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Autore: misslittlesun95    28/09/2013    1 recensioni
Viola ha 18 anni e una vita normale quando una sera sviene in un locale e si risveglia con una diagnosi di cancro al cervello che fa iniziare il suo primo giro all'inferno.
Unica speranza un delicatissimo intervento che per un periodo le farà perdere la possibilità di camminare.
Dopo un anno terribile la malattia è scomparsa e lei cammina, riprendendo tutto come prima.
A 23 anni però, di punto in bianco, lascia Parma e va a vivere a Torino, lontana da tutto e tutti, tagliando i ponti con la sua vecchia vita.
Sei mesi più tardi suo fratello si presenta alla sua porta, e la trova cambiata.
Il male è tornato, più forte di prima, e con lui l'inferno.
Da una parte la lotta a diciotto anni, dall'altra quella a ventitré, da una parte la famiglia e il ragazzo storico, Alberto, dall'altra lei sola con Ivan, l'oncologo che la segue e che di certo è più di un semplice amico.
Una sfida diversa ma uguale, un capitolo nel passato e uno nel presente, nella speranza di vincere di nuovo, questa volta per sempre.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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Parma 2008.


L'ambulanza era arrivata in pochi minuti, Viola era stata caricata ed in ospedale con lei era andato Alberto.
Nel locale, in quegli attimi, vi era stato un gran caos, e la cosa positiva era che tutto quello l'aveva causato la volontà degli altri presenti di dare una mano a quel gruppetto di ragazzi.
Gli altri amici di Viola erano andati a prendere la macchina per raggiungere il luogo dove stavano portando l'amica, tutti meno Francesca e Giacomo, che si erano subito diretti verso il paesino dove viveva l'amica.
Erano certi che Mauro fosse ancora a casa, dato che sarebbe dovuto andare a prendere la figlia molto più tardi, e non si sentivano di chiamarlo e dirgli tutto per telefono, per quanto sapevano che quell'andare e venire da Parma al paese e viceversa avrebbe di molto allungato i tempi.
Dopo neanche tre minuti di viaggio Francesca era scoppiata in lacrime, preoccupata per quello che era successo.
- Ho paura.- Aveva detto al fidanzato. - Prima l'ho detto scherzando, ma tutti sapete che è vero che lei è la mia migliore amica, e io non posso pensare di perderla. Sono spaventatissima, Jack.-
Il ragazzo aveva staccato un attimo un mano dal volante e aveva preso quella dell'innamorata, nel tentativo di rassicurarla. Lui si domandava solo se quei minuti che avevano passato a prenderla in giro per come parlava, credendo che stesse solo facendo la stupida, fossero potuti essere importanti per qualcosa, forse addirittura per salvarle la vita.
E il tempo, in quel momento, stava diventando proprio il suo principale nemico.
Si sentiva fortunato, non aveva bevuto e poteva per mettersi di andare un po' più veloce. Forse troppo veloce, ma in quel momento la strada su cui viaggiavano era vuota, e la preoccupazione per un'eventuale multa non lo sfiorava nemmeno.
Dovette comunque rallentare imboccando la strada che lo avrebbe portato fino a casa dell'amica, una strada stretta di collina e piena di curve.
Anche se con qualche difficoltà, ce la fece in tempi rapidi e appena giunto davanti al cancello che separava la strada dalla villetta iniziò a fare baccano con il clacson nella speranza di far uscire Mauro di casa più rapidamente.
Difatti tre minuti dopo il commissario era lì, incazzato nero per il casino.
- Mi spiegate che cazzo volete?- Aveva tuonato uscendo sulla strada, non potendo ovviamente immaginare ciò che stesse accadendo.
La macchina di Giacomo aveva i fanali accessi che puntavano dritti verso il cancello, e tra questo e l'auto stessa si trovava Francesca, con gli occhi lucidi ed un volto che non prometteva niente di buono.
Mauro la conosceva bene, lei e Viola erano cresciute insieme come fossero sorelle, e quel viso preoccupato e triste, insieme al fiuto di poliziotto e, sopratutto l'istinto di padre, gli fecero capire che sua figlia, in quel momento, non stava bene come quando l'aveva accompagnata a Parma tutta bella e raggiante poche ore prima.
- Vì si è sentita male, abbiamo chiamato un'ambulanza e l'hanno portata in ospedale. È successo più o meno una mezzora fa. Io non ho avuto il coraggio di chiamarti, dovevo dirtelo a voce. Scusami...- Aveva sussurrato la ragazza al padre dell'amica tra le lacrime che avevano iniziato a scendere di nuovo.
Mauro aveva tentato di mantenere la calma e le aveva detto di portarlo dalla giovane, che tutte le spiegazioni gliele avrebbe fornite con calma in auto mentre andavano.
Così si erano messi immediatamente in viaggio, e appena si era calmata Francesca aveva raccontato dell'afasia e dello svenimento.
- Siamo stati degli stupidi, non abbiamo capito subito quello che le stava accadendo.- Gli aveva detto facendo uscire per la prima volta quelli che erano i pensieri di Giacomo e, probabilmente, anche quelli degli altri amici, malgrado si trovassero a chilometri da lì.
- Non potevate immaginarlo, Francesca.- L'aveva subito tranquillizzata l'uomo. - Siete ragazzi, alla vostra età è normale fare cose sciocche come fingere di parlare male, non potevi sapere cosa ci fosse dietro, non hai colpe, nessuno di voi ne ha. Ora vedrai che andrà tutto bene, non sarà nulla di grave. Tu la vedi tutti i giorni proprio come me, ti è sembrato che stesse male, ultimamente?- Le aveva chiesto poi con una voce che era un misto tra una domanda retorica fatta per calmare e una domanda seria fatta per capire.
- Se devo dire il vero no, Mauro, non mi è mai parso stesse male. Ogni tanto era stanca, magari un po' di mal di testa. Ma come tutti gli anni ci siamo lasciati i compiti tutti per questo periodo e ci stiamo dando dentro, gli altri te lo possono confermare, e credevo che la causa fosse quella. Anche l'afasia, non ne ha mai avuta, che io ricordi, mai da quando è nata. -
Francesca provava a ricordare ogni minimo particolare degli ultimi giorni, dal Ferragosto passato sulla costa Adriatica ai pomeriggi di studio, ma non le veniva in mente nulla che poteva far presagire il malore avuto dall'amica quella sera.
Aveva sbagliato ancora? C'era qualcosa di cui poteva rendersi conto che invece aveva tralasciato? Qualsiasi cosa avesse fatto stare male Viola quella sera sarebbe stato possibile che qualcuno, lei o chiunque altro, se ne rendesse conto prima? Magari spedendola a fare una visita che avrebbe potuto evitare il tutto?
Francesca non era in grado di rispondersi, continuava a pensare ma niente, se c'erano stati dei sintomi erano stati troppo lievi per essere scovati in tempo.
O il suo occhio di diciottenne troppo inesperto per notarli.
O Viola troppo felice per farli venir fuori mentre stavano insieme, o addirittura troppo noncurante per rendersene conto e, soprattutto, rendere partecipi di ciò le persone che le erano attorno.
Tutti i suoi pensieri erano svaniti quando lei, Giacomo e Mauro erano arrivati all'ospedale.
In quel momento l'unica cosa che voleva era vedere la sua amica e assicurarsi delle sue buone condizioni, ma a quanto pareva anche chiedere solo quello era troppo.
Appena arrivati, infatti, i tre si diressero verso il Pronto Soccorso, dove si trovavano, già in attesa di novità, gli altri ragazzi.
Tutti e cinque, nessuno escluso.
Alberto, che in quanto fidanzato di Viola aveva anche un minimo di rapporto con il padre, andò in contro all'uomo e provò a spiegargli ciò che era successo appena prima il malore della figlia e dopo l'arrivo in ospedale. - Non ha bevuto, nessuno di noi l'ha fatto, non ce ne è neanche stato il tempo. E non ha assunto nessun tipo di sostanze strane, figurarsi, ci conosci.-
- Sì, sì lo immaginavo... mi fido di voi... ma ora? Come sta? Dove è? I medici cosa dicono?-
A quel punto Alberto scosse la testa e andò a sedersi su una di quelle sedie scomode di cui tutte le sale d'aspetto di ogni ospedale del mondo sono piene.
Mauro, capendo che non c'erano buone notizie in arrivo, si avvicinò al ragazzo e si sedette al suo lato sinistro, sull'ultima di quelle seggiole e aspettò che il fidanzato di sua figlia iniziasse a parlare.
Voleva sapere, Mauro, voleva sapere come era ovvio, ma si rendeva conto di quanto potesse essere difficile parlare per Alberto, e, anche se questo non faceva che aumentare le sue paure, non se la sentiva di incitarlo a dire come stessero le cose più di quanto non aveva già fatto.
Il ragazzo, nel mentre, aveva abbassato la testa e l'aveva messa tra le mani.
- I medici... - Aveva quasi sussurrato. - I medici dicono che la situazione è seria, probabilmente la ricoverano. A me non hanno detto molto di più perché non sono un parente, ma dalle facce che avevano si capiva che Viola non sta affatto bene. -
Il commissario aveva fatto un lungo sospiro e poi si era buttato contro il muro, come se fosse incapace di reggersi con la schiena alta in modo autonomo, distrutto da quello che aveva appena sentito.
Immaginare che sua figlia fosse malata e anche tanto era un conto, sentire un ragazzo di diciotto anni dire che solo dalle facce dei dottori aveva capito quanto fosse seria la situazione era tutt'altra cosa.
Avrebbe voluto piangere, ma davanti ai ragazzi, tutti spaventatissimi, aveva preferito evitare.
Li conosceva praticamente tutti e sette dalla più tenera età, il padre di Simone era un medico legale con cui si era trovato a lavorare e la madre di Marta era un magistrato che conosceva molto bene.
Il padre di Francesca, poi, che di nome faceva Lorenzo, era stato il suo migliore amico dal primo anno di elementari all'ultimo delle superiori. Si erano separati subito dopo la maturità perché entrambi avevano deciso di andare a studiare lontano da Parma, uno a Roma, Mauro, e l'altro a Venezia, Lorenzo.
Per un motivo o per un altro, alla fine, entrambi erano tornati alla città natale, e un giorno di quindici anni prima si erano rivisti in un giardinetto comunale, per caso, con le loro due bambine di tre anni che giocavano assieme.
- Il padre di Viola è quell'uomo lì.- La voce di Francesca, che probabilmente stava parlando di lui ad un medico, fece alzare la testa a Mauro, che subito dopo si vide avvicinare un uomo di media statura con un paio di grossi baffi neri e di, ugualmente grossi e neri, occhiali da vista.
Incarnava perfettamente l'idea di medico portatore di brutte notizie che lui si era fatto durante tutta la sua vita, smentita solo quando una ragazza di colore dai lunghi ricci bruni e gli occhi tristi l'aveva avvisato che sua moglie non ce l'aveva fatta dopo un incidente d'auto causato da un ubriaco.
Forse, pensò l'uomo nei pochi secondi che lo separarono dall'incontro col medico, se la notizia peggiore della sua vita gliela aveva data una dottoressa che non assomigliava minimamente ai medici incaricati, nella sua testa, di dare brutte notizie, allora neanche quella volta sarebbe successo qualcosa di grave.
Sicuramente in un libro o in un film un uomo del genere gli avrebbe detto che sua figlia stava per morire, ma non una calda sera di fine agosto a Parma, non in quella che era la vita reale.
Si ricredette, purtroppo, subito dopo, domandandosi anche se mai avesse realmente creduto all'idea che solo la fisionomia di un uomo potesse determinare le notizie che avrebbe dato.
Il dottore, che si presentò col nome di Professor Marzinaro, gli chiese di parlare in privato, lontano dai ragazzi che ancora attendevano e che subito dissero che sarebbero rimasti lì finché qualcuno, di certo Mauro, a quel punto, non gli avesse detto qualcosa.
A quel punto non gli importava più se le notizie sulle condizioni dell'amica fossero buone o meno, tanto sapevano che la possibilità di buone nuove era pressoché nulla, la cosa che premeva loro era non abbandonare il Pronto Soccorso del nosocomio senza saper nulla.
Così, prima di andare assieme al medico, Mauro gli disse che andava bene, che potevano rimanere lì a patto che avvisassero i genitori e gli dicessero di non venire, perché in ogni caso la presenza di molta gente all'ospedale era inutile.
Piuttosto, gli aveva detto, avrebbero fatto bene a chiedere a un paio di padri o madri di rimanere svegli ancora per andarli poi a prendere, in modo che nessuno di loro tornasse a casa solo se la cosa fosse andata per le lunghe.
- Credo che mio padre vorrà venire comunque, Mauro.- Aveva però sussurrato all'uomo Francesca.
- Sì, lui sì. Anzi, chiedigli di venire, per favore.- Aveva risposto l'uomo, che forse per la prima volta da quando era iniziato quel dramma aveva dato un vero e proprio segno di debolezza.
Il medico l'aveva accompagnato all'interno del Pronto Soccorso ma poi l'aveva guidato oltre, lungo un tunnel di corridoi e piani che gli avrebbe di certo reso difficile un ritorno autonomo al punto di partenza.
Alla fine arrivarono al reparto di Neurologia e Mauro fu portato davanti alla stanza di sua figlia.
Viola, nel letto e monitorata costantemente, dormiva, apparentemente tranquilla, probabilmente ignara di tutto ciò che le stava accadendo.
- Da quando è svenuta al locale con gli amici non ha mai ripreso conoscenza, ma pensiamo che domani, dopodomani massimo, dovrebbe svegliarsi. Non siamo riusciti a farle molte analisi anche per questo, e di fatti il ricovero qui in Neurologia è del tutto provvisorio, appena sapremo bene cosa le è accaduto saremo in grado di metterla in un posto migliore e far di tutto per farla star meglio.-
– Non capisco, mi perdoni.- Aveva risposto Mauro alle parole del sanitario.
- Non siete certi del fatto che il problema di Viola sia di tipo neurologico? Ma l'afasia...-
Il medico aveva prontamente spiegato al commissario il motivo delle sue parole. - Al momento non possiamo escludere niente. Come dice lei data l'afasia il ricovero in questo reparto è stata l'ipotesi più semplice, anche perché date le condizioni abbiamo preferito non lasciarla in Pronto Soccorso. È monitorata, teniamo sotto controllo tutte le funzioni vitali, e per il momento non pare essere in pericolo di vita né avere peggioramenti, ma è importante non tralasciare nulla.
Appena sapremo qualcosa gliela comunicheremo, non si preoccupi, commissario.-
A quanto pareva il medico, probabilmente informato dagli amici di Viola, conosceva il ruolo di Mauro.
- Sì, certo, certo.- Aveva risposto quello. - Ma lei può dirmi già che non ha nulla di grave, no?-
Il dottore aveva scosso la testa. - Lei direbbe ai parenti di una vittima che è vicino all'arresto di chi gli ha strappato la persona cara quando in realtà non ha neanche un indizio?- Gli aveva semplicemente domandato.
Il padre di Viola aveva compreso.
Girò ancora una volta il volto verso la stanzetta.
Coperta dalle pesanti lenzuola dell'ospedale, collegata a tubi e fili vari ed imprecisati, sua figlia dormiva tranquilla, come se stesse bene, come quando era bambina.
- Posso almeno entrare a darle un bacio?- Aveva domandato il commissario con voce quasi implorante al medico.
L'ultima volta glielo aveva dato la sera prima, quando Viola era andata a coricarsi.
Malgrado i diciotto anni la sera, la ragazza, continuava ad andare a letto dando la buonanotte in quel modo sia al padre che al fratello, e a loro di certo non dispiaceva.
Erano le uniche volte in cui si mostrava molto affettuosa, di solito, specialmente con gli amici in giro, faceva la dura, anche se sempre senza maleducazione o altro, per fargli capire che non era più una bambina.
O forse perché da quando aveva perso la mamma era diventata così, dura, chiusa, chissà.
- Si trattenga poco ed eviti di svegliarla, è già tanto che possa stare qui.-
Mauro annuì ed entrò nella stanzetta.
Rimase solo qualche minuto seduto accanto al letto della sua piccola, a tenerle la mano, baciarle la fronte e sussurrarle parole dolci, chiedendole di guarire e di tornare a star bene il più in fretta possibile.
Poi uscì, e fu riaccompagnato dal medico al Pronto Soccorso, dove assieme ai ragazzi, proprio come immaginava, vi era Lorenzo.
- Mauro, allora? Come sta?- Chiese subito l'uomo all'amico.
- Male, o almeno così ho capito da quello che ha detto il medico. Domani le faranno varie analisi, per ora è in Neurologia.
Dorme, sono potuto entrare un attimo a salutarla prima di venire qua, ma penso non mi abbia neanche sentito. I medici dicono che stanno monitorando tutte le sue funzioni vitali ma che per il momento non è in pericolo di vita. In ogni caso rimaniamo in attesa, e sono preoccupato.-
Lorenzo abbracciò Mauro, in quel momento era ciò di cui aveva più bisogno.
Poi, insieme ai ragazzi, si organizzarono in modo che tutti fossero riaccompagnati a casa in modo sicuro, con un paio di genitori ancora che andarono a prendere i figli e i loro amici.
Più o meno tutti avevano capito che Viola era stata male per motivi seri, e così da ogni bocca uscivano parole di conforto nei confronti del padre.
Solo Francesca non riuscì a dire niente, ancora incredula.
Quando dopo una mezzora abbondate erano rimasti nella sala d'attesa solo lei, Mauro e il padre fu quest'ultimo a parlare.
- Ti riaccompagno a casa, dai. Hai bisogno che rimanga da te?-
- No, grazie. Sto... bene, o almeno credo. Domani avviserò Vittorio, ma prima voglio parlare con mia figlia. Comunque grazie del passaggio, ne ho bisogno.- Aveva risposto.
Durante il viaggio in macchina non aveva parlato nessuno, ma all'arrivo Lorenzo aveva fatto capire all'amico che poteva cercarlo per qualsiasi cosa.
Mauro l'aveva ringraziato e salutato, ma poi, quando era entrato in casa e quasi automaticamente si era andato a buttare sul letto di sua figlia, come per sentirla più vicina, aveva iniziato ad odiare le parole di Lorenzo e di tutti gli altri.
Tutti, quella sera, gli avevano parlato come se Viola fosse dovuta morire da un momento all'altro, quando invece neanche si sapeva bene cosa fosse.
Magari era una cosa seria ma non troppo, curabile anche entro l'inizio del nuovo anno scolastico. Forse la ragazza aveva iniziato a parlare come una stupida per scherzo, poi il suo cervello aveva recepito male il messaggio, aveva continuato, e alla fine era svenuta.
C'erano mille ipotesi, ma le parole di quelli che erano passati per la sala d'attesa del Pronto Soccorso quella sera facevano apparire reali solo le peggiori.
Mauro si addormentò guardando la foto che Viola teneva sul comodino.
Lei e la madre, pochi giorni prima dell'incidente.
Si chiese se Angelica, sua moglie, non volesse accanto la figlia.
in fondo erano sei anni che se ne era andata, probabilmente anche lui, fosse morto, avrebbe sentito la mancanza dei figli.
- Però io ho bisogno di lei più di te, qui.- Aveva detto alla foto, convinto fosse che la donna sorridente ritrattavi potesse sentirlo.
Mauro si addormentò piangendo.
   
 
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