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Autore: Lilith Hedwig    17/09/2013    4 recensioni
E ti fa comodo a volte pensare, immaginare che il tempo esista.
E dopo tanto torno a scrivere.
Una donna che aspetta.
- E' OS solo per 13 parole -
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie.
Grazie di cuore.

 
E ti fa comodo a volte pensare, immaginare che il tempo esista.
In piedi su quella banchina, aspettando un treno che non prenderai. E nemmeno aspetti qualcuno, un uomo azzarderebbero magari le persone accanto a te. D’altronde sei una bella donna, seppur un po’ sciupata dagli anni, una figura asiatica sui trent’anni in tailleur. E hai lo sguardo di una ragazzina – un po’ troppo cresciuta, in effetti – una ragazzina adulta. No, nessun uomo, donna, nulla.
Solo, aspettare.
E ancora, aspettare.
C’è gente che ti riconosce e ti guarda come fossi una vecchia conoscenza, senz’averti mai parlato, poi. Quell’uomo dallo sguardo disperato, con metà dei denti in bocca e la felpa sgualcita e blu, sempre la stessa, che è lì tutti i giorni sull’ultima panchina in fondo a parlare da solo e a fumare sigarette una dopo l’altra. E quella donna che beh, lei la devi guardare bene per capire che è una donna, e ha la pelle inspessita dal sole e uno zaino sempre in spalla, e ha un sorriso che sembra quello delle vecchie zingare, ma non chiede mai nulla a nessuno. I ragazzi che tornano a casa dopo scuola, sempre gli stessi, eppure mai quelli, sempre gli stessi discorsi ma mai la stessa risata. I pendolari tutti di fretta nelle loro giacche che passano sempre lì, a quest’ora, e sempre trovano l’attimo per lanciarti uno sguardo sul divertito, lì, a quest’ora.
In piedi.
Aspettando.
As-pet-tan-do.
Aspettando, cosa? Come se non te lo fossi chiesta, tu – e forse è proprio così, sotto questo cielo di Lombardia che sarà pur bello quando è bello, ma che sopra a questa stazione – solo questa, probabilmente – è sempre grigio, e tu lo sai che se annusi sa di pioggia. Aspetti un treno che non arriverà – non tornerà più. Potrebbe anche essere andato in qualche stazione del sud, dove c’è sempre il sole. Quel treno che la prese, senza salutarti. Quel treno che la doveva portare in un ospedale lontano, avevi saputo poi. E non la eri andata nemmeno a trovare. Se solo… no. Non ci andresti nemmeno ora, se potessi.
Non lo sai dov’è. Se sia viva, felice, in fin di vita, se le manchi. No, probabilmente.
Si riduce sempre tutto a questo, vero?
Una sorta di reazione chimica, sotto un cielo che sa di pioggia.
E non una lacrima ha mai pensato di sfiorare il tuo volto – per chi? Una donna conosciuta per una settimana, di cui ricordi solo la voce che ti soffia all’orecchio il suo nome, il suo respiro caldo sul collo subito dopo, per un istante? Chi è lei, per te? Chi era?
E ogni giorno. Alla stessa ora. Ogni giorno ti vedono su quella banchina, in quel punto, immobile, per non più di mezz’ora, quando hai tempo. E ogni giorno ti allontani ascoltando non i treni, non gli annunci, non i discorsi ma il suono dei tuoi tacchi sul selciato e torni a casa da tuo marito, da tua figlia, che ami più di ogni nuvola in cielo.
Perché anche se ti fa comodo pensare il contrario, il tempo non esiste.


Note Personali -
Innanzitutto, grazie a chi so io per non avermi mollato e avermi detto di scrivere. Grazie.
Poi. Magari l'inizio della scuola non è così negativo come sembra. Era da mesi che non scrivevo.
Beh, dunque. Non ho molto da dire, in fondo. Non è nulla di che. Ma è importante, e ci tengo.
Ah, già. Ho messo OS perché la storia ha 513 parole, che tecnicamente sono più di 500, ci tenevo a specificarlo perché sì, sono un'inezia.
E sto già straparlando, scusate.
Beh, dunque. Se vi andasse di farmi sapere cosa ne pensate ne sarei felicissima, e le critiche sono ben accette.
Grazie per aver letto...
Lil

 
   
 
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