Il quinto anno iniziò in maniera
particolare.
Sara si sentì strana al pensiero
che Severus avrebbe insegnato Difesa Contro le Arti Oscure e non Pozioni. Anche
il cambio di ufficio la fece rimanere perplessa.
Lei vedeva Severus perfetto per
l’oscurità un po’ tetra dei sotterranei, per la calma fredda che i barattoli di
ingredienti di pozioni sembravano emanare.
La prima volta che mise piede nel
suo nuovo ufficio, rimase altamente disturbata dalla finestra, che lasciava
entrare i raggi del sole rendendo inutile l’utilizzo della torcia.
“Questo posto è strano.” gli
disse, come prima cosa.
“Ti abituerai.”
“E tu, ti sei già abituato? So
che ti è dispiaciuto lasciare il tuo vecchio ufficio.”
Severus alzò un sopracciglio.
“Come fai ad esserne sicura?”
“Ti conosco.” rispose lei,
sorridendo e sedendosi dall’altro lato della scrivania.
L’espressione di Severus si fece
sarcastica.
“Oh, so che non mi credi, ma è
così. Io so che tu adori la penombra, che le pozioni ti fanno sentire
tranquillo perché sono un lavoro dove è richiesta la massima precisione. So che
ami leggere alla luce fredda del fuoco blu e che ti piace ricontrollare ogni
giorno l’ordine degli ingredienti sugli scaffali.”
L’uomo rimase abbastanza colpito
da quel discorso.
“E come fai a sapere tutte queste
cose?”
“Ti osservo.”
Sara sorrideva serena, tuttavia
quelle parole ebbero il potere di turbare profondamente Severus.
In ogni caso, la ragazza si
limitò a fare i compiti come al solito e a gustarsi il suo the con i
Cioccocalderoni. In fin dei conti, Severus non poté dirsi dispiaciuto dalla sua
presenza. Ci aveva fatto l’abitudine, ormai; era diventata un po’ una costante
nella sua vita.
***
Sara stava male.
Esternamente rideva e scherzava e
sembrava sempre la stessa, ma dentro era una sofferenza continua.
Amava Severus Piton. Di questo
era assolutamente certa. I suoi compagni la prendevano sempre in giro per
quella che credevano una cotta, ma lei avrebbe davvero voluto essere qualcosa
di più per Severus e, ogni volta, stava male al pensiero che l’uomo potesse non
vederla in quel modo.
Lei ce la metteva tutta, davvero.
Aveva iniziato ad osare un po’, ad esempio rimanendo con la piuma in bocca a
fissarlo finché lui non alzava lo sguardo da qualsiasi cosa stesse facendo.
“Che fai?” chiedeva sempre.
“Ti osservo. Sei bello.”
rispondeva lei, e Severus alzava gli occhi al cielo e borbottava qualcosa come
“Se stai cercando di farti alzare i voti, non è la strategia giusta, anzi.
Dovrei togliere dieci punti a Grifondoro per la tua sfacciataggine…”
In ogni caso, non veniva mai
presa sul serio.
Dall’altra parte, invece,
sembrava che i ragazzi avessero iniziato a notarla. O meglio, un solo ragazzo:
Colin Canon.
Loro erano sempre stati amici,
lui sapeva della sua cotta per Severus: anche per questo, Sara non sapeva come
fare, come gestire la cosa. Lui cercava di restare da solo con lei, di farla
ridere, di abbracciarla o toccarla in ogni modo, facendo passare ogni suo gesto
per pura amicizia. Lei cercava di mettere dei paletti, senza successo.
Una volta, dopo che lui l’aveva
tenuta stretta a sé in un abbraccio decisamente troppo lungo, con la scusa che
l’aveva incontrata per caso in mezzo al corridoio e che era felice di
rivederla, lei si mise a ridere, nervosamente.
“Sai, Colin, un giorni di questi
penserò che tu ti sia innamorato di me, se continui così!” aveva esclamato,
cercando di sdrammatizzare e di avvertirlo allo stesso tempo.
Colin, però, le aveva fatto un
sorriso dolce e le aveva sfiorato la guancia.
“Beh, e se anche fosse?” aveva
chiesto, con un tono di voce basso e profonda.
Lei era andata in panico.
Fortunatamente era stata salvata da Ginny, che li aveva visti e che aveva
agitato la mano dal fondo del corridoio.
“Ehm… Oh… Ginny, ciao!”
Aveva lasciato Colin sulle spine,
lo sapeva, ma allo stesso modo sapeva che un rifiuto netto avrebbe compromesso
irrimediabilmente la loro amicizia. Sperava che lui capisse che non era il caso
d’insistere.
***
Dopo le vacanze di Natale,
Severus la informò che non doveva più venire da lei il lunedì pomeriggio, dato
che sarebbe stato occupato a fare altro. Non scese nei particolari neppure
quando lei glielo chiese, così ipotizzò che fossero affari dell’Ordine e si
arrese, sentendosi però parecchio delusa sia dal fatto di non poterlo vedere,
sia dall’indifferenza quasi totale con cui lui le aveva comunicato la cosa.
Come se gli fosse indifferente quella routine che, negli anni, avevano
stabilito.
Certo, era già capitato altre
volte che non si potessero vedere – o erano malati o il professore non c’era,
soprattutto durante gli ultimi due anni – ma erano stati eventi sporadici, non
premeditati. Invece, in quel caso, si trattava proprio di un’imposizione netta
e continuata nel tempo.
Il primo lunedì dopo le vacanze,
allora, non sapendo che fare, Sara iniziò a vagare per il castello.
Era salita sempre più in alto, superando
addirittura la torre di Divinazione, chiedendosi dove sarebbe arrivata, se ci
fosse una soffitta o un qualcosa di simile in una delle torri non utilizzate
del castello, quando incontrò Silente.
L’uomo aveva le mani incrociate
dietro la schiena e fischiettava allegramente, osservando fuori da una delle
finestre che si aprivano su quel corridoio.
“Preside!” esclamò, prima di
pensare che, forse, lui non voleva essere disturbato.
Silente, comunque, non smise di
sorridere, ma si voltò dalla sua parte.
“Ah! Signorina Moon! Che ci fa in
giro in questo posto così poco conosciuto?”
“Ehm, io… Camminavo…”
“Non è dal professor Piton?”
“Beh, ecco… Aveva da fare…”
Il tono era decisamente
abbattuto. Silente sorrise, con una strana luce negli occhi.
“Oh, giusto… È lunedì, vero? Non
si preoccupi, sono faccende dell’Ordine.”
“Ah.”.
Adesso era sorpresa: come mai
Silente parlava in tutta tranquillità dell’Ordine della Fenice?
“So cosa ti stai chiedendo. So
che sei sorpresa, ma so anche che sei già venuta a conoscenza dell’Ordine per….
Uhm… Vie traverse? E so anche che sei interessata a farne parte…”
“Sì!” esclamò Sara “Sì, sono
interessata! Professor Silente, che devo fare?”
“Ah… Mia cara ragazza… Ammiro il
tuo entusiasmo. Tuttavia, non ammettiamo membri minorenni… Né chi non ha
concluso gli studi. Questo” aggiunse Silente, osservandola al di sopra degli
occhiali a mezzaluna “Perché dobbiamo essere assolutamente sicuri che le
persone sappiano quantomeno difendersi. E serve un’educazione di base. Capisci,
vero?”
La bolla d’entusiasmo si era
sgonfiata rapidamente come era nata, ma la ragazza percepì comunque un
interessamento da parte del preside. Forse c’era speranza.
“Sì, lo capisco. Mi impegnerò,
professor Silente, glielo giuro. E, una volta finita Hogwarts, sarò pronta a
schierarmi al suo fianco.”
“Benissimo, allora.” rispose
l’uomo, sorridendo “Confido anche che non faccia parola con nessuno della
nostra chiacchierata…”
“Chiacchierata? Quale
chiacchierata?”
“Aaaah… Ottimo, ottimo.”
Silente aveva ripreso ad
osservare fuori dalla finestra. Sara era rimasta lì, ad osservarlo, senza
sapere bene che dire o se andarsene. Alla fine, dopo essersi torturata per un
po’ il labbro inferiore, le parole uscirono da sole.
“Professore…”
“Sì, signorina Moon?”
“… Io tengo molto al professor
Piton.” disse, a voce bassa, le guance che si erano imporporate per la
vergogna. Non sapeva come mettere la questione, ma credeva che i suoi
sentimenti per Severus fossero noti al preside e che lui li approvasse,
persino. Non sapeva come: era una sensazione che sentiva “a pelle”.
Silente sorrise.
“Questa è proprio una bella
cosa.”
“Io…”
“Mi sono ricordato di avere un
impegno. Mi scusi, signorina Moon, ma non posso più rimanere con lei a parlare
amichevolmente… Un’altra volta?”
“Oh… Sì… Un’altra volta, certo.”
Sara era confusa e anche un po’
delusa. Sembrava che il professore volesse defilarsi, ma non ne capiva il
motivo.
Alla fine, dopo qualche minuto,
la ragazza decise di tornare nella torre di Grifondoro.
***
Il giorno dopo, Silente decise di
andare a trovare Severus Piton per un the.
Ovviamente, nello studio era
presente anche Sara, che stava finendo un tema di Erbologia.
La ragazza parve sinceramente
stupita di vederlo lì.
“Buon pomeriggio… Signorina Moon…
Severus… Disturbo?”
“Albus… Non sapevo che saresti
venuto.”
“Oh, non importa, non importa…
Giravo solo un po’ per il castello, ho pensato di controllare che la nostra
studentessa si facesse ancora aiutare da te… In effetti è curioso come questa
specie di legame sia cresciuto negli anni, non trovate?”
Sara arrossì, ma non disse niente
e cercò di far finta di niente. Perché il professor Silente era venuto lì?
Severus strinse un po’ le labbra,
chiedendosi la stessa cosa, però rimase impassibile.
“… Vado a preparare il the.”
Nella stanza rimasero solo Silente
e Sara.
Lui fece comparire una comoda
poltrona, si sedette, la guardò e le fece l’occhiolino. Lei non sapeva che
dire.
Fortunatamente Severus ritornò
pochi minuti dopo, facendo levitare con la magia le tazze e il solito vassoio
di Cioccocalderoni.
“Oh! Dolcetti!” esclamò il
preside, battendo le mani. Tutto contento, prese un biscotto e lo immerse nel
the, prima di mangiarselo.
Per un po’ fecero merenda in
silenzio, poi Silente disse: “Severus, non trovi anche tu che la signorina Moon
sia una brava studentessa?”
L’uomo osservò il preside come se
volesse capire dove stava andando a parare.
“È diligente, sì.”
“Ed è anche una bella ragazza,
non trovi?”
Sara quasi si strozzò con il the,
diventando paonazza. Ma che stava facendo quell’uomo?!
Probabilmente era la stessa cosa
che stava pensando Severus.
“Non posso mostrare alcuna
preferenza per i miei studenti, Albus, lo sai meglio di me.” rispose, come a
dire “Non ti azzardare più neanche per sbaglio.”
“Suvvia, Severus, avere
preferenze è normale. Certo, non è professionale…
Però vedo che hai instaurato proprio un bel legame con la signorina Moon. Non è
così?”
Silente si era rivolto a lei, che
si guardò intorno, allarmata.
“Ehm… Sì…” pigolò, cercando di
scomparire ma con scarsi risultati.
“Ti assicuro, Albus, che sono
stato sempre più che professionale nel valutarla.”
“Oh, non lo metto in dubbio. Ma
adesso stiamo parlando di altro, no? Di rapporti umani…”
“In realtà” rispose Severus,
alzandosi e fulminando l’uomo con lo sguardo “Non stiamo parlando proprio di
niente.”
Silente sostenne il suo sguardo
per qualche istante, poi sospirò e si alzò, facendo scomparire la poltrona.
“Beh, io vado. Buon proseguimento
di giornata… Signorina Moon…”
Il preside uscì così in fretta
che Sara ancora non sembrava essersi conto di nulla. Era rossissima in faccia,
con la bocca spalancata e continuava a fissare la porta. Qualche secondo dopo
l’uscita in scena di Silente, scattò, come una molla.
Non aveva il coraggio di guardare
il professor Piton in faccia, così si limitò a raccogliere in fretta e furia la
sua roba e a mormorare dei saluti, prima di uscire dall’ufficio.
Corse per i corridoi finché non
ritrovò Silente.
“Professore!” esclamò, vedendolo.
L’uomo si girò a guardarla, sorridendo, mentre lei cercava di riprendere fiato.
“Mi dica, signorina Moon.”
“Ecco… Io…”
All’improvviso, lei si sentì di
nuovo timida e impacciata. Chiuse gli occhi, inspirò e cercò di calmarsi.
“Allora va bene?” chiese infine.
“Cosa, signorina Moon?”
Lei lo guardò dritto negli occhi,
scoprendo di essere più determinata che mai.
“Va bene, se mi sono innamorata
del professor Piton?”
Silente continuava a sorridere,
benevolo.
“Io credo che il professor Piton,
più di molti altri, meriti l’amore. Ma questa è una cosa che deve rimanere fra
me e te…”
Sara annuì.
“Quindi… Credo proprio che
tornerò nel mio studio a sbrigare tutte le faccende da preside che mi
competono… Povero me, l’età avanza e non ho più l’energia per certe cose!”
Silente si allontanò lungo il
corridoio.
La ragazza avrebbe voluto
fermarlo, avrebbe voluto chiedergli spiegazioni sulla frase che aveva detto
prima. Ma, per il momento, riusciva a pensare solo ad una cosa: Silente le
aveva dato la sua benedizione. In maniera implicita, forse, ma l’aveva fatto.
E lei non poteva essere più
felice.
***
Per tutta la serata, Sara parve
essere nel mondo delle nuvole.
Ad un certo punto, Ginny ebbe il
buon senso di chiederle cosa avesse.
“Sono solo felice. Ecco… Silente…
Lui appoggia i miei sentimenti.”
“Che sentimenti?” si intromise
Colin, mettendole un braccio attorno alle spalle. Erano seduti tutti e te su un
divano, in Sala Comune, e quel gesto a Sara sembrò fin troppo confidenziale.
Forse quello era il momento per chiarire tutto.
“I miei sentimenti per Severus.”
I due amici la guardarono con
occhi sgranati.
“Sara, non puoi parlare
seriamente… Ancora con quella cotta…” disse Ginny.
“E invece parlo molto seriamente,
Ginny. Io non ho una cotta per Severus… Io ne sono innamorata.”
A quelle parole, Colin si
rabbuiò. Si alzò dal divano e si diresse fuori dalla Sala Comune. Sara, ormai
conscia che era giunto il momento di affrontare la situazione, dopo aver scambiato
una breve occhiata nervosa con Ginny, lo seguì.
Lo trovò nella prima aula vuota.
Aveva i pugni serrati e le dava le spalle, guardando fuori dalla finestra.
“Colin.” lo chiamò lei, piano.
“No.”
Il ragazzo si girò e lei vide la
rabbia sul suo volto. Si avvicinò, fino a che non rimasero cinque centimetri
scarsi a dividerli.
“Come puoi dire di amarlo? Come
puoi… Tu meriti di meglio!”
Ora la rabbia aveva lasciato il
posto al dolore. Sara sapeva che era arrivato il momento di mettere le cose in
chiaro.
“Colin… Senti… In questi mesi ho
fatto finta di niente perché non volevo rovinare…”
“Non dire che non volevi rovinare
il nostro rapporto!”
“Ma è così! Io non provo le stesse
cose che provi tu. Io non sono innamorata di te, Colin!”
“Puoi anche non amarmi, ma di
sicuro non puoi stare con Piton!”
Stavolta fu lei ad arrabbiarsi.
“E chi lo dice cosa posso o non
posso fare?!”
Colin si allontanò, visibilmente
ferito.
“Lui… Lui è un insegnante, tu… È
sempre così chiuso ed è cattivo con i
Griondoro… Non capisco cosa… Non puoi davvero…”
“Colin.” lo richiamò lei,
dispiaciuta di aver urlato. Si avvicinò e gli poggiò una mano sul braccio.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero
non poter ricambiare i tuoi sentimenti. Ma…”
Avvenne tutto in fretta: lui si
girò e l’afferrò per le braccia, prima di chinarsi e baciarla. Per il primo
istante, Sara rimase impietrita, incredula. Non sapeva come reagire. Poi Colin
tentò di forzarle le labbra con la lingua, così lei si divincolò e lo spinse
via.
Non si era nemmeno accorta delle
lacrime, che avevano iniziato a rigarle le guance.
“Cosa… Io… Mi spiace, Sara…”
Lei non rimase ad ascoltarlo:
corse via, via da quell’aula e via da Colin.
Non poteva credere a quello che
lui aveva fatto. Non solo perché era stato il suo primo bacio, e lei non
avrebbe mai voluto darlo così, ma anche e soprattutto perché credeva di
conoscerlo… Si fidava di lui. Ma lui
era andato troppo oltre, aveva superato un confine che non avrebbe mai dovuto
varcare e, soprattutto, l’aveva fatto con la forza.
Tornò nella torre di Grifondoro e
si chiuse in dormitorio, e a nulla valsero le sollecitazioni di Ginny per farsi
raccontare l’accaduto. Pianse per parecchio tempo, finché non si addormentò,
esausta.
***
Aveva deciso di non perdonare
Colin, non per il momento, ma, tutto sommato, era bastata una notte per
ritrovare l’equilibrio e per far ordine nei propri sentimenti.
Il ragazzo aveva cercato di
scusarsi con lei, ma Sara aveva continuato a camminare senza ascoltarlo. Ginny
era rimasta indietro, sicuramente per farsi raccontare l’accaduto, mentre lei
rimuginava sul fatto che gli avrebbe tenuto il muso per un po’, per poi
permettersi di scusarsi. Comunque, avrebbe messo dei paletti ben fermi alla
loro amicizia. Gli voleva bene, dopo tutti gli anni passati insieme, ma
purtroppo il suo cuore batteva per una sola persona.
Severus.
Aveva deciso che, quel
pomeriggio, gli avrebbe parlato. Gli avrebbe detto tutto ciò che provava, anche
se ciò avrebbe significato un cambiamento nel loro rapporto. In peggio,
ovviamente: non credeva che l’uomo avrebbe accolto in modo entusiasta la
dichiarazione.
Fu con uno spirito diverso,
quindi; con le gambe tremanti e con il battito accelerato, che si presentò
fuori dall’ufficio del professore quel pomeriggio.
All’inizio non riuscì a
spiccicare parola. Si mise a fare i compiti, come al solito, ma non era
concentrata. Severus andò a preparare il the e lei entrò in panico.
Dopo che ebbe giocato per più di
dieci minuti con il suo Cioccocalderone, il professore decise che ne aveva
abbastanza.
“C’è qualcosa che ti turba?” le
chiese.
Lei sobbalzò, come se fosse stata
punta.
“Cosa? No, ecco… Io…”
“Non mi inganni.”
Sara fece un respiro profondo:
era giunto il momento.
“Io… Mi sono innamorata di te.”
Quando trovò il coraggio di
rialzare lo sguardo, vide che Severus era tornato a correggere un tema, in
tutta tranquillità.
“Severus…” iniziò, incerta su
cosa dire.
L’uomo si fermò per un momento
con la piuma a mezz’aria, poi, lentamente, l’abbassò.
“No.” disse solo.
“Severus…”
“Ho detto di no. Non esiste.”
Ora il professore la stava
guardando negli occhi.
“Ma io…”
“Togliti dalla testa questa
stupida cotta adolescenziale e torna ad essere una ragazza normale.”
“Ma io…”
“Non voglio sentire storie.”
Sara si alzò, rovesciando la
sedia. Era arrabbiata, ma non sapeva spiegare come mai era scattata così: forse
era il suo rifiuto netto, il suo non volerla ascoltare a tutti i costi.
Batté le mani sulla scrivania.
“Non m’interessa se tu non mi vedi
in quel modo, era una cosa che già sapevo e avevo preventivato, ma non puoi
sminuire così i miei sentimenti! Non puoi davvero pensare che sia solo una
cotta, non puoi essere convinto che un’adolescente non sappia amare!”
Per un momento, un breve, brevissimo
momento, a Sara sembrò di scorgere qualcosa di diverso dalla solita aria neutra
dietro agli occhi di Severus. In ogni caso, era così arrabbiata che radunò in
fretta e furia le sue cose e fuggì letteralmente via dall’ufficio.
Non aveva voglia di tornare nella
Sala Comune. Vagò finché non trovò quello che doveva essere un appartamento,
nella Torre Ovest. Si lasciò cadere sul divano color crema, esausta, mentre le
lacrime iniziavano a bagnarle il viso.
Non era più arrabbiata: era
ferita, delusa, svuotata. Pianse finché non si addormentò, dimenticandosi
persino della cena.
***
Tornò.
Con il senno di poi, si rese
conto che la sua reazione era stata decisamente esagerata.
Non aveva nessun motivo per
evitare il professor Piton.
Severus, si corresse mentalmente. Il fatto che non lo avesse
chiamato per nome denotava il suo nervosismo, che si sforzava di nascondere
dietro una corazza di impassibilità.
Lui la accolse come sempre, lei
lo salutò e poi si mise a fare i compiti. Come sempre.
Fecero merenda con the e biscotti,
poi lei riprese a studiare e lui a leggere.
Poco prima di andarsene,
comunque, Sara insistette. Voleva che lui quantomeno accettasse le sue parole.
“Severus, so che non mi credi,
perciò continuerò a ripeterlo, ogni giorno. Mi sono innamorata di te.”
L’uomo l’aveva guardata, aveva
scosso la testa ed era tornato al suo libro.
Lei se n’era andata, ma era
tornata il giorno dopo. E quello dopo ancora, e anche il successivo.
Fino alla fine dell’anno.
***
Il mondo si era appena
rovesciato, era crollato e si era rigirato su sé stesso.
Silente era morto. Ed era stato
Severus Piton ad ucciderlo.
Sara non aveva dubitato neanche
per un secondo delle parole di Harry. Sapeva che, a prescindere dall’odio che
il ragazzo aveva nei suoi confronti, lui era una persona giusta.
Ma sapeva che anche Severus era
una persona giusta.
Assassino, dicevano tutti.
Forse un tempo, pensava lei.
Ma non ora. No, Sara conosceva Severus. Certo, c’era sempre
quella parte di lui nascosta e non visibile, ma sapeva a cosa associare le espressioni
del suo viso, quando una smorfia celava un complimento e quando invece prendeva
in giro la gente.
Sara lo sapeva. Ne era
perdutamente innamorata, ma ciò non sminuiva l’obiettività della sua
conoscenza. Non poteva davvero…
“Io te l’avevo detto.”
Ginny aveva usato un tono duro,
eppure i suoi occhi erano lucidi. Come se avesse voluto sbagliarsi, davvero.
“No.” rispose lei, senza neppure
alzare la voce.
“Sara…”
“No.”
Colin era seduto dall’altro lato
di Ginny e le osservava, preoccupato. Lei sapeva che era diviso fra il
dispiacere per lei e la speranza che questa fosse la volta buona che se lo
levasse dalla testa. Dopotutto, provava ancora qualcosa per lei.
“Non puoi negare che…”
“No.” ripeté ancora, stavolta più
forte. Si alzò dal divano.
“Non negherò ciò che ha fatto,
Ginevra.” disse, il tono calmo nonostante la rabbia che sentiva dentro “Ma non
mi farai mai, mai, mai ammettere che
Severus è un Mangiamorte. Non m’importa ciò che pensi. Non m’importa ciò che
pensate tutti. Preferisco credere che tutto sia stato addirittura deciso da
Silente in persona… Non smetterò mai
di avere fiducia in Severus.”
Anche Ginny si alzò,
improvvisamente furente.
“Come puoi dire una cosa simile?!
Come puoi negare l’evidenza?! Lui ha venduto i Potter al Signore Oscuro, gli ha
rivelato la profezia! Come osi dire
che Silente…!”
“SEI TU CHE OSI!”
Ginny rimase a bocca aperta di
fronte alle urla dell’amica. Non se le aspettava.
“Cosa…?” fece per chiedere, ma
Sara l’anticipò.
“Tu osi dubitare di Silente e
della fiducia che aveva in Severus! Stai facendo passare il genio che era per
un mentecatto! E io ne ho abbastanza!”
Furiosa, la ragazza uscì dalla
Sala Comune e iniziò a girare per il castello, senza una meta precisa. Le
lacrime cadevano lungo le guance ed erano bollenti; bruciavano quasi come il
suo cuore ferito.
Sapeva che, dopo quelle parole,
Ginny non l’avrebbe più perdonata. Forse nemmeno Colin, ma in questo momento
Sara non voleva pensare a lui.
Sarebbe rimasta sola. Ma, in ogni
caso, non avrebbe mai smesso di credere in Severus Piton, nell’uomo che amava.