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Autore: Lachelle Winchester    05/10/2013    4 recensioni
Come reagireste se un Dalek interrompesse una normale giornata di lezione e una strana cabina blu comparisse nella vostra scuola?
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elizah and the Doctor'
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Capitolo 1: Realtà o fantasia?


Per una frazione di secondi sentii la testa vorticare velocemente, gli occhi mi facevano male e si aprivano e chiudevano continuamente, incerti se credere o meno a quello che avevo davanti. Ero anche tutta bagnata, perché dalle scale alla cabina avevo percorso un tratto di cortile senza ripararmi, spaventata da quello che avevo appena visto.
« Hai intenzione di rimanere seduta a terra ancora per molto? » una voce distinta interruppe il mio stato di trance.
Mi voltai, in cerca della fonte e lo vidi per la prima volta; un uomo abbastanza alto, magro, slanciato, con un viso roseo ma lievemente più chiaro, aveva gli occhi scuri, portava un paio d'occhiali sottili e aveva un'espressione seria ma allo stesso tempo rassicurante, simpatica. Mi piaceva il suo abbigliamento; indossava un abito formale blu e delle converse rosse che mi piacevano tantissimo e in genere mi mettevano di buon umore le persone che indossavano scarpe che mi piacevano, ma rimasi seria, del resto non sapevo chi era quell'uomo ed ero in una fase di crisi esistenziale che aveva spazzato via ogni mia certezza. Ero al punto di chiedermi come mi chiamassi quando l'uomo parlò di nuovo.
« Se vuoi rimanere lì, fai pure. » mi disse sorridendomi e mostrandomi un'espressione serena, ma in quel momento realizzai quello che era successo.
« Come fa questa cabina ad essere così grande dentro? E che cosa sono tutti quei pulsanti? » gli chiesi, alzandomi dal pavimento e guardando l'interno della cabina, illuminata da una luce forte ma non accecante e gran parte di questa proveniva dal centro di quell'enorme stanza, da una specie di tavolo circolare e bombato pieno di pulsanti, fili e altri congegni.
« Questo è un TARDIS, mi serve per viaggiare, e i pulsanti...beh servono a farlo funzionare. » non sembrava sorpreso della domanda e rispose cordialmente, ma la sua voce mi incuriosiva, mi spingeva a fargli più domande, così partii a raffica, mandandolo un po' in confusione, chiedendogli di tutto, a partire dai comandi, a come fosse possibile che esistesse una cosa del genere, come lui ne fosse entrato in possesso. Rispose ad ogni mia domanda divertito e più parlava più diventavo curiosa, fino a che lo guardai fisso in faccia, avvicinandomi a lui ma mantenendo una distanza minima dalla porta, nel caso in cui le cose si fossero messe male.
« Tu chi sei? »  gli chiesi spontanea, senza smettere di osservare la sua espressione, sempre seria e rassicurante allo stesso tempo.
« Questa è quella che stavo aspettando, strano che tu me l'abbia chiesto solo ora. » disse sereno, incrociando le braccia dopo essersi sistemato gli occhiali. « Sono il Dottore ».
« Il Dottore e il TRAD...uhm...che? » mi sentivo strana, ascoltavo ma non riuscivo trovare un nesso logico a quello che la mia mente lentamente elaborava.
« TARDIS. » ripeté lui come se fosse la parola più naturale del mondo, prendendo a spingere qualche pulsante e a guardare qualcosa su un monitor. « Mi piacerebbe restare ancora qui a chiacchierare ma ho una certa urgenza di risolvere un problema » aggiunse serio.
« Tu sei vero? » gli chiesi, noncurante di quello che aveva appena detto: ero sicura che qualsiasi cosa fosse, avrebbe potuto aspettare.
« Certo che sono vero! » mi rispose quasi offeso, alzando lo sguardo, questa volta stupito dalla domanda alquanto curiosa.
« Come può essere? » ero entrata in paranoia, mi facevo prendere dall'istinto e come al solito non pensavo prima di parlare, rischiando anche di essere poco educata.
« So che ti sembra impossibile quello che stai guadando m... » cominciò lui ma io lo interruppi.
« Non è impossibile, lo sto vedendo davvero e non sto sognando. Al massimo è improbabile. ».
« Ragioni in un modo che mi piace. » sorrise; non sembrava cattivo però la situazione era strana e io non riuscivo a fidarmi facilmente delle persone in generale, meno che mai di lui, in quel momento, in una cabina della polizia più grande di casa mia. «Ascolta, siete in pericolo, dovete evacuare la scuola il prima possibile perché c'è un Dalek che... » lo interruppi ancora una volta, sicura di non aver capito bene quello che aveva appena detto.
« Un che? ».
« Un Dalek, è un alieno. Sto cercando di localizzarlo. Non l'hai visto per caso? » l'unica cosa che avevo visto era un uomo che parlava di alieni come se fosse una cosa normale, una cosa quotidiana.
« Ah no, questa mattina ho avuto giusto il tempo di fare colazione e poi sono corsa a scuola, ma appena lo vedo te lo faccio sapere. » sbottai sarcastica, mentre mi convincevo sempre più che quello fosse uno scherzo.
La situazione sembrava scivolare sempre più nell'irreale e il mio cervello era sul punto di esplodere; mille pensieri, tutti insieme, erano in circolazione, farneticavo, deliravo, fantasticavo ma da un lato quell'uomo mi ispirava fiducia. « Gli alieni? Esistono? E sono qui tra gli uomini? ».
« Ti spaventa l'idea? » mi chiese, senza distogliere lo sguardo dallo schermo mentre io continuavo a guardarmi intorno, incredula.
« Un po' si, un po' più di un po' .» risposi sincera, anche se una parte di me era sempre stata affascinata da questo genere di cose. « Alieno significa solo che viene da un altro pianeta, non necessariamente che sia cattivo. Quindi se davvero esistono, anche noi siamo degli alieni per loro. » avevo cominciato a pensare ad alta voce, come sempre.
« Pensi sempre ad alta voce? »
« Purtroppo si. »
« Perché purtroppo? »
« Perché le persone non amano sentire dei commenti poco piacevoli su di loro. » non raccontavo mai niente a nessuno, non parlavo facilmente di me, non riuscivo a spiegarmi perché con lui invece ci riuscissi. « Un alieno, eh? La professoressa di filosofia? E' bassa, brutta e con i baffi. ».
« Cos'è? Un orco? » rise di gusto.
« Quella di latino? Una talpa con gli occhiali, bassa e ha i denti sporgenti. Secondo me è anche madrelingua. » cercavo di distrarmi e non pensare.
« Un tricheco. Ma i tuoi professori vengono tutti dallo zoo? » mi fece ridere, ma accennai appena ad un sorriso perché impiegavo sempre tempo a fidarmi delle persone, figuriamoci di uno sconosciuto in un cabina telefonica magica...se era magica, sempre ammesso che la magia esistesse.

« Questo è un Dalek. » annunciò poco dopo, indicandomi lo schermo. «Una volta erano più pericolosi, in pochi avrebbero potuto conquistare quest'universo ma qualcosa è cambiato in loro col tempo. » cominciò a spiegarmi, prima che lo aggredissi di domande.
Quelle parole sembravano rattristarlo, come se ne fosse colpevole, sembrava dispiaciuto.
« La macchinetta del caffè gigante! » esclamai riconoscendo sullo schermo il robot da cui i tre ragazzi di poco prima scappavano. « Aspetta, ma se è un alieno e quei ragazzi correvano, in realtà stavano scappando e quindi forse non sono solo svenuti... » un orribile pensiero mi pervase la mente e l'espressione dell'uomo certo non aiutava a farmi stare meglio.
« Mi dispiace, non posso salvare tutti. » era addolorato, come se fosse stata colpa sua.
« Salvare? Non è colpa tua. » cercai di consolarlo, spontaneamente, senza saperne il motivo. « O si? Tu come come sai queste cose? Anche tu sei un alieno? ».
Io scherzavo, ero sarcastica ma lui mi fissò per alcuni secondi ed alzò lievemente le sopracciglia, poi iniziò a raccontare.
« Sono un Signore del Tempo, il Tardis mi fa spostare nel tempo e nello spazio. Il mio pianeta si chiamava Gallifrey, dieci-zero-undici-zero-zero per zero-due dal punto origine della galassia, 250 milioni di anni luce dalla Terra. ».
Era un alieno. Solo io potevo scappare dall'orco che ci insegnava filosofia ed imbattermi in un alieno dall'aspetto umano con delle belle scarpe.
« Sono un'aliena per te quanto tu lo sei per me. » constatai, a metà tra la paura per la novità e il timore di essere diventata matta.
« Bene, ora che ti fidi di me... » lo interruppi di nuovo.
« Aspetta, chi ha detto che mi fido di te? » lo ammetto, non ho mai avuto un bel carattere e, anche in quell'occasione, ne feci sfoggio, con uno dei miei scatti isterici, mentre lui mi rivolgeva uno sguardo interrogativo. « Piombi all'improvviso nel giardino della mia scuola con una cabina blu viaggiante dal nome buffo, e di buffo non ha solo il nome ma anche il fatto che vada oltre le leggi della fisica e che a detta tua viaggi, mi dici che quei ragazzi sono morti, che esistono gli alieni, che tu stesso sei uno di questi, viaggi nel tempo e nello spazio e non hai un nome... »
« Ti ho detto che sono il Dottore. » forse aveva cominciato a stancarsi ma poco m'importava; anche io ero stanca di quello stupido scherzo, durato fin troppo per i miei gusti.
« Bene, non è che sei anche psichiatra? Perché me ne servirebbe uno bravo e ne avresti bisogno anche tu , che ti presti ai giochetti di qualcuno e ti prendi gioco di una ragazza cretina. » uscii fuori, chiudendo la porta porta blu che mi aveva portato in quella cabina e tornando alla realtà: perché quello per me era stato solo uno stupido scherzo.

Ero confusa, arrabbiata perché credevo che qualcuno si fosse preso gioco di me, conoscendo la mia passione per le avventure e l'amore per la fantasia, ma non sapevo che quella fosse la verità e il Dottore era stato sincero con me pur non avendone nessun interesse. Passeggiai per il giardino e mi ricordai che c'era ancora filosofia, così mi preparai a tornare in classe e a sorbirmi un richiamo, ma almeno avrei dimenticato quello che era successo; da un lato ero delusa, delusa di essere così stupida da credere ad una storia del genere, delusa di esserci rimasta male come quando una bambina scopre la verità su Babbo Natale, ma una parte di me sperava che non era stato né uno scherzo, né frutto della mia immaginazione. 
   
 
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