Il suo terzo anno si aprì
all’insegna dell’emozione. Le delegazioni di Drumstrang e Beuxbatons erano
meravigliose, il Torneo Tremaghi era una novità elettrizzante su cui
spettegolare.
Quando Harry Potter venne scelto
come quarto campione, Sara decise di sospendere il giudizio per evitare di
contrariare Ginny, che sapeva se la sarebbe presa. Già era in rotta con suo
fratello – perché lui non credeva affatto ad Harry – così lei evitò di far
parola dell’accaduto e cercò, insieme a Colin, di distrarla e farla ridere.
Dopo la prima prova, divenne
evidente che Harry non aveva mai inserito volontariamente il suo nome nel
Calice di Fuoco. Il volo era stato spettacolare, vero, ma combattere con dei
draghi non era cosa da tutti i giorni e sicuramente una persona sana di mente
avrebbe evitato di farlo, se non costretto. Non a quattordici anni, almeno.
Ora, comunque, passata anche
l’euforia per la vittoria della prova, un nuovo evento si delineava
all’orizzonte: il Ballo del Ceppo.
Sara sapeva di essere troppo
piccola per partecipare al ballo, ma non voleva scoraggiarsi.
“Basta trovare qualcuno di più
grande che ci inviti.” le disse saggiamente Ginny, mentre scendevano a
colazione.
Mancavano tre settimane al Ballo,
era ancora relativamente presto, anche se l’atmosfera festosa ed eccitata aveva
già contagiato tutti.
“Se potessi, ti inviterei io.”
Intervenne Colin “Ma, a parte l’età, a me non interessano per niente queste
cose. Ammetto che sarebbe bello restare, ma mi gusterò lo stesso un bel Natale
a casa…”
“Tu sei pazzo.” gli rispose Ginny
“Io non mi perderei l’evento per nulla al mondo, anche se dovessi imbucarmi
alla festa… Al primo che me lo chiede rispondo sicuramente di sì…”
“Che piattola di facili costumi.”
Si girarono tutti e tre e videro
Draco Malfoy che li stava superando per entrare nella Sala Grande. Ginny lo
fulminò con lo sguardo, ma poi, per niente scalfita dalla presa in giro, decise
di ignorarlo e di dirigersi tranquillamente verso il tavolo dei Grifondoro.
“Comunque, Sara… È inutile che
sbirci verso il tavolo dei professori: dubito che Piton t’inviterà mai.”
“Cosa?!” esclamò la ragazzina,
sedendosi e arrossendo “Non stavo affatto guardando verso Piton!”
Colin soffocò le risate
addentando una brioches, mentre Ginny assunse l’espressione da ‘io la so
lunga’.
Sara voltò loro le spalle,
fingendosi offesa e spezzando il pane tostato che aveva in mano. In realtà,
fino a che non l’avevo detto Ginny, non si era neppure resa conto di dove
vagasse il suo sguardo. Ma, se c’era una cosa che non poteva negare nemmeno a
se stessa, era che l’altra sera aveva sognato di ballare con il professore.
Non capiva cosa le stesse
succedendo. Aveva sempre avuto una buona opinione del professore, vero,
nonostante tutti la prendessero per pazza, ma non avrebbe mai pensato di…
Provare qualcosa, ecco. Piton non era certo quello che si definisce un
bell’uomo; era grande, per diamine;
era sempre silenzioso e quasi mai gentile; eppure… Eppure Sara non poteva non
pensare a quella tazza decorata a Cioccocalderoni che il professore le metteva
davanti tutti i pomeriggi, piena di the fumante, da quando Silente era venuto
nel suo ufficio… I suoi consigli per lo studio, il suo non essere una presenza
ingombrante ma in qualche modo amica…
Sì, Sara apprezzava decisamente
il professore. Ma non era ancora pronta per gestire i sentimenti che, confusi,
si stavano facendo strada dentro di lei.
La ragazzina lanciò un’ultima
occhiata al tavolo degli insegnanti, poi, sorridendo, prese un Cioccocalderone
da un piatto lì vicino e lo addentò, soddisfatta.
***
Mancava meno di una settimana al
Ballo.
Sara era distratta. Nessuno le
aveva chiesto di andarci e il tempo stringeva, così lei non sapeva che pesci
pigliare e continuava a mordicchiare la punta della piuma e a torcersi le mani,
senza davvero vedere le parole scritte sul libro che aveva davanti.
“Non stai studiando seriamente.”
La ragazzina alzò lo sguardo e
vide il professor Piton posarle la sua tazza davanti, per poi fare il giro
della scrivania e sedersi.
Sara sospirò.
“Si nota così tanto?”
“Sì, parecchio. Se non hai
intenzione di studiare ti consiglio di andare a fare qualcos’altro, sicuramente
più produttivo.”
Lei si morse il labbro. Osservò
il professore prendere un sorso di the e, senza pensarci davvero, esclamò:
“Professore! Non potrei venire con lei al Ballo del Ceppo?”
L’uomo si bloccò per un secondo
con la tazza a mezz’aria e l’espressione stupita, poi riprese il suo solito
contegno.
“Stai scherzando.”
Sara abbassò lo sguardo,
costernata e sinceramente imbarazzata dalla figuraccia appena fatta.
“Ecco… Vede… Nessuno mi ha ancora
invitato e se qualcuno non lo fa non posso andarci, quindi… Mi spiace, non
volevo essere irriverente…”
“Non mi interesano degli stupidi
problemi adolescenziali, quindi se vuoi andare a quel ballo alzati e vai ad
invitare qualcuno. Qualcun altro.” Puntualizzò l’uomo, riprendendo a bere il
suo the con tutta calma.
Sara arrossì ancora di più. Si
sentiva ridicola e, stranamente, delusa.
“Ha ragione.” mormorò.
Poi, tanto per non prolungare
ancora quel silenzio imbarazzante, decise di prendere il suo the e berlo,
facendo finta di niente. Sbirciò il professore di sottecchi e lo vide rilassato
e impassibile, come se non fosse successo nulla. Decise di far finta di nulla
anche lei e lasciò andare la postura rigida che aveva mantenuto fino a quel
momento.
Nonostante tutto, si sentiva come
svuotata da un peso, tanto che riuscì a riprendere la concentrazione e a
studiare.
***
Alla fine l’aveva chiesto a Dean
Thomas.
Lui aveva accettato subito,
sentendosi quasi sollevato, come d’altronde lei.
La mattina del gran giorno lei e
Ginny salutarono Colin con un grande abbraccio e lo videro avviarsi, insieme a
pochi altri studenti, verso le carrozze che l’avrebbero portato in stazione;
poi salirono di corsa le scale fino alla loro Sala Comune e poi al dormitorio,
dove si chiusero assieme alle altre ragazze per i preparativi.
La mattinata passò fra la scelta
dell’abito e degli accessori; poi tutte e tre le ragazze scesero per il pranzo
con un’aria carica di aspettative.
“Ma tu hai davvero intenzione di
ballare con Neville per tutta la sera?” chiese Annie, giocando con un ricciolo
della sua folta chioma bionda.
“Non lo so. Perché no? Potrebbe
essere un ottimo ballerino.” rispose Ginny.
“Ma insomma, non ti piace veramente, giusto?”
“Oh, andiamo.” si intromise Sara.
Anche lei stava giocando con una ciocca dei suoi capelli castani e si mordeva
il labbro inferiore “L’importante è andarci, no? È per questo che lei ci va con
Neville… Anche io non avrei scelto Dean, come prima opzione…”
“Certo, perché tu avresti scelto
Piton.” sghignazzò Ginny “Secondo me avresti dovuto chiederglielo, sul serio.”
Sara arrossì e borbottò qualcosa,
contrariata. Non aveva voluto rivelare nemmeno a lei che in realtà gliel’aveva
chiesto davvero. Sicuramente
l’avrebbe presa in giro a morte.
“Beh, io invece sono più che
felice di andarci con Adrian.” concluse Annie, sospirando e congiungendo le
mani, come in preghiera.
Adrian era uno studente di
Serpeverde del quinto anno; un tizio all’apparenza poco raccomandabile.
Sara scosse impercettibilmente la
testa, lanciando un’occhiata a Ginny, che stava per partire con la sua predica.
Nessuna delle due era riuscita a comprendere quella strana infatuazione… Ma,
forse, lei non era la persona giusta per parlare. Dopotutto anche lei aveva una
cotta per… No, forse non proprio una cotta. Beh, insomma, era lo stesso interessata a Piton.
Quando ripresero a parlare del
ballo, Sara scacciò questi pensieri dalla sua testa e si concentrò nuovamente
su abiti e annessi. Dopo pranzo, le tre ragazze passarono tutto il pomeriggio a
prepararsi in vista del grande evento.
***
Dean sorrise compiaciuto quando
la vide, cosa che fece ben sperare a Sara di aver scelto giusto.
Indossava un lungo vestito da
strega color rosso fuoco, esattamente il rosso di Grifondoro, che aveva dei
decori verde chiaro vicino all’orlo delle maniche e della veste. Le scarpe
erano anch’esse verdi, abbinate.
“Stai davvero bene.” le disse il
suo accompagnatore, cosa che la fece sorridere.
Scesero in Sala Grande, che per
quella sera era stata decorata nel migliore dei modi. Rimasero a bocca aperta
di fronte agli alberi pieni di fiocchi, al ghiaccio fatto apparire per magia,
alle fatine che svolazzavano dappertutto.
Assistettero emozionati
all’apertura delle danze da parte dei campioni, poi Dean le propose di ballare.
Sara si buttò subito in pista con
entusiasmo e si mise a volteggiare assieme al suo cavaliere. Vide Ginny con
Neville un po’ più in là e cercò loro di far segno, senza riuscirci; poi notò
Annie e Adrian seduti ad un tavolino che conversavano fitto fitto.
Dopo diversi giri di pista, lei e
Dean decisero di prendersi una pausa e di bere una Burrobirra.
Si sedettero ad un tavolo vicino
a quello di Annie, che però era sparita con il suo ragazzo già da un po’. Mentre
Dean prendeva da bere, Sara fece vagare lo sguardo per la sala, finché non si
accorse del professor Piton che si osservava accigliato il braccio sinistro.
Era in una posa così buffa e
aveva una faccia così seria che alla ragazza venne da ridere, ma si trattenne
appena in tempo: Dean era tornato con due calici fumanti.
Bevvero, brindando a quella
serata, poi Sara, ancora euforica per tutto, gli chiese di potersi allontanare
un attimo. Il ragazzo, che nel frattempo era stato raggiunto da Seamus,
acconsentì con un cenno della mano, così lei si alzò e cercò di nuovo con lo
sguardo il professore.
Lo trovò seduto ad uno dei tavoli
più grandi, in compagnia di Silente e della McGranitt.
“Professor Piton!” esclamò,
tendendosi il vestito con le mani per non inciampare e correndo nella loro
direzione.
Severus alzò lo sguardo e vide la
ragazza corrergli incontro. Il cuore gli mancò mezzo battito: il sorriso così
ampio e felice gli ricordò, per un istante, quello di qualcun altro. E poi, i colori. Rosso e verde, come se fosse stato
fatto apposta. L’uomo riprese subito il controllo di sé, concentrandosi sui
capelli castano scuro e sugli occhi azzurri della ragazza.
Non è lei, si disse, dandosi anche dello stupido per averlo
pensato, nonostante si fosse trattato solo di un attimo.
Nel frattempo, Sara era giunta al
tavolo.
“Professore!” esclamò, del tutto
dimentica della figuraccia di appena una settimana prima, ma, anzi, animata
dall’atmosfera della serata “Balla con me!”
La McGranitt la guardò perplessa,
mentre Silente si limitò a nascondere con una mano il sorriso. Severus Piton,
invece, rimase seduto composto, impassibile.
“Devo forse togliere dei punti a
Grifondoro? Dov’è il rispetto? Non mi pare che tu possa darmi del tu.”
“Oh, andiamo, Severus.”
intervenne Albus, prima ancora che la ragazzina potesse aprir bocca “È una
serata di festa. Se non oggi, quando?”
“Esatto!” esclamò Sara, mentre lo
sguardo della McGranitt si faceva sempre più scandalizzato “Andiamo,
professore, almeno un ballo me lo devi!”
“Io non devo proprio niente a
nessuno.” rispose l’uomo, che stava iniziando ad irritarsi.
“Su, Severus, che male può
farti?” chiese di nuovo Silente, dando man forte alla ragazzina.
Sara aveva cercato di assumere
l’espressione più implorante di cui fosse capace.
Severus Piton aveva fulminato con
lo sguardo il preside, prima di alzarsi. Aveva le braccia incrociate, ben
chiuse attorno al busto, e non sembrava intenzionato ad aprirle.
“Bada bene: solo un ballo, e solo
perché me lo sta chiedendo Albus Silente in persona. E sappi che non so
ballare.”
Sara sorrise, entusiasta, poi gli
afferrò un gomito e si voltò, cercando di portarlo in mezzo alla pista. Sentì
l’uomo lanciarle qualche improperio, sottovoce, e il suo sorriso si allargò.
Quella sera nulla avrebbe potuto
far esplodere la sua bolla di felicità.
Il professor Piton si fermò ai
margini della pista e fece ricadere le braccia lungo i fianchi. Sara gli mise
le mani attorno al collo.
“Accidenti, sei alto!”
“Sei tu che sei bassa. E perché
ti ostini a darmi del tu?”
“Ma io crescerò. E prometto che
in classe non lo farò. Però andiamo, ormai ci conosciamo da tre anni, no?”
“Due e mezzo. E noi non ‘ci
conosciamo’.”
“Ecco, un motivo in più per
iniziare a farlo.”
“Non vedo tutta questa moti…”
“Oh! Questa canzone è
bellissima!”
Severus si arrese. Non aveva
voglia di portare avanti quella conversazione, così spero che la sua tortura
finisse presto.
“Avanti, professore! Le mani
vanno sui fianchi!”
Lui le lanciò un’occhiataccia.
“Dai, è solo un ballo! Non
passiamolo a discutere!”
“Io non vorrei passarlo e basta.”
“Il professor Silente ci sta
guardando.”
L’uomo si girò appena e vide il
preside alzare il calice verso di loro. Sbuffò, poi mise le mani sui fianchi
della ragazzina. Albus Silente gliel’avrebbe pagata… Prima o poi.
Si mossero piano, praticamente
dondolando sul posto, nonostante la canzone avesse un ritmo decisamente più
incalzante.
“Andiamo! Questo lo chiami
ballare?” chiese Sara, lanciandogli un’occhiata contrariata.
“Te l’ho detto che non so
ballare. Accontentati.”
“Però potresti metterci un po’
più d’impegno!”
“No.”
“Ti potrei insegnare.”
“No.”
“Guarda che sono brava.”
“Non imparerò mai a ballare.”
“Dai, non dire così. Davvero, se
ti insegno…”
“Dubito che riuscirai tu ad insegnarmi a ballare, se non c’è
riuscita…”
Severus si bloccò. Che stava
dicendo? Spalancò la bocca, poi, rapidamente, si staccò dalla ragazza. Chiuse
le mani a pugno e si girò, allontanandosi a rapidi passi.
Sara era troppo stupefatta per
tentare di fare qualsiasi cosa. Quando si riscosse, il professore era già lontano.
“Ehi!” lo chiamò, mettendo le
mani ai lati della bocca e cercando di farsi sentire al di sopra della musica.
Lui non si girò.
“Ma che significa? Che era,
questo?” insistette lei, ma senza avvicinarsi.
Il fatto era che non aveva mai
visto il professore comportarsi in quel modo. Conosceva il suo essere
silenzioso e tranquillo; conosceva il suo essere ironico e derisorio nei
confronti degli studenti; conosceva il tono compiaciuto che utilizzava con i
Serpeverde; conosceva la sua gentilezza nascosta e anche la sua irritazione
quando Silente lo costringeva a fare qualcosa che non voleva. Ma mai e poi mai
aveva visto questa furia decisa, che sembrava tutta rivolta contro se stesso.
C’entravano forse quelle parole?
“Se non c’è riuscita…”… Chi? Chi non era riuscita ad insegnare a Severus a
ballare?
“Forse era un pezzo del tuo
cuore, Severus?” mormorò Sara, sottovoce, le mani ormai abbandonate lungo i
fianchi. Era la prima volta che pronunciava il nome dell’uomo e quel suono non
le dispiacque affatto.
Il professore, nel frattempo, era
uscito dalla Sala.
Sara rimase a fissare il portone,
pensierosa, finché Neville non la raggiunse.
“Ehi! Hai visto Ginny?” le
chiese, agitato.
Lei si riscosse.
“Cosa? No, no…”
“Oh, beh. Che ci fai qui tutta
sola, comunque?”
“Nulla.”
“Allora ti andrebbe di ballare un
po’?”
La ragazzina sorrise. Quella non
era la serata giusta per fare riflessioni mistiche, ma solo per divertirsi.
“Certo, perché no?”
***
Severus Piton non aveva fatto più
menzione di ciò che era accaduto al Ballo e lei aveva deciso di assecondarlo.
Continuava ad andare da lui praticamente tutti i giorni, con i libri sotto
braccio, e studiava mentre l’uomo sbrigava altre cose, come correggere compiti,
leggere libri o preparare pozioni.
Sara aveva iniziato ad interessarsi
sempre di più all’uomo. Si rendeva conto che si era presa una cotta gigantesca,
colossale, che non accennava a diminuire. Non poteva credere che i suoi
sentimenti fossero esplosi in quel modo, che l’avessero invasa così
prepotentemente, lasciandola impreparata di fronte ai loro silenzi tranquilli.
Iniziò a parlare.
Durante quella che ormai era
diventata la loro pausa the, Sara si ritrovava a chiacchierare del più e del meno, spesso da sola,
dato che il professore non rispondeva quasi mai. Quantomeno non le aveva detto
di chiudere la bocca, come invece si era aspettata lei.
Dopo due o tre giorni di timore,
la ragazzina iniziò a fare l’abitudine anche a questa nuova routine. Studiava,
si esercitava, poi bevevano il the e lei nel frattempo chiacchierava. Di solito
di cose banali, delle lezioni, degli amici.
Severus la osservava. Sempre con
il suo sguardo impassibile, non la stava veramente a sentire, ma guardava il
suo sorriso, la luce nei suoi occhi, i suoi movimenti. Non era davvero
interessato alla vita della ragazzina, ma non aveva trovato motivo di
interromperla, all’inizio, così, con il tempo, era diventata un’abitudine anche
per lui.
Una volta finita la pausa,
entrambi ritornavano alle loro precedenti attività, fino all’ora del congedo.