TITOLO: Io e te per altri giorni
AUTORE: Marty.
SERIE: Happy Days
PARTE: 1/1
PAIRING: ArthurXRicky
RATING: songfic NC17.
DEDICHE: a Chicca, soprattutto la prima parte, per ringraziarla di aver letto “Socchiudere una porta” che è il prequel di questa!
A Mercedes, per i complimenti ^///^
E poi a Lucy, perché segue la mia produzione con affetto ed è una fanciulla dolcissima!
Infine, come sempre alla mia sis Silene, che condivide con me gioie, dolori e…un pizzico di magia ^^
E ovviamente alla mia kitsunina!
DISCLAIMERS: Non so chi abbia creato questi personaggi…ma li ho amati da impazzire quando li vedevo in TV…
NOTE: tra gli asterischi i flash back, in corsivo il testo della canzone, i cambi di POV sono segnalati
ARCHIVIO: non so se rientri in qualche archivio particolare…ma senz’altro la piazzerò nel mio BLOG appena nato!
^^
Eh, eh, pubblicità occulta…
Spero vi piaccia!
Marty
Io e te per altri giorni
di Marty
-parte prima- La festa di fine
anno
Musica.
Dolce, davvero dolce.
La sua ragazza era bellissima nel suo vestito d’organza color pesca, e
tutti gli sguardi dei suoi compagni erano carichi d’invidia.
I suoi anni da povero sfigatello erano finiti.
Ora se la cavava da solo, non aveva più bisogno del suo aiuto.
Il moro passò le dita fra i capelli.
Era dietro la porta, ma non sapeva se entrare o no.
Salutarlo, dirgli addio, e poi uscire senza voltarsi indietro. Questo doveva
fare.
Nessuno meritava una sola delle sue lacrime.
Men che meno quel ragazzino viziato e imbranato!
Scrollò le spalle, sistemò la sua fedele giacca di pelle scura e poi, con
passo deciso e sicuro, entrò nel salone.
Tutte le esponenti del sesso femminile si voltarono, iniziando a sbavare
svenire e gridare il suo nome.
Ma anche un paio d’occhi verdi si erano fissati su di lui per un istante.
E lui li aveva visti.
Non riusciva a crederci, ma li aveva visti.
E riconosciuti.
“Ehi, Fonzie, che ne dici se...”
“Non ho tempo per le tue stupide tirate, Ralph, scusami ma ho una vita da
cambiare” tagliò corto Arthur, allontanandosi a grandi passi dal meravigliato
ragazzone.
Cercò freneticamente di localizzare i capelli color carota del proprietario
dello sguardo incriminato.
Ma niente, sembrava sparito.
Allora si fermò, coprendosi la fronte con la mano.
Cosa diavolo stai facendo, Fonzie, si disse, guarda come ti sei ridotto…
E all’improvviso, eccolo.
Era lì.
Stava entrando in bagno, con una luce che gli faceva male in quelle iridi
che riuscivano sempre a riportargli il sole quando la maschera che indossava
diventava troppo pesante.
Dolore.
Negli occhi del ragazzo che amava c’era del dolore.
E questo non poteva accettarlo!
Non ora che aveva deciso di uscire dalla sua vita pur di non rovinargliela,
non ora che aveva deciso di accollarsela tutta da solo.
Ricky Cunningham doveva tornare a sorridere, subito!
E lasciando cadere la maschera da duro, che dal giorno successivo non gli
sarebbe più servita, varcò la soglia del suo destino.
Il ragazzo era lì, curvo in avanti, con i pugni stretti ai lati del lavabo.
Se non fosse stato assurdo, Arthur avrebbe giurato che si trovava sull’orlo
di una crisi di pianto.
Tirò il fiato e avvicinandosi lo colpì con un leggero pugno sulla testa.
“Ehi, Cunningham” lo chiamò con il suo solito tono strafottente.
“Non ora, Fonzie” la voce di Ricky era come spenta.
“Ricky…”ora era solo l’amico a parlare.
L’ultima difesa era caduta.
Gli appoggò una mano sulla spalla, preparandosi a rivelargli i suoi
sentimenti.
Ma Ricky si scansò di scatto.
“Non fare l’amicone con me, Arthur” disse con rabbia.
“Non ora che hai deciso di abbandonarmi!
La tua aria da duro dal cuore tenero non attacca!
Come l’hai capito?
Mi hai beccato a guardarti?
Hai scoperto che ho smesso di fare l’amore con Lorybeth?
Mi hai sentito mentre sospiravo il tuo nome?
Beh, è vero!” un singulto scosse la schiena dell’amico che ancora gli dava
le spalle.
“Mi sono innamorato di te…”
Arthur rimase immobile, pietrificato dalla portata di quelle parole.
Ricky lo amava…
Il suo Ricky lo amava…
Ma allora…
Non riusciva a parlare.
In un istante era tutto cambiato.
E aveva paura.
Il grande Fonzie, l’intrepido, l’impavido, il coraggioso e istintivo Fonzie
aveva paura di aprirsi all’imbranato per eccellenza.
Ma esitò un attimo di troppo.
Il rossino si voltò e con gli occhi lucidi gli sibilò “Cos’è, sei senza
parole?
Ti faccio così schifo che nemmeno riesci a dirmelo?
Lo so anch’io che mi sto rendendo ridicolo, so che il povero ingenuotto che
prima ti faceva sentire figo avere accanto adesso che te ne vai non ti serve
più…
Ma dovevo dirtelo, dovevo dirti quanto mi stai facendo male!
Perché non dirtelo e tenermelo dentro faceva ancora più male…”
Con queste ultime rancorose parole, Ricky si voltò nuovamente.
“Ora che ho vuotato il sacco e mi sono umiliato, per favore, puoi andart…”
Non riuscì a finire la frase.
Due braccia forti gli cingevano la vita, mentre un respiro caldo gli
sfiorava il collo, sotto il lobo, e una voce che a stento ricordava quella
dello spaccone ingellato ripeteva “Tu non ti rendi conto, Ricky, non sai quello
che vuol dire per me, io ti amo, per la miseria, ti amo da impazzire, ti amo da
tanto, troppo…
Non sopportavo di vederti con quella ragazza, sentivo un dolore nel petto
che non riuscivo ad accettare.
Io sono quello forte, quello che piuttosto che piegarsi preferisce
lasciarsi spezzare. Non potevo ridurmi uno straccio per amore!
Ma bada bene…” baciò la pelle candida della sua guancia, mentre il ragazzo
girava lentamente la testa per offrirgli le labbra “…Non te lo ripeterò tanto
presto, ne va della mia reputazione!”
Il primo sorriso dopo parecchi giorni illuminò il volto di Ricky, e le dita
grandi di Arthur tolsero i segni delle lacrime che, impietose, erano riuscite a
sgorgare nonostante gli sforzi fatti per trattenerle.
E finalmente le loro bocche s’incontrarono, liberando lungo le loro spine
dorsali una scarica elettrica che li rese immediatamente consci del fatto che
non avevano aspettato altro da tanto tempo. Le mani di Arthur s’insinuarono
sotto la camicia del rossino, mentre la sua lingua profanava l’umida prigione
che aveva rinchiuso i sentimenti del suo amore. Si incontrarono, si presero, si
lasciarono, le propaggini del loro desiderio si fusero intrecciando
indissolubilmente le loro vite.
Per svariati minuti il silenzio rotto dal loro respiro regnò nella stanza,
poi furono costretti a separarsi. Senza indugio, la bocca del moro iniziò ad
ispezionare il collo e la spalla (che nel frattempo aveva scoperto) del suo
compagno, liberando i bottoni dalle asole e assaggiando con i polpastrelli che
vibravano di aspettativa il petto pallido, e strofinò i capezzoli fino a
sentire il gemito scappare dalle labbra di Ricky.
“Così, piccolo” gli disse col fiato corto “Non preoccuparti degli
altri…pensa solo a noi due…credo che ce lo meritiamo…”
Intanto le mani di Arthur si erano protese verso il basso in un’ardente
carezza, quasi sorprendendosi per l’evidente erezione che tirava i pantaloni di
quello che aveva considerato un ragazzino fino a poco prima…
Però il rosso era stanco di fare la bella statuina, così inarcando il collo
si girò nell’abbraccio e spinse l’altro contro il muro piastrellato del bagno.
Senza smettere di baciarlo, affamato del sapore che aveva sempre
immaginato, gli fece scivolare dalle spalle il giubbotto di pelle, sfilandogli
poi la maglietta bianca e scendendo a baciargli la clavicola, lo sterno,
l’interno dell’avambraccio.
Sentiva le dita di Arthur serrarsi sui suoi glutei, per poi tornare ad
occuparsi della zip dei suoi pantaloni da sera.
Annaspò, sentendosi mancare l’aria, quando quelle dita sfiorarono la sua
virilità da cui solo il sottile cotone dei boxer le separava, e con urgenza
sbottonò i jeans aderenti permettendosi di toccare a sua volta il membro gonfio
del suo compagno.
L’ossigeno invase i suoi polmoni: Fonzie aveva smesso di baciare le sue
labbra per dedicarsi a lasciare una scia di saliva al centro del suo petto, che
sembrava delineare un percorso verso il suo basso ventre, che gli pulsava
dolorosamente. Quando il respiro del moro entrò nel suo ombelico, tutto il suo
essere si tese verso di lui, ritrovandosi poi avvolto dalla bocca che tutte le
ragazze della città sognavano di sentirsi addosso.
Ed era per lui, ora.
Era la sua la saliva che gli colava tra le cosce, era la sua la lingua che
lappava inesperta tutta la lunghezza del suo membro, era la sua cavità che
succhiava lenta in attesa di ricevere il suo seme.
Non dovette attendere molto, comunque.
Tanta era l’eccitazione dovuta ad una situazione anelata da troppo tempo
che dopo poco con un grido soffocato Ricky Cunningham gli si riversò in bocca.
E lui assaporò il frutto del suo amore con in cuore un senso di vittoria.
Risalì lungo i pettorali appena accennati del rossino per cercarne le
labbra, per fargli gustare il sapore della loro unione.
Indugiò a lungo in quel bacio, certo, lui non era ancora soddisfatto, ma
per ora gli bastava così.
Non voleva forzarlo.
Ma il rossino non si sentiva forzato, e così afferrò le sue mani
poggiandosele fermamente sul sedere.
Arthur smise di baciarlo per guardarlo interrogativamente.
Ricky sorrise e annuì.
“Va bene” disse “Voglio farlo, voglio essere tuo…e da oggi in poi lo sarò
per sempre.”
Il moro gli fece appoggiare i palmi contro il muro e stringere fra i denti
la sua giacca, per evitare che un suo grido potesse richiamare lì dentro
l’intero istituto.
Dopo averlo preparato per quanto possibile, lo penetrò con un’unica,
poderosa spinta.
Attese di sentire il corpo del suo amore ondeggiare verso di lui, e poi si
mosse all’unisono con lui, come un unico essere che ha avuto la fortuna di
ritrovare la parte che gli mancava.
E quando Ricky sentì il calore di Arthur spandersi dentro di lui, capì che
niente sarebbe stato come prima.
Un istante prima di uscire dal bagno, rivestiti e con le mani che
tremavano, i due si guardarono.
Fonzie sorrise.
“Aspettiamo” propose.
“Questa stupida città non è pronta ad un amore come il nostro.
Facciamolo crescere, vediamo se va, e poi decideremo cosa fare.
Che ne dici?”
Il rossino si disse d’accordo.
“Ma riuscirai a non saltarmi addosso?” chiese con un ghigno.
Il moro tirò fuori la sua aria strafottente e, sollevando i pollici,
rispose “Ehi!”
OWARI