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Autore: LyraWinter    16/09/2013    4 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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7.



Let it go

 

Canzone del capitolo

 

 

 

Dicono che la nostra generazione abbia smesso di credere nei sogni, nel mito dell’amore e nelle fiabe.

Opinione generale è che viviamo in un’epoca dove l’anima raggiunge presto la sterile maturità della disillusione, la desolata età nella quale sul nostro animo carico di aspettative per un futuro fatto di sogni, viene sparsa una spessa coltre di sale.

Io penso semplicemente che il guaio dei nostri tempi sia che il futuro non è più quello di una volta.

Nessuno ormai crede più ai colpi di fulmine, all'amore eterno, al lieto fine. Ci impegniamo piuttosto a trovare qualcuno di sufficientemente simile con cui scorrere l'intera vita é un compromesso relativamente accettabile, se serve a scongiurare la maledizione di affrontare da soli quella giungla che é la quotidianità.

Non proviamo più emozioni autentiche e genuine e gli unici momenti di commozione che viviamo sono quelli cerebrali. Siamo convinti di nutrire i nostri cuori con illusioni e grandi speranze, ma la realtà è che, ormai, sono muscoli non abbastanza allenati per potersi gonfiare a sufficienza per accogliere un certo tipo di emozioni. E, come ogni muscolo del nostro corpo se troppo sollecitato poi quello gronda di acido lattico, o, nel nostro caso, di sensazioni che non siamo in grado di contenere, né gestire e ridimensionare. L’unica strada che ci pare, dunque, percorribile è congelarle e dimenticarsene fino a non scordare del tutto ciò che si prova.

 

-O che si prova qualcosa,- mormorò Nicole, appoggiando la penna e fissando esausta il foglio bianco sul quale si era lanciata con furia.

 

Erano anni che non scriveva.

 

Da piccole, lei e Annie passavano le giornate a inventare storie, personaggi, a disquisirne, disegnarli, mettere in scena le loro vicende ma da quando aveva cominciato l'università e da quando aveva incontrato David soprattutto la sua vita si era tramutata in una frenetica giostra di eventi, serate, cene, concerti e spettacoli che non aveva più trovato un minuto per sé stessa da dedicare a simili infantilismi.

Era stato così che, giorno dopo giorno, la Moleskine comprata appena arrivata a New York, piena di buoni propositi per l'anno a venire, si era riempita di polvere, finché lei non l'aveva coperta con una pila di giornali e scartoffie, dimenticandosene completamente. E lì era rimasta per sei anni, fino a quando, poche ore prima di partire per Province Town, non l'aveva urtata per errore. L'aveva fissata a lungo, indecisa se cestinarla direttamente, ma una stretta al cuore le aveva impedito di portare a termine i suoi intenti.

 

-Posso usarla per la lista della spesa,- si era detta fra sé e sé, dimentica del fatto che, in sei anni, aveva fatto la spesa si e no una decina di volte. In ogni caso, utile o meno, non aveva avuto il coraggio di buttarla e l'aveva così lanciata distrattamente nel fondo della borsa da viaggio, dove era rimasta fino a quel momento.

 

 

Rientrata di malavoglia dal Pheseant, Nicole aveva tentato di incanalare la tristezza che la opprimeva lanciandosi con eccessivo e sospetto zelo nei preparativi della serata che tutti attendevano da tempo. Era stato così che, dopo due ore trascorse a rimbalzare da una stanza a un'altra come una trottola impazzita, il cuoco che sua madre aveva assunto per l'occasione l'aveva messa alla porta con poco garbo, visto che, dall'alto della sua inesperienza, aveva trovato persino da ridire sui tempi di cottura del branzino che avrebbero servito agli ospiti. Sua madre invece, impegnata con Mary, la tata tuttofare che viveva con loro da quando Nicole era nata, le aveva impedito l'accesso alla sala da pranzo quando, in preda al delirio, si era lamentata delle peonie con cui era stato creato il centrotavola, da lei stessa espressamente commissionate. Alla fine, non trovando più alcuna persona da tediare dal momento che anche suo padre e suo zio si erano rinchiusi nello studio intimoriti dalla sua ansia da prestazione, era salita sbuffando nella sua stanza, dove aveva speso tutte le energie rimanenti nel sistemarsi capelli, sopracciglia, trucco, smalto e nel cambiarsi almeno una quarantina di abiti, prima di decidere che il Lanvin bianco con lo scollo all'americana era quello più adatto ad assicurarsi l'approvazione di Margaret Campbell, come se quest'ultima non gliene riservasse già a  sufficienza.

 

A un'ora e mezza dall'arrivo ufficiale degli ospiti però, Nicole stava seduta vestita e truccata di tutto punto con la schiena poggiata agli enormi cuscini ricoperti di pizzo che occupavano il suo letto, sbuffando sonoramente e rosicchiandosi le unghie laccate di Rougenoir Chanel. Era stato in quel momento che si era ricordata della Moleskine abbandonata sul fondo della borsa: l'aveva tirata fuori, l'aveva pulita con meticolosa cura, e aveva cominciato a scrivere, più per sedare il nervosismo che per la voglia di farlo davvero.

Se qualcuno fosse entrato nella stanza in quel momento avrebbe scambiato per ansia il suo frenetico passare dal controllare il cellulare allo scarabocchiare sul taccuino, pensando che gli impercettibili scatti che la scuotevano fossero dovuti all'insofferenza dello scorrere troppo lento del tempo. La riunione familiare per la coppietta felice aveva avvolto come una grigia nuvola di nervosismo la casa dei Cooper e si presupponeva che lei, prima fra tutti, fosse tesa come una corda di violino.

Ciò che nessuno poteva immaginare era che il motivo di quella smisurata tensione affondasse le sue radici in tutt'altro problema e che l'ipercinesi che aveva colto la ragazza fosse dovuta al tentativo di sedare l'angoscia che le rivoltava lo stomaco dall'attimo in cui Scott si era sbattuto la porta del Pheseant alle spalle, lasciandola ad arrovellarsi nei suoi rimpianti.

Era stato così, che quando un impercettibile BIP aveva segnato l'arrivo di un messaggio e lei aveva scorto il nome del mittente, si era quasi ribaltata giù dal letto, rischiando di andare a rovinare l'impeccabile acconciatura nella quale aveva costretto i capelli con tanta meticolosità.

 

Quel vestito ti fa sembrare vecchia.


Che cosa saltava in mente a quell'imbecille di Anderson? Tre ore di silenzio e se ne saltava fuori con un inutile commento sul suo abbigliamento? E poi, come diavolo faceva a sapere come era vestita?

 

Vedo che hai ritrovato l'uso della parola. Non mi interessano i tuoi inutili commenti gli rispose con una smorfia.

 

Evidentemente si, visto che ti sei avvicinata allo specchio con palese occhio critico.


Nicole si guardò intorno smarrita.

 

Come...


Sono Spiderman, non lo sapevi?


Lo sguardo le cadde sulla finestra spalancata nello stesso istante in cui, nel silenzio, l'inconfondibile inizio di Surfin' Bird le giunse alle orecchie, lievemente ovattato.

 

Spiderman un corno.


Attraversò la finestra precipitosamente, fermandosi solo quando scorse un paio di All Star sdrucite muoversi a ritmo di musica, per la precisione quella che Scott teneva a tutto volume nelle orecchie mentre, con la schiena appoggiata al muro, attendeva che lei si accorgesse della sua presenza.

 

-Ecco perché sei così ritardato,- gli disse piantandosi le mani sui fianchi, -le urla di Joey Ramone arrivano fin dentro la stanza! Il volume della musica ti ha bruciato i pochi neuroni che ti sono rimasti?

 

Scott sorrise, sfilandosi le cuffie e avvicinandosi.

 

-Anch'io sono contento di vederti, Nicole.

 

La ragazza lo fissò spazientita.

 

-Cosa vuoi Anderson? Ho ospiti a cena.

 

-Senti, Cooper, devo proprio dirtelo. Datti una calmata. Sono venuto a scusarmi.

 

-Tu? A scusarti?- gli domandò lei sgranando gli occhi incredula.

 

-Se non ti sta bene posso anche andarmene...

 

-No, non era questo...insomma...va bene, scuse accettate,- concluse infine.

 

Scott la fissò mentre distoglieva lo sguardo, evidentemente imbarazzata. Attese qualche secondo, solo per compiacersi delle macchie di rosso che erano velocemente affiorate sulle sue guance lentigginose, poi ricominciò.

 

-Oh, grazie, Nicole, sei un tesoro. Non dovevi scusarti...Cosa dici? Mi hai appena sbattuto in faccia che non siamo amici? Non me ne ricordo nemmeno!

 

La ragazza si morse il labbro imbarazzata, sentendo che la situazione le stava sfuggendo nuovamente di mano.

 

-Senti, Anderson, mi dispiace. Ero arrabbiata e non pensavo a quello che dicevo. Sono desolata, davvero,- ammise, infine.

 

Se il ragazzo avesse accettato le sue scuse, non le fu dato sapere. Scott stava per rispondere, quando dal basso una voce maschile chiamò a gran voce Nicole, gridandole di scendere.

 

- mio zio. Sarà meglio che vada,- gli disse fissandolo negli occhi.

 

-Non fare tardi,- le disse lui con un sorriso tirato, sfiorandole il braccio. -Magari ne parliamo domani.

 

Nicole stette a fissarlo, mentre lentamente si voltava e scavalcava la ringhiera del suo balcone, sparendo alla sua vista. Sentì l'angoscia che per qualche fugace attimo l'aveva abbandonata farsi strada, più soffocante che mai e, senza indugio, si precipitò verso l'estremità del terrazzo, ignorando la voce di suo zio che continuava a chiamarla spazientito

 

-Anderson,- urlò, facendogli alzare la testa e rimanere appeso a mezz'aria fra il primo piano e il livello del terreno, -spero tu possa davvero perdonarmi. Io...non avrei resistito un giorno di più da queste parti, senza di te.

 

L'espressione seria di Scott si tirò in una smorfia, che divenne presto un sorriso malinconico.

 

-Sono felice di sentirtelo dire. Ci si vede, Cooper,- le disse mollando la presa e lasciandosi cadere a terra, prima di allontanarsi a grandi passi, sparendo dietro le aiuole fiorite dell'imponente villa.

 

-Ci si vede, Scotty.

 

 

***

 

 

-Pare che i Celtics vogliano acquistare Joseph, avete sentito?

 

-Fate acquisti?


-Brady, pensi che potrai venire a darmi una mano a smontare la credenza nel vecchio garage nel week end? Vorrei portarla nello studio-

 

-Si, stasera i miei genitori ci hanno invitato a cena per inaugurare la nuova casa in cui si sono trasferiti...


-Brady, mi stai ascoltando?

 

Aveva avuto la netta percezione che Annie non stesse guardando Hailey, mentre questa le raccontava dei loro programmi per la serata. Sapeva precisamente che la domanda che si stava ponendo al di là dei discorsi di circostanza con sua moglie era come sarebbe stata una vita in cui quelli al supermercato alla ricerca del vino da accompagnare all'arrosto fossero loro due; un piccolo angolo di mondo fatto dei soliti riti e delle stesse, ripetitive, quotidiane intimità. Lo sapeva perché era la stessa, subitanea fantasia che aveva colpito lui nel guardarla stringere al petto due confezioni di Digestive, per cui avrebbe svenduto l'anima sin da bambina e la bottiglia del latte rigorosamente intero; ne aveva poi avuto la conferma quando aveva incrociato il suo sguardo assente e lei era arrossita violentemente, abbassando immediatamente gli occhi.


-Brady,- sua sorella Marika gli tirò leggermente la manica della camicia azzurra, ripescandolo a forza dall'abisso di pensieri nel quale era caduto durante quell'interminabile ed angosciante riunione di famiglia.

 

-Eh...scusate, stavo pensando ad altro.

 

-Ce ne siamo resi conto!- Lo appuntò il padre con tono severo. Si erano appena trasferiti nella veranda della nuova casa dei suoi suoceri, illuminata a giorno con mille lucine che si inerpicavano attorno all'edera rampicante sulla struttura di legno scuro, montate ed orgogliosamente mostrate agli ospiti dal Signor Murray nel dieci minuti precedenti. Tempo nel quale Brady, assolutamente disinteressato ed annoiato dalle tecniche casalinghe adottate dal suocero, era lentamente scivolato in quel limbo che sta a metà fra la realtà ed i propri pensieri, annuendo con finta accondiscendenza ogni volta che gli veniva posta una domanda sulla riuscita dei lavori -pessimi al suo occhio di architetto- eseguiti da una piccola impresa locale.

 

-Sembri stanco,- aveva incalzato la Signora Murray, rivolgendogli un occhiolino ammiccante.

 

A quel gesto Brady si era guardato intorno sgranando gli occhi stupito, domandandosi se per caso tale slancio confidenziale fosse rivolto a qualcuno dei suoi vicini. Suo cognato, per esempio, per il quale la madre di Hailey aveva un debole da quando, a pochi minuti dalla cena di presentazione ufficiale in famiglia, le aveva aggiustato al volo il Bimby senza il quale la sua vita sarebbe stata irrimediabilmente perduta. Da allora la signora gli aveva giurato eterna fedeltà, tormentando la figlia finché non aveva pronunciato il fatidico sì su un altare decorato da peonie rosate.

 

-Ti stanno torchiando a dovere quei ragazzetti di Chicago, eh?- gli domandò suo padre sollevando in sua direzione il bicchiere di brandy che il Signor Murray continuava a riempirgli, ignorando deliberatamente il tasso alcolico che stava crescendo proporzionalmente ai mezzi bicchieri pieni che si stava scolando dal termine della cena.

 

Prima che Brady potesse anche solo inviare al cervello l'impulso di annuire, la suocera rispose al suo posto, rivolgendogli un secondo, inquietante, occhiolino.

 

-Succede quando non si dorme abbastanza…

 

Brady le rivolse uno sguardo vacuo, sentendo nascere in lui la fastidiosa sensazione di ignorare qualche passaggio fondamentale della sua vita di cui, a quanto pareva, tutti gli altri commensali erano a conoscenza, compresa Hailey che, invece di ridere, lo scrutava con aria colpevole ed allarmata, stringendosi nella poltroncina fiorata nella quale si era rannicchiata per il freddo dopo la cena.

 

-E poi vedrai, sarà sempre peggio,- aggiunse suo cognato scuotendo la testa.

 

-C'é qualcosa che devo sapere?- domandò infine lui, scandendo le parole e fissando a turno i suoceri, le sorelle, i cognati e suo padre che continuava imperterrito ad ingurgitare brandy, sui cui volti erano stampati sette, identici, sorrisetti di comprensione.

 

-E dai, Brady, guarda che sappiamo tutto, non c'é bisogno di fare il misterioso con la tua famiglia. Hailey mi ha confidato il vostro piccolo segreto in cucina prima di cena!

Qualcosa gli puzzava di bruciato, anche se non erano decisamente i dolcetti della Singora Murray, visto il profumo che si spigionava dal vassoio di argento pesante su cui li aveva serviti. Ne afferrò uno divorandolo con voracità in un sol boccone, sentendo la vena della tempia sinistra pulsargli sempre più velocemente. Poi, come per ricevere conferma che quel mattone che gli si era materializzato nello stomaco non fosse solo il frutto della sua immaginazione, domandò con un filo di voce.

 

-Quale segreto?

 

-Ma il fatto che arriverà fra noi un piccolo Sanders, ovviamente!

 

Era una sua impressione o improvvisamente le lucine della veranda si erano staccate e avevano cominciato a rimbalzare davanti al suo naso? Tutta la situazione sfiorava il ridicolo e lui necessitava di qualcosa di estremamente forte per affrontare tutto quel casino. Allungò la mano verso la bottiglia di brandy che il Signor Murray aveva finalmente appoggiato sul tavolino e, senza troppe cerimonie, vi si attaccò, attingendo al liquido ambrato con sorsi profondi.

 

-Brady!

 

-Dalla faccia che ha fatto credo non ne sapesse nulla.

 

-No! Gli abbiamo rovinato la sorpresa!

 

-Però che bello, diventerò finalmente zia!

 

E mentre mille voci e commenti gli si accumulavano in testa e lui appoggiava la bottiglia scuotendo la testa, un inopportuno sbotto divertito gli sfuggì, prima di rendersene conto. Poi un altro, ed un altro ancora, fino che tali eccessi non si trasformarono in un'unica, lunga ed isterica risata.

E mentre tutti lo fissavano come se fosse pazzo, un'unica frase gli rimbombava in testa, impedendogli di fermare quel libero sfogo del nervosismo accumulato durante la cena: una, sola, inequivocabile richiesta urlata da Hailey, chiusa in bagno la mattina stessa:

 

Brady? Al supermercato ti ricordi che devo comprare i tamponi che mi é venuto il ciclo con qualche giorno di anticipo?

 

 

 

***

 

 

Un vecchio detto vuole che i panni sporchi si lavino in famiglia.

 

O famiglia allargata, nel caso dei Cooper. Forse sarebbe stato meglio definirli clan, se si pensava che sotto il tetto della grande villa bianca all'estremo ovest di Province Town erano riunite in quei giorni due delle famiglie più in vista di tutta Boston, i Cooper, naturalmente e i VanCamp, visto che Elinor in seconde nozze, aveva sposato Richard, il figlio del Senatore democratico Michael VanCamp.

 

In particolare, se avessero domandato ad Annie vi avrebbe risposto si, che i panni sporchi si lavano in famiglia, ma avrebbe puntualizzato che, di solito, questo avveniva a tavola. Da quando aveva memoria, in casa Cooper le litigate più grandi si erano risolte attorno al grande mobile in stile impero che troneggiava al centro della sala: le continue ed estenuanti discussioni fra lei e sua madre sul suo modo di atteggiarsi, sulla sua enorme passione per lo sport, sulle sue discutibili decisioni in materia di studi, sulla scelta della scuola superiore, dell'università, persino dei vestiti. Sul suo essere, sempre e comunque, una Morgan prima che una Cooper. Ora che ci pensava, anche la prima grande crisi dei suoi genitori era avvenuta durante una cena del Ringraziamento, sotto gli occhi increduli di tutta la famiglia.

 

Landon, invece, non sarebbe stato della stessa opinione, ma questo solo perché non aveva ormai più memoria di un pasto in cui i suoi genitori, suo fratello e lui, si erano seduti allo stesso tavolo, in un'occasione che non fosse ufficiale. Inoltre non avrebbe mai sostenuto che i panni sporchi si lavano in famiglia, dal momento che da quando era nato sentiva i pettegolezzi e le dicerie sui Campbell rimbalzare di bocca in bocca, apprendendoli ingigantiti e farciti di particolari falsi e tendenziosi prima dai suoi compagni di classe che dai suoi stessi genitori.

Era stato forse per questo che aveva sottovalutato i problemi che evidentemente, negli ultimi giorni in cui era stato assente, avevano appesantito il rapporto fra Nicole e suo fratello. Lontano dalle malelingue di New York, tutto aveva un'aria così intima e domestica, che anche le allarmanti richieste di aiuto che la ragazza gli aveva mandato gli erano apparse le semplici e innocue scaramucce di una coppia ormai consolidata.

 

La ragazza, tuttavia, come avevano potuto notare distintamente sia lui che Annie durante il pasto, si era dimostrata nervosa e assente, ridacchiando distrattamente alle pessime battute del Signor Campbell e del Signor VanCamp ed estraniandosi spesso dalla conversazione; questo, ovviamente, prima che questa arrivasse all'inevitabile argomento, quello che tutti si aspettavano: i fiori d'arancio.

 

Ad Annie coglievano acuti attacchi di nausea al solo pensiero: sua cugina aveva una carriera, un patrimonio alle spalle e un uomo di fianco. Le sue preoccupazioni oscillavano su quale appartamento dell'Upper East Side fosse il più consono alla giovane coppia e se lasciare o meno il suo lavoro da Vogue una volta sposata.

Lei viveva in un appartamento a Camden Town perennemente invaso dalla puzza di fritto della cucina cinese dei suoi vicini, senza sapere spesso come arrivare a pagare l'affitto del mese, con quattro coinquilini che avevano fatto di Peter Pan un esempio di vita. Anzi, tre, dal momento che il quarto aveva deciso che il ruolo del bimbo sperduto non faceva più per lui e aveva accettato un lavoro a Tokyo, mettendo così fine all'unica storia seria che avesse avuto nella sua vita. Se avesse avuto un briciolo di onestà intellettuale avrebbe ammesso che era stata lei ad abbandonare per prima la nave, dal momento che quella relazione a distanza cominciava a fare acqua da tutte le parti, a causa del suo categorico rifiuto di seguirlo, ma l'intera faccenda bruciava ancora troppo perché lei riuscisse ad analizzarla con raziocinio.

C'era qualcosa che la turbava profondamente in quella situazione, e il fatto che Landon, di fianco a lei, non facesse altro che tentare di riparare ai danni commessi mostrandosi più gentile e carino del solito, non faceva che peggiorare la situazione.

 

-Allora,- intervenne Elinor, coprendo con la sua voce squillante il perpetuo chiacchiericcio che aveva animato la serata fino a quel momento e rivolgendosi a Nicole e David, -a quando il lieto evento?

 

Fu allora che Annie e Landon incrociarono finalmente lo sguardo preoccupati, bloccando le posate a mezz'aria. Nessuno dei due, tuttavia, fece in tempo a trovare un modo per sviare l'attenzione da quella domanda spinosa che David, che dopo essersi schiarito la voce ed essersi finto sorpreso dalla domanda, appoggiò solennemente una mano su quella di Nicole, rispondendo infine che mancava ormai molto poco.

 

Nicole, invece, che alla domanda di sua zia si era guardata intorno smarrita e raggelata alla ricerca di una conferma del fatto che si stesse parlando proprio di lei, saltò sulla sedia rispondendo lugubre,-veramente non ci abbiamo ancora pensato.

 

-Ma tesoro,- cinguettò Elinor, -siete una coppia ormai da tempo e vivete in pratica insieme, giusto David? Perché non ufficializzare la cosa?

 

La questione si metteva male.


-Giusto, quale occasione migliore?- domandò David, sfoggiando il suo migliore sorriso e inginocchiandosi con studiata solennità ai piedi di Nicole.

 

-Nicky, avevo pensato di dartelo più tardi, ma visto che siamo in famiglia e che tutti non attendono altro...vuoi diventare mia moglie?

 

Annie osservò sbalordita David aprire una scatola rossa bordata di oro di Chopard, ed estrarne un anello il cui valore avrebbe probabilmente pagato tre anni del suo affitto a Londra -e forse ne sarebbero pure avanzati-. Senza attendere che Nicole gli rispondesse, glielo infilò al dito, fermandosi a contemplare l'espressione sgomenta con cui la ragazza fissava la sua mano sinistra.

 

In quel momento successero molte cose contemporaneamente: sua zia, sua madre e la Signora Campbell scattarono in piedi emettendo strilli di gioia che probabilmente sarebbero stati uditi anche giù a Herring Cove, mentre i tre capofamiglia si scambiarono ridicoli sguardi di approvazione.

 

Nemmeno fossero due famiglie di mafiosi sul punto di unirsi, pensò Annie.

 

All'altro capo del tavolo, Sam, che aveva finalmente trovato nella conversazione tutto il pepe che era mancato ai discorsi fino a quel momento, fissava Nicole con malizia e trepidazione, mentre Jamie, colto il panico negli occhi della cugina, sembrava aver deciso che, dopotutto, continuare a ingozzarsi di branzino era la soluzione più logica.

Landon, per parte sua, prese la testa fra le mani e mormorò accasciandosi sulla sedia.

 

-Oh, Signore!

 

Lo sguardo di Annie infine, nel caos generale, corse al viso di sua cugina e ciò che vide la sconvolse a tal punto che non poté fare altro che accasciarsi ancora più che Landon sulla sua sedia: il viso lentigginoso, dove fino a qualche giorno prima avrebbe scommesso di veder dipinto il ritratto della felicità a una tale proposta, era sconvolto. Nicole aveva gli occhi sbarrati e un sorriso di palese circostanza che la paralizzava, mentre come in trance continuava ad annuire e a lasciarsi abbracciare da tutti i convitati.

 

- questo quello che vuoi?- le aveva sussurrato in un orecchio, quando era infine venuto il suo turno di stringerla, premurandosi che nessuno la sentisse.

 

Nicole le aveva affondato il viso nel collo, sprofondando nel suo abbraccio.

 

-Io...non so più niente, Annie.

 

 

***

 

 

-Spiegami perché lo hai fatto.

 

Finalmente dopo alcuni lunghissimi minuti di silenzio totale, Brady trovò il coraggio di dare inizio a quella conversazione che non poteva in alcun modo essere più rimandata. Aveva guidato per qualche miglio, lasciando che dal finestrino aperto circolasse l'aria, poiché gli sembrava che in un istante l'ossigeno intorno a lui si fosse dimezzato, lasciandolo senza fiato. Aveva stretto il volante fino a farsi divenire le nocche bianche, cambiato nervosamente le tracce del cd di Bon Iver sfilato e rinfilato più volte nel vano dell'autoradio, mentre Hailey accanto a lui fissava la strada scorrere davanti a sé, senza trovare la forza di voltarsi per scoprire l'espressione dipinta sul volto del marito.

 

-Io… non so cosa mi sia saltato in mente,- sussurrò la ragazza sfiorandogli il braccio delicatamente

 

-Mia sorella é di nuovo incinta e mia madre mi aveva già sferrato due attacchi, quando siamo arrivati e mentre controllavo l'arrosto nel forno... E poi non le ho detto che sono incinta, le ho confidato che avevo qualche giorno di ritardo...

 

Provò a sorridergli con scarsa convinzione, forse più per infondersi coraggio e stemperare il panico crescente che le ribaltava lo stomaco. Ma quel piccolo gesto non servì a nulla, perché Brady continuò ostinatamente a fissare la strada, mentre le patate arrosto di sua madre non dettero alcun segno di invertire la loro risalita lungo l'esofago.

 

-Hailey,- cominciò lui con un soffio, sospirando nel tentativo di calmare il tremolio delle mani che manteneva saldamente arpionate al volante. Tentava di mantenere un tono calmo e ragionevole, ma la voce gli tremava e, se avesse potuto, avrebbe cominciato ad urlare.

 

-Mi spieghi come mentire su una cosa simile possa mettere a tacere le smanie di tua madre? Sei consapevole del fatto di avere solo peggiorato le cose e che da domani ce la ritroveremo in casa a prendere le misure per lettino e fasciatoio, vero? Non ti lascerà più vivere a meno che...

 

-A meno che non ci proviamo sul serio,- lo interruppe lei con un sussurro.

 

A quella folle proposta Brady sentì svanire d'un tratto tutta la calma che aveva stoicamente mantenuto ,mentre le braccia cominciavano a tremargli così forte da non riuscire più a mantenere dritto il volante. Accostò lentamente, fino a che non ebbe completamente arrestato la sua Fiesta al ciglio della strada.

 

-Non siamo in grado di affermare con certezza se domani ci saremo ancora io e te e tu spacci ai nostri genitori per quasi certa l’esistenza di un terzo componente di questo delirio?

 

-Un tempo era il tuo più grande desiderio,- azzardò Hailey con un filo di voce.

 

-Un tempo nemmeno ipotizzavo che saremmo arrivati a questo punto!- sbottò il ragazzo senza più curarsi di rivolgersi con fermezza.

 

-Magari é proprio quello che ci serve, un incentivo a fare funzionare le cose.

 

Sempre più basito dalla folle proposta di Hailey, Brady si frizionò le tempie lentamente. Sapeva che la ragazza stava parlando senza riflettere, forse arrabbiata, come lui, o meglio, spaventata, ma non riusciva più a fingere di darsi un contegno. Avrebbe voluto andarsene sbattendo la portiera, lasciandosi alle spalle tutto quell'assurda situazione che si era creata per colpa esclusivamente loro, che non avevano saputo arginare i danni prima che questi divenissero incontenibili. Ondate di dubbi lo assalivano, facendolo oscillare pericolosamente fra l'istinto di tirare avanti, come aveva sempre fatto e mollare tutto lì, sul ciglio di quella statale illuminata a giorno, sulla quale continuavano a passare macchine cariche di ragazzi diretti ai locali della zona, lontani mille miglia da quell' intricata realtà che loro due, forse troppo giovani, stavano esplorando in punta di piedi. Tuttavia, nonostante quella tempesta emotiva annebbiasse la sua capacità di raziocinio, riuscì ancora a trovare il modo di rispondere con incredibile lucidità.

 

-Stiamo parlando di un bambino, Hailey, lo capisci vero?

 

-Da quando mettere su famiglia non rientra più nei tuoi piani?- continuò Hailey, portando ostinatamente avanti la folle crociata in cui si era imbarcata.

 

Tanto a questo punto non ho più nulla da perdere, si era mentalmente risposta. Tutto, anche una feroce litigata, sarebbe stato meglio di quegli eterni momenti di agonia in cui non riuscivano a comunicare, quasi nemmeno per salutarsi prima di una giornata di lavoro. Nelle ultime settimane il loro rapporto si era irrimediabilmente frantumato in mille pezzi e lei non aveva fatto altro che guardare entrambi ferirsi e tagliarsi con i cocci senza profferire verbo. Aveva lasciato che le cose scorressero, assecondando i suoi silenzi, forse per convenienza, forse perché nemmeno lei riusciva a trovare più la spinta per recuperare quella frana di fango e detriti che li stava travolgendo entrambi, senza che nessuno dei due riuscisse a fare qualcosa per arginare i danni.

 

-Hailey, per favore, non imbarchiamoci in una discussione da cui non usciremmo indenni.

 

-E perché no? Qualunque cosa sarebbe meglio di questo schifo!

 

Brady si voltò finalmente a fissarla in quegli occhi verdi che si stavano riempiendo di lacrime. In altri momenti vederla così sconvolta lo avrebbe convinto a calmarsi, per il bene di entrambi, ma la rabbia crescente faceva sì che non riuscisse a fermarsi o quantomeno a mordersi la lingua, prima di dire cose di cui si sarebbe pentito.

 

-Mi stai dicendo che fare un figlio solo per accantonare i problemi che ci sono fra noi sarebbe una soluzione ragionevole? Ti rendi conto di che razza di idiozia stai dicendo?

 

-Io almeno ci sto provando a trovare una soluzione!- urlò Hailey d'un tratto, cogliendolo di sorpresa. -Almeno non me ne sto lì in silenzio, chiusa nel mutismo più assoluto, allontanandomi sempre di più come stai facendo tu! Ti rendi conto di cosa voglia dire avere accanto una persona che non comunica, non ti dice cosa che non va, che non trasmette alcun tipo di emozione, lasciando che ciò che non funziona nella sua vita lo faccia sempre più a pezzi?

 

-Ti prego Hailey, piantala. Non sai quello che dici.

 

-Si che lo so invece! So che ormai viviamo sotto lo stesso tetto come due estranei, che ogni giorno ci svegliamo domandandoci cosa abbiamo ancora in comune e perché stiamo ancora condividendo lo stesso letto, quando é evidente che non abbiamo più nulla in comune, perché tu mi stai tagliando fuori dalla tua vita, dalle tue paure, dalle tue difficoltà!

 

-Credi che sia facile per me, Hailey? Sentiamo! Ogni giorno mi alzo, preparandomi ad affrontare una vita che non mi sono scelto, portare avanti un'attività che odio, in una città che detesto ancora di più, solo perché non ho altre alternative, se non quella di sparire lasciando nella merda la mia famiglia!

 

Hailey lo fissò stringendo gli occhi con rabbia,

 

-Ma pensi di essere l'unico? Secondo te io sono felice di starmene qui tirando avanti con lezioni private e una cattedra di sei misere ore come supplente di francese? Però mi alzo e gioisco di questo schifo di lavoro, perché é l'unico che mi permette di starti accanto!

 

Brady aprì la bocca più volte, incapace di trovare una risposta adeguata.

 

-E ora cosa mi rimane, eh?- continuò la ragazza, con il volto rosso e la voce spezzata dall'angoscia e dal pianto che ormai era incapace di trattenere. -Che mi resta ora che anche l'unica persona che mi lega a questo buco di città si sta allontanando sempre di più da me, senza che io trovi la strada per raggiungerlo, per ricondurlo a casa?

 

Qualcosa nella testa di Brady gli diceva che sua moglie aveva ragione, ma non si spiegava perché una parte di sé rifiutava la mera verità che gli stava ponendo dinnanzi e tentava di imputarle tutti gli errori per non dovere ammettere di essere stato lui, fra i due, a prendere tutte le scelte sbagliate.

 

-Perché ti addossi la colpa, quando é evidente che il problema stia in me?

 

-Perché non sto facendo nulla per ricordarti che la tua vita é questa ed aiutarti a viverla serenamente.

 

-Lo vedi che stiamo parlando di me?

 

Hailey lo fissò smarrita.

 

-Ho detto questo?

 

-No, ma me lo hai fatto chiaramente capire.

 

La ragazza abbassò la testa trattenendo a stento un singhiozzo: sapeva che quello che stava facendo non era giusto, perché se le cose andavano male fra loro era sì colpa di Brady, ma anche sua, che aveva lasciato che la situazione peggiorasse fino a divenire irrimediabile. Forse per convenienza, forse per reale incapacità di affrontare una problema più grande di lei, era stata a guardare, mentre lui si allontanava sempre di più, giorno per giorno. Non gli aveva domandato nulla quando, mesi prima, la sua assenza aveva cominciato a farsi sempre più evidente, quando, sera dopo sera, era rientrato sempre più tardi, dopo aver passato tutto il giorno fuori in barca, o in compagnia di Scott. Aveva assecondato il suo distaccarsi, imparando a ritagliarsi una vita sempre più sua, con maggiore indipendenza e libertà, senza mai arrendersi all'evidente verità che ormai si stavano entrambi costruendo vite separate. E quando lui per primo aveva tentato di rimettere a posto le cose, prendendo la decisione di rimanere nonostante tutto, lei l'aveva quasi vissuta con fastidio, come un'ingerenza da parte di un estraneo che nulla ormai più sapeva della sua vita. A dispetto di tutto però, Brady era rimasto lì, almeno fino a qualche settimana prima, quando quella variabile chiamata Annie non era tornata a sconvolgere il precario equilibrio dell'andamento discontinuo del loro matrimonio e la situazione era precipitata. Ma anche allora, lei era rimasta a guardare.

 

-Senti, Hailey, io così non ce la faccio più, mi sembra di impazzire, mi sembra che ci stiamo facendo solamente del male a vicenda.

 

-E...quindi?- gli domandò lei con voce tremante.

 

-E quindi...non lo so. Credo che dovrei pensarci su.

 

La ragazza annuì silenziosamente, ritenendo la sua scelta la più opportuna, in quella situazione opprimente.

 

-Che ne dici se ti lascio la macchina e torno a casa a piedi?- le propose lui. -Magari ci sarà bene schiarirci le idee da soli.

 

-Non c'é bisogno, vado a piedi. Lo sai che mi piace riflettere camminando.

 

-Sei sicura?

 

Hailey non rispose, ma gli lasciò un bacio frettoloso sulla guancia prima di uscire dalla macchina silenziosamente, accompagnando la portiera con le mani tremanti. Mosse qualche passo verso la strada, incrociando i lembi del maglioncino verde sulla pancia per scaldarsi, poi d'improvviso si bloccò, voltandosi verso di lui di scatto, come se avesse dimenticato qualcosa. Brady, che l'aveva osservata allontanarsi assorto nei suoi pensieri, a quel gesto sollevò la frizione quel tanto che bastava per accostarsi a lei, abbassando il finestrino quando la vide sporgersi verso di lui, infilare la testa dentro l'abitacolo e sussurrargli con tono supplichevole:

 

-Non fare niente di cui potresti pentirti.

 

Poi, senza attendere una sua risposta, Hailey si allontanò veloce, distogliendo lo sguardo dalla sua espressione sorpresa, cristallina testimonianza che quella che si ostinava a vedere come una piccola ossessione era invece, la mera realtà: quel piccolo fantasma dagli occhi azzurri che aveva sempre ombreggiato il loro rapporto aveva acquisito consistenza e bussato infine alla sua porta. E, per quanto le costasse ammetterlo, era stata lei stessa ad aprirle ed invitarla ad entrare con tanto di té e pasticcini a rendere più calorosa la sua ospitalità.

 

 

***

 

 

Landon era stato assorto e sovrappensiero tutta la sera, dapprima imputando il suo disagio alla stanchezza, al caldo afoso di quella serata di giugno, al collo troppo stretto della camicia in cui si era infilato a forza dopo il viaggio in aereo, e persino alla pesantezza del costosissimo vino rosso toscano che il padre di Nicole aveva fatto servire assieme alle tartine.

La realtà era però che in fondo la sola cosa che lo faceva sentire davvero a disagio era il bruciante senso di colpa che provava dal momento in cui Annie aveva risposto con un piatto ciao ed una scrollata di spalle al suo tentativo di approccio.

 

Se a questo si aggiungeva il fallimento su tutta la linea della cena perfetta che sanciva l'ancora più perfetta unione di David e Nicole, non risulta difficile credere che l'unica sensazione che il ragazzo aveva provato dinnanzi al dessert a base di semifreddo ai frutti di bosco fu l'impellente bisogno di fuggire in bagno a vomitare.

Alla luce dei fatti che si erano susseguiti nel corso della serata, pensava Landon roteando il bicchiere di whiskey con il quale intendeva dimenticare definitivamente le tensioni accumulate, non riusciva a capire una cosa: perché Nicole si era mostrata così sconvolta alla proposta di suo fratello? Se le avessero rivolto la domanda due settimane prima avrebbe snocciolato uno dietro l'altro i nomi dei migliore wedding planners che avrebbe contattato per la cerimonia, nonché l'interminabile lista di invitati, già passati in rassegna consultando l'albero genealogico di entrambe le famiglie, sin dalla prima uscita con David.

 

E perché era praticamente scoppiata a piangere quando il fidanzato le aveva accennato all'idea che lei potesse finalmente smettere di lavorare una volta sposati? Non le aveva sentito dire altro da quando l'aveva conosciuta: quando mi sposerò desidero smettere di lavorare, per crescere i miei figli ed occuparmi della loro educazione. Io ho avuto questa enorme fortuna e penso che non vi sia regalo più grande da parte di un genitore...e altre cazzate simili.

 

Dove stava dunque il problema?

 

Tutte queste questioni lo avrebbero distratto dal clima teso e dai nauseabondi sorrisi e le moine che si stavano facendo la madre di Nicole, quella di Annie e la sua, le uniche perfettamente a loro agio in mezzo a una banda di figli dall'età assortita completamente impegnati ad elaborare fughe salvifiche, se non fosse stato per il tormento che provava a vedere Annie schivare con incredibile abilità ogni occasione di approccio che lui coglieva per avvicinarla.

 

Fu così che, mentre lui ancora rifletteva sugli avvenimenti della serata, lei batté lievemente le mani sulle cosce e si sollevò dal divano attorno al quale le tre famiglie si erano riunite a chiacchierare dopo aver finito di cenare; dopo aver abbozzato qualche scusa sul fatto che doveva tornare a casa perché il giorno dopo il padre sarebbe stato impegnato e a lei toccava il turno della colazione al Brass Key, se ne andò, lasciandolo come un cretino, con la mano sollevata a mezz'aria in un cenno di saluto non ricambiato. Tuttavia, dopo qualche istante di stupore, incurante degli sguardi ammiccanti delle donne adulte di casa Cooper e di quello scocciato di sua madre che di certo non approvava che corresse dietro a quella ragazza così inopportuna, l'aveva seguita fuori dalla porta.

 

-Annie, fermati,- la supplicò mentre le afferrava la mano, obbligandola a voltarsi.

 

-Mi dispiace, Landon, ho molta fretta, domani devo svegliarmi presto.

 

-Ti prego, vuoi ascoltarmi? Mi dispiace di non averti chiamata, davvero.

 

-Senti, non c'é problema, non siamo mica fidanzati! Non ho passato la settimana attaccata al telefono aspettando una tua chiamata, un tuo sms...

 

-Ah, no?- le domandò lui con un lampo di malizia negli occhi.

 

-No,- replicò lei, sostenuta.

 

-Farò finta di crederti.

 

-Ok, l'ho fatto, va bene, ma non é questo il punto!- protestò lei alzando la voce. Sentiva lacrime di rabbia pungerle gli occhi, ma non sapeva nemmeno associarle ad un preciso sentimento.

 

-E quale sarebbe il punto?- le domandò lui avvicinandosi e piegando la testa per osservarla attentamente.

 

Annie ridacchiò nervosamente.

 

-Il punto é che l'ho fatto davvero e ora mi sento una stupida! Anzi, lo sono! Una stupida, cretina che si illude e si costruisce castelli in aria vedendo cose che non esistono!

 

Landon si sciolse in un sorriso, sentendo le spalle abbassarsi mentre una parte della tensione accumulata durante la serata, svaniva d'un tratto.

 

-Cose di che tipo?- le domandò, sfiorandole con un pollice la guancia, su cui stava lentamente scorrendo una delle lacrime sfuggite all'autocontrollo della ragazza.

 

-Boh. Te l'ho detto, sono una stupida. Una stupida ritardataria, per giunta.

 

Fece per andarsene, schivando l' ingombrante presenza che le troneggiava dinnanzi, ben piantata sulle gambe lievemente divaricate.

 

-Ma io mica ho finito,- le disse Landon, bloccando con un braccio la sua fuga. La fissò per qualche istante, poi prendendo coraggio, le passò una mano dietro al collo per avvicinarla a sé e la baciò.

 

Sentì la sua rigidezza iniziale, probabilmente dovuta allo stupore, svanire nell'istante in cui Annie sollevò le mani appoggiandogliele sul torace, per poi farle risalire stringendosi forte a lui e circondandogli il collo con le braccia. Fra le sua braccia Annie sembrava così piccola che Landon la sollevò facendola risalire sul primo gradino del grande patio antistante la casa dei Cooper. Poi, baciandole la fronte con un sospiro misto di gioia e sollievo, la fissò negli occhi e le disse con tono severo:

 

-Se ti sento affermare nuovamente la tua stupidità, allora ti lascerò andare.

 

Annie gli sorrise, sfiorandogli la punta del naso.

 

-io devo tornare a casa, davvero. Mi chiedevo....ti andrebbe di venire con me?-

 

-Direi di si,- le rispose armeggiando nella tasca della giacca, -anche perché mi trovo con questi in tasca e credo che tu debba aiutarmi a finirli. Da solo non ce la farei, il dolce mi ha steso...

 

-Cosa sono?- le domandò lei incuriosita.

 

-Il mio piano B, nel caso che l'A non avesse funzionato.

 

Annie rise, osservando la rossa scatola dei suoi biscotti preferiti emergere dalla tasca interna della giacca di Landon, lievemente ammaccata. Sospirò, al pensiero della fragilità dei Digestive, ma decise di soprasedere: non era quello il momento di un'arringa in difesa della sacralità del cibo.

 

-E qual'era il piano A?- gli domandò invece, fissandolo negli occhi.

 

-Mi sembrava evidente,- le rispose baciandola nuovamente.

                               

 

***

 

 

 

Scott aveva appena stappato una birra ghiacciata e si era comodamente stravaccato sul divano, pronto a prendere sonno davanti alla televisione, schiacciando annoiato i pulsanti del telecomando alla ricerca di qualcosa abbastanza orribile da farlo crollare in pochi secondi, quando un rumore di passi leggeri lo distrasse. Tese le orecchie per capire da dove provenisse, poi, non sentendo più nulla, liquidò la questione mormorando fra sé e sé che sicuramente doveva essere un gatto randagio che si era avventurato sulla sua veranda.

Sprofondò dunque di nuovo fra i cuscini, concentrando la sua attenzione sullo schermo, dove Serena Var Der Woodsen faceva gli occhi dolci dentro un ascensore a...come si chiamava l'ennesimo biondino che cadeva vittima delle sue gambe chilometriche? Era il professore di letteratura o il belloccio maledetto che si azzuffava sempre con Nate Archibald?

 

- Anderson!- urlò una voce da dietro il vetro.

 

Accarezzando per un secondo l'ipotesi che quella fosse la risposta al dubbio che lo tormentava, schiacciò il pulsante del volume, sbadigliando sonoramente e allungando le gambe sul tavolino di legno scuro davanti a lui.

 

Tripp Vanderbilt! Si ricordò all'improvviso. Il burattino senza spina dorsale nelle mani della moglie e del nonno!

 

-SCOTT DANIEL ANDERSON! Vuoi muovere quel culo e venirmi ad aprire?

 

Controvoglia si alzò e si diresse verso la veranda dove Nicole, in pigiama e infradito, lo fissava con aria minacciosa.

 

-Che vuoi, Cooper?- Le domandò, aprendo uno spiraglio della porta finestra.

 

-Mi fai entrare?

 

-No, sono impegnato,- le rispose voltandole le spalle.

 

-Scott, ti prego...

 

C'era qualcosa di diverso nel tono solitamente fermo e deciso di Nicole. Era lo stesso che le aveva incrinato la voce quel pomeriggio, quando l'aveva liquidata dicendole che non erano amici e che mai lo sarebbero stati; era quello di una persona sul punto di scoppiare a piangere.

 

-E va bene. Sappi però che se mi sono perso il momento clou in cui quella vacca di Serena si fa anche il politicastro la pagherai cara,- la minacciò lasciandola entrare. 

 

Nicole entrò, si rannicchiò sul divano e, senza chiedere il permesso, cominciò a sorseggiare la birra che Scott aveva abbandonato sul tavolino della salotto: sembrava talmente sconvolta che Scott dovette più volte sgranare gli occhi per accertarsi che quella ragazza completamente struccata, in pigiama e con i capelli raccolti alla meglio sopra la testa che si era appena intrufolata in casa sua fosse davvero la stessa che lo aveva salutato qualche ora prima, stretta in un elegante vestito bianco e acconciata in maniera impeccabile.

 

-Serata impegnativa?- le domandò, riducendo al minimo il volume della televisione.


Nicole sorseggiò avidamente dalla bottiglia, fissando lo schermo da cui continuavano a scorrere le immagini mute.


-Non immagini quanto.


Scott prese silenziosamente posto accanto a lei; aveva la netta impressione che la ragazza volesse aggiungere qualcosa e che quella piccola ammissione non fosse altro che l'inizio dell'ennesimo discorso che li avrebbe portati a vedere nascere il sole, come più volte era capitato negli ultimi giorni. Si mise comodo, sollevandosi il cappuccio sulla testa tentando di convincersi che, dopotutto, dormire fosse un'attività comunemente sopravvalutata.


-Ho come l'impressione che anche oggi faremo l'alba,- insinuò, voltandosi a fissarla.


Nicole gli sorrise timidamente.


- un problema?


-Nient'affatto, però devi farmi una promessa. Metti la mano sul cuore e incrocia gli occhi.


La ragazza scoppiò a ridere apertamente alla vista di Scott che mimava il solenne giuramento che facevano sempre da bambini,


-Non incrocerò gli occhi né mi presterò alle tue idiozie, Anderson!


-E allora io vado a letto. Ciao ciao!

 

Fece per alzarsi, ma Nicole lo bloccò tirandolo per la manica della felpa con pochissima grazia. Crollò a fianco a lei, beandosi come un adolescente al contatto con la sua pelle.
La ragazza rimase un qualche istante ad osservarlo mantenere il broncio.


-D'accordo, Anderson, cosa vuoi che prometta?


-Niente di grandioso,- replicò lui serio, incrociando le braccia dietro la testa ed allungandosi sulla schiena, con fare vago. -Gradirei solo che alla fine della nottata tu condividessi con me i tuoi segreti di bellezza.


-Io...cosa?- rispose confusa.


-Si, sai come fanno le amiche durante i pigiama party... qualche cetriolo sugli occhi, un po' di camomilla...insomma qualunque diavoleria tu usi che ti fa apparire così radiosa anche dopo una notte di veglia.


Si bloccò d'un tratto, realizzando di aver dato troppa corda ai liberi pensieri che vagavano nella mente. Arrossì come un ragazzino, mentre Nicole abbassava la testa, torturandosi le labbra per l'imbarazzo e spostandosi i capelli da un lato all'altro del viso. Approfittando del suo tacere, Scott ricominciò a parlare, tentando di rompere quel silenzio carico di trepidazione che era calato fra loro.


-Perché non mi ci vedresti con una bella maschera alle alghe sul mio bel faccino?- domandò schiaffeggiandosi lievemente il viso con aria compiaciuta.


Nicole scosse la testa amareggiata,


-Ma tu proprio non riesci a starci serio per un minuto?

 

-Hai solo paura che diventi più bello di te,- rispose assumendo un'aria civettuola e fingendo di cotonarsi i capelli.

 

A quel gesto Nicole rischiò seriamente di strozzarsi con l'ultimo sorso di birra. Tossicchiò per qualche breve istante, per poi farsi seria d'improvviso e domandargli,

 

-Posso chiederti una cosa, Scott?

 

-Mi chiami per nome, dev'essere un discorso serio....devo preoccuparmi?

 

-Hai mai...no, niente, lascia perdere.  una cosa stupida.

 

Nicole scosse la testa, dedicandosi con meticolosità allo strappo macchinoso delle pellicine attorno alle unghie.

 

-Perché? Niente che valga la pena di sacrificare i polpastrelli può essere così stupido...

 

Le spostò lentamente la mano dalla bocca, reprimendo il desiderio intrecciare le dita alle sue. Cominciò o giocherellare con i laccetti del cappuccio, osservandola assorto mentre si perdeva in una delle riflessioni che gli avevano tolto il sacro rito del sonno negli ultimi dieci giorni.

Nicole esitò qualche istante, sfiorandosi con il pollice l'anulare sinistro, da cui si era strappata l'anello di fidanzamento, abbandonandolo sulla scrivania prima di sgattaiolare in silenzio fuori di casa.

 

-Hai mai avuto la sensazione di stare vivendo una vita non tua? Quella fastidiosa impressione di essere come un attore calato perfettamente nella parte, e che in realtà il tuo destino stia ad osservarti da dietro le quinte?

 

-Non ti seguo.

 

-A volte mi assale l'idea di essere dentro ad una messa in scena di cui conosco già la perfetta trama. Tutto va come da copione: lavoro, vita privata, grandi avvenimenti. Ma ho l'impressione di essere su un palco nel bel mezzo di una rappresentazione patinata di me stessa; vorrei solo sgattaiolare dietro una tenda ed iniziare quella vita vera che ho sempre la sensazione che mi attenda una volta svestiti i panni quella ragazza che ho interpretato finora. Solo che lo spettacolo non smette mai e rimango lì a bocca asciutta, a rodermi nel costante desiderio che arrivi un punto di svolta, qualcosa che possa veramente coinvolgermi. Non é una questione di finzione e non sto tentando di convincerti che quella che mostro al mondo non la vera io, perché io sono davvero come sembro. E riconosco che il più delle volte non mi piaccio, ma sono fatta così. Parlo proprio di quello che mi aspetta nella vita: ho sempre l'idea che quello che faccio sia qualcosa di momentaneo, precario, che occupi il mio tempo finché non scoprirò davvero quale sarà il mio futuro. Un passatempo, insomma.

 

-Niky, non ti seguo. Non ti sta bene quello che hai perché non ti sembra che sia reale?

 

-Io suppongo di...no. Cioé, più vero di cosi! Ho tutto quello che una ragazza potrebbe desiderare...

 

-Perché tutto ciò mi suona come una domanda e non come un'affermazione?

 

Non ricevette risposta. Nicole fissava dritto davanti a sé, ma Scott ebbe la subitanea impressione che non stesse guardando nemmeno la televisione ammutolita. Stava scorrendo le immagini di una vita passata, del tempo trascorso con l'espressione di chi osserva un film la cui pellicola é stata consumata a furia di essere guardato e riguardato: il capo reclinato sulla destra, il volto impegnato a cercare qualcosa di più nella storia, perché la trama, le battute, i personaggi, li conosce già a memoria.

 

-Voglio dire...hai un lavoro meraviglioso, una casa di proprietà nel cuore di Manhattan, una laurea in una delle Università più prestigiose di tutto il paese...,- si interruppe, indeciso se continuare, toccando quel tasto che doleva a lui più che a Nicole. -Hai David...

 

-Ho David, - ripeté lei assorta sfiorandosi nuovamente la mano sinistra.

 

-Milioni di ragazze ucciderebbero per essere al tuo posto, lo sai?- Le sfiorò il braccio delicatamente, desiderando di essere in grado di fare di più. La vedeva veramente affranta per la prima volta nella sua vita e la sua fragilità lo spiazzava. Stava quasi per abbracciarla, quando Nicole scrollò lo testa, ritrovando lo spirito mordace che la caratterizzava.

 

-Cioé appollaiate sul divano di un petulante e saccente grissino con capacità motorie?

 

Scott rise apertamente abbassando lo sguardo sulle ginocchia, fingendosi incredibilmente interessato al buco che gli si era aperto sui jeans sdruciti nell'arrampicarsi fino in cima al tetto di casa Cambell quel pomeriggio.

 

-Sai Niky, c'é una cosa che amo di te.

 

-Una sola?- lo incalzò lei ne vederlo arrossire violentemente sino all'attaccatura dei capelli.

 

Era quello il bello di Scott: non aveva peli sulla lingua e, di questo era certa, sarebbe stato in grado di mantenere serietà e compostezza persino nel raccontare al Presidente Obama in persona una delle sue panzane; eppure le sue guance si tingevano ancora di rosso come quelle di un bambino ogni volta che lei lo guardava intensamente. Quando erano alle elementari e si ritrovavano soli loro due a tenersi compagnia nelle lunghe notti in campeggio, perché Annie e Brady sgattaiolavano fuori dalla tenda per combinarne una delle loro.

E lei, in quel momento come allora, avrebbe passato ore a guardare i suoi occhi accendersi e il suo viso infiammarsi: osservarlo era come vedere riflessa sé stessa da bambina, quando ancora non vi erano imperativi morali, obblighi che lei stessa si era imposta pur di ottenere quella vita che tutti desideravano, ma che ora le appariva vuota e senza significato dinnanzi a quella sensazione di tenerezza, di calore e di sicurezza che provava ogni volta che incrociava lo sguardo di Scott.  Dove era finito tutto quell'affetto che provava per lui da piccola? Era come se qualcosa si fosse congelato e fosse rimasto lì, intrappolato fra la sua ambizione ed il desiderio di una vita che non l'appagava mai completamente. E lì, nel momento in cui percepiva che tutte le certezze ed i desideri su cui aveva costruito l'intera esistenza stavano crollando, non riusciva a vedere che quegli occhi che tremavano di imbarazzo, di desiderio, di affetto.

 

Non c'era più Nicole, non c'erano Scott, David, anelli da migliaia di dollari abbandonati su una scrivania, famiglie ingombranti. C'erano solo una ragazza che riscopriva sé stessa ed un ragazzo che aveva aspettato a lungo in silenzio che venisse il suo momento. Non riusciva a credere di aver fatto tutta quella strada, per poi sentirsi di nuovo una bambina impacciata, tremante, ed immobile, mentre il naso di Scott sfiorava il suo e sentiva, infine,il tocco delicato delle sue labbra.

 

Erano tornati al punto di partenza, insieme.

 

Chiuse gli occhi nell'istante in cui lui, preso coraggio le posava una mano sulla guancia, per poi spingersi fino al collo e tirarla a sé, scivolando su di lei.

 

-Mi sbagliavo,- le sussurrò in un orecchio, -amo tutto di te.

 

Le immagini che le scorrevano davanti esplosero in tanti pezzettini. Frammenti di una vita intera schizzavano da tutte le parti, nel momento in cui si rese conto di quanto vero fosse ciò che stava vivendo, toccando, baciando e spogliando con mani tremanti.

Per la prima volta da lungo tempo aveva l'impressione di non assistere ad una scena, ma di viverla a pieno.

Per la prima volta, anche se nel momento forse più sbagliato, scendeva dal palco.

 

-Fammi rimanere qui stanotte- lo implorò passandogli una mano fra i capelli scarmigliati e percorrendo con la punta del naso la linea delle sue labbra.

 

Scott non rispose. La osservò sorridendo con malizia, fermandosi un secondo e puntellandosi sulle braccia.

 

-Sei affamata anche stasera?

 

Lei lo fissò perplessa, senza capire dove volesse andare a parare.

 

-No, perché ho appena fatto la spesa. Non vorrei aver sprecato soldi e fatica, nel caso ti trasformassi nuovamente in un aspiratutto al risveglio.

 

La ragazza lo colpì con un lieve pugno in pieno sterno.

 

-Sei un cretino.

 

-Un cretino parsimonioso...,- rispose lui incapace di trattenersi, ricominciando a baciarla sul collo e sulle spalle.

 

-Allora?- incalzò, sposando la sua attenzione sulle labbra socchiuse della ragazza.

 

-Ho mangiato troppo stasera per pensare al cibo,- ammise infine lei con una risata.

 

Scott la fissò, beandosi di quel sorriso rivolto infine a lui. Poi si alzò dal divano, la sollevò prendendola in braccio e si avviò incerto verso la camera da letto.

 

-E allora puoi restare.

 

 

***

 

 

Non fare niente di cui potresti pentirti.


Brady aveva osservato sua moglie allontanarsi, fino a sparire alla sua vista, inghiottita dall'oscurità della notte. Non aveva nemmeno tentato di fermarla.

La realtà era che non avrebbe saputo cosa dire. Era così sconvolto dalla serata con i suoceri, dalla quella discussione che ne era scaturita e dall'assurda situazione in cui si era trovato non avrebbe nemmeno avuto la forza di chiudere il discorso.

 

Aveva bisogno di parlare con qualcuno: si era diretto senza indugio al Pheseant, ma Scott evidentemente aveva deciso di non tenere aperto quella sera. Lo aveva cercato a casa, ma dopo aver bussato a lungo non aveva ricevuto alcuna risposta. Eppure gli era sembrato di scorgere una luce, nella stanza dell'amico...

Senza pensarci si era ritrovato a vagare per le stradine della città, privo di una meta, finché non si era ritrovato al principio di Hugh Street: magari Annie era già tornata a casa, si era detto, incamminandosi deciso verso il Brass Key.

Varcò lo steccato candido che segnava il confine del giardino, scavalcando il triciclo che uno degli ospiti più giovani aveva evidentemente abbandonato sul prato antistante l'entrata dell'edificio. La luce della camera di Annie era accesa e, da quella posizione, Brady poteva vederla muoversi all'interno della stanza, chiacchierando con qualcuno di cui non vedeva il viso. Si rispose che probabilmente si trattava di Kenneth e spinse le mani nelle tasche dei jeans, in attesa che la ragazza rimanesse da sola.

 

Improvvisamente si ritrovò a pensare a quanto in realtà sentisse il bisogno di lei: Annie era rientrata nella sua vita come un uragano, nel momento in cui tutte le sue certezze cominciavano a cedere sotto il peso della crisi che aveva infine incrinato il rapporto con Hailey. E, come era prevedibile, niente aveva resistito a quell'improvvisa e irruente invasione. Si era sempre domandato cosa ne sarebbe stato di loro, se lei non fosse svanita nel nulla. L'ipotesi di una vita così diversa da quella che era divenuta la sua lo spiazzava, lo faceva sentire a disagio, eppure una parte di lui non desiderava che salire i gradini che lo dividevano da lei a due a due e scoprirlo.

Come avrebbe potuto anche solo a cominciare spiegarle l'intricato ammasso di pensieri e dubbi che gli attraversavano la mente in quel momento, quando nemmeno lui era in grado di dargli un ordine e una logica?

 

Alzò nuovamente la testa, sentendo la voce di Annie abbassarsi, fino a sopirsi del tutto. Con il cuore in gola e la bocca secca per la tensione, stava quasi per incamminarsi verso l'entrata, pronto a compiere quel salto nel vuoto che tanto lo spaventava, quando la ragazza si spostò, lasciandogli intravedere il suo interlocutore.

 

Brady rimase lì, impietrito, incapace di muoversi: davanti a lei, le dita affondate nei corti capelli di Annie, Landon Campbell la fissava come in quel momento avrebbe desiderato fare lui, mentre lei si lasciava abbracciare, baciare e tirare nuovamente all'interno della stanza.

 

Come aveva potuto essere così stupido e cieco da pensare che non ci sarebbe stato un seguito al pranzo della settimana precedente? Come aveva potuto sperare che lei fosse lì, ad accoglierlo a braccia aperte sulla porta di casa, dopo che lui le aveva sbattuto in faccia un matrimonio e una moglie di cui non sapeva nulla?

 

Non fare niente di cui potresti pentirti gli aveva detto Hailey, lasciandolo sul ciglio della strada.

 

Ma, oramai, era troppo tardi, anche per fare quello.

 

 

 

 

Note di quella rintronata dell'autrice

Ehm ma....ciao!! Io...non posso credere che siate ancora qui!

Da un lato vorrei chiedervi perdono, ovviamente, per l'attesa. Vorrei usare la scusa esami e vacanze, ma la realtà é che, come mio solito, sono lenta. Dunque dunque...che ne dite di questo capitolo? Bello denso di eventi, no? Come già dicevo a chi é nel gruppo, questo episodio conclude quella che idealmente io vedo come la prima parte de NLMG. Dal prossimo capitolo, camieranno un po' di carte in tavola, entreranno nuovi amorevoli personaggi, ma soprattutto, ci si sposterò un pochino da Province Town. ZAN ZAAAAAAAN. Dunque, cosa succederà? La mia idea era quella di rimettere mano alla prima parte (per conto mio) per rileggerla nell'insieme e capire dove stiano eventuali errori e parti non coincidenti. Nel frattempo, se riuscissi, mi piacerebbe moltissimo cominciare a pubblicare il prequel di questa storia, che si chiamerà Camden Tales e sarà uno spaccato della vita di Annie a Londra. Della serie "prima di Province Town, di Brady, di Scotty, della vela e di Landon, c'era Londra....e niente era come ci si aspettava", o qualcosa di simile! A parte questi programmini prettamente riguardanti NLMG (ne ho altri quattrocentocinquanta in testa, me tapina), l'intento é di buttarmi subito sul nuovo capitolo, così da farvelo avere magari prima che siate diventati vecchi e barbuti.

Che altro dire? uhm...nulla, direi. Dunque, é giunta l'ora che io vada a nanna e mi congedi: grazie di avere letto, come sempre, grazie a chi ha recensito gli scorsi capitoli, a chi recensirà e a chi invece farà solo un passaggio. Mi piacerebbe potervi ringraziare a uno a uno, sempre, ma non mi é possibile, purtroppo. Per chi vuole seguire me/i miei deliri/ i miei disagi, come al solito vi lascio il link del mio gruppo, Sing and write for the wind, fear not for tomorrow. Se vorrete entrare, sappiate avrò molto molto piacere di avervi con me nel mio piccolo angolino dove si parla delle altre mie storie (poco, visti i miei ritmi), musica, libri, serie e paciocchini dalle faccine d'angelo varie.Fondamentalmente di tutto ciò che mi passa per la testolina, insomma :D

Un abbraccio a tutti!

Lyra

   
 
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