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Autore: Swish_    30/09/2013    2 recensioni
Il protagonista in questa storia non è un assassino. Non è un mostro. Non è un quaderno né un Dio sovrannaturale annoiato. Il protagonista in questa storia è una lei, una ragazza normale e semplice che si ritroverà ad un faccia a faccia con la mente più geniale, cinica e calcolatrice dell'intero mondo.
Un caso investigativo avrà proprio lei come punto focale e a farle capire quanto quella situazione sia pericolosa per lei quanto per il resto del mondo, non sarà un'amica, un parente, o un ragazzo bello ricco e famoso. A farle fare la pazzia più grande della sua vita, a farla cambiare, a farla addirittura innamorare sarà un piccolo genio cresciuto nella solitudine di un ruolo ambito e irraggiungibile. Un ragazzo nelle cui mani sono passati i casi più difficili e irrisolvibili dell'intero globo, tra cui anche l'impossibile caso del Death Note, il quaderno della morte.
Ebbene sì, quel ragazzo sarà proprio L.
Lo stesso L che è riuscito a sopravvivere a Light. Lo stesso che è restato a guardare cosa poi gli sarebbe accaduto.
Come avrà fatto a sopravvivere?
E soprattutto come si comporterà di fronte ai nuovi problemi del caso, tra cui l'amore?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Mello, Near
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Passarono cinque interi, lunghissimi giorni. E Ryuzaki non si fece vivo.
La maggior parte del tempo lo passai a dormire sotto effetto della morfina; non avendo nessuno con cui dialogare, a parte il signor Smithers che periodicamente veniva a chiedermi come mi sentissi, non avevo motivo di rifiutare una dose in più di morfina, dopotutto.
In effetti i dolori fisici smisero di presentarsi il giorno stesso dopo il mio risveglio, ma una piccola bugia non poteva nuocere a nessuno, no?
- Come va oggi, signorina? – mi chiese con tono educato Smithers, la mattina del sesto giorno.
Strabuzzai gli occhi come una bambina e lo guardai con aria stanca. In quei giorni… O meglio, in quei frangenti in cui ero sveglia, Smithers c’era sempre stato. Certo non per la mia persona, o perché mi trovasse simpatica. Chissà quanto veniva profumatamente pagato solo per somministrarmi un paio di dosi di morfina al giorno… Questo lo pensai fin da subito; tuttavia col tempo nacque in me la sensazione che lui stesse cominciando ad affezionarsi. Non lo dimostrava molto, ma io sono sempre stata brava ad osservare una persona, con ogni suo piccolo gesto, ed io la vedeva quella nota di dolcezza nei suoi occhi, ogni volta che gli chiedevo un’ennesima dose di morfina. Leggevo nel suo sguardo una sfumatura di preoccupazione, forse proprio perché aveva già ben capito l’ingiusto motivo per cui lo facevo. Eppure, puntualmente, non ne aveva mai ancora dato parola. Mi assecondava ogni volta, in silenzio.
- …Stanca. – risposi.
- Mh. – mugugnò a sua volta, fissando il mio braccio sano dove tenevo conficcato l’ago di una flebo.
- Novità sul caso? -
- Mi spiace signorina Sofia, ma non sono autorizzato a riferirglielo. -
- Oh, certo. Posso marcire qui dentro con la scusa del caso, e poi non posso nemmeno saperne qualcosa? -
- Ordini di L. Sono desolato. -
- Vorrei proprio poterlo incontrare, questo L. Giusto il tempo di uno sputo mirato sulla sua preziosa e misteriosa faccia… - borbottai sbigottita.
Vidi Smithers trattenere un sorriso. Stava cercando di mantenersi serio e professionale, come ogni altra volta dopotutto.
Ma cazzo qui la spontaneità viene lasciata fuori l’edificio?!
D’altra parte, anche se contenuto in quel modo, il suo “sorriso” mi sollevò un po’ l’umore.
- Abbia pazienza, signorina. L non si preoccupa mai di piacere o meno agli altri, ma col tempo capirà quanta saggezza ci sia in ogni sua decisione… -
Risposi con uno sbuffo, liquidando quell’argomento.
- Smithers… -
Sbattei le palpebre più volte tentando lo sguardo più innocente possibile e continuai:
- …mi somministra un’altra dose? Mi fa ancora tanto male la testa… - piagnucolai forzatamente.
- Signorina, posso darle del tu? -
La domanda mi colse impreparata.
- Oh, certo, Smithers. -
- Sofia… - mi poggiò delicatamente una mano sulla spalla, di nuovo con quello sguardo affettuoso come spesso faceva anche mio nonno quando voleva dirmi qualcosa di importante, col sorriso sulle labbra.
- Non sono stupido. Non prendermi ancora in giro, ti prego. -
Alzai lo sguardo al cielo, sospirando forte con aria di resa.
- E va bene. Tanto l’avevo capito che tu lo avevi capito. -
Stavolta lo vidi sorridere davvero, addirittura scoprendo i denti!
Wow! Che passo avanti!
- E io avevo capito sin da subito che eri una ragazzina per bene! -
- Grazie tante. – borbottai.
- E adesso cosa faccio? Hai forse qualche rivista, qualche giornaletto enigmistico, con i cruciverba e quant’altro? Dovrò pur trovarmi un passatempo fino a quando non potrò di nuovo interagire col mondo! – continuai con tono esasperato.
- Su questo posso darti una buona notizia. Oggi farai le dovute radiografie, e se avranno esiti positivi, potrai anche toglierti il gesso! -
Sentii un piccolo pizzico di gioia riscaldarmi di nuovo il cuore, dopo tanto tempo.
- Oh! Ma è fantastico! Quando? -
- Subito! -
Esultai con piccoli miagolii, non potendo in nessun altro modo.
Vidi Smithers spostarsi verso la mia destra, scoprendomi alla vista una sedia a rotelle.
- Ce la fai a spostarti qui? Oppure vuoi una mano? -
- Ce la faccio! No problem! -
Balzai su il più velocemente possibile, ignorai il forte dolore alla testa che mi colpì all’istante e poggiai il piede della gamba sana sul pavimento. Con un gemito di dolore mi diedi uno slancio e mi poggiai sulla sedia a rotelle, e tutto questo nel giro di pochi secondi. Fissai Smithers con occhi vivi e sfavillanti.
- Ah… - gli sentii dire, sorpreso.
- Beh, certo non è da tutti fare dei movimenti così velocemente dopo tante fratture… Ma, che dire, non siamo tutti uguali! -
Gli sorrisi con sguardo fiero.
- Su, allora andiamo adesso. –
E fu con queste parole che si posizionò alle mie spalle, afferrò le maniglie della mia sedia a rotelle (fin troppo comoda, notai con ingenuo stupore) e mi portò finalmente via da quella triste e anonima stanza dove avevo così tanto sofferto la solitudine.

La stanza adibita per le mie radiografie era non molto lontana. Oltrepassammo l’intero corridoio, largo e luccicante ma allo stesso tempo freddo e anonimo, e raggiungemmo l’ultima stanza. Lì non vi trovai nessun altro, come invece mi aspettavo. La stanza era vuota e spoglia, soprattutto considerate le sue dimensioni, e visto anche che le uniche cose che la occupavano erano dei macchinari che davano tanto l’aria di non essere mai stati usati prima. L’idea che tutti quei macchinari fossero stati comprati solo per me mi fece rabbrividire, così cercai di non pensarci e di concentrarmi invece su ciò che Smithers mi diceva di fare. Dopo circa una buona mezz’ora, Smithers aveva anche già finito di osservare tutti i risultati delle mie radiografie e l’esito parve ottimo.
- Eccellente! Provvederò a rimuovere il gesso sub… -
Si udì un rumore che catturò l’attenzione di entrambi, presso la porta. Qualcuno aveva bussato.
- Sì? – rispose Smithers, con tono improvvisamente grave.
Vidi la porta aprirsi appena, e un uomo sulla trentina dai capelli e gli occhi scuri che ne sbucava fuori, in giacca e cravatta.
- Ehm… Ryuzaki chiede di lei, al trentesimo piano. -
Trentesimo piano?
Quanto sarà stato alto quell’edificio? Al solo pensiero mi vennero le vertigini, così decisi di abbandonare anche quell’orribile pensiero e di concentrarmi invece su ciò che stava dicendo quell’uomo dall’aria vagamente impacciata.
- Il signor Ryuzaki sa perfettamente che adesso sono impegnato… -
- Mi ha anche detto che sapeva che mi avreste risposto così, e mi ha chiesto di insistere comunque. -
Smithers esitò per qualche istante, poi però si decise e si diresse velocemente verso la porta.
- Torno subito. – aggiunse solamente, prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciarmi da sola.
Restai a fissare il posto vuoto che Smithers aveva lasciato, sovrappensiero.
Il signor Ryuzaki sa perfettamente che adesso sono impegnato…
Ah, allora lo sapeva che mi ero svegliata, il bastardo! Ed era forse quello il modo giusto di comportarsi?
Prima mi spara tutte quelle notizie sconvolgenti, e poi sparisce?
Eh no! Questa era guerra! Non potevo tornare a casa? Allora avrebbe dovuto sopportarmi, ventiquattr’ore su ventiquattro. Poco ma sicuro.
Certo, in fin dei conti non era proprio colpa sua… A decidere era L, quindi avrei dovuto prendermela con lui… Ma in che modo, se non si faceva vivo di persona?
Al diavolo. L non c’è? Allora me la prenderò con il suo ne-secondino!” e così decisi.
Certamente non potevo restare lì ferma, chiusa in quella stanza, da sola… Ne sarei diventata matta. Piuttosto sarei evasa, poco ma sicuro!
Ma come avrei fatto a vivere lì, senza soldi, senza documenti, o addirittura senza i miei vestiti?
Adocchiai il pigiama di cotone rosa pallido che in quel momento indossavo. Era di due taglie più grande, ma in fondo non mi dispiaceva. Chissà chi aveva provveduto a procurarmelo…
I miei pensieri andarono subito a Smithers, ma l’imbarazzo mi colpì in pieno non appena lo immaginai comperare per me anche le mutandine che indossavo. Allargai curiosa l’elastico dei pantaloni per osservarla. Erano anche quelle rose, semplici.
Mh, bel completo.” Pensai esterrefatta, lasciando l’elastico e abbandonando decisa quell’ennesimo spaventoso pensiero.
Troverò un modo per raggiungere Ryuzaki. Devo trovarlo…
Sentii di nuovo la porta aprirsi, mi voltai e vidi Smithers, improvvisamente pallido e con un’espressione grave in volta, che avanzava lentamente verso di me.
- E’ successo qualcosa? – gli chiesi, terrorizzata.
Lui alzò lo sguardo sul mio e cercò di cambiare espressione ostentando un sorriso, ma non era molto convincente.
- Nulla Sofia. Adesso preoccupiamoci di liberarti da questo gesso e passare alla fisioterapia. -
Non aggiunse altro, ed io neppure. Né tanto meno cercai di insistere per saperne di più. Qualcosa mi diceva che non sarebbe valso a nulla, e così me ne restai buona.
Tolto il gesso, finalmente, eseguii da brava ragazza tutti i movimenti che Smithers mi chiese di fare, e una volta finito anche quello, mi mandò dritta nel bagno della stanza dove avevo dormito fino ad allora.
- Sul letto troverai un borsone con tutti i tuoi vestiti… Più delle creme ottime per la tua pelle seccata per via del gesso. Usale! Dopo una bella doccia, magari, se mi permetti di dirti… Sai, non voglio risultare offensivo, ma penso tu ne abbia davvero bisogno… -
- Sai che ti dico? Hai proprio ragione, Smithers. Vado subito! –gli dissi entusiasta, dandogli subito le spalle e dirigendomi svelta verso la porta a piedi nudi.
- Ehi, ehi! Non correre! Ricorda che ti sei appena tolta più di un gesso! -
- Sì, sì! – risposi ancora senza girarmi, noncurante.
Aprii la porta e corsi diretta verso il capo opposto del corridoio. Ero a dir poco al settimo cielo. La sensazione che sentivo in quel momento era indescrivibile… Ritornare a camminare dopo tanto tempo. Quelle settimane mi parvero anni, sotto quel punto di vista.
Sentire di nuovo il proprio peso sorretto dalle proprie gambe… Sentire il pavimento freddo e chiaro sotto i propri piedi… Mentre i miei lunghi capelli ricci si dondolavano sulle spalle tra un saltello e l’altro. Sì, era davvero magnifico. Sorrisi da sola senza vergogna, godendomi quei piccoli istanti di gioia mentre arrivavo alla porta bianca della stanza. Mi fermai, feci un lungo sospiro ed entrai.
La camera era rimasta uguale a come l’avevo lasciata. Persino il letto era rimasto sfatto proprio nella stessa maniera, con l’unica differenza che ora sulle lenzuola chiare e disordinate era apparso un grande borsone nero. Lo raggiunsi in pochi secondi, afferrai la cerniera e lo aprii con uno strattone deciso, elettrizzata.
Sì!
Afferrai i primi vestiti che mi capitarono con le boccette di crema che Smithers si era preoccupato di procurarmi, e mi volatilizzai nel bagno, di fianco la vetrata. Catapultai il pigiama verso un angolino e m’infilai nella doccia.
Circa un’ora dopo ero asciutta e improfumata. Abbandonai al nascere l’idea di riordinarmi le lunghe ciocche ribelli in pieno stile “Ribelle- The Brave” e passai ai vestiti.
Merda, ho dimenticato l’intimo.
Non sapevo se preoccuparmi o meno di uscire solo con addosso un asciugamano, ma agii diretta, senza pormi tante domande, tranquillizzando me stessa pensando: “E’ comunque la mia stanza, per adesso…” e così, spalancai la porta ed uscii.
Il borsone era sempre lì sul letto, come prima, solo che adesso c’era un’altra figura al suo fianco, che in un primo momento faticai a realizzare. Eppure era lì, accovacciato sul bordo del letto con le ginocchia in petto, e con le mie mutandine di pizzo bianco fra le mani. Ryuzaki.

- Ma che ca… -
Indietreggiai d’impulso, sbattendo la schiena contro la porta ormai chiusa, e fissai con occhi sgranati Ryuzaki che dal canto suo non mostrò alcun segno di imbarazzo. Continuò a fissarmi senza ritegno, con aria tranquilla ma concentrata.
Anche lui mi parve identico a come l’avevo lasciato, sei giorni prima. O forse sarebbe stato meglio dire “come lui aveva lasciato me”.
- Non credi che dell’intimo così audace sia sprecato per una ragazza single? A meno che tu non sia… Come dire, dai facili costumi? – si fermò un secondo, piegò appena il collo e continuò a fissare la mia faccia indignata, con sguardo improvvisamente accigliato.
- … Eppure non lo sembri. – continuò a voce bassa.
Mi presi pochi secondi, giusto il tempo di prendere aria nei polmoni, e poi…
- Tu! -
…esplosi.
- Cosa diavolo credi di fare? E poi… Ma… Dico! Come diavolo ti permetti? Chi sei tu per giudicarmi!? -
Ryuzaki aprì bocca per replicare, ma non gliene lasciai modo.
- E ridammi le mie mutandine! Subito! -
Mi scaraventai su Ryuzaki in prenda alla rabbia, e per un attimo mi sembrò davvero di essere riuscita a prenderle. Un secondo dopo invece, mi ritrovai una mano di Ryuzaki fissa sulla mia fronte e l’altra alzata verso il soffitto, ben lontana da me, dove teneva ancora le mie mutandine penzolanti tra l’indice e il pollice.
Mai capitò di ritrovarmi in un posizione così stramba, né di vederci qualcun altro, come Ryuzaki. Cercai di dimenarmi per raggiungere il braccio che teneva alzato sopra la mia testa, ma fu tutto inutile. Mi teneva la testa bloccata a pochi centimetri da lui con una sola mano, ben piantata sulla mia fronte.
- Kan… Kana… de… ma… ti sembra… il… caso? – gli sentii dire, tra una gomitata mia ed una ginocchiata sua.
- Dam… me.. le! – urlai, sbigottita.
- Ti sembra… Ques…s…to… il… modo? -
- Non venirmi a parl… Ahhh! -
Non so se fu per sua volontà o meno, ma entrambi perdemmo l’equilibrio e ci ritrovammo stesi su letto, l’una sull’altro. Mi pietrificai, sconvolta.
- Dovresti chiedermi scusa. Lo sai? -
- Io!? E tu allora? -
Lo vidi inarcare le sopracciglia, mentre teneva ancora il braccio disteso lontano dalla mia portata.
- Cosa avrei da scusarmi? – mi chiese poi, sembrandomi falsamente confuso.
- Mi hai lasciata qui da sola a marcire… -
- C’era Smit… -
- Per cinque lunghissimi giorni! -
- Sei, in ver… -
- Ancor peggio! -
Non rispose subito allora. Lasciò che restassimo a fissarci in silenzio mentre io mi lasciavo di nuovo annegare nel buio dei suoi occhi, e ricordai perché nonostante l’avessi visto solo una volta prima, mi fosse mancata la sua presenza in quegli ultimi giorni quasi più della mia casa, o della mia vecchia vita per intero. Sapevo quanto fosse assurdo, ma era così. Punto.
- Ho delle indagini da gestire… - disse poi, con tono inaspettatamente profondo.
- Quelle può anche gestirsele L, ogni tanto. -
- Non è così semplice. -
- Ad ogni modo lasciarmi qui tutto questo tempo da sola, senza poter fare nulla, senza poter reagire alle notizie… assurde…. Che tu mi hai scaricato! Non è stato giusto per niente! -
- Non riceverai mai delle scusa da me. – rispose lui ad un tratto, con un filo di voce e terribilmente serio.
Quella risposta mi colse completamente alla sprovvista… Cavoli, due volte che lo vedevo e già avevo perso il conto di quante volte mi avesse preso in contropiede!
Dopo pochi secondi di esitazione mi affrettai a riprendere in mano le redini del discorso. Con me non poteva uscirne vincitore.
- Allora nemmeno tu da me ne avrai mai. – gli dissi sottovoce.
Lo vidi sorridere (a suo modo), per la prima volta.
- Adesso, se non ti dispiace…! – mi sporsi un po’ più in avanti e finalmente riuscii ad afferrare per davvero le mie mutandine, e lui lasciò che le prendessi senza opporre più resistenza.
Tornai a sorridergli smagliante, mostrando con aria fiera il mio trofeo.
- Davvero credi di aver vinto? -
Mi bloccai, con sguardo confuso.
- Non dovrei? -
- No. Credo proprio di aver vinto io. E sai perché? -
Lo guardai accigliata, non riuscendo proprio a capire dove volesse andare a parare.
- Dov’è l’asciugamano, Kanade? -
Mi tastai di riflesso il petto, in preda al panico. Non c’era.
- Oh porc…! -
Balzai in un lampo in piedi, voltai freneticamente lo sguardo intorno alla sua ricerca e solo dopo realizzai di averla intrecciata tra le gambe, appena sotto il ventre. Me la tirai con un braccio, mentre con l’altro mi preoccupai di coprirmi il seno.
Una volta ritornata coperta, morente di imbarazzo, alzai di nuovo lo sguardo su di lui, che frattanto si era rialzato e mi stava ancora osservando con un’espressione indescrivibile in volto.
- Esci subito… Da questa stanza! – sibilai, fuori di me.
- Ma io volevo sol… -
- VAAATTEENEE!- sbraitai senza controllo.
Lo vidi indietreggiare sul letto con un balzo, e per poco non cadere a terra.
- Va bene, va bene! Me ne sto andando! -
Mi voltò le spalle e mise i piedi a terra.
- Ero venuto a vedere come stavi, ma mi sembri in ottima form… -
- VAI VIIIAA! -
-Okay, okay! Me ne sto andando! -
Alzò entrambe le mani e si mise in piedi, dirigendosi poi veloce verso la porta. Lo vidi oltrepassarla e poi voltarsi verso di me prima di chiuderla.
- Lo vedi? Me ne sto and… -
Afferrai istintivamente una scarpa da terra e gliela scaraventai contro, ma per mio dispiacere, Ryuzaki finì di chiudere in tempo la porta e questa andò a sbatterle contro, provocando un rumore secco. Avrei tanto voluto riuscire a prendere in pieno il suo bel visino… Ma pazienza.
Aspetta un attimo…
Da dove avevo preso quella scarpa?
Mi inginocchiai a terra per vedere sotto il letto, e trovai la sua compagna. Semplici Convers bianche. Le mie Convers bianche!
Corsi a recuperare l’altra, di fianco la porta, presi anche il mio reggiseno ancora nel borsone, sempre di pizzo bianco, e tornai in bagno chiudendomi la porta alle spalle. A chiave.

Non mi sentivo più così debole come qualche ora prima, anzi, non mi ero mai sentita così viva e piena d’energia prima d’ora. Raggiunsi il largo specchio poco sopra il lavandino, sul muro dalle ennesime sembianze anonime, con semplici mattonelle celesti, e fissai il mio volto riflesso.
Ero arrossata e in completo disordine. I miei occhi castani brillavano di una strana luce e la mia bocca era curvata in un ridicolo sorriso. La ferita sulla fronte quasi non si vedeva, grazie ai miei voluminosi capelli… Ed io a stento ne feci caso.
Perché non riuscivo a prendere tutto quel macello in modo serio? Ero in un’altra nazione, in un edificio sconosciuto, sola, che quasi non ero morta stecchita per una corruzione biochimica a livello mondiale, e come mi stavo comportando io?
Sorridevo, di fronte al mio riflesso.
Sapevo di non essere mai stata davvero normale, ma non avrei mai creduto certo di reagire in questo modo di fronte a degli eventi così surreali.
Il 90% delle persone di solito reagirebbe in tutt’altro modo…
Beh, in effetti ripensandoci, lo stesso 90% non si sarà mai ritrovato nella mia stessa situazione. Io ero l’unica! Per cui, chi mai avrebbe potuto decidere se la mia reazione fosse davvero così inadeguata? L’importante era reagire!
Soprattutto, sapevo bene che avrei dovuto combattere e farmi valere. Se di una cosa potevo esserne sicura, era che non avrei mai lasciato a nessuno la possibilità di mettermi in disparte. Non avrei permesso a nessuno di costringermi a stare con le mani in mano, se si trattava anche solo per un decimo della mia vita, al costo di fare pazzie!
E allora cosa ci facevo ancora lì impalata senza far nulla?
Lasciai cadere l’asciugamano a terra e cominciai a vestirmi. Poco importava se ero sola. Poco importava se mi ritrovassi nelle mani di uno sconosciuto, nell’altro capo del mondo rispetto a dove avevo sempre vissuto, e poco importava se un ragazzo visto solo un paio di volte avesse già conquistato parte del mio cuore, o se mi avesse appena vista nuda.
C’era solo una cosa di cui adesso dovevo preoccuparmi.
Combattere.

 
   
 
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