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Autore: Niki_S    21/09/2013    0 recensioni
Non tutte le storie hanno un lieto fine, no? Ma non tutte le storie finiscono con il punto finale. E poi si sa che è sempre più importante il viaggio rispetto alla meta.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo IV - Piccolo Malato Non ho chiuso occhio tutta la notte, per colpa delle immagini che continuavano a riempirmi la testa. Ma, per mia sfortuna, non erano gli incubi a tormentarmi, erano solo ricordi. Maledetti ricordi, per quanto ci provi non li dimenticherò mai, rimarranno per sempre sospesi tra la bellezza di quel momento e la falsità di cui ora sono a conoscenza. Il giorno dopo quel caffè mi ero svegliato sullo stesso letto su cui sono ora e proprio come adesso avevo passato la notte tormentato dagli incubi e non riuscivo ad alzarmi. Solo che allora la causa non era della sofferenza psicologica, ma di un vero e proprio malessere fisico. Evidentemente passare tutto il pomeriggio con la neve sulla schiena non faceva molto bene. Mi ero svegliato con qualche linea di febbre e il mio primo pensiero non era stato sul mio malessere, ma sul fatto che dovevo dirlo ad Adam. Lo conoscevo da nemmeno un giorno e non facevo che pensare a lui. Ora mi chiedevo se anche lui si fosse perso a pensare a me o fosse stata tutta una farsa fin dall’inizio, ma non so se sapere la verità possa davvero aiutarmi. Mi rigiro nel letto, cercando di lottare con me stesso, con quella parte di me che continua a rivivere i momenti salienti della nostra relazione, perché ci sono state delle occasioni in cui mi era impossibile non amare Adam, lui era capace di… Di rendere la mia vita migliore, degna di essere vissuta, ed è stato questo il mio punto debole, permettermi di vivere la vita con lui, quando dovevo accettare la realtà. Mi premo il cuscino sul viso per soffocare la malinconia che sento crescere in me, perché non posso permettermi di stare così per lui! O forse sì. Forse ho bisogno di cedere, di lasciarmi cadere in un baratro oscuro pieno solo di rimpianto per un giorno, per riuscire ad accettare tutto questo, per chiarire a me stesso che no, non è colpa mia, nemmeno un po’, visto che ancora non ne sono sicuro. Sposto il cuscino e prendo un respiro fondo e sfido il mio stesso corpo, ignorando l’emicrania lancinante, il dolore al petto e mi alzo, diretto in bagno. C’è un posto dove so di potermi fermare, isolare dal mondo e pensare e basta, ricordare se voglio, ma comunque restare solo con me stesso. Mi spoglio senza nemmeno accorgermi dei miei movimenti, lasciando che tutto cada a terra e apro l’acqua, infilandomi sotto la doccia, ma non mi muovo nemmeno quando sento il getto gelido sulla pelle, è un sollievo.




Fuori nevicava di nuovo e io, per quanto fossi sotto a tre strati di coperte, mi sentivo come se fossi in giardino in mutande. Continuavo a tremare e mi stringevo a me stesso come una pallina, cercando un minimo di calore, ma senza tanti risultati. Eppure, anche se stavo male, e ricordo che ero quasi convinto di essere in punto di morte, non riuscivo a smettere di pensare ad Adam, al suo sorriso e a quanto si sarebbe sentito in colpa appena avesse scoperto che stavo male. Ovviamente davo per scontato che avesse una coscienza e la capacità di sentirsi in colpa, anche se ora ne dubito profondamente. Comunque quella mattina ci misi almeno mezz’ora a trovare il coraggio per sottrarre un braccio al calore delle coperte per prendere il telefono e tornare a nascondermi in quella sottospecie di tana tiepida. E altrettanto tempo mi ci volle per decidere cosa scrivere. Mio padre mi dice sempre che sono peggio di una femminuccia e ora che ripenso a com’ero un anno fa per lui penso che avesse ragione, visto che continuavo a scrivere e cancellare, esitando fino all’ultimo. Alla fine il messaggio che inviai fu per errore, perché non ero riuscito ad annullarlo in tempo.
-Ciao, spero di non svegliarti, ma volevo ringraziarti per il caffè :) -
Mi ci erano voluti dieci minuti solo per decidere se non mettere la faccina e non mi ero nemmeno accorto che erano le dieci del mattino, quindi lui era senza ombra di dubbio a scuola, non a letto come me. In quel momento non ci avevo pensato, ma i miei genitori non erano mai venuti a controllare come mai non fossi a scuola, era passata la cameriera per sistemare la mia stanza e quando mi aveva visto si era scusata ed era uscita. Forse era per questo che avevo scritto ad Adam, perché nonostante lui fosse un completo sconosciuto sembrava l’unico che si preoccupava realmente per me, per la mia salute. E questo non lo posso negare neanche ora, aveva sempre sprecato un minuto del suo tempo per assicurarsi che stessi bene, era solo da quando si era trasferito che quel minuto era diventato tutto il tempo in cui parlavamo. Comunque quella mattina la sua risposta fu quasi istantanea, come se avesse il telefono in mano in attesa di un mio messaggio, o forse stava per scrivermene uno lui, o stava parlando con qualcun altro, ma io speravo nelle prime due.
- Mi sa che tu invece ti sei appena svegliato, mentre io sono a scuola già da un po’! Non è che per caso il mio caffè non è stato sufficiente per prevenire qualsiasi malessere derivato dal nostro piccolo incidente?? –
Ero rimasto affascinato dal suo modo di scrivere, molto intellettuale, come avevo sempre cercato di essere io, anche se nelle condizioni in cui ero mi ci vollero diversi tentativi per tradurre le sue parole.
- Temo proprio di sì, a meno che i brividi e il freddo siano dovuti da altro… -
Come un ragazzino di dodici anni che pensava solo al sesso aggiunsi mentalmente che volevo che quei brividi fosse lui a causarmeli.
- Oddio, mi dispiace! Vorrei poter essere lì per scaldarti, ma questa scuola non è tanto diversa da una prigione! –
Voleva essere con me! Dal mio punto di vista si era praticamente offerto di prendersi cura di me e nessuno l’aveva mai fatto, era una proposta così inaspettata ma gradita che sentii già un po’ di calore invadermi.
- Non preoccuparti, non è nulla di che, magari è solo una febbre stagionale che già covavo, magari non è colpa tua… -
Me ne stavo avvolto tra le coperte, affondato tra i cuscini e con il telefono in mano, mentre il sorriso sulle mie labbra non faceva che diventare sempre più grande e non potevo farci nulla. Non che volessi, qualcuno sembrava mostrare sincero interesse per me e io me lo stavo godendo, volevo che venisse lì, che si sedesse sul letto con me, volevo fare il malato. Parlammo ancora per diverse ore, probabilmente per tutta la mattina, e mi costrinsi anche ad ignorare il sonno che mi stava assalendo, troppo concentrato sui nostri commenti sulla scuola, i professori e gli stereotipi del mondo in cui eravamo cresciuti. Mi disse che anche lui, come me, non aveva mai avuto dei genitori molto presenti e doveva sempre prendersi cura di se stesso. Pensai che forse era per questo che si stava preoccupando per me, perché sapeva quanto fosse dura stare soli e sorrisi ancora di più. Quando lui mi disse che le lezioni erano finite la mia lotta con il sonno stava diventando sempre più insostenibile e probabilmente gli risposi che già ero nel mondo dei sogni, ma lo avvisai che mi stavo addormentando e so che sentii il cellulare vibrare dalla sua risposta, ma non avevo forza di restare ancora sveglio.




L’acqua scivola lenta sul mio corpo e mi sento senza forza, come se fosse solo l’inerzia a tenermi in piedi, toppo faticoso anche lasciarsi andare. Non so quando mi sono innamorato di Adam, non so nemmeno se quello che provavo, perché devo smettere di provare qualcosa per lui, si poteva chiamare amore. Ma se devo indicare un momento in cui ho seriamente iniziato ad avere qualcosa di più di una cotta per lui è stato in quel giorno, quando non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto. Dopo il mio pisolino aprii gli occhi e vidi il suo viso, accanto al mio e con un piccolo sorriso sulle labbra, un’immagine che anche ora mi stringe lo stomaco. Sì, è stato allora che ho deciso di volerlo nella mia vita, in un modo o nell’altro.
   
 
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