Noire
Narcisse – Il
Narciso Nero
<<Due cose sono infinite: l’universo e la
stupidità umana. Ma del primo ho ancora dei
dubbi>> (Albert Einstein)
Prologo
Un giorno lessi in
un libro una frase che mi colpì particolarmente. Vi era
scritto infatti:
“Il giorno in cui sono nato, sono anche morto”. La
mia giovane mente ancora non poteva comprendere il vero significato di
quelle
parole. Credevo fossero solo
frasi di qualche
scrittore depresso, che non aveva nient’altro in mente se non
deprimere se
stesso e la sua vita. Come era
possibile che una
persona, nel momento in cui vede la luce, deve per forza morire ? Io
respiro,
il mio cuore batte, i miei
occhi vedono, il mio naso
annusa, le mie orecchie sentono, la mia bocca gusta, le mie dita
toccano. Come potevo
essere morta ? Sicuramente non stava davvero bene.
Ora capisco
perfettamente le sue parole.
Capitolo I: Specchio
Il
sole si alzò lentamente all’orizzonte, annunciando
finalmente un nuovo giorno. Mi alzai
delicatamente dal mio piccolo
letto a baldacchino e mi avvicinai all’unica finestra della
piccola “cella” in
cui ero rinchiusa. Una fresca brezza mi
inondò,
facendo danzare le ciocche dei miei lunghi capelli neri.
-Ancora la luce- dissi
tra me e me, concludendo
la frase con un amaro
sospiro. Abbassai lo sguardo tristemente. Un nuovo giorno era appena
iniziato,
insieme al pensiero che durante la notte il cuscino non mi aveva
soffocato,
qualche veleno dentro il cibo non mi avesse tolto la vita una
volta per tutte. Mi allontanai dalla finestra, andando
alla vasca dei
lavacri e aprii il rubinetto dell’acqua calda. Attesi che la
piccola vasca si riempisse.
Dal rubinetto scendeva silenziosamente l’acqua
calda, che colmava la vasca. Scivolai a terra, accomodandomi sulle
ginocchia.
Le punte delle mie dita disegnavano alcuni disegni a forma di 8 sulla
superficie dell’acqua calda, in silenzio.
Chiusi gli occhi lentamente mentre le mie dita
accarezzavano l’acqua. Era
così calda e delicata. Mi piaceva aspettare che
l’acqua si riempisse. Vederla
crescere lentamente, fino a raggiungere il bordo della
vasca ed eccedere, gocciolando sul pavimento. Mi faceva
ridere e ancora
oggi mi chiedo il motivo
di tutto ciò.
Chiusi lentamente
il rubinetto e mi tolsi la camicia nera da notte, mentre mi legavo i
lunghi
capelli in una coda abbastanza alta da impedirli di bagnarsi. Alla fine
mi immersi
nell’acqua
-Che
bello…- commentai, mentre il mio corpo si rilassava e un
brivido saliva lungo
la mia spina dorsale, fino a raggiungere la nuca. Mi abituai subito al
calore della vasca e
mi rilassai con dolcezza. Chiusi gli occhi e li riaprii lentamente,
mentre
osservavo i leggeri disegni della muffa sul soffitto che componeva
strane
figure, quasi affreschi alternativi di qualche pittore astratto. Ho
sempre
amato quei disegni. Ricordo ancora
quando li vidi la prima
volta, mentre mi rilassavo sul mio “nuovo” letto.
Vidi chiaramente
l’immagine di una capretta, un’aquila e qualche
altro animale che solo la mia
fervida immaginazione poteva inventarsi. Dopotutto avevo 6 anni e la
mia vita
era appena andata in frantumi. Ero appena stata fatta prigioniera dallo
stesso
uomo che aveva messo incinta mia madre, mentre gli occhi imploranti e
le
lacrime di dolore della donna che nove mesi dopo mi aveva messo alla
luce
cercavano di salvarmi da un destino già segnato. Ancora
adesso odio quella
donna. Poteva abortire subito ma
non l’ha fatto. Che
stupido orgoglio materno. Anzi
no, che stupida che sono io.
Sbuffai, cercando
di scacciare quegli inutili pensieri che attanagliavano la mia mente e
che mi
deprimevano in modo insopportabile. Uscii dall’acqua e presi
l’asciugamano
sopra il tavolo. Rimasi nuda pochi istanti, tanti, troppi, perfetti per
notare
come quel pallido e ghiacciato candore del mio volto ricopriva
interamente
tutto il mio corpo. Mi
allacciai l’asciugamano e mi
diressi verso il mio “Specchio delle Brame”. Avevo
letto una storia su uno
specchio delle brame, una strana favola di Charles Perrault. Parlava di
una
regina talmente arrogante e vanitosa da chiedere ogni giorno al proprio
specchio chi fosse la
più bella del reame. Lo specchio
allora le rispondeva che la più bella
era lei, finchè
non rispose un giorno, dicendo che la sua figliastra era la
più bella di tutte.
La regina furibonda, colta da un’inquietante invidia nei
confronti della fanciulla,
decise di ucciderla. Fortuna
che il mio specchio non si degna mai di rispondere.
Lo specchio era
posizionato quasi dinanzi il letto, dall’altro lato del muro.
Aveva sotto di sé
un vecchio comò antico in legno di pino o forse di abete.
Me lo sono sempre chiesta. La particolarità di questo
specchio era l’enorme
crepa che lo attraversava: in questo modo, ogni volta che provavo a
vedermi
allo specchio, il mio volto era rigato a metà da questa
spaccatura, che
diramava poi in varie crepe minori. Il mio volto era così
diviso in tante
piccole parti che io mi divertivo ad osservare. Ogni giorno le osservavo in maniera diversa e ogni giorno mi
davano punti
di vista diversi. Ma
tutte con lo stesso cupo
riflesso. Un ragazzina
di 15 anni, lunghi capelli neri
che giungevano lisci e tristi lungo la fredda schiena, uno sguardo
pallido e
inespressivo, con degli zigomi delicati, una pelle morbida e due occhi
rossi
troppo grandi per un viso tanto piccolo e fragile. Le labbra
piccole e sottili, un leggero schizzo di una mano frettolosa di un
pittore non
curante dei dettagli. La
corporatura gracile e minuta,
di bassa statura, forse un metro e cinquantacinque con qualcosa di meno.
Una bambina con un cervello troppo grande.
Ricordo
ancora la prima volta che vidi il mio riflesso. A casa della Signora
non vi erano specchi
e la Signora non mi permetteva nemmeno di osservare il mio riflesso in
una
pozzanghera. L’unica concessione era osservare il pallido
colorito delle mie
mani, sentire il tepore freddo della mia pelle, tastare delicatamente i
contorni del mio viso, accarezzare i miei
lunghi
capelli neri. Ma in realtà, io chi ero
? Com’ero
fatta ? Che colore avevano i miei occhi
? Quanto era delicato il mio sorriso
?
Mi ponevo continuamente queste domande senza trovare una risposta. E finalmente le mie domande
trovarono risposta.
-Specchio…
Specchio delle mie Brame…- dischiusi le labbra, iniziando a
parlare e
sorridendo maliziosa – Chi è la più
ingenua e sciocca del Reame ??-
chiesi infine. Poggiai il gomito sopra la superficie
polverosa del comò, in
attesa di una risposta che non
venne mai. Le immagini contorte di quello specchio rotto si muovevano
ad ogni
mio piccolo spostamento, dando una forma sempre più
inquietante al mio volto.
Sospirai e mi allontanai, dirigendomi verso l’armadio alla
destra dello
specchio; aprii l’anta e osservai uno ad uno, scrutandoli
come un attento
chirurgo sul proprio paziente, ogni vestito: pizzo nero, camicie di
seta
bianca, fiocchi neri. Un
abbigliamento tipico di
qualche bambolina dark. Li feci scorrere lentamente, con sguardo spento
e inespressivo.
Potevo benissimo non indossare vestiti, rimanere nuda; magari sarei
morta di
freddo, accovacciata sul pavimento, contando i secondi che mancavano a quando i miei occhi si
sarebbero chiusi per sempre.
Scacciai via quei
pensieri, prendendo un abito lungo di pizzo nero, con ricami bianchi.
In poco
fui vestita, lavata e pettinata, pronta ad un nuovo giorno di
solitudine e
apatia. Che pensiero
rallegrante. Di certo non potevo
sapere che giorno fosse realmente quello, finchè non mi
affacciai, come ogni
mattina, alla finestra che dava sul giardino reale. Immenso
diversi ettari, contornato da piantagioni e fiori. Qualche
statua e
fontana, posizionata nei pressi della via principale, donava
un’atmosfera
quieta e pacifica. La torre in cui ero
rinchiusa era
la torre più ad ovest del castello, ma che mi garantiva una
vista spettacolare
di tutto il panorama. In lontananza, diversi chilometri più
a nord, potevo
benissimo vedere Fallen, il mio villaggio cosiddetto “natale”,
anche se nei pochi anni in cui ho vissuto lì,
ero costretta, come ora, a
restare rinchiusa in casa, senza vedere quasi mai la luce del sole.
-Questione di
pregiudizi e di occhi-
mi diceva sempre la Signora, ad
ogni mia supplica di poter uscire a giocare. –In che senso,
Madama, questione di occhi
?- le chiesi una volta io, incuriosita non poco
dalla risposta. Avevo all’incirca
4 o 5 anni e non potevo
minimamente comprendere le sue parole. Ricordo chiaramente che alla mia
domanda
esplose in una risata fragorosa, rimanendo comunque
nella sua severa e pacata compostezza – Oh, Noire –
aveva il vizio di chiamarmi
sempre Noire, vizio che poi presero tutte le poche persone che erano a
conoscenza della mia esistenza – Ti ricordi la lezione sulla
percezione visiva
umana nei confronti del mondo, vero ?- Io annuii sincera e ricordai ad
alta
voce la nozione che la Signora mi aveva insegnato – Ogni
essere umano ha la
possibilità di vedere solo il 5% circa di ciò che
ci circonda- risposi
correttamente alla domanda della donna. Lei sorrise e mi
accarezzò la fragile
testolina di bambina –Esatto Noire. Ne vede il 5% e ne
comprende il 2%. Quindi
gli occhi degli esseri umani che popolano il villaggio di Fallen non sono capaci di apprezzarti per la
tua vera bellezza. Nasconderti per
poi mostrarti a loro quando sarai pronta. È
questo
che il Fato ha deciso per il tuo glorioso futuro…-
Che risposta stupida. Non
trovo nulla di
glorioso nel vivere rinchiusa in una cella sulla torre più
nascosta del
castello, mentre la solitudine logora
il mio cuore, la
pazzia si nutre giorno dopo giorno della mia mente e il mio fisico
diventa
sempre più debole e stanco.
Nel giardino si
era radunata nel frattempo una gran massa di persone, tutte
intenzionate a
preparare banchi e tavolini. Stavano organizzando sicuramente qualche grande festa a cui io,
ovviamente, non ero invitata.
Sospirai e mi accomodai sull’orlo della finestra, per meglio
osservare i
preparativi. Tavoli pieni di leccornie di vario genere, candidamente posizionate sul giardino. Dal
cancello principale tantissime
persone ben vestite giungevano impazienti, allegre e felici per la quella festa. Salutarono
alcune persone che erano sotto
il tendone principale al centro del giardino e andarono a posizionarsi
ai loro tavoli. Il loro chiacchierio giungeva fino alle mio
orecchie. -Sarà un compleanno
fantastico… Com’è bella la
festeggiata…
Tanti auguri… Hai sentito
l’ultima sulla signora
Marceau… Il vestito di quella donna è davvero
indecente…-. Tappai con le mani
le mie orecchie, doloranti di quel parlare insulso. Scivolai a terra,
reggendomi sulle ginocchia, mentre il chiacchierare aumentava
d’intensità. Com’era
possibile ?? Ero a
centinaia di metri da loro, ma il
loro parlare mi inondava
la mente, facendosi posto con
forza attraverso le mie mani, per giungere verso le mie orecchie. Il
dolore
aumentava e io a fatica restavo sulle ginocchia. La mia testa voleva
esplodere
da un momento all’altro; il loro disgustoso parlare e
ciarlare voleva
uccidermi. No. No. Per la prima volta non volevo morire. Non volevo
morire a
causa dei pettegolezzi impuri degli esseri umani.
-Basta !!!!!- urlai con quel poco di
energie che il corpo mi aveva
gentilmente risparmiato. E
ci fu il silenzio. Riaprii
gli occhi e tolsi le mani dalle orecchie. Il silenzio aveva invaso ora
la mia
cella. “Possibile che abbiano sentito il mio urlo
?” pensai incuriosita dall’improvviso
silenzio. Mi alzai da terra, scuotendo delicatamente la gonna del mio
abito, e
mi avvicinai di nuovo alla finestra, nel tentativo di capire il motivo
di tale
silenzio. Ma non feci in
tempo a guardare all’esterno,
che una luce accecante inondò i miei occhi. Un gemito di
dolore, mentre le mie
mani proteggeva questi occhi così rari quanto macabri.
Il loro rossore opaco s’infiammò
all’improvviso. A stento riaprii di nuovo gli
occhi, mentre si abituavano sempre di più alla luce. Alzai
gli occhi per
comprendere cosa stava avvenendo. Il sole emanava una luce insolita e
rossastra. Il sole stava eclissando. Tutti
avevano alzato lo sguardo, pieni di stupore e preoccupazione, verso
l'eclissi
solare che lentamente rubava al mondo la luce del Bene. Tutti tranne
una. Fu
allora che vidi, nascosta tra la folla, Eloise, accecante nella sua
bellezza
angelica, che mi fissava. Era la prima volta, dopo 8 anni, che mi
rivolgeva lo
sguardo. Mi sorrise delicatamente. Ma
non come si sorride ad
una persona amata, con quel velo di dolcezza e affetto che ti scioglie
il cuore.
No. Il suo era un sorriso di odio,
misto a malizia e
qualcosa di anche peggiore. Dischiuse le labbra rosee e mi sussurrò
con il labiale.
- Buon compleanno,
Gemellina mia.
Fu allora che nel
mio cuore tornò alla luce una nuova emozione ormai sopita.
Fu allora che
compresi di avere paura. Mi nascosi dietro il muro, evitando il suo
sguardo
pieno d’odio. Il mio cuore pulsava con velocità,
tanto da udire solo il suo
battito irregolare. “Perché mi aveva sussurrato
quelle parole
? Il mio compleanno ???
E soprattutto… Perché mi
aveva chiamato… Gemellina mia ???” pensai in
fretta, presa da un fremito di
agitazione. La mia fronte sudava a freddo.
Quell’agghiacciante sorriso… Cosa significava ?
La mia schiena
scivolò lungo il muro freddo, lasciandomi sedere sul
pavimento di pietra. Avevo
paura. Sentivo che presto sarebbe successo qualcosa di cui mi sarei
dovuta
pentire. Oppure dovevo solamente seguire l’istinto
e… raggiungerla ??
Potevo benissimo farlo. La porta da alcuni giorni era
misteriosamente non chiusa a chiave, come fosse
un
invito a lasciarmi uscire. La consapevolezza che la mia
libertà consisteva nell’aprire
un vecchio portone di legno, chiuso a chiave da 10 anni, mi metteva in
uno
stato di profonda inquietudine. All’improvviso, come un
fulmine a ciel sereno,
un pensiero tornò a galla. Mi alzai in fretta e corsi verso
il comodino,
accanto al mio letto, dove giaceva
immobile un libro
sulle eclissi solari. Inizia a sfogliarlo attentamente e mi appuntai
sopra un foglietto alcune informazioni. -Eclissi solari… 20
anni di differenza…-
borbottai a bassa voce
alcune informazioni, mentre la
mia mente pensava con rapidità ed eseguiva calcoli teorici e
matematici. Mi
sedetti sul letto, sfogliando il libro e scrivendo alcune informazioni
sul
foglietto. La soluzione era vicina.
A quel punto la
penna scivolò via dalle mie dita fredde, precipitando sul
terreno di pietra
della cella. I miei occhi rossi erano accesi più che mai.
Era il 6 Giugno 2666.
Giorno di eclissi
solare totale visibile perfettamente
in quella zona del globo, che era l’antica Europa e ora Regno
del Mondo di
Mezzo. Precisamente il distretto della Gallica, l’antica
Francia secondo i miei libri.
Quel giorno di 16
anni fa, io sono nata… E sono anche morta.