Harry e sulla velocità della Ricordella, che ora era sempre più vicina … ormai era a portata di mano … ma anche la finestra era vicina, troppo vicina, e ancora un poco e ci sarebbe andato contro … Harry allungò il braccio e …
La afferrò. Strinse forte la Ricordella poco prima di sfracellarsi contro il vetro, e poi senza quasi accorgersene fece una capriola su se stesso, ritornando perfettamente dritto e dando le spalle al muro. Ancora stava osservando la palla che teneva in mano, come se fosse un trofeo appena conquistato con fatica. E in effetti lo era. Se lo faceva rigirare tra le mani, tutto contento, un gigantesco sorriso di soddisfazione stampato sul volto. Sapeva di aver compiuto un’impresa eccezionale, incrementata anche dal fatto che non si era procurato neanche un livido piccolo così. Nessuno di noi sarebbe riuscito a imitarlo, o per lo meno non al primo anno. Forse neanche negli anni seguenti.
Con lo stesso sorriso ritornò come una scheggia indietro, reggendo la Ricordella con un braccio teso, e non appena atterrò io e Ron gli corremmo incontro per fargli i complimenti – Ron era rimasto letteralmente senza parole – ma …
Ma non avemmo il tempo di dire niente, perché c’era una persona dietro di noi.
L’ultima persona che avremmo voluto vedere in quel momento.
La professoressa McGranitt.

 
 
[i] Il film è Alfred Hitchcock, Gli Uccelli (The Birds), 1963.
[ii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iv] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[v] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[vi] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[vii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[viii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[ix] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[x] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xi] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.


 
*Angolino autrice*
Incredibile ma vero: dopo almeno sei mesi di ritardo, SylviaGreen ce l'ha fatta a pubblicare il capitolo!
Non so se devo aspettarmi applausi o pomodori :')
Comunque, siamo svelti: innanzitutto un ringraziamento speciale a The_Sound_Of_Rain, alias Lucilla, che è una mia grande amica e che ha trovato il tempo di leggere questo capitolo prima di voi anche se voleva fare un'altra cosa. Grazie Stregatto, ti adoro! (Preghiamo le muse per te perché abbia ispirazione!)
Secondo, devo assolutamente ringraziare le tre persone che mi hanno scritto la recensione al capitolo precedente: Fleur Dolohov (che ho scoperto che si chiama come me), Jinny_2000 (che ha iniziato una storia: andate a vederla!) e Emily132, che è invece solo lettrice ma molto accanita. Grazie, ragazze, grazie mille! 
E infine, l'ultimo ringraziamento a voi, che avete letto questo papiro fino a qui! Scusate la lunghezza (su Word sono cinque pagine) ma dovevo farlo così lungo, visto il ritardo con il quale lo invio :)
Ciao ciao e alla prossima!
   
 
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