Titolo: Crossed
Times
Autore: Lien
Capitoli: 23/?
Rating: R (ma conta di arrivare a NC-17)
Pairing: Tom/Harry
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 23. Potere e Non
Potere
Tom poteva sentire un ghigno distorto affiorargli
sulle labbra, mentre ascoltava avido le suppliche del ragazzo incatenato al
muro. Lo osservava distaccato e vagamente divertito, dall’espressione
implorante negli occhi verde acqua al principio di pianto che si poteva vedere
ancorato alle ciglia, sul punto di cadere e scorrere sulle guance.
Tom era furioso. Oh si, era indiscutibilmente furioso. Ma
la sua non era una rabbia che si manifestava in scatti d’ira, pugni alzati e facce
rosse. No, la sua era un veleno gelido: scorreva
lento, ma arrivava sempre a colpire la sua vittima infine. In quel momento
aveva precisamente in mente quello che avrebbe soddisfatto la sua rabbia, e ne avrebbe amato ogni singolo
secondo.
Il ghigno si allargò. Si sentiva… libero: il ragazzo davanti a lui era
completamente alla sua mercé, incapace di muovere un
solo muscolo fino a che Tom non glielo avesse permesso, costretto all’unica
possibilità di piangere e supplicare.
Quello era ciò che Tom era nato per fare.
Quello era potere.
Lo poteva sentire scorrergli lentamente nelle vene
come una colata di dolcissimo miele, lasciandogli un formicolio lungo ogni
arto, dalla punta dei capelli ai polpastrelli. La bacchetta che stringeva tra
le dita stava fremendo per essere
utilizzata.
Quanto tempo era che non si sentiva così? Troppo, maledizione… ma non aveva nemmeno importanza, non
quando era lì, bacchetta in mano e vittima appositamente immobilizzata ai suoi
piedi.
Una piccola vocina nel retro della sua mente, però,
era qualche tempo che stava provando insistentemente a dirgli qualcosa: ma perché vuoi tanto fare del male ad Alden? Per vendetta, certo, ma… beh, il motivo
particolare non riusciva più a ricordarselo bene, ma non aveva poi così tanta
importanza. Si sentiva inebriato, sensazioni travolgenti di supremazia e potere
si rincorrevano per tutto il suo corpo e non riusciva a pensare a nulla di più
importante.
Scrollò mentalmente le spalle, tornando ad
ascoltare quasi rapito i lamenti e le preghiere del Corvonero. Mmh, per cominciare cosa avrebbe usato? Una fattura? No,
troppo poco teatrale. Direttamente un Cruciatus? Mmh, le urla avrebbero
attirato troppa attenzione…
La vocina di prima tornò a di
farsi sentire, più veemente di prima: questo suo comportamento non era normale, aveva cercato quel ragazzo per
un preciso motivo, certamente non pacifico ma di sicuro importante. Che senso aveva torturarlo senza nemmeno tenere il conto del
perché?
Infastidito Tom, ricacciò quella piccola coscienza
– e da quando poi se n’era creata una?
– nel fondo della mente, tornando a concentrarsi
sull’incantesimo che avrebbe avuto il piacere di usare per primo. Gli
occhi scarlatti scintillarono di una luce crudele.
Ah si, questo
è perfetto…
Avendo già le parole sulla punta della lingua, alzò
la bacchetta sul ragazzo immobilizzato, per un attimo gustandosi l’espressione
disperata che si riflesse sul volto dell’altro.
E fu proprio in quel momento
che se la sentì volare via dalle mani all’urlo di un “Expelliarmus!”
Per un attimo Tom rimase immobile, ma dallo sguardo
di rinnovata paura che gli stava rivolgendo Principe poteva immaginare come la
sua espressione dovesse essere niente meno che
terrificante.
Con movimenti lenti, studiati, fece un passo
indietro e, finalmente, si voltò a vedere chi aveva osato interromperlo.
Harry.
Il ragazzo era a pochi metri di distanza, la
propria bacchetta sguainata in una mano e quella di Tom fermamente stretta
nell’altra, le gambe divaricate e leggermente piegate in posizione di difesa.
E uno sguardo come
implorante sul volto, tanto che gli sembrava quasi di sentire le parole che
stava cercando di comunicargli: “Ti
prego, non farlo”. Sebbene il Corvonero
immobilizzato al muro avesse già espresso ad alta voce parecchie preghiere di
quel genere, non poteva esserci nulla di più diametralmente opposto tra le due
suppliche.
La vocina che tanto aveva cercato di farsi sentire
negli ultimi minuti lanciò un grido – osava
ammetterlo? - sollevato: Harry!
Harry. Era per Harry che era andato a cercare Alden, era per Harry che lo aveva incatenato al muro, era
per Harry che voleva fargliela pagare tanto. Lo stava facendo per Harry. Per
Harry.
Come tutto quello che faceva da un mese a quella
parte.
Le dita delle mani di Tom si strinsero in due pugni
ai lati del corpo. Tutto faceva
sempre capo ad Harry: da quando lo aveva incontrato
ogni sua giornata iniziava pensando a Harry,
ogni sua azione teneva sempre in conto di Harry,
sempre Harry Harry
Harry
Anche una cosa così semplice,
così banale come vendicarsi su uno
dei tanti studenti della scuola, una cosa che aveva già fatto innumerevoli
volte, doveva essere per forza
incentrata su Harry.
Chi mai, quindi, avrebbe tentato di fermarlo se non
Harry?
Perché anche a fermarlo era sempre Harry.
Rabbia – bollente, consumante rabbia – gli ribollì nello
stomaco, salendogli velocemente nel petto, gonfiandogli i polmoni e
infiammandogli il cuore.
Con uno sguardo gelido tornò a fissare la figura in
piedi a qualche metro di distanza, registrando appena il fatto che il ragazzo
fosse improvvisamente caduto in ginocchio portandosi una mano alla fronte con
una smorfia di dolore.
Così era ridotto Tom Riddle? Dov’erano
finiti tutti i suoi piani, i suoi progetti? Come aveva potuto un semplice
ragazzino fermare l’erede di Serpeverde?
Tutte le sue ambizioni… perché gli suonavano così lontane ora, come se fosse stato tantissimo tempo che non ci
pensava più? Il suo sogno più grande, quello di abbandonare il disgustoso nome
babbano che si ritrovava e ricomparire al Mondo Magico sotto le spoglie del più
potente mago che avesse mai messo piede sulla terra, con un nome di cui la
gente avrebbe avuto il terrore solo a nominare, un anagramma così perfetto che
faceva quasi pensare fosse opera del destino…
Quell’assaggio di potere per il quale aveva appena
avuto il tempo di gustare, prima che Evans fosse venuto a
interromperlo, gli aveva ricordato quali fossero i suoi veri obbiettivi.
E un insulso ragazzetto non
ne faceva parte.
“Accio bacchetta!”
Per la seconda volta nel giro di qualche minuto, la
bacchetta di Tom compì un ampio arco e sfrecciò nel palmo aperto del
Serpeverde.
Tom osservò con occhi assottigliati Harry alzarsi
nuovamente in piedi, lasciando l’appoggio del muro e riuscendo a rimanere
stabile, nonostante il lieve tremore alle gambe. Per la prima volta non gliene
fregava niente di sapere il motivo di tanto sforzo.
Harry, a quanto pareva invece, era assolutamente
convinto che ci fosse bisogno di chiarire qualcosa.
“Tom, ascolt–”
“Reducto!”
Evidentemente preso alla
sprovvista, l’altro ragazzo fece appena in tempo a rotolare da un lato per non
farsi prendere in pieno dall’incantesimo. Tom lo vide issarsi in ginocchio e
alzare la testa verso di lui, uno sguardo incredulo e vagamente impaurito
dipinto a chiare lettere sul volto.
“Tom! Che cosa stai face–”
“Confringo!”
Questa volta, grazie agli istinti probabilmente
messi all’erta dall’ultimo attacco, uno scudo magico si materializzò
immediatamente di fronte a Harry, facendo rimbalzare la maledizione contro il
muro sinistro del corridoio, facendo sfrecciare frammenti di pietra ovunque.
I loro occhi si incontrarono
per un interminabile istante, rosso cremisi contro nocciola fasullo.
Poi scattarono all’unisono.
“Impedimenta!”
“Lacero!”
Tom deviò con facilità l’attacco dell’altro e vide
Harry schivare il suo perché – al contrario di quel patetico incantesimo del
quarto anno – la sua maledizione non poteva essere respinta da alcuno scudo. In
pochissimi istanti però, il ragazzo era di nuovo pronto in posizione di difesa.
“Petrificus totalus!”
“Deprimo!”
urlò lui di risposta, bloccando con un Protego non
verbale l’incanto della pastoia. Tom vide l’altro ragazzo materializzare uno
scudo dal colore rossastro che non aveva mai visto prima con un semplice
movimento del polso, e dovette ricordarsi di quanto fosse
davvero potente il suo avversario. Era piuttosto facile dimenticare, con l’aria
riservata che mostrava tutti i giorni, che il ragazzo avrebbe potuto fare
concorrenza ad un Auror.
Ma allora perché stava usando
solo incantesimi innocui?
“Incendio!”
la voce di Harry lo distolse da quell’attimo di distrazione che gli costò caro.
Un lembo della divisa del Prefetto andò in fiamme, e nel tempo che ci volle per
pronunciare l’incantesimo per spegnerla, l’altro ragazzo si era
già mosso.
“Stupeficium!”
Tom riuscì all’ultimo momento a deviare
l’incantesimo, facendolo schiantare contro il muro, involontariamente ad appena
qualche centimetro dal viso di Alden,
facendogli cadere in faccia una pioggia di detriti. Fu con immenso piacere che
il Serpeverde osservò l’espressione inorridita di Harry al lamento di dolore del ragazzo incatenato: la sua prossima mossa era fin troppo
ovvia…
E infatti Harry indirizzò
immediatamente la bacchetta contro Principe: “Protego!” urlò, e uno scudo azzurrino avvolse completamente il ragazzo.
Quell’azione però, l’aveva appena lasciato
completamente scoperto.
Tom non perse tempo, puntò la bacchetta verso i
frammenti di pietra che giacevano per terra a causa dei loro incantesimi e
gridò: “Oppungo!”
Le pietre levitarono e sfrecciarono in direzione di
Harry che, preso alla sprovvista, dovette accucciarsi
per schivare i primi proiettili. Ma altri ne arrivavano
e il ragazzo fu costretto a rotolare da un lato e nascondersi dietro
un’armatura.
Fu a quel punto che Tom si mosse: si lanciò in
avanti, trovando l’angolazione giusta per non avere
l’armatura davanti al suo bersaglio e puntò la bacchetta:
“Diffindo!”
Vide il getto di luce rossa lampeggiare verso Harry
e gli occhi del giovane spalancarsi per una frazione di secondo prima che si decidesse a spostarsi.
Ma non abbastanza
velocemente.
Un sibilo di dolore si fece
strada tra i denti del ragazzo, mentre si portava una mano alla spalla colpita
dove, nel punto in cui la maledizione aveva lacerato la manica della divisa, si
poteva vedere un profondo taglio cominciare a sanguinare abbondantemente.
A quella vista Tom scoppiò
a ridere.
Una risata malsana, senza
alcuna spiegazione se non la gioia perversa di essere riuscito a ferire il
proprio avversario.
Una risata che anche alle sue orecchie stonava in maniera orrenda, ma che il
petto non riusciva a frenare in alcun modo.
Un altro sibilo di dolore lo riportò a guardare il
ragazzo davanti a sé, che ora si era lasciato la spalla per tenersi la fronte
con una mano, dove cominciava ad intravedersi la forma di una cicatrice a
saetta. Tom osservò l’illusione che sapeva coprire sempre il vero aspetto di
Harry svanire lentamente, scoprendo al suo posto una zazzera di capelli nero
inchiostro.
Se l’illusione stava svanendo, voleva dire che le riserve del ragazzo stavano lentamente venendo
meno. Il ché voleva dire che Tom stava vincendo, era
solo una questione di tempo ormai.
Con somma delusione del Prefetto però, Harry si
rizzò un’altra volta in piedi e, senza alcuna esitazione,
sguainò nuovamente la bacchetta. “Confundo!”
Tom dovette rotolare da un lato per schivare
l’attacco, maledicendo la sua distrazione. Stava anche velocemente perdendo la
pazienza: per uno che sapeva lanciare solo incantesimi del quinto anno in giù, il
suo avversario stava durando fin troppo sotto i suoi colpi.
Il Serpeverde vide un’altra sua maledizione
rimbalzare sullo scudo dell’altro, mentre pensava ad un modo per finire in
fretta il combattimento: davvero, aveva cose più importanti da fare. Primo fra tutte un certo Principe ancora incatenato, pronto a
ricevere qualunque tortura.
Fu preso di sorpresa però, quando vide Harry
lanciarsi in avanti con uno scatto. Per un attimo fu sicuro che avesse
intenzione di ingaggiare un corpo a corpo, ma quando lo
vide alzare la bacchetta, ormai si era accorto troppo tardi della finta.
“Repello!”
L’incantesimo colpì Tom in pieno petto,
scaraventandolo contro il muro in fondo al corridoio. L’impatto con la dura
parete di pietra gli tolse tutto il fiato dai polmoni, lasciandolo per un paio
di secondi a boccheggiare sul pavimento.
Quando si riprese però, fu
con una nuova ondata di furia che fissò le sue iridi vermiglie sulla figura del
suo avversario.
Adesso basta.
Non si rese nemmeno conto che l’altro ragazzo si
era accasciato nuovamente a terra tenendosi la testa tra le mani, cercando di
soffocare i gemiti di dolore. Il Serpeverde si alzò nuovamente in piedi,
ignorando le fitte alla schiena, e si avvicinò con fredda risoluzione alla
figura del suo compagno di stanza.
Furono occhi scarlatti e voce gelida a pronunciare
l’incantesimo seguente.
“Imperio.”
Per Harry ci fu appena in tempo di alzare la testa
in un singulto sorpreso, che la maledizione senza perdono lo colpì.
Sul volto di Tom si aprì un ghigno soddisfatto:
quella era la fine dei giochi, ora non avrebbe dovuto fare altro che dare un
semplice comando e l’altro ragazzo avrebbe fatto qualunq…
Tom… che cosa
hai fatto?
Per la prima volta la vocina nella sua testa aveva
usato un tono di voce bassissimo, ma Tom non l’aveva
mai sentita tanto chiaramente.
E vedere quegli occhi di un verde tanto acceso
velati e appannati, come se tutta la vitalità, l’energia, la vita, gli fosse stata strappata via, lo
colpì più forte di qualunque schiantesimo.
Fece un passo indietro e fu come aprire gli occhi
dopo un lungo sogno. Dio santo, cosa stava facendo? Cosa
aveva fatto? Era… non riusciva nemmeno a spiegarselo, cosa gli era preso?
Quando aveva saputo che Alden aveva osato attaccare Harry era andato su tutte le
furie, lo aveva subito cercato e scovato, lo aveva portato in quel corridoio
deserto con un pretesto idiota, l’aveva immobilizzato e poi… poi…
Poi si era lasciato inebriare da quella sensazione
di potere, avere il controllo completo della situazione e un altro essere umano senza alcuna difesa totalmente in suo dominio, essere
libero di farci tutto quello che avesse voluto. Un brivido
gli percorse la schiena al ricordo di quelle sensazioni, ma se fosse
stato uno di piacere o di disgusto non era più in grado di definirlo.
Come aveva potuto dimenticare persino il motivo
dietro a quello che stava facendo? E anche quella sua risata, una risata da
folle, che aveva lo inorridito già dal momento in cui
gli era uscita dal petto… che cosa gli era successo?
Quando era arrivato Harry…
Harry!
Tornò a guardare con occhi orripilati il profondo
squarcio sulla spalla del ragazzo, da cui il sangue stava ancora scendendo a inzuppare la divisa, arrivando fino alla mano in due
rigagnoli rossi e gocciolando per terra dalla punta delle dita.
Sono stato io… Sono stato io a
causargli quella ferita…
Sono io ad
averlo messo sotto Imperius.
Che cosa aveva fatto?
Una risata accennata lo riportò alla realtà. Si
voltò alla ricerca del suono, verso il muro dove Alden
era ancora immobilizzato, ma l’unica cosa che poteva vedere sul suo volto era
un’espressione di shock, paura e un rivolo di sangue che gli scendeva da una
tempia. Sicuramente, non stava ridendo.
Tom voltò lentamente la testa verso la figura
ancora accucciata di Harry da dove – ora lo vedeva – proveniva la risata.
Il ragazzo aveva la testa abbassata, lo sguardo
celato dietro ciuffi di capelli color inchiostro, e le sue spalle venivano scosse da quel quieto eccesso di risa che piano piano si stava facendo sempre più forte.
Una risata senza la minima ombra di
allegria, una risata vuota, con una nota appena accennata di sconforto
e… tristezza.
Tom fece appena in tempo a chiedersi come fosse
possibile che Harry si potesse muovere anche sotto Imperio, quando
improvvisamente la testa dell’altro si alzò.
Gli occhi smeraldo si fissarono
direttamente nei suoi, inchiodandolo sul posto: per la prima volta, gli occhi
che aveva tanto amato erano più gelidi dei suoi.
“Questo non avresti dovuto
farlo… Voldemort.”
*** *** ***
Harry si fiondò dietro
un’armatura alla sua sinistra, cercando di schivare la pioggia di proiettili
che gli venivano scagliati addosso. Appiattito al
muro, si concesse un secondo per riprendere fiato: tra il tintinnio di roccia
contro metallo e il battito frenetico del suo cuore non sapeva cos’era che gli
rimbombava più nelle orecchie.
Dio,
come erano finiti a quel punto? Tom… Tom lo stava
attaccando! Cosa…? Come era successo?
E perché ne sei tanto sorpreso poi? Una vocina gli sussurrò, È Tom Riddle, avresti
dovuto tenerla in conto come possibilità, no?
Ed aveva perfettamente ragione,
ma Harry dovette ammettere che non c’era cosa che si sarebbe aspettato
meno di quella: solo ora si rendeva conto di quanto avesse davvero diviso Tom
Riddle da Voldemort.
Invece adesso quegli occhi…
Il dolore alla cicatrice era ancora lancinante, un
continuo promemoria di ciò che stava accadendo. Era tantissimo tempo che non
sperimentava quella familiare tortura, tanto che da quando era arrivato, si era
talmente abituato alla pace del passato da dimenticarsi quanto la sua cicatrice
potesse bruciare.
Distratto dai suoi pensieri, non notò Tom cambiare
posizione fino a che non vide il fascio di luce rossa della maledizione puntare
dritto verso di lui. Sgranò gli occhi sorpreso, prima
che l’istinto scattò e lo portò a rotolare da un lato.
Un secondo troppo tardi.
Soffocò l’urlo che minacciò di uscirgli dalla gola quando sentì la maledizione lacerargli la carne del
braccio, lasciandosi andare solo ad un sibilo di dolore. Si portò una mano alla
spalla, sentendo il sangue uscire dal profondo taglio e sgorgare attraverso le
sue dita, imbrattando la manica strappata della divisa.
Stranamente, il primo pensiero che gli venne alla
mente fu cosa avrebbe detto Moody se l’avesse visto in quel momento: se fosse stata una vera
battaglia e quell’incantesimo un Avada Kedavra, sarebbe già morto.
Come aveva fatto a rammollirsi tanto?
No, è che da
Tom non te lo saresti mai aspettato. Non avresti mai pensato che ti avrebbe
ferito veramente.
Per quanto assurde quelle parole gli suonavano, si
accorse che erano la pura verità: non aveva alcun senso, ma
Harry realizzò di essere arrivato a dare talmente tanta fiducia a quel ragazzo,
da non credere che Tom l’avrebbe mai ferito volontariamente.
Una risata improvvisa lo distolse dai suoi
pensieri. Un suono che gli fece correre brividi lungo la
schiena e gli ghiacciò le ossa, prima che il dolore alla cicatrice
raddoppiasse d’intensità, sovrastando qualunque altra sensazione.
Harry cadde in ginocchio, lasciandosi la spalla per
tenersi la testa tra le mani, pregando che il bruciore si spegnesse e
quell’orribile risata svanisse.
Tom non era in sé e lui doveva fare qualunque cosa
per fermarlo, per impedirgli di compiere una sciocchezza e farlo tornare
normale. Ma come fare senza rischiare di ferirlo? Fino
ad ora Harry aveva usato solo incantesimi fondamentalmente innocui, con
pochissimi risultati.
Ma l’idea di quegli occhi
rossi non tornare mai più al loro profondissimo nero, l’idea di perderlo a
quella follia che sarebbe stata sempre presente da lì a cinquant’anni…
Harry si rizzò nuovamente in piedi nonostante il
dolore e, puntando nuovamente la bacchetta verso Tom, tornò a contrattaccare.
“Confundo!”
L’altro ragazzo, probabilmente preso alla
sprovvista, fu costretto a rotolare da un lato per evitare l’incantesimo. Fu
subito pronto a scagliare un’altra maledizione, che Harry riuscì facilmente a
bloccare in tempo.
I movimenti dell’altro avevano cominciato a farsi
meno studiati e più immediati, tanto più il Prefetto andava a corto di
pazienza. Vedendo una possibile breccia in questo, Harry
cercò un diversivo, lanciandosi a testa bassa verso il ragazzo come se lo
avesse voluto caricare di peso.
Vide gli occhi di Tom
spalancarsi sorpresi, prima che, finta riuscita, la maledizione di Harry
scaraventasse
il Serpeverde contro il muro opposto del corridoio, facendogli colpire la dura
pietra con un tonfo sordo.
Fu con una punta di preoccupazione che il ragazzo
vide il Prefetto accasciarsi per terra, cercando di far tornare in funzione i
polmoni. Quando però Tom si fu ripreso, furono due furiose iridi scarlatte a incatenargli lo sguardo, lampeggiando di rabbia.
La sua cicatrice tornò ad infiammarsi, più
straziante di prima. Harry cadde nuovamente in ginocchio, non riuscendo a
trattenere un gemito mentre si teneva la testa tra le
mani. Nel dolore, riuscì a registrare i movimenti di Tom, che
si era alzato e gli si stava avvicinando a passi lenti. Avrebbe dovuto
alzarsi, muoversi, cercare di difendersi, ma gli spasimi di dolore provenienti
dalla fronte erano tutto quello che il suo cervello
riusciva a concepire.
Vide attraverso le dita delle sue mani Tom fermarsi
ad appena due passi di distanza e sollevare la bacchetta.
Quando lo sentì pronunciare l’incantesimo, però,
non fu dolore ma shock a impedirgli di muoversi.
“Imperio.”
La sensazione di vuotò lo
colpì, e tutto svanì – letteralmente – per incanto: niente più dolore alla
spalla, niente più dolore alla cicatrice, niente più stanchezza, niente più
preoccupazione, nulla.
E per qualche secondo Harry si abbandonò al più
totale sollievo del non dover più
sentire tutti i nervi del
suo corpo in fiamme. Non avrebbe voluto fare altro che
abbandonarsi a quella sensazione di vuoto che gli avrebbe tolto dalle spalle
qualunque problema.
In quel momento, avrebbe dato qualunque cosa per
non essere in grado di scrollarsi di dosso l’Imperio come se fosse acqua.
Con un ultimo sospiro, si concentrò sulle sue vere
sensazioni e in pochi secondi sentì la maledizione scivolargli via dalla pelle.
E tutto quanto ritornò.
Ancora in ginocchio, si lasciò cadere la testa in
avanti, qualche ciocca nera a coprirgli lo sguardo.
Tom lo aveva colpito con la maledizione Imperio. Una maledizione senza perdono.
Come una pioggia gelata, Harry capì improvvisamente
che non era più questione di impedire a Tom di commettere la sciocchezza di
vendicarsi su Alden. Quello che aveva davanti non era
più Tom: adesso, si trattava di proteggere un innocente da Voldemort.
E per quello scopo, Harry
era stato addestrato da una tutta una vita.
Il verso che si sentì affiorare dalla gola
assomigliava talmente tanto ad un singhiozzo, che per un attimo fu convinto di
esser sul punto di scoppiare in lacrime. Ma invece del
pianto fu una risata vuota e disperata a fuoriuscire dal suo petto, rimbombando
tra le pareti del corridoio. Alzando gli occhi sulla figura in piedi di fronte
a sé, non si accorse nemmeno che il dolore alla cicatrice era completamente
svanito.
L’unica cosa che vedeva, ora, era un nemico.
“Questo non avresti dovuto
farlo… Voldemort.”
L’ultima cosa che registrò, prima che il corridoio venisse illuminato dalle luci degli incantesimi, fu lo
sguardo shockato di Tom.
Un lampo di luce blu e il Prefetto si ritrovò nuovamente scaraventato contro la parete. Accusando per due volte di fila il colpo nello stesso punto, ci
mise un po’ a tirarsi su in ginocchio, posizione dalla quale dovette
immediatamente rotolare di lato per evitare altre due maledizioni. Uno
dei due fiotti di luce rossa, una volta colpito il
pavimento, cominciò a corrodere la pietra come un acido, lasciando una piccola
fossa a testimone.
Se Harry notò lo sguardo
orripilato che gli lanciò Tom, non vi dette peso.
Non c’era alcun pensiero nella sua testa se non
quello del combattimento, e poteva solo immaginare come dovesse sembrare la sua
espressione dall’esterno. Come una statua greca: impassibile
e fredda nella sua potenza.
Tom intanto era riuscito ad alzarsi e, puntando la
bacchetta contro alcuni dei detriti lasciati per terra
dalle loro esplosioni, aveva trasfigurato i pezzi di pietra in un muro eretto
come protezione, frapposto tra lui e Harry.
Harry però non si scompose: un’occhiata, un
movimento della mano, e la parete andò subito in mille pezzi, facendo schizzare
frammenti di granito ovunque. L’espediente del muro aveva però dato a Tom il
tempo necessario per prepararsi: appena la parete si fu sgretolata, già aveva
puntato la bacchetta.
“Impedimenta!”
Distrattamente, mentre bloccava anche quell’ultima
mossa, Harry notò come le parti sembravano essersi invertite, Tom ad usare
incantesimi innocenti e lui a contrattaccare. E forse
quella scintilla di preghiera, negli occhi dell’altro, poteva anche essere
stata autentica, ma non era a fidarsi di Voldemort che era stato addestrato.
Con un movimento lento e calcolato alzò la
bacchetta e un getto di luce bianca scaturì dalla punta
diretto verso l’altro, tagliando nel Protego del ragazzo come un
coltello nel burro tiepido. Tom fece in tempo a sgranare gli occhi e cercare di
togliersi dalla traiettoria prima che l’incantesimo arrivasse
a destinazione e gli avvolgesse l’intero braccio sinistro.
Harry osservò il Serpeverde stringersi l’arto
appena colpito, ricordando – al sibilo di dolore dell’altro – quale fosse l’esatto effetto di quella particolare fattura:
centinaia di spilli che perforano la carne, che si sarebbe creduto arrivassero
fino all’osso, se non fosse che la pelle rimaneva assolutamente immacolata.
Una comoda maledizione che il Ministero aveva
accuratamente evitato di catalogare tra le Arti Oscure, giusto perché – se la Cruciatus era illegale – durante gli interrogatori avevano
bisogno di un qualche mezzo per far parlare gli imputati.
Non c’era tempo però di farsi scrupoli in
battaglia: l’obbiettivo era di rendere il nemico inerme il più in fretta e il
più efficacemente possibile, e quell’incantesimo era
solito funzionare bene per tutte e due le necessità, soprattutto perché
qualunque parte del corpo dell’avversario fosse stata colpita, sarebbe stata
resa inutilizzabile.
Purtroppo il braccio centrato non era quello con
cui Tom usava la bacchetta, e Harry non poteva permettersi di correre rischi.
Mentre l’altro ancora
cercava di ignorare il dolore e ricomporsi, Harry tornò nuovamente all’attacco
e, cominciando a camminare verso il ragazzo, urlò: “Repello!”
Per la terza volta la forza dell’incantesimo scaraventò Tom contro il muro, ma al contrario delle volte
precedenti il Prefetto non si rialzò in piedi. Harry lo vide accasciarsi per
terra dopo l’impatto, la schiena appoggiata alla pietra come se fosse stata
l’unica cosa a tenerlo eretto e il petto che si alzava e abbassava con sforzo,
come se l’ossigeno che vi entrava non fosse stato mai abbastanza.
Accertatosi che il
Serpeverde non si sarebbe mosso tanto in fretta, Harry percorse la distanza che
lo separava dall’altro ragazzo a passo deciso, oltrepassando Alden ancora ancorato al muro e ignorando i suoi lamenti. Arrivato ad un passo di
distanza si fermò: il respiro di Tom era ritornato normale, sebbene non stesse
dando alcun segno di volersi rialzare; teneva la testa voltata da un lato, il
braccio sinistro giaceva accasciato accanto al suo fianco, mentre quello destro
– sebbene anch’esso inerte – stringeva ancora la bacchetta nella mano.
Finché ci fosse stato anche il
minimo rischio di un attacco, Harry non poteva lasciare andare il proprio
avversario: regole standard da primo livello per Auror.
Guardò la figura a terra davanti a sé e sollevò la
bacchetta. Un semplice schiantesimo a quel punto sarebbe bastato, non serviva nulla di più complicato.
Fu quando aveva già le prime sillabe
sulla punta della lingua che Tom alzò la testa, e un flebile sussurrò risuonò
nel corridoio.
“Harry…”
Harry si fermò, l’incanto morto in gola, mentre lo
sguardo si posava sugli occhi dell’altro. Benché una parte di
lui lo stesse incitando a finirla in fretta e a schiantare il nemico una
buona volta per tutte, un’altra aveva riconosciuto quel tono di voce e fissava
il viso del ragazzo con un’intensità frenetica, per cercare una minima prova in
quelle iridi rosse che –
– che non erano più rosse.
Verde e nero si incontrarono,
e con loro la realtà tornò a farsi sentire in tutto il suo peso.
Tom.
Fu un sollievo amaro che quella parola sussurrata
nella mente di Harry portò: sollievo nel tornare a vedere il Prefetto in sé e
una schiacciante disperazione che gli bloccava l’aria nei polmoni nel dover
ammettere che nell’essere che gli aveva lanciato una maledizione senza perdono
c’era qualcosa del suo Tom.
Qualcosa a metà tra un gemito e un sospiro si fece strada tra le sue labbra, impossibile da trattenere.
Tom aprì nuovamente la bocca per parlare, ma la richiuse
di scatto quando vide la bacchetta di Harry sollevarsi per l’ennesima volta
contro di lui.
Ma sebbene fosse il Prefetto
quello a terra, tra i due non era lui il più stanco di combattere.
“Finite Incantatum.”
Tom si portò una mano al braccio
sinistro, ora completamente sollevato dalla sensazione di essere
infilzato da centinaia di spilli. Aprì la bocca, non ne uscì nulla, la richiuse.
La tentazione di Harry era quella di lasciarsi
cadere sulle ginocchia, abbandonare la bacchetta, allungare le braccia,
prendere tra le mani il viso di Tom, guardarlo in quelle torbide iridi nere e sussurrare…
E adesso cosa facciamo, Tom?
E l’avrebbe fatto, se solo
non fosse stato così spaventato dalla risposta.
Si voltò invece, e cominciò a camminare verso il
punto dove Alden era ancora immobilizzato alla
parete; in un batter d’occhio ripeté l’ultimo incantesimo e il Corvonero cadde
a terra con un tonfo, non più sostenuto dalle corde invisibili.
Concentrò tutta la sua attenzione su di lui,
osservandolo tirarsi su a gattoni e poi seduto
massaggiandosi i polsi, perché qualunque cosa era meglio che pensare ad un
altro ragazzo, seduto in una posizione del tutto simile, ad appena qualche
metro di distanza. Ma se si era aspettato clemenza o – che Dio volesse –
addirittura riconoscenza da parte di
Principe, rimase decisamente deluso.
“Tu…” lo sentì sussurrare dalla sua posizione, e
non c’era modo di scambiare quell’emozione con nient’altro che rabbia, “chi
diavolo sei?!” esclamò, alzando il viso per poter
guardare dritto in faccia Harry. “Chi…? Chi
diavolo sei per poter entrare così nelle nostre vite?!”
finì con l’urlare, mentre si alzava in piedi appoggiandosi al muro, “Arrivi dal
nulla e sconvolgi qualunque cosa! E nessuno sa né da
dove vieni, né perché sei venuto qua! Né chi diavolo sei!”
Harry poteva solo guardarlo, la mente vuota o
troppo piena, non ancora venuta a patti con tutto quello che era accaduto
nell’ultima ora.
“Perché hai voluto
rovinare tutto? Cosa… cosa vuoi da noi?” continuò
abbandonando il tono rabbioso, sostituendolo con qualcosa di gran lunga
peggiore, “Vorrei solo che mi lasciassi in pace… Vorrei solo che ci lasciassi in pace…”
Guardando il suo viso, dove le deboli ciglia non
erano riuscite, infine, a trattenere del tutto le lacrime, Harry capì esattamente perché anche dopo tutto quello che gli
aveva fatto, dopo il pugno e le minacce, non era mai riuscito realmente ad
odiare Alden Principe: era solo un ragazzo
innamorato.
Glielo si leggeva negli occhi, nel tono della voce,
nei pugni stretti ai fianchi. Glielo si leggeva nella postura delle spalle, nel
modo in cui si era girato per poter tenere d’occhio sia lui che
Tom, nel modo in cui i suoi occhi continuavano a saettare verso il Prefetto,
nonostante lui non stesse facendo niente.
Glielo avevano detto, gliel’aveva detto Orion,
gliel’aveva detto praticamente lo stesso Alden, ma era una cosa completamente diversa vederlo lì,
con i propri occhi.
E chi era lui per mettersi
in mezzo? Principe… Principe aveva ragione, non aveva
alcun diritto di sottrargli qualcosa di così prezioso. Amore: era esattamente
ciò di cui Tom aveva bisogno, ciò che avrebbe potuto salvarlo, e Alden era disposto a donarglielo incondizionatamente.
Voleva davvero rovinare tutto? Doveva farsi da parte, doveva
fare come gli aveva detto il Corvonero, lasciarli in pace, doveva–
“Non posso.”
Alden alzò la testa verso di lui
e Harry rispose allo sguardo sgranando gli occhi, sorpreso dalle parole uscite
da sole dalla sua stessa bocca, completamente opposte a ciò che stava pensando.
E le mani gli tremavano, perché Dio, non c’era nulla di più vero di quelle
parole.
Si voltò verso Tom, ancora seduto contro il muro,
il cui sguardo non lo aveva mai lasciato e si trovò a ripetere:
“Non posso.”, questa volta quasi in un sussurro.
Non poteva. Non gli serviva nemmeno guardare Tom
per rendersene conto, lo sapeva anche inconsciamente, se lo sentiva in ogni
arteria, in ogni organo, in ogni respiro. Non gli
serviva guardare Tom per saperlo, ma ora che i suoi occhi erano ancorati alla sua figura gli era impossibile convincersi del contrario.
Non avrebbe mai potuto farsi da parte, non avrebbe
mai potuto allontanarsi da Tom, non avrebbe mai potuto lasciare –
Il ragazzo di cui si era innamorato.
Un respiro gli si smorzò in gola. Il ragazzo di cui si era innamorato… Non
staccò gli occhi da quel viso, così bello anche in quel
momento che era ricoperto di polvere e un rivolo di sangue gli colava da una
tempia. Non staccò gli occhi da quegli occhi,
così neri adesso in confronto al vermiglio che avevano
indossato pochi minuti prima, che aveva visto impassibili, ridenti, furiosi,
preoccupati…
E diavolo, doveva essere
stato proprio stupido ad averlo
afferrato solo ora, ora che era tutto un casino, ora che non sapeva più cosa
fare. Ma almeno aveva capito, adesso. E
non poteva più tornare indietro.
Con un verso strano, a metà tra una risata e un
singhiozzo, gli ritornarono alle labbra le stesse parole:
“Non posso.”
Con le mani ferme, adesso non più tremanti, si girò
verso Alden, che lo fissava spaesato e furioso. “Mi
dispiace.” gli disse, con
sguardo ammorbidito, di qualcuno che aveva realizzato di condividere la stessa
dolce tortura.
Poi girò su se stesso e iniziò a correre.
A.N.: ok, sono pronta per la
gogna pubblica adesso. Si, non c’è alcuna scusa per il ritardo mostruoso. No,
non ho alcuna intenzione di abbandonare la fic.
Mi
dispiace davvero, davvero, se vi ho fatto un po’ penare. Sorry.
Vabbeh, tornando a parlare del contenuto, non avevo davvero idea di
quanto fosse faticoso scrivere una scena d’azione: non
sei mai sicuro che sia venuta fuori nel modo giusto, vorresti descrivere tutto
nel modo più perfetto, ma non puoi soffermarti nelle descrizioni o spezzeresti
il ritmo veloce necessario. Frustrante.
A
parte questi problemi tecnici, la Svolta – come avevo già
detto – è prossima. E all’alba del 24° capitolo sarebbe anche l’ora XD
Le
risposte alle recensioni saranno, come al solito, sul
mio blog. Appena le posterò.
Baci
e alla prossima,
Lien.