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Autore: margotj    04/10/2013    2 recensioni
(Storia completa in pubblicazione a puntate)
PREMESSA ALLA STORIA: si tratta di un ALTERNATIVE UNIVERSE: con gran raccapriccio dei puristi, in questa storia Dc incontra Marvel: il presupposto? Bruce Wayne e Tony Stark si conoscevano, ben prima di divenire rispettivamente Batman e IronMan. Tutto ciò che viene visto nei film è quindi modificato opportunamente (stravolto, oserei dire, valgono le immagini più delle trame) per raccontare la storia della loro amicizia e dell'inizio della loro leggenda.
Spoiler: credo nessuno. Utilizzo spudorato di IronMan, IronMan2, Batman Begins e TheDarkKnight, qualche accenno agli Avengers
Pairing: canonico Tony/Pepper Bruce/Rachel
Rating: AU Angst, Dark, Friendship...
Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Genere: Angst, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman aka Bruce Wayne
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1.3 One love, one blood

 EPISODIO 3/13 (spoiler alla lettura) - http://www.youtube.com/watch?v=6_dGmqtf0DE

 

Just gonna stand there and watch me burn

but that’s all right because I like the way it hurts

just gonna stand there and hear me cry

but that’s all right because I love the way you lie

(Rhianna&Eminem - Love the way you lie)

Devi solo stare li e guardarmi bruciare Ma va bene perché mi piace questo tipo di dolore

Devi solo stare li e sentirmi piangere Ma va bene perché amo il modo in cui menti

Poche settimane prima, Tony gli aveva chiesto se si rendeva conto dei rischi a cui andavano incontro. Bruce aveva risposto che i rischi sarebbero divenuti evidenti a tempo debito, come i nemici.

Purtroppo, si era sbagliato.

Rischi e nemici erano emersi ben prima del 'tempo debito'.

E Tony, sdraiato sul divano, ipotermico ma vivo, era il simbolo del primo pericolo scampato.

***

Obadiah non era alle StarksInd. C'era solo il suo pass, appoggiato diligentemente sul divanetto dell'ingresso. Chiunque fosse entrato, lo aveva fatto per il puro gusto di provocare.

Quando Happy aveva lanciato l'allarme, la corsa di Bruce e Pepper aveva subito un brusco arresto e, nel tempo che era servito a lei per far manovra con la macchina, Bruce era arrivato ai cancelli spalancati della Villa di Tony.

Nel cortile, aveva assestato il primo pugno.

Nel corridoio dell'ingresso aveva sottratto un fucile a pompa ad un malcapitato, smontandolo con un unico movimento e picchiando, senza mai smettere di correre verso il salone centrale.

In un battito di ciglia, aveva avuto l'impressione di essere nuovamente nella grotta sotto WayneManor, circondato dai pipistrelli.

Occhi chiusi, mani spalancate, immobile.

Immobile, in un frullare di ali furiose.

Immobile, senza che nessuno lo ferisse.

I mercenari, sette, otto, in tutto, gli opposero poca resistenza. Fuggivano, Bruce ebbe la certezza che non ci fosse motivo per restare, che l'obbiettivo per cui erano venuti fosse stato raggiunto.

Vide Obadiah, oltre la vetrata, in piedi su un elicottero. Dietro di lui, un uomo vestito di scuro che gli sembrò familiare.

Ma non c'era tempo per realizzare ciò che accadeva al di là del vetro.

Perché da questa parte, in quella stanza... Tony stava morendo.

***

“E' salvo solo perché la porta del laboratorio è rimasta aperta e sono potuto entrare” - spiegò sottovoce a Pepper, mentre si inginocchiava a fianco del divano - “Se è vivo è perché tu hai occhio per i prototipi da conservare...”

Pepper sorrise, di sollievo, un po' ridacchiando e un po' piangendo. Il reattore obsoleto, che Bruce aveva prelevato dalla teca, brillava nel petto di Tony come una lampadina in procinto di bruciarsi. Ma era, pur sempre, acceso.

Gli accarezzò i capelli. Com'era ridotto... Bruce lo aveva avvolto in qualche coperta e, quando finalmente Pepper era giunta, superando i posti di blocco della polizia e l'onnipresente Shield, gli stava già applicando gli elettrodi di una delle apparecchiature del laboratorio per verificare il battito. E non importava che fosse grigio in faccia, sdraiato in mezzo alla distruzione, con la porta di casa sfondata o che Obie fosse un fuga con un reattore di potenza nucleare... no, il suono ritmico del cuore di Tony Stark, attualmente, era l'unica cosa di cui importasse ad entrambi.

Stupido, irresponsabile, insopportabile e narcisista di un...

Pepper si impose di non ricominciare a piangere e tirò su con il naso.

“Sta bene?” - domandò, voltandosi verso Bruce, in piedi dietro di lei.

“Sta bene. Sbattuto ma sta bene.” - confermò Bruce - “Ha già ripreso conoscenza, non si faccia imbrogliare dall'aria malaticcia.”

Era tornato a rivolgersi a Pepper dandole del lei. Questo fece sorgere nella ragazza un dubbio tale da voltarsi a fissare il moribondo.

Tony la fissava, un occhio chiuso l'altro aperto.

“Signorina Potts...” - lo sentì sussurrare - “...ma lo sa che è stata il mio ultimo pensiero prima di morire?”

Pepper trattenne il fiato. Poi divenne rossa.

Infine comprese di non poterlo picchiare e si alzò, di scatto, aggiustandosi la gonna.

“Vado a prenderle un bicchier d'acqua!” - comunicò, seccata, come se fosse una cosa indispensabile.

“Lo gradirei proprio...” - rispose lui, sornione, prima di richiudere gli occhi - “Pepper...”

***

Dopo, molte cose erano cambiate. Tony non aveva impiegato molto a riprendersi, né, tantomeno, a costruire un nuovo reattore.

Era stata la stessa Pepper, tra vari gemiti, a inserirglielo nel petto, circa una settimana dopo.

Mani piccole, aveva tuonato Tony, dall'interfono. Servono mani piccole.

Bruce le aveva aperto la porta, con aria conciliante.

Sdraiato sul lettino e seccato per i contrattempi, Tony la attendeva.

“Mani piccole...”- scimmiottò Bruce, sottovoce, tenendole la porta aperta - “Servono mani piccole...”

Pepper aveva sorriso e si era fermata a fianco del capo. Le sue mani piccole erano intrecciate dietro la schiena, dandole l'incredibile aspetto di una scolaretta davanti al preside.

“Come posso aiutarla?” - chiese, fissandolo con aria innocente mentre Bruce, con analoga espressione e un calcio, spediva un pezzo della propria armatura a nascondersi sotto una delle macchine.

Tony le porse un reattore.

“Via il vecchio e avanti il nuovo. Non tocchi le pareti, per favore.”

Pepper sbarrò gli occhi. Poi si voltò verso Bruce.

“Mani grandi.” - disse lui, sventolandone una e tenendo il prototipo di un guanto con l'altra, per nasconderlo - “Le mani grandi non vanno bene.”

“Ma l'altra volta ci sei riuscito!”

“L'altra volta...” - puntualizzò Stark, sentendosi chiamato in causa - “Non ha dovuto sfilare nulla e ha fatto un lavoro d'emergenza per cui si meriterebbe un ceffone. Non è il caso che lo faccia di nuovo.”

“Sì, ma...”

“Signorina Potts...” - la interruppe lui, fissandola dritta negli occhi - “Ma ci tiene davvero così tanto a piangere al mio funerale?”

“Fatto.” - disse, qualche minuto dopo, saltando giù da lettino e porgendo un asciugamano alla donna, palesemente disgustata - “C'era tanto da discutere?”

“La prego, non me la faccia fare mai più.”

“Tranquilla, Pepper. Una volta lei, una volta Junior.” - Tony si rifilò un colpetto sul reattore, assicurandosi che fosse ben agganciato e in sede - “A partire da adesso, me ne occuperò soltanto io.”

Pepper non commentò. Si pulì le dita, meticolosamente, piegò la salvietta e non rispose alla battuta.

“Io penso che dovrebbe riguardarsi.” - disse, appoggiando l'asciugamano sul ripiano - “E aumentare la sicurezza.”

“Obie ha avuto quello che voleva. Non tornerà.” - replicò Tony, infilandosi una maglietta - “Noi, ora che ci siamo liberati di lui, andiamo avanti.”

“Tony... lui non è inoffensivo.”

“Ne sono perfettamente consapevole.” - si allacciava le scarpe, per niente preoccupato.

“Ha progetti, ha la tecnologia, non...”

“Non riuscirà a far funzionare quell'armatura.”

“Ne sei sicuro?” - chiese Bruce, rimasto fino a quel momento in disparte.

“Abbastanza.” - replicò Tony, infilandosi la giacca di pelle - “Andiamo, ho voglia di fare un giro in macchina.”

“Stia attento.” - mormorò Pepper.

Ma Tony non le rispose.

***

“E' preoccupata per te. E lo sono anche io.” - commentò Bruce, poco dopo, mentre sfrecciavano sulla litoranea - “E ha ragione, non ci stiamo muovendo abbastanza in fretta.”

Di tutta risposta, Tony accelerò ancora.

“Non intendevo questo.”

“So benissimo cosa intendi ma non posso accontentarti.” - replicò Tony, da dietro gli occhiali scuri - “Obadiah si è rubato ciò che voleva e ha un alleato che non sappiamo chi sia. I miei satelliti e il tuo Fox non riescono a rintracciarlo e, nel frattempo, a Gotham sta andando tutto a rotoli.”

Accelerò ancora.

“Finiremo con il perdere tutto se non agiamo e non possiamo andare più veloci. Possiamo solo concentrarci di più.”

“Cosa consigli?”

“Tralasciamo i particolari, andiamo dritti al sodo. Un'unica regola: Pepper resta fuori dai nostri affari. E tu, amico mio, se è questo che davvero vuoi, preparati al debutto. Si va in scena. Ora.”

***

Si va in scena... la prima volta che aveva indossato l'armatura e si era coperto il volto, Bruce aveva compreso di essere giunto al punto di non ritorno.

Non era la maschera, no: da molto tempo ne indossava una e, ogni giorno che passava, si riconosceva sempre meno nello specchio, nel viso magro e negli occhi assorti.

No, non era la maschera, bensì la solitudine che portava con sé. In ultimo, coprendosi il viso, Bruce accettava il proprio destino. Solo, nel buio. Pronto a svanire dentro il proprio simbolo, dentro l'idea che gli abitanti di Gotham si sarebbero fatti di lui.

In piedi, in alto, sopra i grattacieli, aveva detto addio al proprio modo di vedere le cose, agli ultimi desideri che ancora aveva, alle persone che, suo malgrado, amava. La maschera calava un muro definitivo tra lui ed il resto del mondo.

Se solo Rachel... se solo avesse potuto dirle...

Ma, se così fosse stato... Rachel sarebbe stata il primo fiore reciso.

Quella notte, la notte del debutto, Batman vegliò su Gotham in piedi, così in alto da essere invisibile, così lontano da essere inafferrabile. E nessuno si accorse che, sotto la maschera, il bambino che era stato e l'uomo che avrebbe voluto essere piangevano la propria sconfitta.

***

Il primo punto della lista di Batman era stato il commissario Gordon. Informazioni. Appoggio. Poi, la caccia a un poliziotto corrotto, a un carico di merce rubata e ad una manciata di piccoli mafiosi locali.

Quindi, si era saliti di livello. E, dal punto di vista di Tony, si era accentuato il mistero di dove e come Bruce avesse imparato a muoversi in quel modo. Quando si erano incontrati, in prigione, gli era sembrato approssimativo e dozzinale nel combattere. Picchiava e picchiava duro ma, al di là di una certa capacità di sorprendere, non gli era sembrato particolarmente interessante. Ora, invece, si stava rivelando quasi un acrobata: Bruce Wayne era in grado di muoversi come un'ombra anche in piena luce. E, con queste doti, delinquente dopo delinquente, Batman aveva messo le mani sull'impero di Falcone. Adesso, aveva l'attenzione dei salotti più ricercati, degli ambienti politici, di quelli malavitosi e del dipartimento di polizia al gran completo.

Infine, nel gioco, era entrato anche Harvey Dent con processi a ripetizione, quasi fosse una mitragliatrice sempre pronta a sparare. A quel punto, Bruce si era concesso una breve pausa dalle strade e, con un colpo di mano, aveva estromesso Earle, riabilitato Lucius Fox, invertito alcune tendenze del proprio impero e organizzato qualche festa eclettica a cui Rachel si era rifiutata di presenziare, nonostante i ripetuti inviti.

In contemporanea, Tony Stark aveva rialzato le sorti della StarkInd, assestato una spallata al campo scientifico mondiale, comprato una scuderia di rally e baciato Pepper Potts a tradimento.

E, di tanti eventi gestiti in quei sei mesi, questo era stato una vera e propria tempesta.

***

“Era ora.” - commentò Bruce, versandogli uno scotch - “E deve essere stato un gran bacio, se sei arrivato fin qui.”

In effetti, trovare Tony seduto sul gradino di WayneManor era stata una vera sorpresa.

“Abbiamo ospiti.” - aveva commentato, impassibile, Alfred, scendendo dalla berlina e aprendogli al portiera - “Ritiene che il signor Stark si tratterrà per cena?”

“Dalla faccia che ha, direi come minimo tutta la settimana.” - sospirò Bruce - “Alfred, per favore, avverti Lucius che tarderò al nostro appuntamento. Di almeno un decennio.”

Dopo, lo aveva condotto in biblioteca, seduto e alcolizzato.

“Pepper è una donna magnifica, non credo sia il momento per farsi prendere dai ripensamenti.”

“Sono d'accordo ma... Bruce, lei è Pepper! E io sono io!

“Penso di aver capito il messaggio.” - rispose Bruce, cercando di non ridere - “Ma, essendo tu 'proprio tu'... dovresti sapere che prima o poi doveva succedere.”

Tony parve riprendersi.

“Questa è una sciocchezza.”

“Tony, non esiste un party in cui tu non abbia mandato Happy in pista a dire al suo cavaliere di prendere le distanze.”

“E' una donna che merita rispetto.”

“Non c'è stata una riunione in cui non hai fatto alzare il tuo azionista di maggioranza per farla sedere...”

“Se continua a sbagliare posto e mettersi alla mia destra...”

“Ed è la persona con cui dividi tutta la vita da tutta la vita.”

La bocca di Tony si aprì. Poi si richiuse.

“E' la persona con cui divido tutta la mia vita.” - ripetè, con aria perplessa.

Bruce ne approfittò per sfilargli il bicchiere di mano.

“Vai a casa.” - ordinò, calmissimo.

E Tony si mise in piedi.

“Vado a casa.” - comunicò. Poi lo fissò, aggrottando la fronte - “Bruce, lei è davvero la persona con cui divido la mia vita. Perché non me ne sono mai accorto?”

“Bhe, sono cose che succedono quando si è presi da altro...” - spiegò quell'altro, a metà tra il divertito e il sarcastico - “Voi geni... con le vostre idee... le vostre carriere...”

“Deve essere così. Non c'è altra spiegazione.”

“Lo penso anche io. Vai a casa, Tony.”

Bruce lo accompagnò alla porta. E lo guardò partire, sollevando un'onda di ghiaia.

“Oserei dire che il signor Stark è rimasto meno del decennio previsto.” - commentò Alfred, raggiungendolo sulla soglia.

“Bhe, Alfred, ti dirò...” - Bruce si mise le mani in tasca con aria soddisfatta - “...credo che abbia appena scoperto con chi vuole passarlo.”

***

Al primo bacio era seguito il primo litigio. Poi la prima occasione per fare pace e poi un altro litigio e, così, il primo regalo. Poi la prima uscita ufficiale e l'inevitabile terzo litigio. Altro regalo, altro litigio.

Così, Tony aveva scoperto che serviva dialogare... e, dopo tante modelle con cui era uscito e che non parlavano la sua lingua, questa era una bella novità.

Poi, Pepper gli aveva svelato l'arcano: discutere con una donna, specialmente con lei, non significava sempre litigare. E, così, avevano accettato di essere perfetti uno per l'altro.

Infine erano passati al complotto. E, una sera, in occasione di un party, avevano invitato Rachel, per metterla in contatto con alcuni uomini interessati a finanziare Harvey Dent e la sua corsa contro il crimine.

Non essendo perfettamente sincronizzati, avevano dimenticato di dirlo a Bruce.

E Bruce, con il tempismo che faceva di lui un mostro, si era presentato con due modelle.

***

“Deja-vu.”- scandì, prosaico, Tony, appoggiandosi al banco del bar.

“Oh, santo cielo, ma non è possibile!” - esclamò Pepper. Tony piegò la testa, sorpreso, guardandole l'orlo del vestito.

“Hai appena pestato i piedi?” - chiese, interessato - “Non ho mai visto nessuno farlo...”

“Oh, Tony, fai qualcosa! Tu lo sai che è perfetta per lui!” - insistette lei, voltandosi. Non solo pestava i piedi, ma stringeva pure i pugni! E Tony pensò che nessuno fosse tanto adorabile, sotto una frangia di quella portata.

“Pepper, devi rassegnarti ai nostri limiti: tu sei brava a gestire multinazionali ed io sono un genio... noi siamo incapaci a costruire storie d'amore.”

“Ma la nostra funziona.”

“La nostra funziona perché tu sei brava a gestire multinazionali ed io sono un genio.”

“Confortante.” - sospirò lei, imbronciandosi appena - “Niente romanticismo?”

“Niente romanticismo.” - confermò lui, baciandola e prendendola per mano - “Avanti, vieni a ballare.”

“Ma Bruce...”

“Per tua fortuna, io ho Happy che pensa a noi e alla nostra sicurezza. Lascia fare a lui... è un vero romantico.

***

Happy si era portato via le modelle per un accurato controllo dei documenti. Bruce aveva tenuto alta la sua nomea di eclettico con un imbarazzante discorso sull'amore e, dopo, si era scelto la terrazza come rifugio.

Rachel, finiti i preliminari con i finanziatori di Dent, lo aveva raggiunto.

Tony, da sopra la spalla di Pepper, come suo solito, non si era perso un solo particolare.

Compreso il fatto che Bruce zoppicasse.

***

“Dovevi proprio dire ciò che hai detto?” - lo aggredì Rachel, saltando tutti i preamboli.

“Non ho detto cose stupide. Amore, giustizia... tutte cose in cui credo.”

“Tutte cose in cui non ti applichi.” - ritorse lei, decisa.

E, di tutta risposta, Bruce si voltò verso di lei. Rachel perse tutta la bellicosità in quel singolo scambio di occhiate. Bruce era incredibilmente scavato in viso, stanco. Gli occhi stavano di nuovo cambiando colore, da scuri a verdi, come gli succedeva da bambino, sotto certe luci, in certi giorni più tristi di altri.

“Non sapevo che ci saresti stata.” - rispose soltanto, come se questo spiegasse tutto.

“Perchè, la mia presenza cambia ciò che sei?”

“La tua presenza cambia tutto, Rachel. Da sempre.” - rispose lui, in un soffio e con una tale intensità da farla vacillare.

Dov'era finito il miliardario festaiolo ritornato dall'aldilà? Dove era l'uomo a capo di un impero industriale, tanto forte da non piegarsi innanzi a nulla? Da dove veniva quella forza oscura e incontrollabile?

Io non ti conosco, si rese conto Rachel. Non ti conosco per niente.

“Io... io intendo sposare Harvey.” - disse, tutto di un fiato, come per arginare l'avanzata di Bruce verso di lei.

Ma Bruce non si fermò. Non si fermò finché non fu certo di baciarla.

“Sposa Harvey, Rachel.” - sussurrò, ansimando appena nell'interrompere il bacio - “Ma smettila di volermi cambiare. Io non sono ciò che credi.

***

Aveva abbandonato la festa. All'alba, Gordon si era trovato sullo zerbino un contabile della mafia, legato come un salame e disposto a collaborare.

Tony, rientrando all'appartamento che avevano in città, dopo aver lasciato Pepper a chiacchierare con un'amica nella hall, aveva trovato Bruce seduto in sala, vestito da Batman ma a volto scoperto.

Non gli aveva detto nulla, per la mancanza di discrezione o per il rischio che correva. Si era servito da bere e aveva ingoiato una sorsata di 'intruglio' per le radiazioni. Poi si era seduto, in attesa.

“Sono stanco, Tony.” - poco più di un sussurro - “Sono stanco...”

In meno di un anno, Bruce, da solo, aveva fatto più che tutta Gotham in venti. Tony aveva visto le ferite sul suo corpo, lo aveva visto tornare a casa sanguinando, lo aveva afferrato al volo ben più di una volta, per evitare di vederlo sbattere anche la testa al suolo.

Lo aveva suturato, lo aveva trasportato quasi di peso fino al primo letto disponibile. Si era seduto al suo fianco, attendendo che si riprendesse. Gli aveva urlato contro, perché una cosa era superare i propri limiti e un'altra era morire.

Lo aveva comunque aiutato a rimettersi l'armatura.

L'aveva perfezionata, per saperlo al sicuro. L'aveva alleggerita, perché non avesse la pessima idea di farlo lui stesso, per essere più veloce.

Aveva disegnato e concepito nuovi oggetti. Armi, santo cielo, aveva dato a Bruce le armi che ormai non dava più al mondo.

Aveva portato la propria parte di peso, nel restare un passo indietro, nell'ombra ad attenderlo. Aveva accettato di non poter essere in prima linea senza rovinare tutto, perché altri non avessero la pessima idea di imitarlo.

Ma mai, mai lo aveva sentito lamentarsi. Bruce non aveva mai detto cosa provava, cosa sentiva quando indossava la maschera, quando la toglieva.

Bruce, che ora stava seduto in un salotto, a fissare le orbite vuote dell'altro se stesso.

Non era la stanchezza del corpo a schiacciarlo. Non era la stanchezza della mente.

Era il peso dell'anima.

Tony bevette ancora un sorso di robaccia e si alzò, slacciandosi il papillon.

“Avanti...” - sussurrò, piegandosi su di lui - “Leviamo questa roba di dosso...”

***

Quando Pepper rientrò, circa un'ora dopo, la corazza di Batman giaceva già nel doppio fondo dell'armadio. Seduto in poltrona, ancora vestito ma a piedi scalzi, c'era Tony che beveva scotch.

Quando Pepper fece il suo ingresso, Tony smise di sostenersi la tempia con un dito e le fece segno di restare in silenzio. Pepper, che sapeva quando discutere e quando non farlo, si avvicinò piano, quasi in punta di piedi.

Bruce, sdraiato sul divano, dormiva profondamente. Era stranamente indifeso, stretto in una maglietta bianca, un braccio ripiegato sotto la testa come un cuscino. Aveva i bicipiti coperti di lividi, tagli, contusioni... persino il segno di un dente. Tony sapeva che a Pepper non sarebbero sfuggiti e già si domandava cosa inventarsi, quando la donna aprì bocca.

“Hai nascosto la corazza in un posto sicuro?” - domandò, fissandolo - “Lasci sempre tutto in giro...”

Tony rimase a bocca aperta. E fu la volta di Pepper per portarsi alle labbra un dito e indicargli l'altro estremo del loft.

Si spostarono, insieme. Quando Pepper si fu seduta, Tony le sfilò le scarpe, tenendole il piede tra le mani.

“Da quanto lo sai...” - sussurrò sottovoce.

“Non ti interessa di più sapere come l'ho scoperto?” - sorrise lei - “L'ho capito il giorno in cui mi hai baciato. Eri così sconvolto che hai detto: 'vado da Batman' al posto che 'vado da Bruce'.”

“Ti prego, dimmi che non l'ho fatto davvero.”

“Non l'hai fatto davvero.” - ammise lei, aspettando di vedere l'angoscia fuggirgli dai lineamenti.

Tony la fissò, del tutto stranito, poi scoppiò a ridere, rischiando di soffocarsi nel tentativo di non far confusione. Pepper si piegò su di lui, baciandolo.

“Lo so dalla prima immagine di Batman finita sui giornali.” - disse, divenendo seria - “C'erano particolari che potevi aver ideato soltanto tu. E c'era un solo uomo di cui potevi fidarti.”

“Oh, andiamo, non sono così prevedibile...”

“No. Ma, nella mia vita, sei ciò che conosco meglio. Per questo ti amo.”

“Ti amo anche io.” - concesse lui, tornando a massaggiarle un piede. Pepper sospirò e si voltò, affacciandosi sopra lo schienale del divano su cui sedevano e posando la tempia contro il pugno.

“Lui sta bene?”

“E' un rottame. Zoppicava già alla festa, non te ne sei accorta?”

“Per questo si sorreggeva a due modelle?”

“Non essere cattiva. E' rimasto in piedi dopo il passaggio di Rachel, dovresti essere fiera... è un ometto coraggioso...”

“Adesso sei tu ad essere cattivo...”

“Lo so. Mi capita quando mi preoccupo.” - ammise lui, lasciando perdere l'opera gentile e lasciandosi cadere indietro, sul divano - “Se solo avesse qualcuno con cui dividere tutto questo...”

“Lui ha te...”

“Non intendo uno come me... ma una come te.”

“Oh.” - annuì Pepper, meditabonda, insinuando una mano sotto l'orlo del pantalone di Tony - “La signorina Dawes...”

“Non necessariamente lei. Una più... come te.”

“Lo prendo come un complimento ma... ma a Bruce serve Rachel.”

“Lo so...” - sospirò, strofinandosi gli occhi con una mano.

“Tony...”

“Mmm?”

“Hai mai pensato di realizzare per lui un'armatura come quella di Obadiah?”

Lo strofinio si interruppe. E Tony fissò il soffitto.

“L'ho pensato. Ma non per lui.” - rispose, nel buio - “L'ho pensata per me.”

Quando lo disse, seppe di aver violato l'unica regola che aveva imposto a Bruce.

***

La settimana dopo, Rachel e Harvey avevano annunciato il loro fidanzamento. E, da quel momento, mettersi in contatto con Bruce era divenuto impossibile. Come regalo, aveva fatto avere a Dent tutto ciò che gli serviva per incriminare il successore di Falcone e far saltare così tante teste da passare alla storia. Le minacce di morte nei confronti del procuratore si erano triplicate e, quasi in sordina, una carta da gioco era apparsa sul parabrezza della sua macchina.

Un joker. Nulla, in confronto alle lettere, ai pacchi bomba e ai tentativi di sparatoria in aula.

Solo Tony sembrò notarlo, nel verificare alcuni video con Lucius Fox.

Un piccolo insignificante Joker iniziava ad apparire su troppe scene del crimine. E, presto, avrebbe cambiato tutto il loro mondo.

***

La notte era finita. Bruce si sfilò la corazza con lentezza, cercando di ridurre al minimo l'attrito con la pelle. Era in un bagno di sudore.

“Una carta da gioco è un simbolo.” - commentò, rivolto a Tony, che sedeva alla postazione monitor - “E noi dovremmo...”

Barcollò, appoggiandosi ad un tavolo. Aveva la schiena piena di tagli.

“Dannazione, Bruce.” - scattò Tony, raggiungendolo e sedendolo a forza - “Ma cosa ti sei messo in testa!”

“Non sto facendo niente di diverso da...”

“Risparmiami le cazzate.” - tagliò corto Tony, valutando i danni. Cicatrici, era una ragnatela di cicatrici! - “Da quando Rachel e Dent...”

“Rachel non c'entra.” - replicò Bruce, alzandosi e allontanandosi.

“Rachel c'entra dalla prima volta in cui hai pensato di metterti la maschera, Bruce. C'entrava Rachel ogni volta che finivi in isolamento al campo prigionieri e ogni volta che ti mettevi nei guai per il gusto di farlo. Per un motivo che non conosco, Rachel è l'inizio e la fine di ogni tua scelta.”

“Perchè la amo, maledizione, la amo e la sto perdendo! Non ho mai fatto altro che deluderla, deluderla con ogni mia scelta.” - rispose Bruce, voltandosi di scatto.

Tony non fu altrettanto rapido. E Bruce si ritrovò seduto per terra, così tanto dolore nel corpo e nel petto da pensare di morire.

“La amo.” - ripetè. Alzò una mano, la lasciò ricadere - “Tutto inizia con Rachel e finisce con lei, tutto passa da Rachel perché non ho altro. E' tutta la vita che non ho altro.”

Tony respirò a fondo. E si avvicinò, posandogli una mano sulla testa. La fronte gli scottava.

“Non ho altro, Tony.” - ripetè Bruce, la tempia contro il ginocchio e gli occhi chiusi in un attimo di debolezza - “E non posso essere l'eroe che lei vuole... non posso essere ciò che non sono...”

***

Bruce non poteva essere ciò che non era. E non era ciò che Rachel credeva.

Se fossimo uomini di acciaio, ragionò Tony, scendendo dalla macchina e avviandosi verso la postazione computer.

Se fossimo fatti di acciaio... premette il pollice sul misuratore e guardò lampeggiare il numero percentuale del proprio avvelenamento. Poteva andare peggio, a conti fatti. Si sedette, bevette un sorso di robaccia e buttò giù due pastiglie per il mal di testa. Poi si piegò, aprendo l'ultimo cassetto della scrivania. Qualche foto, un biglietto scritto con il rossetto, un numero di telefono, qualche penna... eccoli.

Piegati in quattro, i disegni della prigionia. Tony li aprì e li lisciò. Poi li divise, stendendoli sul tavolo.

“Jarvis, scanner.” - sospirò. E osservò la luce azzurra percorrere le linee, immettendole nel computer - “Maledizione, Bruce, maledizione...”

Dopo la discussione, lo aveva portato a casa, augurandosi che avesse il buonsenso di andare a letto. L'espressione di Alfred nell'aprire loro la porta, sembrava una garanzia a riguardo.

Tony aveva un braccio di Bruce attorno alle spalle. Lo sorreggeva, camminando con calma, come se fossero entrambi troppo ubriachi per restare dritti.

“Alfred!” - lo aveva salutato, con un'allegria che non provava affatto, per rendere completo il travestimento. Poi era tornato serio, una volta chiusa la porta - “Alfred, credo che stasera la festa sia stata troppo estrema per il signor Wayne.”

“Credo anche io, signore.” - commentò il maggiordomo, guardandoli in maniera indecifrabile - “Se volete seguirmi...”

A differenza della sua villa, che si sviluppava pressochè interamente in orizzontale, WayneManor era un dedalo di scale e ascensori interni. Era possibile spostarsi da un punto all'altro senza percorrere due volte lo stesso percorso. Tony, in altri frangenti, l'aveva trovata tanto divertente da studiare con un certo interesse anche le planimetrie ma, quella sera, a sbuffare sotto il peso di Bruce, si era ritrovato a rimpiangere Jarvis che aveva un braccio meccanico perfetto per portare a letto gli ubriachi.

Lasciato Bruce nelle mani di Alfred, Tony aveva compreso di aver bisogno di cambiare aria.

Era a Gotham da troppi giorni ed aveva bisogno dei propri spazi, dei propri giocattoli e di riflettere.

Ora, seduto alla propria scrivania, cominciava a sentirsi meglio, meno coinvolto, meno pressato.

Se solo fossimo fatti di acciaio...

I progetti sfilavano sui monitor, divenendo tridimensionali. Non quelli dozzinali di Obie, bensì gli originali, quelli della prigionia, senza eccessi. Da quanto tempo non li guardava? Occhio e croce un'eternità.

Perché gli sembrava un'eternità il tempo occorso a cambiare la propria vita: le StarkIndustries, ora all'avanguardia per le energie rinnovabili e la scienza, se stesso, Pepper... persino Bruce era stato per lui un progetto di vita.

Ma ora... ora Tony sentiva di nuovo premere qualcosa nel petto, vicino al reattore: era il desiderio di unicità, l'egoistico desiderio di avere qualcosa da non dividere, del tutto per se stesso.

Qualcosa in cui credere veramente. Qualcosa di grande.

Qualcosa prima di morire. E, quel qualcosa, sarebbe stato come acciaio. E come fuoco.

***

La sera in cui Rachel ruppe il fidanzamento, fu la stessa in cui il Joker fece la sua comparsa, dichiarando guerra a Gotham e al mondo intero.

La sera in cui tutto questo accadde, le stelle erano così splendenti e il cielo così nero che Batman, in piedi su un cornicione, tardò a rientrare, per il puro piacere di guardare la città e lo spettacolo che le si srotolava sopra. Le stelle sembravano cadere. La notte non era mai stata tanto buia e tanto luminosa allo stesso tempo.

La sera in cui Rachel ruppe il fidanzamento, fuggendo da Harvey, fu la sera in cui Joker incontrò un nuovo alleato. E fu la sera in cui, osservando quel cielo fatto di luce, Batman comprese che la tempesta era in arrivo, che si sarebbe abbattuta irrimediabilmente su tutti loro.

La sera in cui Rachel ruppe il fidanzamento, era il compleanno di Bruce. E Batman pensò che, da quella distanza, WayneManor, illuminata a festa, sembrava un fuoco fatuo.

***

A Malibu pioveva. Pepper era a NewYork per lavoro e Tony era di pessimo umore. Sarebbe dovuto andare a Gotham già nel pomeriggio e, invece, distratto dai giocattoli che costruiva nello scantinato e da qualche incombenza da miliardario, aveva fatto tardi. L'intervista esclusiva, come ogni mese, era stata una noia mortale: la giornalista bionda (che Tony non ricordava di essersi scopato ma che gli era tanto ostile da fargli venire il dubbio di averlo fatto) aveva posto domande polemiche come una macchinetta e non aveva capito metà delle sue battute. Pazienza, si era consolato Tony, abbandonandola nel locale affollato in cui le aveva dato appuntamento, Pepper sistemerà tutto lunedì.

Adesso, ad essere onesto, gli sarebbe piaciuto solo fare una doccia e andare a dormire. Al solo pensiero di affrontare quel cielo plumbeo... che tristezza...

“A Gotham il temporale non è ancora giunto, signore.” - lo confortò la voce metallica del suo maggiordomo, mentre si trascinava verso la camera da letto - “Dicono che sarà una splendida serata e che le precipitazione cominceranno solo a notte fonda...”

“Da quando ti occupi anche di previsioni meteo, Jarvis?” - domandò Tony, rovistando nell'armadio a caccia di un completo da portarsi dietro.

“Da sempre, signore. Mi sono permesso di aprire l'appartamento di Gotham, signore. Tutto risulta in perfetto funzionamento.”

“Grazie, ma non credo che mi servirà. Rientrerò stanotte.”

“Come vuole, signore.”

“Il regalo?”

“Recapitato come richiesto, signore.”

“Puntuale almeno quello.” - commento Tony, scegliendosi la cravatta - “Ah, Jarvis... se torna la signorina Potts... le dica di aspettarmi alzata.

***

Rientrare a WayneManor con tutta quella confusione poteva rivelarsi pericoloso: Bruce aveva scelto di fermarsi alla Tower e usufruire delle gallerie inferiori e dell'appartamento privato all'attico. Nell'ingresso, aveva trovato una scatola quadrata, nera, con un biglietto.

Il biglietto recitava, in bella calligrafia: “Indovina, indovinello...”

“Chi ha paura del pipistrello?” - sorrise, cantilenando sottovoce.

Non era firmato. Ma non aveva importanza.

Dentro alla scatola c'era un bracciale in titanio, magnificamente lavorato. Bruce, lo sfilò dal cuscino in velluto e lo sollevò. A contatto con le sue impronte digitali, il metallo emise una lieve vibrazione e, in traslucido, seguendo le linee dell'intaglio, apparve un pipistrello.

“Tony...” - sorrise Bruce, sollevandolo fino al viso.

Indovina, indovinello...

I dati si accavallavano, dando dimostrazione delle potenzialità di quel gioiello: foto, microfono, video, le sue funzioni vitali... aveva l'esuberanza del signor Stark nello svelarsi.

Sotto il cuscino, nella scatola, c'era un secondo biglietto.

“Per combattere insieme, anche quando sei solo. T.”

Lo ripiegò, infilandolo in tasca e, percorrendo il corridoio, in direzione del salone, fino ad arrivare sulla soglia.

Lì, la vide. Lì, lo attendeva Rachel.

Si era presentata alla porta un paio di ore prima e Alfred l'aveva fatta accomodare. Si erano scambiati due parole e il vecchio maggiordomo, dopo poco, l'aveva lasciata sola, rispettando i suoi occhi gonfi e l'espressione tirata.

Bruce si fermò. Poi, semplicemente andò da lei.

Si era avvicinato, come quella sera. E Rachel aveva piegato la testa, guardandolo negli occhi.

“Tu non sei Harvey...” - aveva sussurrato - “Ma Harvey non è te.”

Era stato allora che Bruce le aveva accarezzato il viso, un gesto semplice, quasi senza valore.

Un tocco leggero, un preludio lieve al bacio che si erano concessi.

Un contatto impalpabile, come un ricordo.

***

WayneManor, quella notte, sembrava una risposta alle stelle che splendevano sui suoi tetti. Il prato era stato disseminato di torce e il viale illuminato fino al portone, perennemente spalancato. Una folla magnificamente vestita si affollava sui prati e sulle terrazze, con il classico brusio che si accompagna a certe feste.

L'aria era fresca, preludio di un temporale che avrebbe tardato a giungere. Bruce, arrivando all'ingresso principale con la propria macchina, era stato accolto da un applauso.

Aveva sorriso, stretto mani, detto un breve discorso per augurare a tutti il meglio dall'esistenza e poi, in un attimo di solitudine nella folla, aveva alzato gli occhi al castello.

Alla base dell'antica scala, aveva contemplato quel blocco di pietra e mattoni che era la propria eredità. Una casa che vorrei demolire, aveva detto, tanto tempo prima, suscitando le ire di Alfred. Mattone per mattone, fino a vederla svanire dalla faccia della terra, con i suoi incubi e i suoi ricordi scomodi.

Le pietre sono fredde, senza gli uomini a renderle vive. Le pietre rendono i ricordi un'ombra nella notte.

Eppure, quella sera, immersa nella luce, Bruce ne riconobbe la superba bellezza. Una costruzione fatta dei sogni dell'uomo e delle sue speranze.

Nata per non dimenticare e per tornare ad essere viva, generazione dopo generazione.

Quella sera, a naso in su, Bruce rivide se stesso correre su dai quei gradini, con Rachel per mano.

L'avevano percorsa salendo sotto la pioggia, a quattordici anni. E lui, in cima, all'ombra del castello, l'aveva baciata. L'aveva baciata e aveva capito che, da quel momento in avanti, non avrebbe mai potuto smettere.

Ma niente era andato come volevano.

Niente.

Fino a ora. Ora sarebbe stato tutto diverso.

E, con quella strana promessa in cuore, Bruce salì la gradinata in pietra, passo dopo passo.

In scena. In scena per un'ultima volta.

***

Stava già comportandosi da buffone quando una voce dal lieve accento straniero lo chiamò, obbligandolo a voltarsi. Quando si trovò di fronte allo sconosciuto austero ed elegante, la voce petulante della donna che desiderava presentarli divenne ovattata e lontana.

Ducard gli tese la mano, perfettamente calato nella propria parte. E Bruce pensò soltanto a come avesse potuto non riconoscerlo, sull'elicottero, alle spalle di Obadiah, quel giorno.

“Ci sei tu, dietro a tutto questo...” - sussurrò soltanto, a denti stretti, fissandolo dritto negli occhi.

“No, Bruce...” - sorrise Ducard, ricambiando con un sorriso - “Ci sei sempre stato tu, dietro tutto questo...”

***

Sette anni prima, fuggire da Gotham era significato fuggire da se stesso. E fuggire lontano, senza sapere dove andare o chi voler divenire, aveva significato incontrare e scontrarsi con sconosciuti di ogni genere.

Bruce sapeva di aver combattuto, ricordava di aver difeso con i denti la propria identità e i pochi averi che gli restavano. Poi, un giorno, nell'ennesima prigione in cui era stato buttato, aveva incontrato Ducard. Ed il mondo era sembrato, per un lungo istante, meno buio.

Signor Wayne...”

Come sa il mio nome?”

Il mondo è troppo piccolo perché uno come Bruce Wayne possa sparire, per quanto in basso decida di scendere.”

Lei chi è?”

Io mi chiamo Ducard, e sono qui per offrirti una via.”

Chi le dice che ne cerchi una.”

Uno come te è qui solo per scelta.”

Per la prima volta da molto tempo, sporco, lacero e incerto sul proprio destino, Bruce aveva confuso la lusinga con il rispetto. E la rete di Ducard aveva cominciato a stringersi su di lui.

E quale sarebbe la via che mi può offrire?”

La via di un uomo che condivide il tuo odio per il male e che desidera servire la vera giustizia: la via della Setta delle Ombre.”

I suoi insegnamenti si erano rivelati preziosi. Ducard aveva fornito a Bruce i mezzi per combattere le ingiustizie e gli aveva insegnato che, per instillare la paura negli altri, avrebbe dovuto prima imparare a dominare la propria.

Bruce si era rivelato un alunno attento e scrupoloso. Il migliore, forse.

Il migliore... ma anche colui che aveva scelto di fermarsi un attimo prima del baratro.

Ti abbiamo liberato dalle tue paure. E puoi diventare un membro della Setta delle Ombre. Prima però devi manifestare la tua sottomissione alla giustizia.”

Ma Rachel era stata più forte di ogni promessa di vendetta.

No. Io non sono un carnefice.” - aveva risposto, arretrando di un passo davanti a ciò che gli veniva richiesto e ripensando a lei, lei che lo disprezzava e lo rinnegava come se non fosse mai esistito.

Non c'è nulla, al mondo, si era detto, che valga come l'amore di Rachel.

La tua compassione è una debolezza che i tuoi nemici non ricambieranno.”

È per questa ragione che è importante. Perché ci distinguerà sempre da loro.”

La compassione. Quel giorno, Bruce aveva ceduto alla compassione, spartiacque tra vendetta e giustizia. Quel giorno, Bruce aveva messo in equilibrio la bilancia del proprio destino. Ed anche se aveva impiegato tanto tempo per tornare a casa, se erano servite altre prigioni e altra violenza a placarlo almeno in parte, ora Bruce era consapevole del proprio posto e ben deciso a difenderlo.

Per giustizia.

E per amore.

Lui e Ducard si fissarono, occhi negli occhi. Poi l'uomo sorrise ancora.

“Prego, Bruce...” - mormorò, lasciandogli andare la mano e indicando il lungo corridoio alle loro spalle - “Vorrei vedere la casa in cui affondano le tue radici. Parliamo.”

Non era cambiato, nel portamento e nel modo di esprimersi. Istintivamente, nello stargli a fianco, Bruce tornò alla postura insegnatagli durante l'allenamento. Una mano dietro la schiena, per attaccare, l'altra lungo il fianco, per difendersi.

Ducard sembrò notare e approvare.

“Mi complimento con te...” - disse, osservando i grandi quadri lungo le pareti - “Non è da tutti tramutarsi in qualcosa di più di un semplice uomo, e consacrarsi ad un ideale... divenire un simbolo.”

Bruce non rispose. E Ducard parve intuire i suoi pensieri.

“Stai tranquillo...” - sospirò - “Non lo sa nessuno... nemmeno lui...”

“Lui?”

“Si fa chiamare il Joker.” - Ducard gli mostrò una carta da gioco - “Un uomo interessante che ha saputo attirare la mia attenzione. Sarà qui a breve... deve parlare con una persona...”

“Un folle.” - replicò Bruce, stringendo i denti. Aveva visto alcune sue scene del crimine e aveva visto le minacce fatte a Dent. Il Joker stava scalando le vette della malavita organizzata e ancora non c'era stato modo di prevedere dove avrebbe colpito.

Se davvero, alle spalle del Joker, ci fosse stata la Setta delle Ombre...

La teatralità e l'inganno sono strumenti potenti. Devi diventare più che un uomo agli occhi del tuo avversario. L'addestramento è niente, la volontà è tutto.” - stava dicendo Ducard - “Ricordi, Bruce? Non mi stancavo mai di ripetertelo...”

“Hai ripetuto molte frasi che non hanno significato...”

“Bugiardo... la menzogna è l'arte dei deboli. Io non la uso mai. Io dico sempre solo al verità.”

Hai girato il mondo per capire la mentalità criminale e vincere le tue paure. Ma un criminale non è complicato. E quello che veramente temi è dentro di te. Tu temi il tuo stesso potere, la tua collera, l'impulso di fare cose grandi o terribili. Sei pronto? Respira le tue angosce. Affrontale. Per vincere la paura devi diventare paura. E gli uomini temono soprattutto quello che non vedono. Devi diventare un pensiero orribile. Senti come il terrore annebbia i tuoi sensi. Apprezza il suo potere di distorcere e di tenere a freno. E convinciti che questo potere può essere tuo. Diventa una cosa sola con l'oscurità. Concentrati! Domina i sensi. Non devi lasciare in giro alcun segno.”

“Devi a me ciò che sei, e ne sei consapevole. E, ora, dimmi: ti senti ancora responsabile della morte di tuo padre?”

“La mia rabbia supera il rimorso.”

“E solo la vendetta potrebbe darti pace.” - Ducard si fermò, ostacolandolo, il bastone stretto tra le mani - “Sei ancora in tempo, Bruce... abbraccia la nostra causa.”

“Mi dispiace... mai.” - rispose Bruce, fissandolo dritto negli occhi.

“Allora, mio caro ragazzo... - replicò l'uomo abbassando la voce - “Sappi che dispiace anche a me.”

Il bastone che stringeva tra le mani produsse un leggero scatto.

E, prima di rendersene conto, Bruce sentì la spada penetrargli nel fianco. E il cielo cadere su di loro.

***

Rachel si era vestita con cura. Si era annodata i capelli e, quando il fotografo, nell'ingresso di WayneManor, le aveva chiesto di mettersi in posa, lo aveva fatto con naturalezza.

Aveva sorriso, lasciandosi immortalare per sempre. E poi, tra le luci dei lampadari, aveva varcato le soglie di quella casa enorme che, da bambina, era stato il suo paese incantato.

Aveva salito gli scaloni, ripensando a quando ne discendeva le balaustre con un'unica scivolata. Aveva salutato alcuni con un cenno, la regalità di una principessa alla propria corte. Si era abbandonata a quel senso di egoistico possesso che le trasmettevano quella mura prive di segreti.

WayneManor le stava dando il benvenuto. E Rachel sentiva di essere tornata a casa.

Aveva detto a Bruce che non sarebbe andata con lui, che lo avrebbe atteso a Gotham. Ma se ne era pentita nell'istante stesso in cui le porte dell'ascensore si erano chiuse. Dopo le loro parole, dopo quelle brevi frasi... no, il suo posto non era a Gotham, lontana.

E tornare a WayneManor... tornarci assieme... guardare i fuochi d'artificio dalla porta di casa e baciarsi, baciarsi all'ombra delle pietre... tornare indietro nel tempo e non essersi mai lasciati...

Alfred le aveva procurato un vestito e alcuni accessori. Aveva scelto un abito blu, lungo, che la faceva sembrare un fiore, con buongusto e affetto così come, da bambina, le portava i trucchi, tornando alle commissioni per i signori Wayne.

Lucidalabbra alla fragola, ombretti invisibili... Rachel aveva l'impressione di ricevere il mondo.

E c'era Bruce, capace di guardarla sempre con adorazione. Bruce, che la sera non riusciva a levarsi il profumo appiccicoso di fragola dalle guance.

Di nuovo a casa, insieme. Rachel sentiva il cuore batterle più forte, percorrendo il lungo corridoio.

Ma nel salone stava succedendo qualcosa. E, mentre ancora cercava di capire, di realizzare le urla, le fiamme e gli uomini armati, si sentì afferrare per un braccio e spingere innanzi ad un uomo.

Un uomo con la faccia grottescamente dipinta di bianco.

“La futura signora Dent....” - rideva e si passava la lingua sulle labbra - “Cercavo proprio lei...”

***

Tony era per strada, quando il telefono cominciò a squillare.

“Pepper, amore!” - esclamò, aprendo la comunicazione “Se sei a casa, mettiti un vestito sexy e ordina ad Happy di portarti da me sulle ali del vento... o con la Ferrari, se preferisce. “Tony? Tony, mi senti?” - la voce della donna era stridula, la linea disturbata. Paura. Pepper aveva paura.

Tony spense la musica e accostò.

“Pepper, cosa succede!”

“La casa di Bruce sta andando a fuoco. Tu... tu dove sei?” - Pepper ansimava, come se stesse correndo - “E' su tutti i notiziari...”

Tony non se lo fece ripetere due volte. E, sullo schermo della macchina, apparve il rogo. WayneManor era in fiamme.

“Non sono là, Pepper, stai tranquilla. Non ancora.” - disse, rimettendo in moto, gli occhi fissi alla distruzione in diretta - “Cerca Alfred, scopri se è al sicuro. E comincia a cercare Bruce.”

“Tony...” - il tono di Pepper, ora, era sommesso. Qualcuno gli aveva parlato con lo stesso timbro, il giorno in cui erano morti i suoi genitori e Tony sentì che, se avesse insistito a cercare di farlo ragionare, si sarebbe messo ad urlare.

“Cerca Alfred e, per la miseria, trova Bruce!”

***

Odore di fumo e di benzina. Risate e urla.

Bruce non riusciva a muoversi, qualcosa gli premeva sul petto, schiacciandolo. Si sentiva anestetizzato, pesante. Ma qualcuno urlava.

Urlavano in molti.

Doveva fare qualcosa. Provò a raddrizzarsi,inutilmente.

Fuoco.

La casa andava a fuoco.

“Alfred...” - chiamò. Ma Alfred era in città, alla WayneTower, dove si erano salutati.

Era alla WayneTower, dove aveva lasciato Rachel con la promessa di tornare presto.

Devo tornare da Rachel...

Urla. Le urla erano sempre più fievoli.

Qualcuno si stava salvando?

Sentì chiamare il proprio nome e capì a malapena di non aver risposto.

Il suo nome, ancora. Alzò un braccio, sperando bastasse.

E qualcuno gli afferrò la mano. Una stretta calda, forte.

“Papà?” - si chiese, cercando di voltare la testa. La pressione sul suo corpo stava divenendo dolorosa, spostandosi.

Non represse un gemito.

“Bruce, guardami.” - disse la voce. Poi una mano lo afferrò per i capelli, tirando, obbligandolo a spalancare gli occhi. E Tony scandì di nuovo il comando - “Ho detto guardami.”

“Aiutami.” - aggiunse, quando fu certo che lo avesse riconosciuto. Afferrò la trave, tirandola verso di sé. Bruce spinse, come poteva, e il peso sembrò ridursi, fino a svanire.

“Andiamo.” - disse Tony, tirandolo per le braccia e mettendolo in piedi con la sola forza di volontà. Ormai l'incendio si stava impossessando di tutto, distruggeva ogni colore e cancellava ogni ricordo. Gli ospiti erano fuggiti. Alcuni, rimasti a terra, erano stato calpestati, già dimenticati da una folla che, l'indomani, avrebbe rammentato con vergogna e rimorso le proprie azioni.

Vestiti eleganti e non più tanto spensierati, avevano divelto le ampie vetrate del salone, aperto varchi di fuga. Tony, arrancando sotto il peso di un Bruce sempre più debole, aveva cercato disperatamente un modo per raggiungere il salone principale e, da lì, una delle finestre.

Ma era inutile. Il salone era ormai un letto di fiamme.

E, al centro di quel letto... lei.

Tony la riconobbe all'istante.

Un fiotto acido gli salì dritto alle labbra e solo con uno sforzo titanico impedì al suo stomaco di ribellarsi.

Rachel era avvolta dalle fiamme. E, in mano, qualcuno le aveva posto una spada e una bilancia.

“No.” - gli sfuggì dalle labbra, con orrore crescente - “Ti prego, no...”

Rachel, sentì sussurrare, contro la sua spalla. E, di colpo, Bruce parve rianimarsi.

***

Fu allora che Tony comprese: comprese il passato ed il futuro scorrevano in quell'attimo, che tutto il vissuto li aveva condotti a quell'istante perché dal fuoco si forgiasse davvero il loro destino.

Era finito il tempo dei giochi e delle speranza. Era finito il tempo delle incertezze.

Era in quel momento che la leggenda faceva degli uomini i simboli di acciaio che erano destinati a divenire. In quell'attimo, in quel singolo attimo, Tony comprese di essere la linea di demarcazione tra la vita e la morte di Bruce. E di Batman.

Gotham non si meritava Batman, né il perdono. Gotham era una tomba per coloro che credevano nella giustizia. Eppure, dalle ceneri, dalle ceneri del passato, poteva risorgere il guerriero oscuro di cui essa aveva bisogno.

E, perché questo potesse accadere... Bruce doveva vivere. Anche se non era ciò che voleva.

Per questo lo strinse, impedendogli di gettarsi tra le fiamme. Lo strinse forte e arretrò, in direzione di uno dei vecchi montacarichi, sordo alle sue urla e alla forza residua con cui cercava di ribellarsi.

Forgiati dal fuoco, come metalli. Arsi, dal rubino e dall'oro delle fiamme.

Vivi nella morte.

Vivi e con un destino.

Entrambi.

C'era un uomo alle spalle di Rachel, un uomo con il volto dipinto, a malapena visibile dietro al spessa cortina di fumo.

Quell'uomo rideva. E la risata era l'eco delle urla disperate di Bruce.

Ormai WayneManor crollava, implodendo su se stessa. Quando Tony riuscì a sganciare il fermo, obbligando il montacarichi ad una discesa troppo veloce, il fuoco passò su di loro, come un'onda. Qualcuno, un'ombra, lo strinse forte, proteggendolo con il proprio corpo. Bruce chiuse gli occhi, sentendo il caldo violentargli i polmoni.

E capì di averla persa, di sentirla morire, senza un suono, sopra le loro teste.

Rachel, che gli aveva sorriso tra le fiamme.

Rachel, che gli aveva sorriso tra le lacrime.

Si guardò la mano destra e cercò disperatamente di ricordare la sensazione che gli aveva dato la sua pelle, in quella breve carezza. Nulla. Rachel era cenere anche nella sua mente.

Cenere. E, mentre Tony si chinava, premendo sulla ferita, Bruce scoppiò a piangere.

Pianse, mentre il mondo collassava definitivamente su di loro.

Pianse, con l'angosciante consapevolezza di essere ancora vivo.

Poi, misericordioso, giunse l'oblio.

On the first page of our story

the future seemed so bright

then this thing turned out so evil

I don’t know why I’m still surprised

even angels have their wicked schemes

and you take that to new extremes

but you’ll always be my hero

even though you’ve lost your mind

(Rhianna&Eminem - Love the way you lie)

Sulla prima pagina della nostra storia Il futuro sembrava così splendente

Poi questa cosa si è rivelata essere un male Non so perché sono ancora sorpresa

Persino gli angeli hanno i loro schemi malvagi E tu li porti a nuovi estremi

Ma sarai sempre il mio eroe Anche se hai perso la testa

(30 giugno 2013)

  
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