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Autore: Francine    15/09/2013    5 recensioni
Frammenti di vita quotidiana, sparsi nello spazio e nel tempo, all'ombra del Grande Tempio di Athena.
(Personaggi serie classica e Lost Canvas)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#2- Paramythi


Prompt: 
Titolo:  Paramythi
Autore: Francine
Fandom: Saint Seiya – Serie Classica
Personaggi: Scorpion Milos
Genere: Commedia
Rating: Verde
Avvertimenti: 
OC e lievissimo AU
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine) 1821/ 4
Eventuali note dell’autore (o alla fine se contengono spoiler): Adoro vederlo nei pasticci (cit.) 
Prima pubblicazione: 27.11.2010
Partecipa alla Challenge Slice of Life 


Favola. Una piccola bugia per illustrare qualche importante verità.
(Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911)




«Tanti, tanti e tanti anni fa, prima ancora che l’apostolo Paolo tenesse il suo discorso sull’Areopago, sorgeva un grande castagno alla fine della salita alla base dell’Acropoli, dove adesso c’è la casa del vecchio Kostas.»
«Il vecchio Kostas? E chi è?»
«Non ha importanza.»
«Certo che ce l’ha, o non l’avresti nominato», ribatte lei. «Chi è?»
«Nessuno. E adesso zitta, o perdo il filo. Dicevo… sì. Il castagno era immenso. Si diceva che, quand’era ancora giovane, fosse stato l’unico albero ad offrire riparo alla dea Demetra mentre era in cerca di sua figlia Persefone, e che la dea, per ringraziarlo della sua gentilezza, l’avesse premiato con una crescita ed una resistenza fuori misura. La gente che abitava nei dintorni viveva a stretto contatto con il castagno per tutto l’anno: in primavera, i pastori si fermavano a riposare ai suoi piedi mentre le pecore brucavano l’erba; in estate, la gente si riuniva sotto alle sue fronde per cercare rifugio dal caldo; in autunno, una pioggia di frutti cadeva dai suoi rami carichi, rotolando fino alla base della collina, ed in inverno si tagliavano un paio di rami che, divisi e distribuiti tra le varie famiglie, aiutavano ad affrontare le lunghe notti.
«Un giorno di autunno, durante la raccolta delle castagne, un ragazzo dai capelli neri e gli occhi verde bottiglia trovò un riccio ancora chiuso tra le radici del castagno. Era di un bel verde scuro, ancora sigillato e tondo tondo. Probabilmente, pensò il ragazzo, sarà caduto prima del tempo. Lo scosse e vi sentì la castagna ballare all’interno, ma non trovando alcun modo per aprire il riccio, ed avendo la gerla ben ripiena di frutti, decise di lasciarlo lì dove l’aveva trovato e di andarsene per la propria strada.
«Arrivò l’inverno, un inverno rigido per le nostre zone, e fiocchi di neve caddero ad imbiancare il castagno. Passò sotto i suoi rami scheletrici un altro ragazzo che aveva gli occhi di ghiaccio ed i capelli biondi. Vide il riccio spiccare contro la neve e stese le sue mani per raccoglierlo. Si punse, ma la bellezza di quel piccolo riccio verde lo indusse a manovrarlo con maggiore delicatezza alla ricerca di un modo per aprirlo e gustarne il frutto, ma non trovando alcun accesso al suo cuore, il ragazzo lo scagliò contro il tronco del castagno e se ne andò nella neve, senza voltarsi indietro.
«Arrivò la primavera, i rami si ricoprirono di gemme e di nuove foglie e il riccio stava ancora ai piedi dell’albero, un po’ ammaccato e sempre più chiuso. Passò in un bel giorno di sole un ragazzo dalla veste candida. Era bellissimo. Alto. Forte. Aveva gli occhi azzurri e magnetici, e una gran massa di capelli ricci. Anche lui notò il piccolo riccio a terra ed anche lui, incuriosito, si avvicinò e lo raccolse, avendo cura di non pungersi con le sue spine. “Come sei bello”, mormorò il ragazzo al piccolo riccio. Poi avvicinò le labbra al frutto e chiese “Non ti apriresti per me, per favore?”. Subito il frutto si illuminò di una calda luce dorata e si trasformò sotto gli occhi increduli del giovane. Il piccolo riccio era scomparso. Al suo posto c’era ora una bellissima fanciulla, dagli occhi dello stesso colore del riccio ed i capelli dello stesso tono del tronco dell’albero. La fanciulla prese le mani del giovane tra le proprie e disse: “Grazie, mio eroe. Uno stregone mi aveva lanciato un incantesimo per farmi comprendere il valore della gentilezza, e tu mi hai salvato.”
«Il ragazzo non credeva ai propri occhi. La fanciulla era bellissima, la sua voce aveva un timbro melodioso e il suo sguardo dolcissimo, così il nostro eroe la invitò a sedersi all’ombra, e parlarono a lungo sotto i rami frondosi del castagno, fino a quando il sole non scese oltre alla collina. Allora il giovane condusse la fanciulla alla propria casa e vissero per sempre felici e contenti.»
Lui osserva naso all’insù le fronde dorate del castagno in giardino. Sta aspettando che lei dica qualcosa. Le è piaciuta la favola? L’ha raccontata bene? Ma soprattutto, avrà capito? Lei tace. Il suo sguardo va dalle foglie d’oro al cielo al piccolo riccio che lui tiene tra le mani alle due tazze di tè che li aspettano ai piedi dell’albero.
«Così, domani torni a casa dalla mamma…»
No, non ci siamo. Resta spiazzato. Non si aspettava proprio che gli dicesse questo. Sì, i bagagli aspettano solo di essere caricati sul traghetto delle undici e mezza, e a dirla tutta lui non dovrebbe trovarsi lì, in giardino con lei, ma a riempire gli ultimi moduli prima della partenza; ma quando lei ha bussato alla sua porta e gli ha detto «Tè di commiato in giardino?», con due tazze fumanti, quelle due tazze, lui non ha saputo dirle di no.
«Sarai contenta, immagino. Avrai tutta la libertà che vuoi, adesso.» Gli è uscita un po’ più acida di quanto avrebbe voluto. Vorrebbe mordersi la lingua. «Scusami. Sono stanco», aggiunge, dandosi del cretino. 
Lei fissa un nodo sul tronco del castagno, la testa abbassata. «Ti dispiace se tengo questo riccio per ricordo?», dice alla fine, per cambiare argomento. Solo questo. E nient’altro.
«Se ti piace…», risponde lui, con finta noncuranza, passandole il riccio. Sì, ma la storia? Che ne pensi della storia, dannazione?, vorrebbe chiederle, ma non osa. Teme che sotto sotto sia quello che lei vuole, coglierlo con le braghe calate, e lui non le farà questa cortesia.
«Certo che mi piace», replica lei osservando il frutto ed un sorriso si distende sulle labbra di lui. «Però se adesso dico parakalò, che succede?»
Lo sta fissando dritto negli occhi, adesso, occhi verdi dai quali non riesce a svicolare in nessun modo. «Che succede? Perché, dovrebbe succedere qualcosa?», quasi balbetta. L’ha messo all’angolo. 
«Non lo so. Magari mi trasformo in una castagna? O vi trasformate tu e la mamma?», domanda lei. «O devo pensare che la storia della fanciulla nel riccio e dei tre ragazzi siano solo un caso, una coincidenza?» 
Conosce bene quello sguardo, l’allungarsi degli occhi e il distendersi della sopracciglia in quel modo, come faceva Camus; vederlo affacciarsi sul suo viso gli regala un brivido lungo la schiena. Ha capito. Eccome se ha capito. Solo che sta ribaltando la questione. 
Non sono la sola ad indossare una corazza. O un riccio di castagna, dardeggiano gli occhi verdi.
Vero. Ma il tuo è più coriaceo del nostro, ribattono quelli azzurri.
Osserva il piccolo riccio che lei tiene tra le mani e si stringe nelle spalle. «È solo una vecchia favola che mi raccontava mia nonna prima di dormire. Perché vuoi vederci a tutti i costi delle attinenze con il mondo reale?»
Perché altrimenti non me l’avresti raccontata, abbellita e modellata a tuo uso e consumo, gli rispondono i suoi occhi. «E guarda caso il riccio diventa una bellissima fanciulla dagli occhi verdi… Come maman...»
Niente. Non molla. «Vallo a dire alla nonna.» 
«A me la nonna non l’ha raccontata proprio così…»
«Si vede che non se la ricorda più tanto bene.» 
«Sarà passato troppo tempo da quando la raccontava a te…»
«Certo», dice lui, e un attimo dopo capisce di essersi dato del vecchio da solo. Piccola strega!
Lei ci pensa su, lo sguardo abbassato sui suoi stivali rossi, poi dice: «In effetti, una mezza idea su chi sia il biondino dagli occhi di ghiaccio ce l’avrei, ma proprio non mi torna chi possa essere il primo ragazzo... Qualcuno che conosco? No, non mi pare, a meno che non si tratti di qualcuno che la mamma frequentava prima di conoscere te…» 
«La mamma? Ossignore, ma te l’ho detto! Si tratta solo di una favola. Una. Favola.» Niente. Non sta andando affatto come lui aveva preventivato. Nemmeno per sbaglio. È sempre così con lei. Riesce sempre a scombinargli le carte. È peggio di sua madre. Quando lo imparerò?
«E il ragazzo che rompe l’incantesimo ha gli occhi azzurri e una gran massa di capelli ricci… Però, hai ragione, se si fosse trattato di te, ci sarebbe stata una mela e non un riccio di castagna…», prosegue ignorandolo.
«Ma che c’entro io? E poi, insisti ancora con questa storia? Il mio nome significa misericordioso e non mela
«Misericordioso? Tu?»
Lo stesso tono strafottente di sua madre. «Io, sì. Perché? Non ti torna?»
«Se lo dici tu, ti credo. Facciamo come nei film. Ogni riferimento a persone realmente esistenti o esistite o a fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale», propone lei. 
«Precisamente. E questa è solo una leggenda che non ha attinenza con il mondo reale», risponde annuendo, anche se una voce dentro di lui gli dice che farebbe meglio a starsene zitto. 
Raccoglie le tazze e gli porge la sua. «Ma le leggende hanno tutte un fondo di verità… Quasi quasi ci provo anche io. Sta a vedere che trovo un fidanzato degno di questo nome…», commenta rigirandosi con cautela il frutto tra le dita. 
Fidanzato?! Quasi si strozza con il tè. Un fidanzato? Per lei?! Ma stiamo scherzando?! «Non dovrei provarci io?», ribatte lui. 
«Tu? Guarda che lo dico alla mamma! Tienimi la tazza, piuttosto. S’il te plaît
«E se diventasse una ragazza?»
«E se diventasse un ragazzo?»
Lei chiude le mani a coppa attorno al riccio. Lui trattiene il fiato, entrambe le tazze tra le mani, impotente. 
È assurdo, si tratta solo di una sciocca favoletta che si racconta ai bambini per renderli più educati… 

Ma anche gli dei sono una favola, eppure Athena non si trova a poca distanza da noi, che passeggia per i giardini della Tredicesima Casa? 

Ma che c’entra? E poi, Athena è Athena, e quello è solo un riccio di castagna. 

Sì, ma che succede se quel riccio si trasforma per davvero?


«Non ti apriresti per me, per favore?», recita lei.
Non può succedere nulla. Razionalmente lo sa. Anzi, dovrebbe toglierle di mano quel riccio e spedirla di gran carriera a fare i suoi esercizi quotidiani. Decuplicati. Eppure lui, proprio lui trattiene il fiato per alcuni secondi che sembrano anni. Anni in cui gli occhi verdi di lei fissano il piccolo frutto senza che accada nulla. Il riccio resta un piccolo riccio ancora acerbo, lei resta lei, e lui riprende a respirare.
«Niente, ma valeva la pena provare. Mi passi il mio tè?»
«Te l’ho detto. Era solo una leggenda», commenta lui, visibilmente sollevato mentre le porge la tazza. «Non puoi pretendere che esca un bel ragazzo da una castagna acerba…»
«Certo che no», risponde lei sfarfallando le ciglia. «Ma la faccia che hai fatto è stata impagabile …»
«Faccia? Quale faccia?», chiede lui facendo un passo indietro e tornando ad osservare il castagno. 
Lei ride, un suono argentino che si perde nell’aria di Novembre. «Buon compleanno, papà», dice sollevando la tazza di tè al suo indirizzo. 
«Buon compleanno a te», risponde un po’ imbronciato, le tazze che tintinnano tra di loro. Maledizione a me e a quando mi vengono in mente certe idee…
 

 Questa storia è dedicata alla piccola Maria Bianca.
   
 
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