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Autore: LaGraziaViolenta    28/09/2013    6 recensioni
Stufi dei soliti cliché di Harry Potter? Annoiati marci dalle fantastiche avventure sentimental-sessuali di tre generazioni di Serpeverde? Vi sentite smarriti e frustrati di fronte a dei Grifondoro codardi e dei Corvonero dal QI in singola cifra?
Serena Latini è quello che fa per voi. Le avventure di una sfigata Tassorosso alle prese con incantesimi, fanfiction, pony, cucina inglese e delle sue relazioni coi figli dei personaggi che tanto abbiamo apprezzato.
Zuccherosità, storielle amorose e di amicizia, figure da quattro soldi e battute demenziali attendono una povera Tassorosso made in Italy.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Dove si scopre che la sorella di Chelsea è una piccola strega. La scoperta dell’acqua calda, insomma.


 

«… E così abbiamo parlato, ma parlato seriamente eh, tutti e tre, e Scorpius mi ha chiesto oh ma allora è vero che in Italia avete tutti i capelli scuri e io gli ho risposto no cioè sì scuri rispetto qui ma abbiamo anche i biondi anche se pochi perché siamo vicini alla Germania credo perché se vai in Sicilia di biondi non ne trovi però non lo so perché in Sicilia non sono mai stata e allora Albus ha detto…»
«Per Merlino, sopprimetemi» implorò Chelsea.
«… ha detto che in Sicilia ci vorrebbe andare e ha chiesto quali sono i dolci tipici e io ho detto la cassata e i cannoli però la cassata a me non piace e i cannoli si ma a volte ne trovi di buoni anche nelle bancarelle e non solo nelle pasticcerie e…»
«Serena» fece Jeanie. «O taci un momento oppure ti scaglio un Languelingua.»
Serrai immediatamente le labbra.
«Bene.» Jeanie raddrizzò la schiena e incrociò le braccia.
«Stavo per morire» grugnì Chelsea. «Ancora un po’ e avrei avuto bisogno di quel… Quel coso per l’orecchio… L’apparato sonoro, no… Per sentire… Apparato, apparecchio…»
«L’apparecchio acustico» la corresse Jeanie.
«Sì, quello!»
«Amplifon migliora la vita!» esclamai. Non riuscii a reprimere un sorriso a trentadue denti. «Posso ricom…»
«No!» Chelsea scattò in avanti. La sua mano grassoccia mi arrivò dritta sui denti e il dolore si propagò lungo le gengive e sulle labbra. Mugugnai e afferrai la sua mano, ma Chelsea la tenne premuta con forza sulla mia bocca.
«Serena, per il bene mio e tuo e nostro, se non vuoi pagare a tutta Hogwarts una fornitura di apparecchi sonori, taci.»
Mugugnai il mio consenso, ma credo che Chelsea non lo capì visto che non mi staccò la mano dalla bocca.
Sul viso di Jeanie comparve un sogghigno malvagio. «Piuttosto, ci sono novità.»
«Mfghmf.»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Chelsea, liberala.»
Chelsea mi tolse la mano di dosso. Decisi di fingermi offesa. Incrociai le braccia, sporsi il labbro in fuori e distanziai la sedia dal banco.
«È inutile che tu faccia il broncio con noi.» Jeanie sghignazzò e con l’indice si spinse gli occhiali alla base del naso. «Tra poco avrai dei motivi migliori per farlo.»
Chelsea arricciò il naso. «Che cattiva che sei, Jeanie Joy. La sua è stata una proposta gentile.»
Jeanie sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Ancora? Non potete chiamarmi semplicemente Jeanie, insomma?»
Iniziai ad essere curiosa. Il discorso però stava pericolosamente cambiando strada. Così le novità non sarebbero saltate fuori.
Tenni le braccia ancora incrociate, ma mi sporsi verso di loro. «E… Quindi?»
Jeanie sorrise e strinse le labbra. «La signorina Weasley Rose ha l’onore di invitare la signorina Latini Serena…»
Trattenni il fiato.
«… ad andare con lei nell’aula vuota del terzo piano ad imparare l’Incantesimo Rallentante.»
Mi crollò il mondo addosso.
«Un uccellino mi ha detto che non ci riesci» ridacchiò Jeanie.
Chelsea storse le labbra. «Ne sembri quasi compiaciuta.»
Jeanie scostò la treccia bionda dietro la spalle e accavallò le gambe. Era impossibile ignorare il suo sorriso soddisfatto.
Chelsea le lanciò un’occhiataccia. «Anzi, senza quasi. Sei compiaciuta.»
«Se lo merita, se avesse chiesto aiuto a me ora non sarebbe in questo guaio.»
Di scatto afferrai le mani di Jeanie. Erano gelate. «Amica mia, luce del mio cuore, mio barlume di speranza nell’oscurità, aiutami.»
Jeanie rise. «Troppo tardi.»
Per un momento valutai la possibilità di confessare a Jeanie, per recuperare consenso, di aver mandato a fanculo Rose Weasley in italiano. Il problema era che in quel momento Chelsea era presente. Poteva pensare che il mio vaffanculo a lezione fosse riferito anche a lei.
Be’, in effetti era riferito un po’ a tutto. Ma quel segreto sarebbe venuto con me nella tomba.
Perché poi non avrei più potuto mandare a fanculo la gente in italiano.
Salvarmi dalle ripetizioni e sacrificare il vaffanculo, o sacrificarmi con le ripetizioni e conservare il vaffanculo?
Ardua scelta.
«Andrai da lei» trillò Jeanie.
Il suo sorriso compiaciuto andava da un orecchio all’altro.
Decisi.
Strinsi più forte le mani fredde di Jeanie e le sorrisi. «Te c’hanno mai mannato a quer paese? Sapessi quanta gente che ce sta’…»
«Oh, questa non la conosco!» squittì Chelsea. «È babbana? In italiano babbano?»
«Er Primo Cittadino è amico mio, tu dije che te c’ho mannato io…»
Jeanie corrugò le sopracciglia bionde. «Non sono sicura che sia una serenata, sai, Chelsea…»
Ritrasse le mani. Io continuai a sorridere e sbattei le ciglia con l’aria più innocente possibile.
«Comunque Rose ti aspetta oggi a pranzo per metterti d’accordo. Dice che ti aiuta molto volentieri» fece Chelsea.
Oh, già. Me n’ero già scordata. La guardai implorante. «Non mi puoi aiutare tu?»
Chelsea mi guardò male.
Incassai la testa nelle spalle. «È che… Non lo devo imparare per forza… No?»
«Dai, Serena… La farà sentire meglio… Così si sentirà utile, no?»
Mi sentii crudele, malvagia e senza pietà. Rividi Rose a piangere in bagno. Di fianco a me, Jeanie si dondolava e sorrideva. Ci stava godendo, la fetente, ci stava godendo.
«E va, e va, va avanti tu che adesso c’ho da fa’…»
La sedia di Chelsea grattò contro il pavimento e lei si alzò. «Certo che potevi portare qualche Kinder, Serena.»
«Si dice “Kinder”, non “più gentile”.»
«Sì, quelli. Hai capito.» Chelsea si avvicinò alla finestra.
Jeanie continuava a sorridere. Si mise a dondolare un piede. «Osserva, Serena, come il senso di colpa porti Chelsea a una forma di ostracismo autonomo.»
Corrugai la fronte. «Senso di colpa per cosa?»
«Lei vuole aiutare Rose Weasley e costringe anche noi a fare le buone samaritane.»
«Oh.»
Riflettei. A me Rose Weasley non stava molto simpatica, è vero. Però vederla piangere in bagno non era stato un gran bello spettacolo. Cercai di immaginarla nella Carousel Boutique della Stanza delle Necessità. Avrei potuto truccarla e renderla bellissima come avevo fatto con Jeanie. Però mi sapeva di cosa molto privata. Probabilmente Rose non avrebbe capito il fascino della Carousel Boutique.
Ma Emo Rose non era poi questo granché. Forse aveva ragione Chelsea, risollevare un po’ la sua autostima facendola sentire utile sarebbe stata una buona azione. Una buona azione da scout, come i giovincelli con la divisa delle Giovani Marmotte che aiutano le vecchiette ad attraversare la strada.
Però se avessi accettato senza insistere con Jeanie forse lei avrebbe creduto che preferivo Rose?
E l’avevo pure mandata a quel paese. Anche se lei non lo sapeva. Il senso di colpa iniziò a serpeggiare nelle mie viscere.
Uno strillo mi fece sobbalzare.
Mi voltai verso Chelsea. Teneva le mani e il viso appiccicati alla finestra. Io e Jeanie ci scambiammo un’occhiata.
«Chelsea, tutto bene?»
«No! Qu-qu-quella strega
La voce acuta di Chelsea mi allarmò. Io e Jeanie ci guardammo ancora. Ci alzammo in piedi e andammo alla finestra.
Dall’aula dove eravamo si vedeva il campo da Quidditch. Nel prato c’erano due figure, una robusta con una sciarpa nera e blu e l’altra più minuta con una sciarpa rossa e gialla.
Strizzai gli occhi. La figura più piccola mi sembrava familiare, ma la cosa strana era che non era in divisa. Sembrava vestita di nero.
«Be’, sì, è una strega… Se no non sarebbe a Hogwarts, no?»
Chelsea si staccò dalla finestra e uscì dall’aula a passo di marcia.
«Chelsea!» Le corsi dietro.
«Dove vai?» fece Jeanie.
Chelsea continuò a marciare in corridoio e raggiunse le scale. Si aggrappò al corrimano e iniziò a scendere.
«Cosa ti prende?» chiesi.
«Quella è Candy» ringhiò Chelsea.
«Candy?» ripeté Jeanie. «E allora?»
Raggiungemmo la fine delle scale e riprendemmo a camminare nel corridoio. Chelsea già ansimava. «Come “e allora”? Era col battitore figo di Corvonero!»
«Oh.» Ripensai alle due figure. Era un’ipotesi plausibile. «E quindi?»
«E quindi!» ruggì Chelsea. «Ha quattordici anni! Che caspita combina con uno di diciassette? E non era neanche in divisa! Aveva addosso quella sua stupida tuta da ginnastica!»
Jeanie mi guardò e corrugò le sopracciglia in un’espressione interrogativa. Io mi strinsi nelle spalle.
«Chelsea, calmati» mormorai. «Non c’è niente di male se parlano… No?»
Chelsea era rossa come un peperone e ansimava per lo sforzo di camminare veloce. Visto il suo peso non c’era da sorprendersi.
Rimasi basita quando la vidi imboccare il portone d’ingresso.
«Pazza!» esclamò Jeanie. «È quasi dicembre, non penserai di uscire senza cappotto!»
Mi aggrappai al braccio di Chelsea e cercai di trattenerla. Puntai i piedi, ma Chelsea riuscì a trascinarmi verso l’ingresso. Jeanie le afferrò l’altro braccio. Chelsea si sporse in avanti e riuscì a trascinarci un passo dopo l’altro. Sembravamo un aratro attaccato a un bue.
«Ragiona!» fece Jeanie. «Non puoi uscire fuori con questo freddo senza niente addosso!»
«Candy sta solo parlando, non è in pericolo!» aggiunsi io. Trattenere Chelsea stava iniziando a farmi venire male alle braccia.
«Ed è fuori dal castello con addosso una tuta da ginnastica! A novembre!» ruggì Chelsea.
Chelsea sembrava avere la forza dell’incredibile Hulk. Non riuscii più a trattenerla. Il suo braccio sfuggì dalla mia presa. Spostai un piede indietro e rimasi in equilibrio. Chelsea ruzzolò in avanti e mulinò il braccio libero in aria, poi cadde a faccia in giù. Jeanie, ancora attaccata al suo braccio, cadde con lei.
Rimasi inorridita. Soffocai un grido e guardai le mie amiche a terra.
«Oh cielo! Scusatemi!»
Corsi da loro. Jeanie si aggrappò al mio braccio e l’aiutai a rialzarsi. Chelsea si tirò in piedi da sola e prima che potessimo trattenerla si fiondò fuori.
Appena misi il naso fuori dal castello ebbi la sensazione di trovarmi nel bel mezzo di una glaciazione. Io e Jeanie raggiungemmo Chelsea, l’erba che scricchiolava sotto le nostre scarpe nere.
«Tutto questo è assurdo, totalmente assurdo» squittì Jeanie. «Fuori! Quasi a dicembre! Senza cappotto!»
«Rientra» fece Chelsea, secca.
Mi aggrappai al maglione di Chelsea e le trotterellai dietro. «Non essere scortese con tua sorella, ti prego» la implorai. «Capisco la tua apprensione ma ti prego, stai tranquilla, non ti scaldare…»
Fui scossa da un brivido. C’era da battere i denti. Altro che scaldarsi.
Raggiungemmo il campo da Quidditch e imboccammo il corridoio che portava agli spogliatoi. In breve sbucammo sul prato all’interno dello stadio.
Vidi Candy. Indossava davvero una tuta da ginnastica nera come aveva detto Chelsea, più la sciarpa di Grifondoro e i capelli neri erano legati in una coda. Correva lungo il perimetro dello stadio a ritmo regolare. Di fianco a lei correva anche il battitore figo di Corvonero.
«Candice!» ruggì Chelsea. Candice ci guardò, poi si girò verso il battitore figo. Anche lui ci lanciò un’occhiata.
Continuarono il loro giro dello stadio finché non arrivarono da noi. Io stavo battendo i denti mentre il freddo mi penetrava nelle ossa.
Candice si fermò davanti a noi, continuando a saltare da un piede all’altro come se continuasse la corsa. Notai che anche per andare a correre si era messa un eyeliner talmente pesante da colorarle mezza palpebra. I nostri respiri si condensavano in nuvolette bianche.
«Chelsea» fece Candice. «Problemi?»
Mister Bicipite ci guardò interrogativo. Jeanie tese le mani verso di lui come se volesse prenderlo per un braccio, poi si ritrasse di scatto. Arrossì e mormorò: «Scusa il disturbo, credo che debbano parlare un momento.»
Il battitore guardò Chelsea e Candice, poi si voltò verso Jeanie. «Qualcosa non va?»
«Un momento» fece ancora Jeanie. «Puoi venire, per cortesia?» Si avviò dentro il corridoio e il battitore la seguì.
Mi voltai verso Jeanie, scomparsa nella penombra, poi verso Chelsea, poi di nuovo verso il corridoio.
Ricordai come Candice mi avesse aiutata con Cunningham.
Decisi di rimanere fuori.
«Che cazzo ci fai in tuta da ginnastica nel campo da Quidditch?»
«Quello che non fai tu, Chelsea» sbottò Candice. «Mi alleno.»
«Devi farti passare questi cazzo di grilli dalla tua testa bacata» ringhiò Chelsea.
«A te danno qualche problema i miei fottuti grilli?»
 Oh, in Italia sì che sapevamo bene cosa potevano combinare i grilli. Scossi il capo per scacciare il pensiero.
«Certo che mi danno problemi» fece Chelsea. «Ti sembra normale uscire in tuta da ginnastica a dicembre e girare come un’idiota per il campo da Quidditch?»
«Priscus lo fa.»
«Chi?»
«Priscus.»
«Chi?»
Da dietro le spalle di Chelsea agitai le braccia per attirare l’attenzione di Candice e feci segno di no con tutte le mie forze.
Candice alzò gli occhi al cielo. Continuava a ballonzolare da un piede all’altro. «Siamo solo amici, Chels, e ogni tanto ci alleniamo insieme. A proposito, stai interrompendo il mio allenamento con le tue fottute chiacchiere. Sarebbe il caso di levarsi dai coglioni, sai.»
«Non permetterti di parlare in questo modo a tua sorella, cazzo.»
«Minchia, dici a me, ma a te dovrebbero lavare la bocca con un fottuto sapone.»
«Cazzi miei, no?»
«Cazzi tuoi tanto quanto questi sono cazzi miei. A meno che tu non voglia allenarti con noi.»
«Le tue babbanate non mi interessano!» ringhiò Chelsea. «Devi levartele dalla testa una volta per tutte! Sei una strega, per Merlino!»
«Una fottutissima strega che un giorno farà saltare le tue chiappe obese, se non alzi il culo e non dimagrisci.»
Chelsea divenne talmente rossa che temetti stesse per scoppiare. «Ti ho già detto di non parlarmi in questo modo! Sono la tua sorella maggiore!»
Candice le fece la linguaccia. «Allora prendimi, sorella maggiore.»
Chelsea scattò in avanti ma con un balzo Candice scartò di lato e continuò a saltellare da un piede all’altro. Chelsea si lanciò un’altra volta su di lei.
Dirò la verità: fu una scena pietosa. Candice correva e Chelsea la inseguiva, poi Candice si fermava, lasciava che Chelsea imbufalita la assalisse, lei la scartava e riprendeva a correre.
Parlando di forma fisica come di taglia la differenza tra le due era abissale.
A metà campo da Quidditch Chelsea si piegò e appoggiò le mani sulle ginocchia, ansimando. Il viso era rossissimo e dalle sue tempie gocciolava sudore. Una calza le era caduta ed ora era arrotolata sulla caviglia.
«Forza, Chels, siamo a metà giro. Già stanca?»
«Piccolo de… monio… Va… all’inf… erno…»
«Se passo da quelle parti ci farò un pensiero.»
Mi si strinse il cuore a vedere Chelsea stremata. Mi avvicinai a lei e le posai una mano sulla spalla. La schiena era sudata e sotto le ascelle il maglione aveva delle chiazze scure. Sotto il palmo della mia mano il suo corpo sussultava ogni volta che inspirava.
«Era il riscaldamento, Chelsea!» Candice le mandò un bacio. Un secondo dopo piegò le gambe e si sbilanciò all’indietro. Per un istante fui presa dal terrore e lanciai un grido, ma Candice anziché cadere spiccò un salto, atterrò sulle mani e ricadde dall’altra parte, in piedi, diritta come un fuso e a braccia aperte.
Candice ci sorrise e riprese a saltare da un piede all’altro. «Io andrei, ora. Merda, avrò perso mezz’ora per starti dietro.»
«Tu e… le tue… boiate…»
«Si chiama flic flac, sorella maggiore.»
Credo che a quel punto l’umiliazione di Chelsea raggiunse il culmine. La sentii tremare, anche se sospetto che il freddo desse il suo contributo.
«Quando vuoi dimagrire seriamente fai un fischio, Chels.» Candice fece un cenno di saluto, ci diede le spalle e riprese a correre.
Sotto il mio mano sentii la schiena di Chelsea gonfiarsi. «Babbanate!» strillò con tutte le sue forze. Ma Candice era già distante.
  
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