Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Yvaine0    07/10/2013    4 recensioni
Cosa succede quando Niall Horan ha una cotta per qualcuno, Liam Payne un piano – e non un piano qualunque, ma un piano geniale! - e Zayn Malik viene coinvolto senza possibilità di replica?
Succede che Dixie scambia Liam per un maniaco, Niall fugge in ogni dove nel disperato tentativo di svicolare e Ruth si guarda attorno cercando di capire cosa diavolo stia succedendo, mentre le vite di tutti loro si intrecciano irrimediabilmente.
Dixie è un'eccentrica fangirl tendente al nerd («Ti ho già spiegato che i nerd non esistono!»), Ruth una Welma di Scooby Doo in versione atletica («Giù dalle brande, si va a correre!»).
Liam è un ragazzo caparbio – forse appena un po' tonto – («Il problema è un altro: non hai capito cosa intendo»), Zayn indiscutibilmente un buon amico («Cosa c'è che non va in te?»).
Il denominatore comune di queste due coppie è senz'altro il povero Niall («Offro io!»), che non ha nessuna colpa se non quella di essere innamorato e un po' confuso.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NOTA: C'è chiaramente un problema di HTML, ma non ho voglia di correggerlo.
In ogni caso non dà problemi alla lettura, quindi spero mi perdonerete. ^^



Capitolo 6
Casa dolce casa
 
 
 
La risata della ragazza giungeva leggermente metallica attraverso il microfono del cellulare. Ruth
alzò gli occhi al cielo, quando un anziano signore si voltò a fulminarle con lo sguardo per la terza
volta. Non che conversare tramite Face Time con una ragazzina del Cheshire fosse esattamente
normale, quando si sedeva al tavolo di un pub ad aspettare che portassero le ordinazioni, ma era
anche vero che ormai succedeva abbastanza spesso e i clienti avrebbero dovuto essersi abituati alle
video chat tra Pixie_Skywalker – nickname nato da un'adorabile errore di distrazione al momento
della registrazione su fanfiction.net– e JeanStark96, con una ragazza troppo normale a far loro da
spettatrice.
Peccato che la ragazza normale avesse avuto tutta l'intenzione di fare una chiacchierata con la
propria migliore amica e non con lei ed una sconosciuta in diretta via Facebook a disturbare. Dixie
nell'ultimo periodo sembrava non capire mai quale fosse il comportamento giusto da tenere nei suoi
confronti. O forse la stava evitando di proposito. A Ruth la faccenda iniziava a star stretta; la sua
amica era forse troppo presa da tutto il resto per ricordarsi di lei? C'era la faccenda di Niall, c'era
Liam, c'era Zayn, c'era Margot, c'erano le sue stupide fanfiction, c'erano gli esami, la famiglia,
Adam, Gordon, la madre. E Ruth? Si era forse dimenticata di quella persona che continuava a
impedirle di andare fuori strada, mentre viaggiava con la testa tra le nuvole, e perdere del tutto il
senso della realtà finendo per farsi male? Anche lei, ogni tanto, aveva bisogno della sua migliore
amica, pensò, chinandosi per accarezzare la testa di Asterix, seduto sotto il tavolo.
«Dici che ha le piattole?»
Udendo quelle parole Ruth si accigliò e si concentrò di nuovo sulla conversazione. «Cosa?»
bofonchiò, confusa.
Dixie ridacchiò, mentre la includeva nel campo visivo della videocamera. «Jean ha notato che nelle
foto Liam tiene sempre le mani...» Fu solo per pudore che non completò la frase, guardando però
eloquentemente verso il basso.
«Sul pacco!» esclamò invece Margot a gran voce, che di pudore sembrava sol che sprovvista, da
brava sedicenne esagitata qual era.
Ruth ringraziò il cielo che il volume del cellulare non fosse molto alto, ma controllò comunque la
reazione dell'anziano signore che continuava a controllarle e, ovviamente, proprio in quel momento
le stava guardando scandalizzato. Imbarazzata, si schiarì la voce e posò lo sguardo su Dixie: «Quali
foto?»
«Jean è una brava spia: le basta un nome e scopre ogni cosa su più o meno qualunque». Ruth
apprezzava davvero tanto – ma davvero, eh! - la dedizione con cui Dixie parlava della sua amica di
rete, ma a volte credeva che la cosa sfiorasse il ridicolo. Tanto per cominciare, perché si ostinava a
chiamarla Jean, se conosceva il suo vero nome? Inoltre chiunque era capace di digitare “Liam
Payne” su Google e rintracciarne il profilo Facebook.
«Gli avete spiato le foto?» domandò in tono a metà tra il divertito e l'accusatorio.
«Gli ha spiato le foto» ci tenne a precisare Dixie, come a voler rimarcare come al solito il suo
disinteresse nei confronti di Liam. Disinteresse così evidente che aveva accettato di uscire con lui,
anche se non avevano ancora fissato l'appuntamento.
Margot squittì il suo disappunto, presa alla sprovvista da quell'improvvisa accusa. «Ehi, non si tratta
di spiare: il tizio ha il profilo completamente pubblico!» si difese.
A Ruth venne spontaneo ridere. Nonostante al momento fosse poco contenta dell'interferenza di
quella ragazzina, lei le stava simpatica. Era divertente e piuttosto matura, sapeva sempre come
sdrammatizzare la situazione. Inoltre, abilità non da poco, riusciva a focalizzare l'attenzione di
Dixie sul punto della questione, poiché era l'unica tra i suoi amici a parlare davvero la sua lingua.
«Passami qualche link in chat, così ci facciamo due risate sulla nuova fiamma di questa fangirl»
propose allora, ottenendo così persino la soddisfazione di vedere Dixie arrossire, sebbene cercasse
di mostrarsi indifferente guardandosi attorno con falsa disinvoltura.
E a quell'incoraggiamento, Margot trillò un'esclamazione di gioia e tornò ad armeggiare al
computer per inviare fotografie al cellulare di Ruth, che nel frattempo se la rideva. Fu proprio
mentre loro due ridevano di una foto di Liam con una parrucca bionda e una tutina da ginnastica
rosa risalente al precedente Halloween, che Norah fece la sua comparsa reggendo due cappuccini e
un piatto di patatine fritte – pessimo abbinamento per chiunque, una routine per Ruth e Dixie–, non
senza inciampare nel cane che faceva capolino da sotto il tavolo.
«Ecco a voi, rag-- Oddio, e quel tipo chi è?» domandò divertita la cameriera, sbirciando il telefono
di Ruth, che se la stava ridendo alla grande.
Dixie fece una smorfia: «La didascalia dice “Leeroy, il coreografo gay”» spiegò, mentre Margot,
dal telefono, strillava abbastanza forte da essere udita un «È il nuovo ragazzo di Pixie!», che la
diretta interessata ignorò prontamente.
«Il tuo ragazzo?» Norah le rivolse una rapida occhiata divertita, a cui l'altra risposte scuotendo
placidamente il capo, poi tornò a concentrarsi sulle foto, appostata dietro la sedia di Ruth.
«Scusami, e quel tizio nerd? Chi è?»
Fu Margot a rispondere con prontezza: «È taggato come Harry Styles» comunicò loro.
Norah tirò un fischio sommesso, poi rise. «Harry Styles? Quel Harry Styles?»
Ruth annuì. «Credo di sì: che io sappia Niall gira spesso con lui e Liam. Conciato così è più carino
del solito, devo dire – non che ci voglia molto, eh» aggiunse, lanciando un'occhiata di scherno a
Dixie, ora del tutto concentrata sulle patatine fritte.
«Io trovo che abbia sempre un certo fascino, invece» commentò Norah, mentre strizzava gli occhi
nel tentativo di riconoscere qualcun altro dei presenti nella foto di gruppo. «No, okay», si illuminò
ad un tratto; «voglio assolutamente sapere chi è quello vestito da donna!»
«Zayn» rispose Ruth prontamente. «Ed è pure attraente, cavolo!»
«Quindi uno di quei due ciccioni dev'essere Niall».
«Oh, sì» confermò Margot, che dal pc controllava i tag di quella stessa foto. «Niall è quello...»
«Biondo» completò Norah.
Ruth sorrise. «Con la pinta in mano, ovviamente» concluse, e insieme risero.
«L'ultimo è Louis Tomlinson» continuò la ragazzina in videoconferenza, senza sapere che
quell'ultimo particolare a loro non importava.
«Non ho idea di chi sia» ammise Dixie, mentre sgranocchiava una patatina precedentemente intinta
nel cappuccino – con sommo disgusto del solito anziano signore seduto al tavolo accanto.
Margot rimase in silenzio un paio di istanti, mentre Ruth e Norah facevano supposizioni su come
doveva essersi comportato Niall nei panni di “Harvey il produttore cinematografico”, cliccando qua
e là, poi diede il suo responso: «Louis Tomlinson, laureando in Legge, impegnato. È anche
parecchio carino, Pix, dovresti fartelo presentare».
«Ma figurati» sbuffò l'altra, sgranocchiando.
«Ehi, a proposito di Niall». Quando Dixie udì Norah pronunciare quelle parole, distolse del tutto
l'attenzione dalla propria merenda per concentrarsi su di lei, che stava dicendo: «Avete rimpiazzato
Niall con questi altri due ragazzi? Povero irlandese!»
Dixie non riuscì a trattenere un sorrisetto, mentre rispondeva: «Oh, no, nessun rimpiazzo.
Un'alleanza, piuttosto». Precisazione che le valse un'occhiata truce da parte di Ruth.
Norah inarcò le sopracciglia, affondando le mani nella tasca del grembiule verde della
divisa. «Alleanza? Cosa state combinando?»
Asterix uscì da sotto il tavolo e le si sedette sul piede per poi grattarsi, accompagnando il tutto con una serie di bassi grugniti che ne determinavano l'impegno; questo provocò l'apparizione una comica espressione tra il disgustato e l'intenerito da sul viso della cameriera.
Le risposte che giunsero contemporaneamente alle sue orecchie, dunque, furono due: «Niente» e
«Cupidiamo!», più una risata squillante e un po' metallica proveniente dal cellulare di Dixie.
«Cupi-che?» domandò la cameriera confusa; non sapeva se guardare (male) quello stupido –
disgustoso– cane oppure quelle ragazze bislacche che sembravano non raccontargliela giusta.
Ruth respirò a fondo e scosse il capo. «Niente, lasciala perdere».
«Be', Pix» infierì di nuovo Margot. «Visto che il tuo nuovo hobby è fare da Cupido, puoi sempre
presentarlo a me, quel Louis Tomlinson».
«Ma hai detto che è impegnato» le fece notare Ruth, ridacchiando.
«Oh, sì, giusto. Peccato» bofonchiò lei allora, scontenta. «Ha persino il profilo privato» si lamentò.
A quel punto successe qualcosa che nessuna delle ragazze si aspettava. Norah si schiarì la voce e,
mentre abbracciava il vassoio su cui aveva portato le ordinazioni, mantenne lo sguardo basso e
parlò con un sorrisetto imbarazzato a incrinarle le labbra: «A proposito di Cupidi... Secondo voi
avrei qualche infima speranza che Niall accettasse, se un giorno o l'altro gli chiedessi, di uscire?»
Il cuore di Dixie balzò dritto nella sua gola, quello di Ruth sprofondò giù nello stomaco.
 
Casa Dixon era un edificio davvero poco curato situato nella tranquilla periferia di una piccola
cittadina vicino a Sheffield, nel nord della Gran Bretagna. Aveva poche stanze e troppi piani ed era
sempre vuota nonostante la famiglia fosse composta da fin troppi membri. I vicini di casa più
altolocati – e gran parte dei Dixon ancora si chiedeva che diavolo ci facessero in quel quartiere, se
erano altolocati – erano soliti lamentarsi del baccano che proveniva dal lato occidentale della casa,
lo stesso che poteva vantare la presenza di garage e della gran parte delle camere da letto dei figli.
I signori Dixon erano un uomo e una donna piuttosto distinti, così come Noah, il maggiore dei
fratelli, che in ventotto anni di vita non aveva mai piantato grane né infastidito i vicini. La stessa
cosa non si poteva della restante componente della famiglia.
Come se un moccioso dai biondi capelli ricci e un sorriso birichino da fare impallidire persino
Dannis la Minaccia non fosse stato abbastanza per etichettare i Dixon come una catastrofe formato
famiglia, loro avevano da offrire anche la coppia di ragazzini più insopportabili di tutto il nord
dell'Inghilterra. Lui, Gordon, era un ragazzetto smilzo dai capelli castano chiaro fin troppo lunghi e
riccioluti e con abbastanza fegato da sgattaiolare nei cortili dei vicini e fare disastri; lei, Violet, una
ragazzina troppo alta rispetto ai suoi fratelli, con gli occhiali da vista e una cortissima zazzera
bionda, aveva la faccia tosta necessaria a suonare i campanelli e tenere occupati a suon di
chiacchiere i padroni di casa mentre l'altro compiva il misfatto.
Gordon e Violet Dixon erano sempre stati l'incubo dell'intero vicinato, a partire da quando avevano
sei anni e si intrufolavano nelle serre del signor Kensington fingendo si trattasse del Bosco
Smeraldo, fino a quando lui non ne ebbe diciassette e lei quindici e, dopo aver introdotto i conigli
dei Tanner nell'orto del suddetto anziano signore appassionato di botanica, dovettero spendere tutti i
loro risparmi per risarcirlo delle piante rovinate. Era stato quando Gordon era diventato
maggiorenne, quindi, che i due fratelli avevano smesso del tutto di fare dispetti ai vicini; lui aveva
intrapreso con più serietà la propria carriera scolastica e Violet, dopo aver tentato più volte e
compreso che il piccolo Adam non era predisposto alla collaborazione, aveva abbandonato le
proprie aspirazioni vandaliche per scoprire una nuova passione: il fan service. Il rapporto tra loro,
però, non era affatto cambiato: non esisteva discussione familiare in cui Dixie, decisamente più
brava del fratello a parole, non corresse in sua difesa e, allo stesso modo, Gordon appoggiava con
convinzione e fierezza tutte le assurde pretese della sorella – come, ad esempio, quella di
attraversare l'intera Inghilterra da sola in auto per andare alla Premiere di Harry Potter e i Doni della
Morte parte II, trascorrendo così due giorni in mezzo alla strada e sotto la pioggia ad aspettare di
vedere i membri del cast e quella che lei chiamava “zia Jo”. Gordon e Violet erano quelli con il
gruppo di amici in comune, quelli delle lunghissime partite ai videogiochi, quelli che convincevano
Noah a far loro i compiti di matematica in cambio di qualche sostituzione nei turni per i lavori
domestici.
Violet e Gordon erano gli stessi che, quando Adam aveva cominciato a creare problemi nel
vicinato, lo avevano indirizzato verso scherzi più divertenti che pericolosi, dandogli dritte su come
non farsi beccare e sfidandolo a combinare marachelle più grosse delle loro. Adam, naturalmente,
non si era mai posto il problema; loro erano due e lui uno: anche un suo insuccesso, siccome
solitario, sarebbe stato una vittoria sulle azioni di una coppia.
Dixie ce l'aveva fatta, pensò, mentre parcheggiava la sua Ka blu notte nel parcheggio pubblico nella
strada adiacente a quella di casa sua.
Era tutta intera, non aveva causato incidenti. Certo, Ruth aveva dovuto ascoltare tutti i suoi sbuffi,
le imprecazioni e i suoi deliri in viva-voce, ma era arrivata a destinazione senza troppi problemi. In
fin dei conti, guidare da sola non era poi così diverso dal guidare in compagnia – ed era la stessa
cosa che le aveva detto Ruth prima di partire, ma lei non le aveva prestato attenzione.
Con le gambe che ancora tremavano, tirò il freno a mano, un sospiro di sollievo, spense la macchina
e scese. Poi, mentre chiudeva lo sportello, ricordò di dover prendere le chiavi e latrò una risatina
isterica a mezza voce. Le recuperò, dunque, fece scattare la serratura e prese a camminare sul
marciapiede.
Mano a mano che si avvicinava alla casa in cui era cresciuta, Dixie si guardava intorno,
riconoscendo luoghi, oggetti e dettagli; le venivano in mente aneddoti legati ad ognuno di essi.
Quello che vedeva, per esempio, era l'albero su cui Noah si era arrampicato per sfuggire alla furia di
mamma, quando aveva dodici anni e appena distrutto un soprammobile in salotto; Dixie allora ne
aveva solo cinque e quell'impresa le era sembrata incredibile – e a ventuno ancora le sembrava tale,
ma per pura pigrizia.
Quel signore alla finestra, invece, era niente meno che Albert Kensington, lo stesso a cui lei e
Gordon avevano devastato il giardino per anni. Lo salutò con la mano, azzardando un sorrisetto
amichevole, a cui il vecchio rispose con un burbero cenno del capo, dopo aver roteato gli occhi;
aveva scritto in volto: “Ecco che torna il disastro numero due, povero me”.
Dixie ridacchiò, senza smettere di camminare. Una volta giunta davanti a casa, diede una nostalgica
occhiata alla facciata di assi di legno, un tempo dipinte di bianco e ora scrostate, poi scavalcò
goffamente il cancelletto in ferro battuto e trotterellò fino alla porta sul retro.
Se c'era una cosa che odiava, quando tornava in quel posto, era suonare il campanello e aspettare
che qualcuno andasse ad aprire le porta – cosa che richiedeva sempre troppo tempo, quando sua
madre non era in casa, perché i suoi fratelli erano tutto fuorché attivi e scattanti, specie se avevano
la possibilità di poltrire su un divano. Insomma, era casa sua, diamine, che bisogno c'era di bussare?
Ecco perché si chinò di fronte all'arbusto sempreverde nel vaso accanto all’entrata, cercò la chiave di casa tra i rami, poi aprì la porta e la rimise al proprio posto.
Dal piano superiore giungeva chiassosa la musica sparata a tutto volume dalle casse dello stereo di
Adam; ecco quale fu la prima cosa che percepì, forte e chiara, appena fatto il proprio il proprio
ingresso. Non che da fuori non si sentisse, ma dentro il rumore era a malapena sopportabile, come
da copione.
La seconda paradisiaca sensazione fu il profumo di caffè proveniente dalla cucina. Lo respirò a
fondo, mentre toglieva le scarpe abbandonandole accanto alla porta assieme a quelle – enormi– dei
suoi fratelli. Sorrise mentre come se niente fosse attraversava il corridoio, lanciava il giubbotto sullo
schienale del divano in salotto e poi si dirigeva in cucina per prendere una tazza di caffè. Fu proprio
mentre beveva l'espresso, che qualcuno fece il suo ingresso nella stanza.
Noah entrò ciondolando e si paralizzò sul posto non appena la vide appollaiata sul mobile della
cucina. «Ma che caz-... Vee!»
Dixie salutò con la mano, finendo di bere, poi posò la tazza e gli sorrise.
«Ehilà, fratellone!»
«Quando sei arrivata? Da quanto sei qui?» Noah affondò le mani tra i capelli e la guardò
sconcertato. Perché faceva sempre certe cose, prendendolo di sorpresa?
«Un minuto fa, più o meno. Sono stata attirata qui dal caffè».
Noah aggrottò le sopracciglia e poi si rilassò con un sospiro.
«Sei peggio di un cane antidroga» commentò divertito «E quello era il mio caffè» aggiunse in tono di rimprovero. Rimprovero che naturalmente la sorella ignorò con tranquillità.
«Era buono» si congratulò, invece. «Allora, dove sono tutti? A parte Adam, perché la sua presenza si sente».
L'uomo alzò gli occhi al soffitto, mentre lei vagava per la stanza aprendo sportelli alla ricerca di
qualcosa da mettere sotto i denti. «Si può sapere perché non suoni il campanello?»
«Perché è casa mia. Oh, eccole!» trillò con entusiasmo quando trovò una confezione delle sue
merendine preferite dentro la credenza. Dixie sapeva quale discorso suo fratello aveva intenzione di
intraprendere, motivo per cui cercava di prendere tempo occupandosi di piccole cose – tipo il suo
nutrimento e il secondo caffè della giornata.
«Dovresti ricordartelo più spesso, allora. Mi fa piacere che tu sia venuta».
Lei fece una smorfia. «Finché mi rifili colpi bassi non posso rifiutare».
Noah rise fragorosamente. «Guarda che non ho chiesto io a Gordon di chiamarti!»
«Bugiardo».
«Lui voleva vederti, come tutti noi».
Dixie sbuffò. Si sforzava di ignorare quella leggera nota di rimprovero nella voce di suo fratello, ma
proprio non ci riusciva; nemmeno sapeva se ci fosse davvero o la sua fosse solo paranoia. Una parte
di lei, infatti, sapeva benissimo che rimanere lontana da casa più tempo possibile non l'avrebbe
affatto aiutata a superare l'accaduto; così facendo stava solo rimandando il momento della resa dei
conti.
«Lui dov'è?» domandò quindi. In fin dei conti, era tornata a casa praticamente solo per i suoi
fratelli, tre delle poche persone di cui le importava davvero.
Era tutto così diverso, quando era a casa. Non era mai se stessa, non la “se stessa” che era con gli
amici. Era uguale, ma completamente differente.
Noah sorrise e le si avvicinò, per poi scompigliarle i capelli in maniera affettuosa, cosa che ormai
non riusciva a fare frequentemente come un tempo.
«Al piano di sopra con Olly, va' a salutarlo».
Dixie fece una smorfia ed annuì. I momenti prima di rivedere Gordon per la prima volta dopo un po'
di tempo erano sempre un po' traumatici; sentiva un nodo alla gola, l'ansia arrotolarle le interiora, i
ricordi che bussavano insistentemente alla memoria, anche se si sforzava di allontanarli. Mentre
saliva le scale diretta al piano superiore, mentre cercava di non guardare il montacarichi che
avevano montato dopo l'incidente, mentre tentava di svuotare la mente e non farsi prendere da
inutili ansie, le mani le tremavano leggermente.
Aperta la porta del corridoio, fu la musica assordante proveniente dalla camera di Adam a schiarirle
le idee. Prese un ultimo respiro profondo e poi si diresse a passi incerti proprio lì dentro, dove
sapeva di poterlo trovare. Fatto il suo ingresso nella stanza, poi, il sorriso stiracchiato che era
riuscita a stamparsi in volto scomparve, lasciando il posto ad un altro molto più spontaneo ed
intenerito: i riccioli biondi di Adam sbucavano, racchiusi in una terribile coda di cavallo, da dietro
la spalla di Olly, che, seduto sul letto con l'inseparabile cappello in testa, se ne stava chino per poter
spiare lo schermo del pc portatile sulle gambe del primo; infine Gordon, come sempre adagiato
sulla sua Porsche – come la chiamava lui –, rideva fragorosamente per qualunque cosa stessero
guardando.
Dixie alzò gli occhi al cielo, divertita da quella scena di quotidianità che non vedeva da un pezzo e,
senza farsi troppi scrupoli, girò la rotella del volume dello stereo fino a sfiorare lo zero. «Spero che
tutta questa concentrazione non sia dovuta ad un buona slash, altrimenti mi vedrei costretta a farvi i
complimenti» commentò in tono annoiato, appoggiandosi al muro.
I ragazzi, voltatisi verso di lei più sorpresi dall'improvvisa sparizione della musica, che non perché
avessero sentito la sua voce, si stupirono di trovarla lì.
«Vee!» esclamò Gordon per primo, raggiante, riconoscendola. Il sorriso di Gordon, secondo Dixie,
era uno degli spettacoli più belli al mondo. E, sì, magari aveva i denti un po' storti, magari lei era un
po' di parte, ma quel sorriso era sempre spontaneo, così felice, contagioso. Non poté fare a meno di
sorridere un po' di più anche a lei.
«Ti stavamo aspettando!»
Dixie inarcò le sopracciglia, mentre lui faceva dietro-front guidando da solo la propria sedia a
rotelle.
«Ma davvero?»
«No, non è vero» rispose atono Adam, sporgendosi un po' perché l'amico del fratello non lo
coprisse del tutto. «Speravamo rimanessi laggiù». Olly rise a quelle parole e Dixie, dopo essersi
gettata malamente a sedere sulle ginocchia di Gordon per abbracciarlo e farsi dare un passaggio –
così aveva borbottato facendolo–, puntò un dito contro il fratello minore. E, no, non si trattava
dell'indice.
A quel gesto, naturalmente, Olly rise forte. «È sempre un piacere vederti, Vee» commentò con uno
dei suoi tipici sorrisi smaglianti, sistemandosi il cappello sulla testa.
La ragazza passò un braccio attorno alle spalle del fratello maggiore, non senza prima lasciargli una
leggera sberla sulla nuca. «Piacere mio, Niall».
«Oliver» la corresse Gordon con una risatina, mentre con una leggera spinta la minacciava di
spingerla sul pavimento. Dixie sbuffò e alzò gli occhi al cielo, del tutto incurante dell'aver appena
sbagliato il nome del migliore amico di suo fratello – nonché suo buon amico da tutta la vita.
«Allora, me lo dite cosa stavate facendo con quel computer?»
«I biglietti per Taylor Swift» fu la repentina risposta di Oliver. Dalla sua espressione era evidente si
stesse ancora chiedendo perché lei da qualche anno non facesse che chiamarlo Niall. Anche se
nessuno si era mai dato la pena di spiegarglielo, comunque, la risposta ai suoi dubbi era piuttosto
semplice: Olly Murs era la principale motivazione per cui Violet Dixon, da matricola universitaria,
aveva stretto amicizia proprio con Niall Horan e non, per esempio, con Joanne Preston, sua
compagna di banco alla prima lezione. Fin da quando l'aveva visto la prima volta, infatti, era
rimasta sconcertata dalla pazzesca somiglianza tra il suo amico d'infanzia e quello sconosciuto:
stessa gestualità, stesse espressioni, stesso sorriso, stessi atteggiamenti e stessa difficoltà nel
comprendere l'ironia – come avrebbe però scoperto solo in seguito. Non appena lo aveva sentito
parlare, certo, si era vista costretta a convenire che l'accento fosse totalmente differente; ciò non
toglieva però che la sua prima impressione nei confronti di Niall Horan fosse stata positiva. La
speranza che i due si somigliassero anche caratterialmente, aveva spinto Dixie a rivolgergli la
parola appena gliene si era presentata l'occasione e di lì, vista la naturale socievolezza di Niall e
l'eccentricità di lei, tutto era proceduto in discesa; Niall le aveva presentato la sua Xbox, Dixie le
aveva dichiarato amore eterno, Ruth, capitata a sedere accanto a loro ad una lezione di storia
dell'arte medievale, si era ritrovata a non poter più fare a meno della risata dell'uno e del sarcasmo
dell'altra. Erano bastati un paio di mesi perché Violet passasse dall'affitta-camere dalla parte
opposta della città all'appartamento che tuttora condivideva con Ruth, facendo tappa ogni paio di
giorni sul divano dei fratelli Horan a far visita alla loro Xbox.
Dixie rise di cuore, alternando occhiate ad ognuno dei ragazzi presenti. «Taylor Swift?»
Adam sbuffò e si alzò dal pavimento, gettando malamente il portatile sul letto. «Qual è il tuo
problema?» brontolò contrariato.
La sua espressione corrucciata, la risatina che scosse Gordon e quella che obbligò Oliver a mordersi
le labbra per non essere liberata suggerirono alla ragazza la giusta interpretazione di quella
situazione. Rise di nuovo, dunque, e decise di infierire ulteriormente: «State chiusi qui dentro ad
ascoltare Heavy Metal a tutto volume, mentre cercate i biglietti per il concerto di Taylor Swift. Che
c'è che non va in voi?»
A quel punto Olly non riuscì più a trattenersi e si accasciò sul letto tra le risate. «Chiedi a Addie».
Dixie si lasciò sfuggire una singhiozzante risatina sorpresa. «Come. Scusa?»
Adam incrociò le braccia e alzò spassionatamente gli occhi al cielo. «Punto primo: non è
divertente» iniziò, fulminando tutti i presenti con lo sguardo. «Punto secondo: non è colpa mia se la
mia ragazza ha dei pessimi gusti musicali» aggiunse rivolto alla sorella. «E punto terzo» concluse in
direzione di Olly: «nessuno mi ha mai chiamato Addie in tutta la mia vita, quindi dacci un taglio».
«Ex ragazza» lo corresse il maggiore.
«Punto quarto: vaffanculo!»
La risata di Gordon fece tremare Dixie insieme al suo petto. «Addie però è un bel soprannome. Un
po' femminile, ma...»
«Si intona ai tuoi riccioli d'oro, Addie» convenne lei spensierata. Di tutta l'agitazione di poco prima
non c'era più nemmeno l'ombra nella sua mente. Tutto sparito, come ogni volta.
Adam si esibì in una falsa risata, nascosta al loro udito da quella rumorosa di Olly – che fece
sorridere nostalgicamente Dixie al ricordo della propria infanzia e di quel Niall Horan che aveva
lasciato nelle mani di Zayn Fanboy Malik e Liam Ritardato Payne.
Il fratello minore sbuffò di nuovo e si appoggiò mollemente con le spalle al muro, accanto alla
finestra. «Bentornata, Vee. Quand'è che te ne vai, di preciso?»
La ragazza gli fece l'occhiolino da dietro gli occhiali da vista e si alzò dalle gambe di Gordon per
correre ad abbracciare Adam. «In teoria questa sera, fratellino, ma visto che ti sono mancata così
tanto magari rimango un paio di giorni!»
Lui, in tutta risposta, bofonchiò una protesta e si affrettò a spingerla lontano da sé.
«E levati, sanguisuga!»
«Sanguisuga io?»
Il tono di Dixie era oltraggiato, mentre incrociava le braccia e si sporgeva leggermente all'indietro, assumendo le stesse postura ed espressione di Adam. «Io? Ma davvero? E dire che avevo sempre pensato fosse Gordon quello appiccicoso» commentò, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Perché io?» domandò il diretto interessato; la sorella lo degnò appena di un'occhiata accesa di
scherno, poi tornò a rivolgersi all'altro.
«È meschino, non trovi anche tu?»
Oliver sogghignò. «A dire il vero Adam stava usando la carta di credito di Gordon per comprare la
prevendita del concerto» osservò, ma lei lo ignorò.
«È il classico aiutante del protagonista che si rivela un doppiogiochista: è sempre carino e
coccoloso e disponibile e poi... BOOM! “Kayley non è la tua ragazza, è la tua ex!”»
Adam fece una smorfia, sentendosi ripetere quella frase.
Gordon invece ridacchiò. «In effetti continuo a chiedermi perché tu voglia comprarle i biglietti, se
non state più insieme».
Olly aggrottò le sopracciglia con una smorfia confusa e divertita che si sarebbe adattata
perfettamente anche al volto di Niall. Fu anche con la stessa limpidezza dell'irlandese, dunque, che
fece per dare una risposta a quel quesito: «Be', ma proprio perché vuole riconq-...» Risposta che
nessuno riuscì ad ascoltare.
«Non lo vedi? Ti prende anche in giro!» trillò Dixie, additando il fratello maggiore, senza lasciare
che l'amico potesse finire la frase. «Cosa gli hai promesso, in cambio della carta, Adam? Lavatrice?
Lavastoviglie?»
«Una settimana di spazzatura» rispose quello, imbronciato; iniziava a capire dove sua sorella
volesse andare a parare, così come Gordon, che aveva ora gli occhi blu sgranati e un'espressione a
metà tra il divertito e lo scandalizzato.
Sul volto di Oliver comparve un – ennesimo – sorrisetto divertito, udendo quelle parole: aveva visto
la scena che stava per ripetersi di lì a poco così tante volte, da quando Dixie aveva cominciato
l'università, che non potevano più essere contate sulle dita. Era lo sfogo della vena dispettosa di
Violet Dixon, che veniva a galla ogni qual volta, dopo un certo periodo di tempo, si ritrovava tra i
propri fratelli: niente poteva impedirle di arrecare loro un immenso e insopportabile fastidio.
Quando assisteva ad uno di quei momenti, Olly non sapeva se rallegrarsi di essere figlio unico o
ingelosirsi del meraviglioso e discutibile amore fraterno che legava quei quattro.
«Dixie, no!» sbottò Gordon, una nota di incredulità nella voce profonda.
Lei rise, sfrontata, e posò una mano sulla spalla di Adam. « “No” cosa, fratellone? Ti sembra giusto
importunare così il povero Addie, girare il coltello nella piaga?» Inarcò le sopracciglia e fece una
smorfia di finto disappunto; il suo tono ne tradiva il divertimento. «Questo è davvero meschino da
parte tua».
«Sei un'infame!» esclamò Gordon tra le risate. «Non hai pietà di me, che sono pure infortunato?»
La ragazza si strinse nelle spalle con aria colpevole. «Mi spiace, ma no. Tu ne hai pietà, Adam?»
Il minore si staccò dal muro con un gesto fluido di cui Dixie aveva letto mille e mille volte nelle
fanfiction, attribuito al figo di turno – pensiero che le fece venir voglia di ridere.
«In realtà mi fate un po' pena tutti e due» sciorinò allora con lo stesso tono annoiato che generalmente contraddistingueva anche lei, solo un po' più sprezzante. «Dopo diciotto anni che mi conoscete, pensate davvero che io avrei davvero portato fuori la spazzatura al posto suo?»
«Oh-oh». Dixie ridacchiò. «Abbiamo un traditore qui» osservò, gettandosi a sedere sul letto accanto
a Oliver, che le passò un braccio attorno alle spalle scuotendo il capo con fare divertito e allo stesso
tempo rassegnato. «Bentornata» le sussurrò con fare fraterno; lei rispose con un sorriso
riconoscente.
Fu con il successivo «Che cosa hai detto, merdina?» e il conseguente «Hai capito benissimo,
stronzo» che Gordon sulla sua sedia a rotelle partì all'inseguimento di Adam, minacciando di
azzopparlo – Dio solo sapeva come. E Dixie rise, rise fino alle lacrime assieme ad Olly, finché suo
fratello minore non si fu rifugiato al piano di sotto, dove l'altro non poteva seguirlo con facilità. E
rise anche quando Gordon le diede della subdola infame, quando lei si alzò in piedi e lo fece girare
su se stesso sulla sedia rotelle, del tutto incurante delle sue proteste, fino a che non la implorò di
smettere o avrebbe rimesso la colazione sul pavimento.
Quando Noah si affacciò alla porta della stanza, trovando la sorella seduta sul pavimento, scossa da
un folle attacco di ridarella, e Gordon che imprecava a mezza voce e lamentava lo stomaco messo
sottosopra, non poté che sorridere soddisfatto, scuotendo il capo. Lo aveva sempre sostenuto: Violet
poteva farsi chiamare in un altro modo, poteva trascorrere tutta la sua vita lontano da casa,
circondarsi di gente nuova, affogare nel mondo virtuale, tentare di dimenticare l'incidente, non
guidare più la propria auto, ma questo non sarebbe mai stato abbastanza. L'unico modo per superare
davvero l'accaduto era vivere fianco a fianco della loro famiglia, convivere con l'eccessiva
apprensione della loro madre, con i sospiri del padre, i brontolii di Adam, la paranoia di Noah, la
sedia a rotelle di Gordon; accettare passo a passo i cambiamenti.
Gordon Dixon aveva una moto sportiva, anche se, per ovvi motivi, non poteva più guidarla. Ci
erano volute settimane di continue pressioni e insistenze da parte della sorella, perché i suoi genitori
accettassero di comprargliela in occasione del suo ventunesimo compleanno. Era stato così felice di
veder realizzato quel desiderio che lo tormentava fin da quando era solo un bambino, che per mesi
non andò da nessuna parte se non in sella alla moto, qualunque fossero le condizioni climatiche. Nel
giro di pochi mesi Gordon non era stato in grado di guidare più niente che non fosse la sua sedia
rotelle.
L'incidente era avvenuto a seguito di un venerdì sera in giro con gli amici; il luogo d'incontro era un
noto locale nel centro di Sheffield e, nonostante piovesse, Gordon aveva insistito per andare in
moto. Noah aveva affiancato i genitori nel sostenere l'assurdità di quella decisione, Violet, invece,
com'era ovvio che fosse aveva fatto pressione perché lo lasciassero fare: lei l'avrebbe seguito in
macchina assieme ad Olly. E così era stato: Dixie guidava l'auto che seguiva la moto di Gordon,
quando a seguito di un sorpasso pericoloso le ruote non avevano fatto presa sull'asfalto e lui era
caduto, rimanendo paralizzato dalla vita in giù.
Era stato Olly a chiamare l'ambulanza, i genitori, a raccontare a tutti l'accaduto. Era stato Olly a
riaccompagnarla a casa e ogni giorno in ospedale per fare compagnia a Gordon. Era stato lui a
sostenere – per quanto valesse – la sua decisione, quando aveva scelto di allontanarsi da Sheffield
per frequentare l'università. Ed era Olly l'unico a comprendere più degli altri come si sentisse Violet
riguardo all'accaduto: erano stata lei a premere perché gli fosse regalata la moto, lei a convincere i
genitori a lasciarlo uscire con quella nonostante la pioggia; erano stati loro a sognare quella terribile
scena per notti e notti.
Adam si gettò sulla sedia a capotavola sbuffando e puntellò i gomiti sulla tavola. «Cosa si deve fare
in questa casa per aver qualcosa da mangiare?» domandò contrariato, mentre già estraeva il
cellulare dalla tasca dei jeans troppo larghi.
Dixie distolse lo sguardo dalla PSP con cui Gordon stava giocando. «Alzare il culo e preparare
qualcosa?» suggerì, in bilico sulle gambe posteriori della sedia, mentre si dondolava tenendo una
mano ancorata al tavolo.
Il fratello minore le rivolse un'occhiataccia. «E tu perché non sei in cucina, allora?»
Lei rise sprezzante e si lasciò cadere rumorosamente sulle quattro gambe della sedia. «Oh, io non
abito qui, tesoro».
La risata di Noah si fece udire sprezzante fin dal salotto. «Non hai detto proprio questa mattina che
questa è casa tua?»
La ragazza sbuffò sonoramente, ignorando la risatina e il “Touché” di Gordon. «Per tua
informazione ho ordinato la pizza mezz'ora fa» gridò in tutta risposta.
«Pizza per pranzo? Che schifo!» si lamentò Adam.
Dixie alzò gli occhi al soffitto e si voltò a studiarlo con aria professionale. Lo guardò per qualche
lungo istante, durante il quale lui si esibì in mille smorfie infastidite, poi diede il suo responso: «Se
fossimo in una fanfiction, Adam, tu saresti uno di quei personaggi secondari insopportabili che
nessuno trova simpatici. Ed è un peccato, perché in realtà sono geniali nella loro malcelata
insicurezza» sciorinò con noncuranza.
Adam le rivolse un'occhiata sconcertata, poi fece una smorfia di disapprovazione. «Mi stai dando
dell'insicuro? Tu a me? Oh, questa è bella».
Lei si strinse nelle spalle. «Stavo parlando di fanfiction, tecnicamente» lo corresse.
Il ragazzo borbottò qualcosa e si alzò in piedi, già stufo della presenza della sorella maggiore.
«Qualcuno dovrebbe tirarti giù dalle nuvole, sai, svitata?»
Dixie aggrottò le sopracciglia. E dire che a diciotto anni, di solito, i ragazzi uscivano
dall'adolescenza e con essa anche dalla fase di insofferenza nei confronti di qualunque essere vivente non coetaneo; che Adam fosse rimasto un po' indietro con i lavori?
«Perché? Quassù si sta così bene!»
Gordon rise, senza distogliere lo sguardo dalla propria partita a Assassin's Creed. «Però su una cosa
il piccoletto non ha tutti i torti».
La ragazza sgranò leggermente gli occhi, guardò divertita il fratellino quando lui ricordò al
maggiore di essere parecchio più alto di lui, poi tornò a concentrarsi su di lui. «E perché mai?»
«Dovresti trovarti un ragazzo, forse. Olly è ancora single, sai? Sareste una gran coppia!»
Dixie scoppiò a ridere di cuore. «Olly?! Ma non dire sciocchezze!»
Gordon fece una smorfia e scrollò le spalle. «Be', era un esempio...» bofonchiò.
Adam si fermò sulla porta, un attimo prima di sgattaiolare al piano di sopra; si girò, dunque, giusto
in tempo per sputare un acido: «Andiamo, Gordon, sii realista: quale uomo si interesserebbe a
quella svitata? Rincoglionirebbe chiunque con chiacchiere su Doctor When e-»
La ragazza si voltò sconcertata verso di lui, come se avesse appena pronunciato la peggior
bestemmia mai udita da anima viva: «Santi numi, Adam, è Doctor WHO!»
Lui sbuffò e la fulminò con lo sguardo, prima di tornare a rivolgersi al fratello. «È così petulante
che a chiunque si ammosc-...»
Gordon ridacchiò di nuovo e guardò il più piccolo dal basso, con un sorrisetto malevolo. «Tu sì che
puoi dare consigli di cuore, vero, Addie? Con Kayley è andata così bene...!»
Adam si paralizzò sul posto, oltraggiato da quella risposta indelicata, ma, prima che potesse
esplodere in una serie di epiteti poco carini nei confronti del fratello, Dixie disse qualcosa che lo
sconvolse a tal punto da fargli dimenticare l'indignazione: «Per vostra informazione, io sto uscendo
con qualcuno».
Nella cucina cadde un silenzio carico di incredulità, interrotto solo dai suoni attutiti del televisore
nell'altra stanza. Adam sgranò gli occhi blu e inarcò le sopracciglia, Gordon si lasciò cadere la PSP
in grembo, lo sguardo perso del vuoto, mentre Noah si catapultò in cucina. «Stai uscendo con un
ragazzo che esiste davvero?» domandò affannato, affacciandosi alla porta.
Dixie aggrottò le sopracciglia, vagamente offesa da quella reazione scandalizzata. «Ovviamente»
rispose, piccata, ma senza perdere la sua solita aria annoiata. «Okay, tecnicamente non siamo
ancora usciti insieme da soli, ma ci stiamo mettendo d'accordo, ecco» aggiunse fissandosi le mani
strette in grembo.
«Un ragazzo vero?» domandò di nuovo Noah, cosa che fece sbuffare la sorella.
«Non è Pinocchio, se è questo che ti preoccupa!»
«Hai il ragazzo?» chiese subito dopo Gordon, incredulo quanto i fratelli. Erano tutti così concentrati
sulla rivelazione di Vee, che nessuno si accorse del rumore delle chiavi che giravano nella toppa del
portone di ingresso.
Dixie non riuscì ad impedirsi di arrossire, a quella domanda. «Non stiamo insieme, mi ha solo
chiesto di uscire!»
E fu questa la frase che la signora Dixon udì pronunciare dalla voce della sua unica figlia nel
momento in cui mise piede in casa dopo una mattinata di lavoro. La frase che diede inizio ad un
imbarazzantissimo interrogatorio che avrebbe tenuto occupata la famiglia per tutta la giornata.
 
 
 
Buongiooorno!
Parto con lo scusarmi con eventuali Pixie_Skywalker e Jeanstark96 iscritte a fanfiction.net; nel caso esistessero davvero, si tratta esclusivamente di una coincidenza. Al contrario, ovviamente, fanfiction.net esiste davvero: è un archivio internazionale di fanfiction che però, a quanto ne so, non ospita RPF (real person fiction). Questo significa che quando all'inizio Dixie parla di storie “sulla boyband del momento” c'è un errore (mio). Oppure che è iscritta anche su AO3 (che è, come è ovvio, un altro archivio internazionale) e le ha lette lì. E in questo caso mi scuso con eventuali iscritte a questo secondo sito con i nickname sopracitati. *sospira* Mamma, che fatica. u.u
In secondo luogo, ma non per importanza, ringrazio mamma Aries Pevensie per avermi betato il capitolo. È scontato che io vi suggerisca di fare un giro fra le sue storie, ma vi invito comunque a farlo. ^^ (Tra l'altro, guardate che presentazione figa le ho fatto. ♥)
Poi, mmmm. Forse dovrei scusarmi per il ritardo, ma come qualcuno sa, sto attraversando un periodo di cambiamento e, anche se al momento ho parecchio tempo libero, la cosa non durerà per molto, almeno finché non mi sarò abituata ai ritmi universitari. Santo cielo, pregate per me, che sicuramente non ho la fortuna di Dixie e non mi basta così poco per memorizzare le cose – anche se il problema dei dettagli è di entrambe.
Oh, e questo è il capitolo in cui si scopre la banalissima storia della famiglia Dixon! ...più un piccolo particolare sul nome proprio di Dixie che non so se qualcuno aveva già intuito. XD Ebbene sì, Dixie si chiama Violet, anche se nessuno la chiama così. Per lo più è “Dixie” o “Vee” per tutti.
Ma torniamo a Gordon. Ve lo aspettavate, vero? Il timore della guida di Dixie è provocato naturalmente dall'incidente a cui ha assistito e il suo distacco dalla famiglia sono causati dai sensi di colpa. E poi c'è Olly, che, dai, adoriamolo tutti insieme. *_*
Basta, smetto di farneticare. Spero che il capitolo non sia malaccio e a qualcuno piaccia. :)
A presto – spero!
Oh, e grazie a tutte le ragazze che mi hanno scritto o letto. Siete adorabili, tutte. ♥
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Yvaine0